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L'efficacia della regola stare decicis nella nostra tradizione giuridica.

In prima approssimazione, mutuando terminologie dal diritto inglese, potremmo sostenere che la giurisprudenza da noi ha efficacia puramente persuasiva, anche se non mancano ipotesi in cui i precedenti sono proprio muniti di forza vincolante (binding).

A parte le sentenze di accoglimento della Corte Costituzionale, i giudici italiani sono, infatti, vincolati anche dalle decisioni della Corte Europea in ordine agli atti compiuti dalle istituzioni comunitarie8. Del resto anche in Francia si è realizzato un sistema di precedenti giudiziali dotato di una rigidità maggiore di quella usuale negli ordinamenti codificati9. La situazione non appare allora sostanzialmente diversa da quella propria del diritto inglese, ove diversi tipi di precedenti giudiziali oscillano, come sappiamo, da un massimo di obbligatorietà ad un minimo.

In definitiva, la giurisprudenza continentale ha un ruolo quantitativamente più modesto, ma qualitativamente non dissimile da quello proprio della giurisprudenza anglosassone.

Nello stabilire le circostanze ove il precedente in Italia ha forza persuasiva, utile risulta ancora essere la nota distinzione tra ratio decidendi e obiter dictum. Posto che la prima indica l’argomentazione giuridica fondamento della decisione e l’obiter tutte le considerazioni in ordine al caso deciso senza che da essa discenda, direttamente o indirettamente, la decisione; la ratio decidendi può avere cittadinanza solo nelle “pari materie” e non potrà essere ricercata in precedenti appartenenti soltanto a casi simili. Da qui la domanda di acclarare, nel nostro sistema, i momenti in cui la ratio decidendi vincoli il giudice unicamente in pari materia.

8 Trattato Cee, art.177

9 M. Lupoi, Il valore del precedente giudiziale in Inghilterra e Francia nel ventesimo secolo.

Così posto il problema la risposta, in un ordinamento di statute law, non potrà che risolversi nella legge: il fondamento dello stare decisis, vale a dire la ratio decidendi (in pari materie), può esistere solo quando interviene una norma purchè conforme alla Costituzione e al diritto comunitario.

Dunque il precedente il Italia è persuasivo quando si riferisce ad una “pari materia”, cioè tra il caso da decidere e quello anteriore deve sussistere non una mera somiglianza ma una identità tipologica e, ancora, può dirsi persuasivo a patto che la ratio decidendi insita al suo interno abbia un punto di riferimento e di giustificazione in una legge.

Delicata è anche la questione di stabilire il livello di persuasività dei precedenti. Già abbiamo largamente discusso della gradazione di obbligatorietà dello stare decisis in Inghilterra che risente della presenza di un ordinamento giudiziario con un’alta e bassa giustizia, così come architettato dalle riforma risalente alla seconda metà dell’800.

Nel nostro sistema, invece, i giudici si distinguono solo per diversità di funzioni (art. 107, comma 3° Cost.), per questo pare più corretto dire che i precedenti del giudice di legittimità presentano un maggior grado di persuasività rispetto a quelli del giudice di merito (gradazione della forza del precedente per funzioni del giudice). In seno a questi ultimi, una funzione di orientamento è assolta dai precedenti delle Corti di Appello e, in genere, dai giudici di secondo grado salvo, naturalmente, fenomeni di contestazione, di per sé non fisiologici.

Pertanto, le decisioni di giudici di altri ordinamenti statali non rivestono il ruolo di precedenti in senso tecnico: possono essere considerati soltanto alla stregua di un apporto esterno, alla pari di quello dottrinale.

Maggiore è ancora il grado di persuasione di un precedente se è emendato da un organo collegiale rispetto a quello che proviene da un organo monocratico. Se, però, si tratta di un precedente posto da un giudice collegiale si dovrebbe ulteriormente distinguere fra pronunce all’unanimità e pronunce a maggioranza. In quest’ultima ipotesi, diversa sembrerebbe la persuasività del precedente nel caso in cui uno o più giudici, pur condividendo il dispositivo

della sentenza, dissentano dalla motivazione della stessa (concurring opinion), rispetto al caso in cui uno o più giudici dissentano non solo dalla motivazione, ma anche dalla decisione della maggioranza (dissenting opinion, che comprime notevolmente, in raffronto alla concurring opinion, il valore precedenziale).

A onor del vero, nel nostro ordinamento un simile meccanismo dovrebbe essere ora superato con quello strumento del segreto della deliberazione e del voto che Calamandrei ebbe a definire un esempio tipico di unanimità di Stato, che salva le apparenze a spese delle coscienze10.

Non meno problematico è rintracciare la giustificazione giuridica del precedente. Il fatto di aver accertato che l’elemento centrale del precedente, la ratio decidendi, debba trovare un punto di contatto nella legge, dovrebbe ora fungere da guida nella ricerca delle fondamenta legali del precedente interamente inteso.

Non sembra appagante l’orientamento corrente che tende a ridurre il fenomeno in parola ad una situazione di fatto11, quasi che il precedente fosse soltanto uno dei possibili materiali eventualmente utilizzabili per la formazione della singola decisione. Tale impostazione non tiene conto della esperienza concreta. Pensiamo, da un lato, all’importanza che assume il precedente nella nostra esperienza in punto di procedura: è noto infatti che, quanto alle quesioni di competenza, la Cassazione si ritiene normalmente vincolata dai propri precedenti, tendendo a salvaguardare l’uniformità della propria giurisprudenza. In casi del genere, il precedente se non vincolante appare quantomeno semi- autoritativo. A riprova di ciò, non mancano nel nostro ordinamento istituti per rimuovere l’efficacia del precedente; si pensi al ricorso in Cassazione del procuratore generale nell’interesse alla legge (art. 363 c.p.c.) e alla correzione dell’erroneo principio di diritto quando il dispositivo sia esatto (art. 384.2

10 Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato. Firenze, Ed. Ponte alle grazie,1959.

11 Cit. Micheli. Contributo allo studio della formazione giudiziale del diritto Case law e stare decisis, Padova, Cedam, 1938.

c.p.c.)12. Esistono, perciò, meccanismi giuridici diretti soltanto ad eliminare quella rilevanza giuridica che, sotto altro aspetto, si nega al precedente.

Nel nostro ordinamento, neppure è sostenibile che la giustificazione giuridica del precedente possa poggiare sull’autorità storica dei tribunali (autority of courts).

A questo punto, non rimane che ricollegare il fondamento del precedente meramente persuasivo alla stessa serie dei precedenti13, cioè all’usus fori o alla consuetudo iudicand. In effetti il precedente acquisisce maggior valore col passare del tempo e con l’accrescersi del numero di pronunce orientate nello stesso senso. Tuttavia occorre riconoscere che non si tratta di una forma di consuetudine di tipo giurisprudenziale in senso tecnico14. Anzitutto la giuridicità del usus fori, prescinde in toto dall’opinio iuris generale, poiché essa si fonda solo sul comportamento dei giudici. In secondo luogo, la ratio estratta dalla decisione anteriore non è mai assicurata definitivamente15, in quanto può essere modificata ad opera dei giudici stessi in particolar modo quando diviene obsoleta: esistono plurime tecniche per superare la regole dello stare decisis e porre un nuovo e diverso precedente in pari materia.

Circoscrivendo il discorso, il precedente persuasivo si traduce in una regola munita di rilevanza giuridica, ma caratterizzata da una potenziale mobilità. Almeno nel nostro ordinamento tale regola si risolve in una prassi che i giudici si autoimpongono come guida per se medesimi e che è suscettibile, in quanto tale e dagli stessi magistrati, di subire deroghe entro limiti e specifiche garanzie.

I rapporti tra prassi e precedenti, ovviamente, non sono del tutto chiari. In via di massima sembra che il precedente attenga più propriamente all’attività degli

12 Da questi articoli si evince lucidamente l’importanza del punto di vista iuris della Corte di

Cassazione nei confronti dei giudici di merito inferiori, i quali tendono, inevitabilmente, ad uniformarvisi ( la già ricordata “persuasività forte”). “Quando le parti non hanno proposto

ricorso nei termini di legge o vi hanno rinunciato…il Procuratore generale dello Stato presso la Corte di Cassazione può chiedere che la Corte enunci nell’interesse della legge il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi” (art.363 c.p.c.). “… la corte quando accoglie il ricorso, cassa la sentenza rinviando la causa ad altro giudice che deve uniformarsi al principio di diritto …” (art. 384.2 c.p.c. il quale fa intendere che il principio di diritto possa spiegare efficacia di precedente). Ad avvalorare queste tesi, ricordiamo anche l’art. 118 disp. Att. Cod. Prod.Civ. sul divieto di citare la dottrina ma non già i precedenti.

13 Bigiavi, Appunti sul diritto giudiziario, Padova, Cedam, 1933.

14 Lombardi, Saggio sul diritto giurisprudenziale, Milano, Giuffré,1967, p.449

organi giurisdizionali nel momento decisionale e, quindi, costituisca parte della prassi procedurale, ch’è figura più ampia poiché comprende anche il comportamento dei tribunali nella precedente fase procedimentale. Il precedente si concretizza in un provvediemento del giudice, la prassi in un comportamento non formalizzato in un atto.

Altre tesi asseriscono che precedenti e prassi sono fenomeni ben diversi, in quanto opererebbero con intensità diversa l’uno dall’altro. In realtà l’intensità del vincolo, sia nel momento procedimentale (prassi processuale) che in quello decisionale (precedente), appare del tutto analoga.

Alla luce delle considerazioni effettuate, l’efficacia persuasiva del precedente in Italia significa che il giudice può motivamente disattendere (ad esempio perché contrario alla ragionevolezza), ma non può prescindere dal precedente16(c.d. presunzione a favore del precedente, esaltata nella funzione

nomofilattica della Cassazione). Una decisione giudiziaria anteriore, dunque, considerata nel suo valore orientativo rispetto al giudizio attuale in ordine alla stessa questione, che esprime al contempo valore regolativo tale da preservare l’unità dell’ordinamento giuridico.