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Biografie contrapposte: Paul Mantz e Henri Delaborde

Si è visto sinora come Léon Cogniet sia stato oggetto di opinioni divergenti all’interno del mondo dell’arte; se in vita è protagonista degli encomi di convinti sostenitori e del biasimo dei detrattori più agguerriti, è tuttavia con la sua morte che la critica si divide nella maniera più eclatante.

Sopraggiunta il 20 novembre 1880, la scomparsa dell’ormai anziano artista induce alla stesura delle prime biografie complete a lui dedicate, pubblicate nel corso dell’anno successivo.

Paul Mantz156 è autore di un testo fondamentale per la ricostruzione delle vicende relative

a Léon Cogniet, il primo che ne affronti in modo completo e retrospettivo la vita e le opere,

156Paul Mantz (1821-1895) è critico d’arte, profondamente segnato dalla rivoluzione del gusto romantico.

Dopo aver iniziato gli studi in legge, si dedica ben presto alla critica letteraria e artistica, frequentando circoli di intellettuali e scrivendo su L’Artiste. Avvicinandosi a un gruppo di scrittori che ne condividono gli ideali, tra cui Charles Blanc, Philippe de Chennevières e Théophile Thoré, si afferma come giornalista con la recensione del Salon del 1845 e viene apprezzato per lo stile limpido e chiaro. Con la Seconda Repubblica, il piccolo circolo di autori ottiene posizioni di riguardo: eletto alla direzione dell'amministrazione delle Belle Arti, Blanc supporta gli amici e Thoré, divenuto direttore della rivista La Vraie République, assume Mantz come collaboratore. Nello stesso periodo, questi diviene funzionario per il Ministero degli Interni e lavora per

L'Événement e diviene direttore capo de L’Artiste, tra il 1849 e il 1852. Fermo sostenitore della scuola

romantica, fa sentire la propria voce nei resoconti dei Salons e collabora con Théophile Gautier e Arsène Houssaye nella stesura di Les Peintres vivants, edito nel 1858. Intanto, coltiva l’interesse per la storia dell’arte e viene coinvolto da Philippe de Chennevières nella pubblicazione di una serie di manoscritti riscoperti negli archivi dell'Ecole des Beaux-Arts, contenenti memorie di accademici. L’Archives de l'art

français, animato da spirito patriottico, intende attirare l’attenzione sulla produzione artistica francese,

analizzandone i documenti con approccio positivista. Nel 1859 Charles Blanc fonda la Gazette des Beaux-

Arts e Paul Mantz viene immediatamente precettato per le rubriche di critica d’arte, scrivendo sugli artisti

contemporanei, sui Salons e su altre occasioni espositive. Le recensioni dei Salons si interrompono nel 1872, anno in cui Mantz inizia a scrivere per Le Temps, dedicandosi alla storia dell’arte piuttosto che alla critica. Tra il 1848 e il 1849 aderisce all’ambizioso progetto di Chennevières, che prevede un’opera di raccolta delle maggiori ricchezze di Francia. Gli anni immediatamente successivi, lo vedono al lavoro con Charles Blanc nella pubblicazione di opere didascaliche in merito alla Scuola Spagnola, Fiamminga e Fiorentina, mentre la sua attività sulla Gazette lo vede concentrarsi sulla redazione di articoli sul Rinascimento. Nel 1870 pubblica in modo indipendente Les chefs-d’œuvre de la peinture italienne edita Firmin Didot nonché un testo

41 benché non il più lusinghiero. Il critico, giornalista della Gazette des Beaux-Arts, vede pubblicato il suo articolo nel gennaio 1881, appena due mesi dopo la morte dell’artista157.

L’autore ripercorre le tappe maggiormente rilevanti della carriera di Cogniet, allegandovi brevemente alcune informazioni biografiche degne di nota, trattando la materia con tono ironico e spirito spesso dissacrante, come si evince dallo stesso incipit:

On peut, sans faire une grande dépense de lyrisme, raconter la vie de Léon Cogniet et dire ce que vaut son œuvre. Pour le portrait d’un tel maitre, la plus humble prose suffit. C’était un modéré et peut- être un sage. Il ignora le délire. Bien que ses origines lui eussent permis de se mêler aux luttes provoquées par l’invasion du romantisme, il resta calme, et bien qu’il eut reçu un enseignement tout à fait orthodoxe, il fut sans colère, il refusa s’associer aux fureurs de ceux de ses anciens camarades qui défendirent si violemment la vieille citadelle académique158.

Allo scopo di affrontare al meglio il tema, Mantz preannuncia al lettore l’utilizzo di una prosa umile, in linea con l’indole e la caratura dell’artista, che viene dipinto sin dalle prime righe quale personaggio moderato e savio, estraneo sia alla caparbietà dei romantici sia al fervore degli ultimi difensori dell’Accademia. Tornano ad emergere, dunque, i caratteri di moderazione e pacatezza che contraddistinguono Cogniet in vita ma che tuttavia, nel testo del critico, contribuiscono a ritrarlo in foggia caricaturale, quasi parodistica.

Mantz sceglie di dare inizio al racconto della vita dell’artista dagli ultimi anni, quelli dell’insegnamento. Secondo il parere dell’autore, difatti, sarebbe questa l’attività

monografico su Michelangelo. Dalla fine degli anni Settanta, all’affermazione sociale consegue un

cambiamento nel gusto estetico. Nel 1880 Mantz diviene vicedirettore dell’amministrazione dipartimentale e comunale, ricevendo la Légion d'honneur, viene nominato direttore generale dell’Amministrazione delle Belle Arti. Membro del Consiglio superiore di Belle Arti, organizza mostre alla École des beaux-arts, tra cui quelle su Eugène Delacroix (1885), Jean-François Millet (1887) e la pittura caricaturale (1888), quest’ultima corredata dall’articolo La Caricature moderne uscito sulla Gazette des Beaux-Arts. Dalle ultime opere emerge un rinnovato interesse per la storia nazionale, dalla quale gli artisti devono trarre esempio, mentre si rafforza il sentimento nazionalista, espresso in particolare nel testo riguardante l’Exposition universelle pubblicato sulla Gazette des Beaux-Arts: «La souveraineté de l'art français» trova difatti espressione massima nell’arte romantica, alla quale l’autore fa riferimento con somma nostalgia, distaccandosi dall’evoluzione dell’arte contemporanea. L’approccio storico lo porta a pubblicare ulteriori monografie, tra cui si ricordano in particolare quella su Holbein e la serie sulla pittura francese del XVIII secolo. Partendo da una visione evoluzionistica dell’arte, principia la propria carriera di critico sostenendo convintamente le nuove generazioni, per poi proiettare la propria attenzione sempre più verso il passato, risalendo alle radici della Scuola francese. Cfr. URL: https://www.inha.fr/fr/ressources/publications/publications-

numeriques/dictionnaire-critique-des-historiens-de-l-art/mantz-paul.html?search-keywords=paul+mantz Ultima consultazione in data 5/11/2018.

157MANTZ, Léon Cogniet, cit., pp. 33-42. 158Ivi, p. 33.

42 preminente di Cogniet: «J’insiste, à propos de Léon Cogniet, sur les qualités qui furent chez

lui prédominantes, son aptitude et son zèle pour l’enseignement. C’est peut être la meilleure part de sa gloire»159.

Ritiratosi in pensione nel febbraio 1880, solo pochi mesi prima della morte, l’artista saluta i numerosi allievi affezionati160, divenuto stimato maestro al pari di Guérin prima di lui.

Il critico sembra soffermarsi con insistenza sul ruolo educativo di Cogniet, inducendo il pubblico a riflettere in merito alla reale portata del suo lavoro d’artista, rispetto alla posizione nell’insegnamento. Continua, infatti, Mantz:

On parlera de ses disciples alors qu’on aura vaguement oublié ses œuvres, qui, il faut le dire, n’ont pas un caractère bien spécial et dont les amateurs friands ne se sont jamais véritablement épris. Comme peintre, Léon Cogniet est une figure un peu indistincte, et elle s’estompera vite. Elle a cependant une certaine valeur historique. Avec Jean Alaux et Couder, l’artiste dont nous voudrions fixer la fuyante image représente assez bien l’idéal sous Louis-Philippe161.

Léon Cogniet risulta agli occhi dell’autore una figura indistinta e poco incisiva nel panorama dell’arte francese. Convinto sostenitore della rivoluzione romantica, Paul Mantz osteggia apertamente il pittore, apparentemente privo di carisma e originalità e di conseguenza perfetto portavoce dell’ideale del giusto mezzo incoraggiato da Luigi Filippo.

Ripercorrendone sommariamente la formazione con Guérin, descritto come amante della tradizione ma non privo di una certa cultura intellettuale, il critico si sofferma sui frutti dell’esperienza vissuta da Cogniet in Italia, a seguito della vittoria del Prix de Rome nel 1817. Mantz nota che l’artista avrebbe mal impiegato il suo tempo nella Penisola, non comprendendone appieno l’arte e non riuscendo ad arricchire il proprio bagaglio di conoscenze tramite lo studio degli antichi. A tal proposito, ricorda una confidenza di Eugène Delacroix, evidentemente preoccupato per la buona riuscita del lavoro del condiscepolo, il cui primo dipinto inviato da Roma «ne promettait pas»162.

159Ivi, p. 34.

160Ibidem. Mantz ricorda come gli allievi del corso di disegno avessero l’abitudine di dedicare al maestro un

banchetto annuale.

161Ibidem.

43 Si tratta del Metabus (figura 19), immediatamente seguito dalla Giovane Cacciatrice (figura 7), che Cogniet presenta al Salon del 1822, pur senza essere ancora tornato in patria, dipinti perlopiù ignorati da pubblico e critica163.

Di nuovo in Francia, Cogniet si orienta su toni più drammatici, seguendo l’esempio dei vecchi compagni di studi Ary Scheffer e Théodore Géricault. Il Salon del 1824 vedrà esporre, difatti, Mario a Cartagine (figura 32) e la Scena di Massacro degli Innocenti (figura 40), quest’ultima, ricorda Mantz, acquistata per la cifra di settemila franchi da Jacques Laffitte, parlamentare e futuro Primo Ministro francese. In merito al Marius, il giornalista prende in prestito le parole di Auguste Jal nel descrivere come il dipinto susciti ben poco interesse nel pubblico164 , mentre spende un più fermo e amaro giudizio per quanto riguarda la resa

dell’episodio evangelico, mal dipinto e fin troppo sentimentale. Mantz descrive in tal modo il Massacro:

Les gens de 1824 avaient le cœur sensible; ils furent touchés parce que la a «tête d’expression» était alors à la mode, et ils ne s’aperçurent pas que le tableau était mal peint, je veux dire dans cette manière mince qui enlève à la peinture à l’huile toute chance de durée. Un succès meilleur devenait nécessaire165.

Differentemente dalla maggior parte della critica che, in occasione dell'esposizione al Salon, ne elogia la capacità di suscitare empatia, il critico non risulta impressionato dal dolore della madre, reputandone la resa del volto una mera tête d’expression, formale esercizio di rappresentazione delle passioni umane in base all'adesione ai canoni espressivi accademici166.

163Mantz scrive in merito: «Le Mètabus est assez ignoré; on connaît mieux la Chasseresse, qui a été gravée par Delaistre et qui était d’un sentimentalisme assez fade». Cfr. Ibidem.

164Mantz cita il brano «deux hommes noirs, reflétés de rouge et de jaune, qui exécutent une scéne de pantomime à laquelle elle n’entend pas un geste», da JAL, L’artiste et le philosophe, cit., p. 84. 165MANTZ, Léon Cogniet, cit., p. 36.

166Al 1759 risale l’istituzione da parte del Conte di Caylus, membro dell'Accademia, del concorso per le «tête d’expression», in cui gli allievi sono chiamati a realizzare correttamente una serie di volti trasfigurati dalle

emozioni, sulla base di un tema o un personaggio deciso dalla commissione. La pratica si colloca nel contesto dello studio delle passioni umane, secondo il quale l'Accademia prevede l'adesione a modelli ideali tramite i quali le espressioni danno vita ai personaggi rispondendo obbligatoriamente alle regole del decoro, che impongono di trovare un giusto mezzo tra natura e ispirazione dall'antico. Per lo studio del tema si segnala C.SCHALLER, L’expression des passions au XIXe siècle, Université de Fribourg, 2003. URL: https://doc.rero.ch/record/17136/files/SchallerC.pdf Ultima consultazione in data 5/11/2019.

44 Il salto qualitativo auspicato dall’autore arriva tre anni dopo, in occasione del Salon del 1827 in cui Cogniet presenta il Sant’Etienne (figura 51). La scena melodrammatica, realizzata con tranquilla gravità, è reputata dal critico «le meilleur tableau de Cogniet dans le mode

sérieux», sebbene non priva di difetti di esecuzione167 . L’incoerenza qualitativa inizia a

emergere, tuttavia, come peculiarità negativa dell’artista: nel medesimo anno, questi espone nelle Sale del Consiglio di Stato del Louvre il Numa che dona le leggi a Roma (figure 33, 34), anch’esso giudicato privo di interesse da parte del giornalista168, mentre inizia a

farsi strada un’attitudine maggiormente incline alle tendenze romantiche che fervono nei medesimi anni. Certamente, nota ironicamente Paul Mantz, il prudente Cogniet non cede alle «hérésies du romantisme», tuttavia si allinea a una certa maniera divenuta «à la mode», dimostrando «inquiétude pour le goût moderne»169. L’artista si dedica, infatti, all’esecuzione

di alcune litografie da opere di Géricault, lavoro non certo originale ma dimostrazione del desiderio di allontanarsi dallo stile tradizionale, sebbene senza compromettersi nella «bagarre romantique»170. Una tale preoccupazione sembra tradursi nell’avvicinamento a

soggetti di tipo aneddotico, con scene militari trattate su piccolo formato e dedicate in particolar modo alla recente campagna di Spagna, tramite le quali Cogniet si allinea alla pittura di Horace Vernet171. Quest’ultimo, autore di apprezzate scene di genere in cui ritrae

episodi del brigantismo italiano e soggetti di gusto orientaleggiante172, è fonte di ispirazione

per la realizzazione dei Briganti prostrati davanti a una Madonna (figura 24) e Ritratto di

Eschimese (figura 56). Entrambi i dipinti subiscono la fascinazione per episodi di gusto

167MANTZ, Léon Cogniet, cit., p. 36.

168Il dipinto è descritto come «Figure aux intentions solennelles, mais assez insignifiante», cfr. Ibidem. Mantz

ricorda, tuttavia, il valore della commissione del dipinto: il 28 luglio 1827, Cogniet riceve un acconto di 5000 franchi, pari a un terzo della somma complessiva.

169Ibidem. Mantz, sostenitore del Romanticismo, sembra percepire come scarsamente genuino

l’avvicinamento di Cogniet. Privo di uno stile originale, questi si limiterebbe a seguire le mode più fruttuose, alla continua ricerca della definizione di un gusto individuale.

170Ibidem. Sarà interessante constatare, nella seconda parte del paragrafo, come la riproduzione delle opere

di Géricault, visto da Mantz come mero gesto egoistico, sarà interpretata da Delaborde come favore personale nei confronti del collega.

171Mantz cita nuovamente Jal, in questo caso mettendone in discussione l’entusiasmo per il dipinto

raffigurante La resa di Santona. Si veda il brano di Auguste Jal: «Un seul mot suffira à l'éloge de l'ouvrage de

M. Cogniet M. Horace Vernet a rarement fait mieux et il n'a pas toujours fait aussi bien dans ce genre.» Cfr.

JAL, Esquisses, croquis, pochades, cit., p. 67.

172Horace Vernet di qui a pochi anni ricoprirà i ruoli di direttore dell’Académie de France in Rome (1828-34)

e di professore all’École des beaux-arts (1835-63). È uno dei maggiori rappresentanti dell’ideale artistico del

juste-milieu, collocato tra gli eccessi romantici e il tradizionalismo neoclassico. In merito alle tematiche

sopracitate, dipinge tele quali Briganti italiani sorpresi dalle truppe Pontificie (1831, Baltimora, Walters Art Museum) e Caccia al leone (1836, Londra, Wallace Collection).

45 esotico più o meno remoto e sono giudicati da Mantz banali e non degni di nota. Con l’ormai abituale sarcasmo, l’autore narra come il Ritratto di Eschimese appartenne a Gros finché, alla sua morte, non ricomparve tra la merce di un mercante, «heureux de montrer le trésor

si longtemps oublié»173 . I Briganti, invece, protagonisti di un’Italia da operetta comica,

evocherebbero sorprendentemente un celebre dipinto di Léopold Robert, realizzato nel medesimo anno:

Il a les sécheresses coupantes qui étaient alors autorisées et dont le type est fourni par un tableau qui est précisément de 1827, la Fête de la Madone de l’Arc, de Lèopold Robert. Combien peu les hommes de ce temps avaient regardé la nature! Où prenaient – ils le secret de ces silhouettes sans enveloppe, sinon dans la fabrication des papiers peints? Je n’exprime pas ici toute ma pensée, mais on la devine. O grands artistes de la Hollande, maîtres de l’atmosphère caressante et du contour baigné, qu’auriez-vous dit de ces cruelles découpures?174

Carente in originalità, Léon Cogniet viene accusato nuovamente di seguire il gusto più in voga. Se all’inizio degli anni Venti risente della drammaticità romantica, sul finire del decennio si allinea sui binari della narrazione di genere. Sulla scia del successo delle opere di Vernet e Robert, anche Cogniet attinge alla fonte della pittura olandese trasfigurandone tuttavia le morbide atmosfere evocative.

Gli anni Trenta vedono la definitiva affermazione dell’artista, in particolare grazie all’attività di insegnamento negli atelier maschile e femminile, quest’ultimo diretto dalla sorella Marie Amélie, anch’essa pittrice. Nel 1830 Léon Cogniet espone a Lussemburgo per la Sociéte des

Amis des arts175, a beneficio dei reduci della Rivoluzione di Luglio, una Scena di barricate

(figura 63)176 e il Ritratto del generale Maison (figura 64)177. Quest’ultimo, presentato al

Salon dell’anno successivo assieme alla scena di Luglio, ottiene un favore tale che lo stesso

173MANTZ, Léon Cogniet,cit., p. 37. 174Ibidem.

175Mantz sottintende una sottile polemica in merito alla cerchia di conoscenze di Cogniet. A detta del critico,

sembrerebbe che l’artista si sia creato una sorta di clientela, tanto che il suo nome è sempre presente negli eventi organizzati dall’associazione. Scrive Mantz: «Il avait dans le monde de précieuses amitiés et presque

une clientèle La Société des Amis des arts faisait état de son talent. Son nom brillait sur tous les programmes». Cfr. Ibidem.

176Con tutta probabilità la Scène de barricades fa riferimento al dipinto intitolato Scène de Juillet e

conservato al Musée des Beaux-Arts d’Orléans. La scena qui ritratta corrisponde alla descrizione che Jal fa dell’opera esposta al Salon: «une scène des barricades, honorable au peuple qui, au milieu du combat, se

montra si généreux envers ses adversaires». Cfr. JAL, Salon de 1831, cit., pp. 234-235.

177Si tratta del dipinto conservato al Musée de l’Armée di Parigi. Una replica successiva dello stesso soggetto,

46 Jal - «qui n’y va pas de main morte»! - lo eleva a capolavoro178. Mantz ammette che in

questa occasione espositiva, il lavoro di Cogniet potrebbe apparire brillante; egli vi presenta, difatti, anche il Rapimento di Rebecca (figura 59), due dipinti di piccolo formato raffiguranti due Polacchi «plus ou moins exaltés ou mélancoliques»179 (figure 68, 69), un

Religioso (figura 65)180 e un Ritratto di Pierre Guérin (figura 66)181. Tuttavia, il critico non

manca di notare quanto l’operato dell’artista appaia incoerente se oggetto di uno sguardo più ampio. Egli taccia nuovamente Cogniet di scarsa originalità, per di più individuando nel suo operato un’inclinazione politica che vede i propri interessi posti in primo piano rispetto alla missione artistica. Scrive Mantz:

Était-ce une trahison, était-ce un changement dans l’idéal? Nous supposions qu’il devait se trouver dans les écrits du temps un mot sur cette évolution de Cogniet. Ce mot était inévitable: il a été dit par Charles Lenormant dans son Salon de 1831: «Les tableaux de genre de M. Cogniet suffisent pour qu’on s’aperçoive qu’il est passé au centre gauche»182.

L’artista sembra dunque seguire le inclinazioni più vantaggiose. In anni in cui il dipinto di genere è ampiamente richiesto dal mercato dell’arte e incoraggiato dal governo reale, Cogniet si dedica alla celebrazione della storia recente, lasciandosi alle spalle le grandi scene drammatiche e i personaggi monumentali, nonché le commissioni ufficiali ottenute durante la Restaurazione borbonica183. La tutelata posizione scelta dall’artista, lo porrebbe dunque

perennemente in equilibrio tra due fuochi, senza mai schierarsi:

178Mantz ritiene evidentemente sconsiderato l’entusiasmo di Jal per il dipinto. Cfr. MANTZ, Léon Cogniet, cit.,

p. 37.

179Ivi, p. 38. Si tratta del Polonais blessé, souvenir de 1814 (1831, Angers, Musée des Beaux-Arts. Una

versione ad acquerello e matita su carta è conservata alla Wallace Collection di Londra) e del Praga 1831 (una replica ad acquerello del dipinto ad olio presentato al Salon è conservata alla Wallace Collection mentre Jean-Pierre-Marie Jazet ne trae un’incisione ad acquatinta, parte della Collection de Vinck, Bibliothèque Nationale).

180La descrizione che ne fa Jal cita un religioso in meditazione durante una tempesta: «Puis vient un Religieux méditant, au milieu de l'orage, sur les tempêtes du monde dont il s'est éloigné». Cfr. JAL, Salon de

1831, cit., p. 235. Il critico si riferisce probabilmente al dipinto conservato al Musée d’Orléans con il titolo Moine en méditation près d'un ravin. Amélie Cogniet dipingerà un Un Monaco assorto in meditazione,

conservato al Musée des Beaux-Arts d’Orléans, tuttavia risulta esposto al Salon del 1833.