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Léon Cogniet nasce il 29 agosto 1794 a Parigi. Il padre è illustratore di carta da parati, mestiere al quale vorrebbe iniziare il figlio, senonché questi manifesta ben presto più alte ispirazioni, mostrando la volontà di voler intraprendere il cammino dell’arte.

Henri Delaborde racconta come Cogniet padre sia in principio restio ad assecondare la propensione del figlio alla pittura, preferendo per lui un futuro più umile seppur sicuro. Tuttavia, di fronte all'insistenza del figlio, finisce per acconsentire e Léon Cogniet entra ufficialmente a far parte dell'atelier di Pierre-Narcisse Guérin nel 18121.

Il giovane pittore vi trova un ambiente altamente stimolante, condividendo la formazione con artisti che si dimostreranno assai differenti tra loro, quali Géricault, Delacroix, Scheffer, Dupont, Orsil e Perin, e divenendo ben presto uno dei pupilli del maestro.

É necessario ricordare come l'insegnamento di Guèrin sia passato alla storia dell'arte non solo per la indiscussa rilevanza per la materia, ma anche perché rivestito ulteriormente di un alone mitico, se si pensa che la sua filiazione fu senza dubbio alquanto peculiare2.

Negli anni Venti dell'Ottocento, difatti, l'atelier diviene caso esemplare, spezzando l'archetipo portato avanti nei secoli dal modello raffaelliano fondato sull'emulazione da parte dei discepoli. Al contrario, Guérin, pittore di storia di gusto neoclassico, sorprende nell'aver formato artisti che si dimostreranno agli antipodi per linguaggio stilistico e tematiche trattate, energici attori della Rivoluzione romantica e fermi oppositori della Scuola di David, di cui lo stesso Guérin è debitore3. È interessante verificare come anche su

questo tema la critica abbia intrapreso vie differenti, lasciando ai posteri una doppia

1H.DELABORDE, Notice sur la vie et les ouvrages de M. Léon Cogniet, Tipographie de Firmin Didot frères, Paris 1881, pp. 6-7.

2Estremamente rilevante risulta lo studio condotto da Medhi Korchane, in M.KORCHANE, Guérin et ses élèves: paternité et filiation paradoxales?, in S.ALLARD, a cura di, Paris 1820. L'affirmation de la génération

romantique, Peter Lang, Berne 2005, pp. 85-99. 3Ivi, p. 85.

63 interpretazione; i critici conservatori e moderati descrivono il maestro come liberale e mai prevaricante sugli allievi, dei quali incentiva i singoli talenti, mentre i più progressisti lo vedono subire un'eredità scomoda4 . Nonostante la spiegazione che se ne voglia dare,

Guérin forma i suoi discepoli sui parametri dell’estetica classica; anteponendo sempre il lavoro di intelletto alla pratica, pone dunque l’attenzione sullo studio dei maestri antichi, che mai deve degenerare in imitazione, e della natura, modello originario per formare «l’élévation des idées, la noblesse du style5». E sarà proprio quest’ultimo precetto del suo

insegnamento a condurre i giovani allievi verso la Rivoluzione romantica, quando gli esempi del passato non possono più sopperire al bisogno di originalità. I grandi maestri di riferimento non vengono, tuttavia, del tutto sostituiti dal dato naturale, mentre è il nuovo audace uso del colore che risente della volontà di rompere le barriere della Scuola francese. Non possiamo sapere se Pierre Guérin abbia mai avuto la consapevolezza dei rischi della sua condotta permissiva, tuttavia è certo che l’impostazione che l’artista ha conferito al proprio insegnamento, costruita sull’enfatizzazione dell’intelligenza, della dedizione e dell’ispirazione individuale di ogni allievo, è stata la molla che ha portato la nuova generazione a brillare, più di ogni tradizione6.

La liberalità del maestro non deve indurre in errore, nella tentazione di vedervi riflessa un’indole accondiscendente e bonaria. Guérin si dimostra, infatti, un insegnante particolarmente intransigente, estremamente riservato nei confronti degli studenti per quanto concerne il proprio lavoro7. Dotato di un’impostazione accuratamente selettiva, il

suo studio si accresce tramite un’educazione elitaria, contrario alla democratizzazione della carriera artistica. Lo stampo esigente della sua scuola influisce senza dubbio sulla formazione dei giovani artisti, i quali si sentono eletti e più risoluti rispetto ai colleghi degli

4Ivi, p. 86. Korchane cita le parole di Le Go «Guérin a eu des élèves, mais sans jamais leur imposer unè autorité dogmatique. Dans son école, il laissait à chacun son indépendance...» e di Lenormant «Guérin avait vu se former dans son école même l'orage qui grondait sur le culte classique. Géricault, Delacroix, Scheffer s'étaient élancés de son atelier comme du cheval de Troie» Cfr. A. LE GO, Beaux-Arts. Pierre Guérin, in Revue de Paris, LIII, a. 1833, p. 265; LENORMANT, Beaux-Arts. Nécrologie. - Pierre Guérin, in Le Temps, journal des progrès, XIII, a. 1833, p. 3.

5KORCHANE, Guérin et ses élèves, cit., p. 85. Nel rapporto all’Accademia di Francia a Roma del 1816, il maestro

mette nero su bianco i suoi principi morali e accademici, cfr. H.LAPAUZE, Historie de l’Académie de France à Rome, 2 vol., Paris 1924, p. 123-124.

6KORCHANE, Guérin et ses élèves, cit., p. 92. Korchane avanza l’ipotesi che la stessa lettera del 1816 sia una

sorta di presa di coscienza di Guérin nei confronti della propria impostazione didattica.

7A tal proposito pare che tenga gli allievi lontani dalle proprie opere, confinate nell’atelier personale sovente

sbirciato dai giovani tramite il buco della serratura. Ivi, pp. 89-90. L’autore cita V.SCOELCHER, Sigalon, in Le

64 studi concorrenti8. Nonostante un’accurata selezione, Guérin si trova a formare settanta

allievi in un arco di tempo che va dall’apertura dell’atelier nel 1810 alla nomina di direttore dell’Accademia di Francia a Roma nel 1823. La cifra, tuttavia, appare irrisoria se raffrontata ai numeri delle scuole di maggior successo e più prolifiche, a lui immediatamente precedenti: trecentosettanta allievi di David e addirittura quattrocentosette di Regnault. La sproporzione di partecipanti non èjean la differenza più rilevante in quanto, al contrario degli atelier sopracitati, lo studio di Guérin non è votato alla produttività del maestro. All’opposto del modello di fabbrica di raffaelliana memoria, che lavora per l’artista che ne è a capo, gli allievi di Guérin non sono obbligati a divenirne assistenti o copisti. Il ritmo di lavoro del maestro, particolarmente lento per quanto riguarda i dipinti di storia, per lui esclusivo interesse, avrebbe certamente beneficiato dell’aiuto di una bottega, il cui contributo sarebbe stato fondamentale per fargli ottenere maggiori incarichi ufficiali. Tuttavia, Guérin si dimostra attaccato a un contesto puramente intellettivo e indifferente al profitto, ignorando con risolutezza il guadagno in favore dello spirito creativo9.

Si capisce come il giovane Cogniet possa aver trovato in tali condizioni un ambiente a lui congeniale e quanto la sua indole, per certi versi così affine al maestro, lo abbia portato a diventarne uno dei favoriti.

È in questo contesto che Léon Cogniet, appena ventitreenne, riesce a vincere il Prix de Rome come primo allievo dell’atelier di Guérin. Già dal 1812 si esercita allo scopo realizzando disegni e schizzi sul tema omerico, tra cui Ulisse che massacra i pretendenti di Penelope (figura 1)10 e Polissena strappata dalle braccia della madre (figura 4)11, i quali rivelano già

ottime capacità di disegno e composizione, nonché buone basi di espressività e dinamismo, sebbene ancora alquanto sostenute. Nel 1815 tenta la vittoria del prestigioso concorso con

Briseide che piange Patroclo (figura 5), ottenendo il secondo posto. Due anni dopo, tuttavia,

la sua Elena liberata dai fratelli Castore e Polluce (figura 6) si aggiudica il primo premio e assicura all’artista il soggiorno di studio a Roma12. L’Accademia di Francia a Roma prevede

un soggiorno di cinque anni interamente finanziato, durante in quale il vincitore del

8KORCHANE, Guérin et ses élèves, cit., p. 87. 9Ivi, pp. 88-89.

101812, Orléans, Musée des Beaux-Arts. 111812-1815, Orléans, Musée des Beaux-Arts. 12DELABORDE, Notice sur la vie, cit., p. 7.

65 concorso avrebbe trascorso una sorta di ritiro artistico allo scopo di incrementare il proprio talento, grazie all’osservazione e allo studio dell’arte antica e dei grandi maestri. Non si creda, tuttavia, che il giovane artista avrebbe avuto occasione di abbandonarsi all’indolenza; infatti, il programma di permanenza stabilisce la consegna di una serie di opere, a riprova dei progressi raggiunti. Per il primo anno, dunque, viene richiesto l’invio a Parigi di una figura ritratta dal vivo e due di disegni ricavati il primo da uno dei grandi capolavori italiani e comprendente almeno due figure, il secondo da una scultura o rilievo antico oppure rinascimentale. Il secondo anno di permanenza prevede uno schizzo dipinto e disegni da maestri antichi, oltre che studi da natura, paesaggi, monumenti e figure, mentre il terzo anno richiede una vera e propria copia integrale. Un lavoro del tutto originale e a tema storico deve invece essere consegnato durante l’ultimo anno e approvato dal direttore dell’Accademia13. È a Villa Medici che il giovane e promettente artista avrà il

primo vero e proprio studio ed è qui che Lèon Cogniet si ritrae nel 1817 (figura 13)14.

La sua figura, colta in atteggiamento pacato e meditativo, si integra perfettamente nell’arredamento semplice e modesto della camera, la quale di per sé è già un autoritratto. La luce che entra dalla finestra aperta modella ombre evocative sull’araldica appesa alle pareti, sinonimo della rilevanza storica del luogo e delle incombenze del giovane studioso, mentre illumina il tavolo affollato dagli strumenti del mestiere, indice della laboriosa produttività richiesta dalla permanenza a Roma. Il letto disfatto e il drappo abbandonato sulla sinistra enfatizzano la condizione di solitudine, che porta a una trascuratezza del dato materiale che lascia intendere la dedizione all’esercizio mentale.

L’autoritratto del giovane di intelletto inquieto, sostentato esclusivamente dall’esercizio della propria arte piuttosto che da agi e comodità, risente di una nuova estetica romantica, sebbene la figura risulti di secondaria importanza di fronte al paesaggio naturale, quasi il vero protagonista della scena. L’attenzione alla resa della calda luminosità della campagna italiana, con i caratteristici cipressi che svettano sulla linea dolce dell’orizzonte collinare, denota un particolare riguardo nei confronti dell’osservazione della natura e va a

13W.S.TALBOT, Cogniet and Vernet at the Villa Medici, in The Bulletin of the Cleveland Museum of Art, vol. 67,

n° 5, May 1980, p. 135.

14L’artista nella sua camera, 1817, Cleveland Museum of Art. Sul retro si legge l’iscrizione «ma chambre à la reception de ma première lettre de ma famille 1817». Un ritratto di Cogniet in posa non dissimile e intento

nel lavoro, ancora con importante dettaglio paesaggistico, è di artista ignoto: Ritratto di Cogniet seduto su

66 confermare le parole dello stesso Cogniet, nella sopracitata lettera a Guérin: «Je veux parler

des beautés de la nature, non seulement dans le pays que j'habite maintenant, mais encore dans tous ceux que j'ai parcourus depuis les frontières de la France...»15. Impressionato dalla

bellezza degli scenari che lo circondano, egli vorrebbe dedicarsi allo studio della natura, la quale riesce a emozionarlo ben più in un bassorilievo antico o un affresco rinascimentale. Tuttavia, il maestro è pronto a redarguirlo, ricordandogli il vero scopo del suo soggiorno romano. Lo studio degli antichi è fondamentale per fornire gli strumenti di interpretazione della natura stessa16.

Secondo tali precetti e le richieste dell’Accademia, il primo dipinto compiuto che Cogniet invia a Parigi è il Metabo, Re dei Volsci (figura 19), recentemente oggetto di un’opera di restauro finanziata dalla Assocation des Amis du musée des Beaux-Arts.

Il dipinto ritrae la scena dell’Eneide che vede il tiranno, scacciato dalla propria città, fuggire con la figlia Camilla ancora in fasce, sulle rive del fiume Amaseno. Di grande formato e soggetto mitologico, la tela risponde ai canoni accademici della pittura di storia neoclassica, enfatizzando la figura nuda e idealizzata dell’eroe, riconoscibile grazie agli attributi caratteristici del guerriero. Il soggetto svetta sul primissimo piano e dà modo al giovane artista di dar prova della propria abilità sia nella resa dell’anatomia, perfetta nella drammatica posa plastica, che nell’esecuzione delle espressioni, affiancando alla risolutezza del barbuto padre il tenero volto della neonata. Riconoscibili sono i maestri debitori di questa prima prova: se nel corpo statuario del Metabo si riconoscono le forme classiche e l’equilibrio dell’Apollo del Belvedere17 e la possanza del Laocoonte18 , la tensione

drammatica e la natura tragicamente avversa rimandando la mente alla più recente Scena

di Diluvio di Girodet (figura LXXVI)19. Esposta al Salon del 1822, una volta che l’autore è di

ritorno in Francia, l’opera non avrà successo di critica e pubblico, al pari delle altre realizzate in Italia. Ancora per rispondere alla commissione dell’Accademia, probabilmente per

15DELABORDE, Notice sur la vie, cit., p. 12. 16Ivi, p. 13.

17Già parte della collezione del Cardinale della Rovere in Palazzo a Santi Apostoli. Una volta divenuto Papa,

Giulio II porta la scultura con sé in Vaticano. L’opera, risalente al 120-140 a. C., è una copia in marmo di un originale bronzeo.

18Ritrovato nel 1506 sull’Esquilino, viene acquistato da Papa Giulio II per il suo Cortile delle Statue in

Vaticano. Si tratterebbe di una copia marmorea risalente al 40-30 a.C. realizzata da un originale in bronzo. Assieme all’Apollo del Belvedere diviene esempio di ideale estetico nel Rinascimento, incarnando la perfezione del Bello Ideale in cui alla proporzione fisica risponde l’elevazione morale.

67 soddisfare la richiesta degli schizzi su temi classici, Léon Cogniet realizza Ercole che soffoca

Caco (figura 14)20 e Caino e Abele (figure 15, 16)21 intorno al 1820. La prima opera, a lavis

con inchiostro e gouache bianca, affronta nuovamente il tema mitologico con una scena particolarmente efferata, in cui l’eroe è descritto nell’attimo cruciale dell’azione che vede il nemico cedere alla sua forza fisica. Cogniet abbandona qui la moderazione e l’eleganza distintive delle precedenti prove per accogliere uno stile più coloristico e passionale, fumoso e tormentato, in linea con la narrazione. Il Caino e Abele, invece, viene realizzato in due versioni, entrambe a olio, le quali non solo differiscono per formato ma anche per la variata postura e attitudine di Caino. Nella versione orizzontale (figura 15), questi si prepara a sacrificare a Dio il fratello Abele in una scena la cui differente luminosità risponde ai caratteri dei due personaggi; Abele è inondato dalla luce divina, mentre il suo aguzzino è avvolto in tenebre fumose che ne offuscano l’espressione. Nella mano sinistra stringe una pietra e Cogniet coglie l’attimo di tensione immediatamente precedente all’omicidio, enfatizzato dalla posa avvitata che trattiene l’aggressività. La tela verticale (figura 16), invece, propone un’interpretazione alquanto moderata del medesimo evento; Caino si volta in direzione opposta, mostrando all’osservatore una certa titubanza, indice di un conflitto interiore che manca nella prima prova22.

Le prime opere di Cogniet, dunque, sebbene dettate dall’adempimento delle richieste dell’Accademia di Francia, lasciano emergere una sensibilità derivante dalla formazione classica ricevuta nell’atelier di Guérin, seppur influenzata dalle sperimentazioni di suggestioni e inquietudini romantiche.

201818-1822, Orléans, Musée des Beaux-Arts. 211818-1819, Orléans, Musée des Beaux-Arts.

22JAGOT, Violence et effroi chez Léon Cogniet. Les passions d’un homme tranquille, in J.FARIGOULE,H.JAGOT, a

cura di, Visages de l’effroi. Violence et fantastique de David à Delacroix, catalogo della mostra, (Musée de la vie romantique, Paris, 2 novembre 2015 – 28 février 2016), Lienart, Paris 2015, pp. 133-134. Nel capitolo successivo verrà approfondita l’analisi dell’opera e della sua genesi, anche alla luce del contributo della sorella Amélie Cogniet.

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