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Critici, poeti, romanzieri: Stendhal e Charles Baudelaire

Per quanto riguarda la critica dei Salons, è necessario ricordare anche il contributo di due uomini di lettere e di cultura, oltre che attenti cronisti, le cui opere e personalità diverranno tra le più celebri dell’Ottocento francese.

Stendhal e Charles Baudelaire, difatti, a latere della loro preminente attività di scrittori che vede affermarsi l’uno in qualità di romanziere, l’altro di poeta, coltivano l’interesse per la critica e la storia dell’arte, arricchendo il panorama contemporaneo di voci originali e rappresentative della modernité, di cui lo stesso Baudelaire conierà la definizione:

«c'est le fugitif, le transitoire, le contingent, la moitié de l'art, dont l'autre moitié est l'éternel et l'immuable»110.

La Critique amère du Salon 1824 par M. Van Eube de Molkirk111 offre, a detta dello stesso

Stendhal112 , un resoconto oltremodo originale e nuovo dell’Esposizione, adducendo un

punto di vista indipendente rispetto al giornale su cui sarà pubblicato e ai maggiori critici del tempo: «Mes opinions, en peinture, sont celles de l'extrême gauche»113.

110Si veda il saggio Le Peintre de la vie moderne, pubblicato per la prima volta in Le Figaro, 26, 29 novembre,

3 dicembre 1863 e qui citato nell’edizione comprensiva degli scritti sull’arte dell’autore, cfr. C.BAUDELAIRE,

Scritti sull’arte, Einaudi, Torino 1981, p. 288.

Con l’espediente dell’omaggio al pittore Constantin Guys, l’autore tratteggia quella che diverrà la definizione dell’estetica baudelairiana, ponendo le basi della concezione stessa di modernità, legata a doppio filo con il tempo presente e il contatto con l’antico.

111Titolo originale previsto per un pamphlet pensato dall’autore a raccolta dei diciassette articoli pubblicati

sul Journal de Paris dal 29 agosto al 24 dicembre 1824, con il titolo di Musée Royal. Exposition de 1824, cfr. STENDHAL, Salons, Nino Aragno Editore, Torino 2006, pp. 5-6. Gli articoli sono stati riuniti e pubblicati postumi in STENDHAL, Mélanges d'art et de littérature, Michel-Lévy frères, Paris 1867. Nel presente testo, si farà riferimento all’edizione curata da Henri Martineu: STENDHAL, Mélanges d'art, Le Divan, Paris 1932.

112Marie-Henri Beyle (1783-1842) è romanziere, critico e storico dell’arte. Celebre in letteratura in particolar

modo per Le Rouge et le Noir e La Chartreuse de Parme, pubblicati rispettivamente nel 1830 e nel 1839, Stendhal si dedica sin dalla giovane età allo studio dell’arte, in special modo quella italiana, principiando nel 1811 la stesura dell’Historie de la peinture en Italie. Il testo, pubblicato incompleto nel 1817, passa sotto silenzio, per essere tuttavia riportato all’attenzione della critica nel primo decennio del Novecento, quando lo studioso Paul Arbelet scopre che la maggior parte dell’opera non è altro che frutto della trascrizione di parti della Storia Pittorica del Lanzi, edita nel 1789. Nonostante le accuse di plagio, l’ambiziosa opera di Stendhal non è tacciabile di disonestà, in quanto il progetto iniziale consisteva in una dichiarata riscrittura delle fonti, alla quale l’autore aggiunse sempre più approfondite note personali. Cfr. D.WAKEFIELD, Art

Historians and Art Critics XI: Stendhal, in The Burlington Magazine, vol. 117, n. 873, Special Issue Devoted to

French Neo-Classicism, Dec., 1975, pp. 803-809.

113STENDHAL, Mélanges d'art, cit., p. 6. L’autore si riferisce qui alle sue opinioni in merito di pittura, opposte a

30 In merito alle posizioni della critica a lui contemporanea, si noti come l’autore offra al lettore moderno un interessante spaccato del clima che si respirava tra le pagine dei maggiori giornali, descrivendo con sarcasmo la “guerra fredda” che si combatteva a colpi di penna, tra critica di destra e di sinistra. Scrive, difatti, Stendhal, citando i maggiori rappresentanti delle due fazioni:

Il paraȋt que, cette année, il existe deux partis très violents parmi les gens qui se mêlent de juger le Salon. La guerre est déja commencée. Les Débats vont être classiques, c’est-à-dire ne jurer que par David, et s’écrier: Toute figure peinte doit être la copie d’une statue, et le spectateur admirera, dût-il dormir debout. Le Constitutionnel, de son côté, fait de belles phrases un peu vagues, c’est le défaut du siècle; mais enfin il défend les idées nouvelles. Il a l’audace de prétendre qu’il doit être permis à l’art de faire un pas, même aprés M. David, et que ce n’est pas le tout pour un tableau que de présenter une grande quantité de beaux muscles dessinés bien correctement; c’est une étrange prétention de vouloir que l’Ecole française soit

immobilisée comme un coupon de rentes, parce qu’elle a eu le bonheur de produire le plus

grand peintre du dix-huitième siècle, M. David114.

Lo stile è particolarmente sarcastico e aggressivo, nonché volutamente critico;

l’autore, difatti, dichiara apertamente di non essersi guadagnato buona fama nell’ambiente della critica d’arte, proprio per il suo fare provocatorio che attira giudizi malevoli e accuse di incompetenza115. Come si evince dall’estratto sopracitato, Stendhal supporta la tesi dei

giornalisti del Constitutionnel, esposta nella persona del già citato Adolphe Thiers che si impegna a sostenere la nuova generazione di pittori, contro l’immobilismo dell’Accademia. Per contro, dalle pagine del Journal des débats, critici dello spessore di Delécluze difendono la scuola di David, nel suo continuo ispirarsi ai modelli classici. In un tale scenario, l’autore si distacca dalle posizioni conservatrici, prendendo tuttavia le distanze, arroccandosi nella estrema sinistra, persino dai fautori della novità: questi, difatti, troppo poco incisivi, non hanno la forza espressiva e argomentativa che l’affermarsi di un gusto nuovo richiederebbe.

rivoluzione romantica. Il testo rivelerà al lettore, tuttavia, quanto persino l’autoproclamatosi estremista Stendhal abbia di che criticare ai giovani artisti più audaci e quanto il suo gusto sia ancora legato a certi stilemi della tradizione.

114Ivi, pp. 11-12.

115«On a dit que j’étais grossier, parce que j’ai le malheur de ne faire aucun cas des phrases élégantes et vides qui viennent de valoir l’Académie à M. Droz et la réputation d’homme éloquent à M. Villemain. […] J’ai si peu de crédit, je vis tellement en dehors des supériorités de l’époque, que je n’ai pu obtenir une carte pour entrer au Musée le vendredi» cfr. ivi, pp. 5-6.

31 A tal proposito e per quanto concerne la critica su Léon Cogniet, risulta estremamente significativo il quarto articolo116, pubblicato sul Journal de Paris il 12 settembre 1824.

Infatti, il testo si apre con il Processo della scuola di David, nelle cui pagine Stendhal critica aspramente il metodo degli eredi del grande maestro, i quali fondano la loro arte su una pratica acquisita, sulla mera tecnica anziché sul Genio. Il disegno corretto è una scienza esatta117 e padroneggiabile con anni di esercizio, ben diversa dalla capacità innata di

rendere in pittura le mutevoli passioni umane.

C’est que, malheureusement pour beaucoup d’artistes, les passions ne sont pas une science

exacte, à laquelle le plus ignorant puisse atteindre. Pour être en état de peindre les passions, il

faut les avoir vues, avoir senti leurs flammes dévorantes. Remarquez bien que je ne dis pas que tous les gens passionnés sont de bons peintres; je dis que tous les grans artistes ont été des hommes passionnés. […]

L’école de David ne peut peindre que les corps; elle est décidément inhabile à peindre les

âmes118.

I discepoli di David, dunque, per quanto fautori di esecuzioni perfette, non sarebbero in grado di riprodurre altro che «un vaste désert d’hommes»119.

116Ivi, pp. 42-49. Comprende, oltre al Procès de l’école de David, la recensione delle opere esposte da Carl

Steuben, Léon Cogniet e Félix Auvray.

117Stendhal paragona la resa dell’anatomia umana all’aritmetica, alla geometria e alla trigonometria, saperi

acquisibili con lo studio, indipendentemente dal talento. Scrive Stendhal: «C’est que le dessin correct,

savant, imité de l’antique, comme l’entend l’Ecole de David, est une science exacte, de même nature que l’arithmétique […] Pendan les trente années qu’a duré le gouvernement tyrannique de Davis, le public a été obligéde croire, sous peine de mauvais goût, qu’avoir eu la patience nécessaire pour acquérir la science exacte du dessin, c’était avoir du génie. […] Le dernier excès de ce système a été la Scène du déluge par M. Girodet». Cfr. ivi, pp. 42-43.

118Ivi, pp. 43-44. Abbiamo già visto come la resa delle passioni dell’animo umano sia una qualità che la critica

di sinistra antepone in favore della nuova generazione di romantici. Tuttavia, si noti come Stendhal non abbia grandi lodi per il Massacro di Scio di Delacroix: pur apprezzandone la capacità nell’uso del colore degno di un discepolo di Tintoretto (sapere prezioso per contrastare l’egemonia del disegno davidiano), tuttavia ne critica l’immobilità dei personaggi, nonché la bruttezza ricercata. Esagera talmente l’aspetto triste e cupo della scena che il pathos si perde nella prostrazione e nel lividore dei protagonisti. Stendhal, dunque, nonostante l’insistito dichiararsi radicale, fa mostra di essere ancora legato a un ideale di Bellezza derivante dall’arte neoclassica, apprezzando maggiormente artisti quali Scheffer, Delaroche e Vernet. Per approfondimenti, cfr. F.HERAIN, Les grands écrivains critiques d’art, Mercure de France, Paris 1942, pp.

41-58. Per le opinioni su Delacroix, cfr. STENDHAL, Mélanges d'art, cit., pp. 19, 64-67.

119STENDHAL, Mélanges d'art, cit., pp. 45-46. All’accusa alla scuola di David segue un esempio pratico, attinto

direttamente dal grande Maestro del secolo precedente. Stendhal spiega che i grandi personaggi ritratti si atteggiano a eroi tanto quanto il Romolo nelle Sabine (Jacques-Louis David, 1799, Paris, Musée du Louvre), in posa nella muscolatura perfetta, manca invece di incisività per quanto riguarda l’ideale espresso dai moti dell’anima.

32 Tuttavia, la critica feroce di Stendhal pare estendersi all’intero Salon: le tele, inespressive e poco eloquenti, non sarebbero altro che banali imitazioni delle performance tragiche del celebre attore François-Joseph Talma120.

Tra queste, non sfugge al giudizio neanche il Mario sulle rovine di Cartagine (figura 32) di Cogniet:

Voulez-vous deux atres copies de Talma, mais en grand? Allons voir Marius à Carthage, par M. Cogniet. L’envoyé du prêteur Sextilius et Marius ne sont encore que deux êtres dominés par l’enthousiasme tragique, et qui ne songent qu’à être bien applaudis du parterre. Tout ce qui est simple, tout ce qui est naïf, est soigneusement évité par le grand acteur cherchant à imiter la nature, et il a raison. Le simple et le naïf sont, au contraire, les trésors de la peinture121.

A differenza dell’attore, che è artificioso per definizione e sua natura, la pittura dovrebbe ispirarsi alla semplicità, rendendo personaggi e scene autentiche e spontanee. Sestilio e Mario, viceversa, appaiono come due teatranti sul palco, immobili nei loro gesti calcolati, nell’attesa dell’applauso del pubblico. Stendhal sembra, dunque, avverare la previsione di August Jal: il pubblico, nel dipinto di Cogniet, vedrà soltanto due uomini «qui exécutent une

scène de pantomime à laquelle elle n’etend pas un geste»122.

Stendhal conferma la propria tesi nel successivo articolo123 della critica al Salon, nel quale

l’autore riprende brevemente il suo giudizio sul Mario. Affermando di essere stato rimproverato a causa dell’aspro giudizio espresso sulla tela di Cogniet, egli ne riconosce, seppur a una seconda osservazione, alcune parti ben riuscite.

Tuttavia, la mancanza di naturalezza rimane il difetto principale e lo spettatore non riesce altresì a farsi coinvolgere dall’atmosfera evocata e a sognare con essa124.

120Ivi, p. 47. François-Joseph Talma recita sia durante gli anni della Rivoluzione che dell’Impero, divenendo

l’attore preferito di Napoleone. Oltre che per le capacità performative, è personaggio importante per aver introdotto uno stile teatrale più naturale e maggiore accuratezza nel dramma storico, accompagnati da una gestualità semplice ispirata all’arte antica.

121Ivi, p. 48.

122JAL, L’artiste et le philosophe, cit., p. 84.

123STENDHAL, Mélanges d'art, cit., pp. 49-58. Pubblicato il 29 settembre 1824, l’articolo tratta di Lèon Cogniet,

Antoine-Jean-Baptiste Thomas, Lethière, Ary Scheffer, Francesco Hayez e Jean-Victor Schnetz.

124Ivi, p. 53. Si noti come il giudizio di Stendhal differisca in maniera antitetica da quello del maggiore

rappresentante della cosiddetta critica di sinistra, Adolphe Thiers. Questi, come si è visto precedentemente, loda il Mario sulle rovine di Cartagine proprio per la potenza espressiva e la forza immaginifica della scena, tale da coinvolgere lo spettatore in un sogno evocativo. Cfr. THIERS, Salon de 1824, cit., p. 28.

33 Di medesimo impatto, d’altronde, risulta essere la Scena di Massacro degli Innocenti (figura 40), nella quale Stendhal riconosce non il dolore estremo di una madre, bensì la

performance di un’attrice che interpreti, seppur ottimamente, il suo ruolo. Scrive così

l’autore:

Je m’approche, j’exemine beaucoup, je trouve un pastiche des Carache, ou, si l’on veut, le portrait d’une excellente actrice qui joue fort bien le désespoir maternel. Si j’avais du génie, je dirais ce qui manque à ce tableau; simple amateur, je ne puis que mettre la main sur on coeur, et dire: «Non, il ne bat pas»125.

La moderazione di Cogniet, altrimenti tanto lodata come qualità positiva predominante dell’artista, è qui mutata in mediocrità, in mancanza di incisività. Il caustico Stendhal non riesce ad avanzare nessuna reale critica formale o esecutiva al dipinto, segno che l’opera non difetta di qualità. Tuttavia, il critico colpisce ancor più duramente: la Scena di Massacro, pur nella gravità di uno degli episodi più crudi e dolorosi che un artista possa mettere su tela, non riesce a fargli battere il cuore.

Circa venti anni dopo, rimarrà sulla medesima posizione Charles Baudelaire126 ma il suo

giudizio sarà, se possibile, ancor più gravoso se si pensa che Stendhal scriveva di un Cogniet

125Ivi, p. 54.

126Educato all’arte grazie alla passione del padre, Baudelaire frequenta sin dalla giovane età i circoli letterari

parigini e non tarda a costruirsi il personaggio di bohémien dissoluto del quale incarnerà la definizione. Amico dei maggiori intellettuali del tempo, tra cui Gautier, Dumas, Moreau, lo stesso Delacroix e Balzac, inizia a scrivere i primi componimenti de Les Fleurs du Mal che vedranno le stampe solo nel 1857 e susciteranno scandalo, censura e denunce al loro autore.

Tuttavia, la sua prima pubblicazione sarà la recensione al Salon de 1845, a cui segue, l’anno successivo, il

Salon de 1846. Fermo sostenitore del romanticismo e di Delacroix, la sua voce critica originale e lo stile

discorsivo e audace lo portano a essere richiesto anche sulle testate dei maggiori giornali, su cui pubblica sia testi in merito alle arti figurative, che saggi critici (si vedano in particolari quelli su Wagner ed E. A. Poe, di cui tradurrà anche i racconti) sia i propri componimenti (ai racconti brevi come La Faufarlo, si susseguono le serie di liriche). Teorico della modernità e feroce critico del perbenismo borghese, la sua intrecciata carriera di letterato-filosofo lo rende un personaggio peculiare nel panorama intellettuale della seconda metà del secolo. In merito all’argomento del presente testo, si vedano le principali pubblicazioni in materia d’arte, in particolare: C.BAUDELAIRE, Salon de 1845, Jules Labitte éditeur, Paris 1845;

BAUDELAIRE, Salon de 1846, Michel Lévy frères, Paris 1846;

BAUDELAIRE, Le Musée classique du Bazar Bonne-Nouvelle, in «Le Corsaire-Satan», 21 gennaio 1846; BAUDELAIRE, Exposition Universelle, 1855, Beaux-Arts, I. Méthode de critique, in «Le Pays», 26 maggio 1855; BAUDELAIRE, Salon du 1859, in «Revue française», 10, 20 giugno, 1, 20 luglio 1859;

34 appena esordiente, mentre Baudelaire ne critica l’opera e il personaggio ormai maturi e affermati, nonché apprezzati dalla critica e dalla società del tempo.

Il Salon del 1845 si apre, sulla scia di Stendhal, con una dichiarazione di indipendenza e imparzialità. Servendosi di un ironico encomio al borghese, diretto fruitore delle opere esposte, l’autore prende le distanze dalla critica dei giornali, macchiatasi negli anni di parzialità e interesse. Se il borghese non riesce a fruire dell’opera d’arte, di cui è il diretto destinatario, la responsabilità ricade sul carente lavoro dei critici, i quali non sono in grado di permettergli di comprenderla. Vantando amore per il buon senso e correttezza, opponendosi a qualsiasi testarda opposizione, si allinea provocatoriamente con un metodo di discorso medio, che poi sovvertirà nel corso dell’opera, con sorpresa del lettore127.

Il testo critico vero e proprio principia, dunque, con la critica ai tableaux d’histoire, genere sommamente rappresentato da Eugène Delacroix. Vale la pena soffermarsi, seppur brevemente, sull’opinione di Baudelaire in merito all’opera del grande artista romantico, descritto sin dalle prime righe come «le peintre le plus original des tems anciens et des

temps modernes»128 . Cantore di una «poésie intime, mystérieuse et romantique129 »,

Delacroix è artista dell’anima, alla quale arriva tramite l’espressività del colore e la sapienza del disegno. Egli, infatti, come tutti i grandi coloristi, disegna in maniera immediata e «spirituelle» sapendo cogliere la fuggevolezza della natura130.

Solo due artisti vi possono competere, pur con norma differente:

Nous ne connaissons à Paris, que deux hommes qui dessinent aussi bien que M. Delacroix, l’un d’une maniére analogue, l’autre de une méthode contraire. L’un est M. Daumier, le caricaturiste; l’autre, M. Ingres, le grand peintre, l’adorateur rusé de Raphael. […]

Chacun verra que ces trois dessins diffèrents ont ceci de commun, qu’ils rendent parfaitement et complétement le côte de la nature qu’ils veulent rendre, et qu’ils disent juste ce qu’ils veulent dire. […] Aimons-les tous les trois131.

BAUDELAIRE, L’Oeuvre et la vie d’Eugène Delacroix, in «L’Opinion nationale», 2 settembre, 14, 22 novembre 1863. Per le notizie in merito alle pubblicazioni e al pensiero dell’autore, si veda il prezioso contributo di E. RAIMONDI, Prefazione, in Scritti sull’arte, cit., pp. VII-LIII.

127Quelques mots d’introduction, in BAUDELAIRE, Salon de 1845, cit., pp. 3-6. 128Ivi, p. 5.

129Ivi, p. 8.

130Ivi, pp. 10-11. Il disegno di Delacroix viene accostato a Rubens, piuttosto che a Raffaello: il primo, rende il

movimento, la fisionomia e l’irrequietezza della natura, mentre il secondo, per quanto perfetto e inarrivabile nell’esecuzione, perde di incisività e trasporto proprio nella resa estremamente studiata.

35 Il caricaturista Daumier rende il vigore dei caratteri umani, il perfezionista Ingres è inarrivabile nella resa armonica dell’insieme, Delacroix è un «grand génie malade de

génie»132; disegno e colore possono coesistere, la presa di posizione perentoria della critica,

in favore dell’una o dell’altra scuola, risulta così superflua e infruttuosa.

I medesimi argomenti apriranno con maggiore fervore, l’anno successivo, la critica al Salon

del 1846133 . A seguire di un’introduzione appassionata «aux bourgeois»134 , Baudelaire

dedica il primo capitolo al ruolo della critica nella società contemporanea.

Prediligendola nel genere «amusante et poétique» contro quello «froide et algébrique»135,

afferma quanto questa debba essere parziale, politica, schierata, originata da un punto di vista particolare per abbracciare poi il generale. Scrive Baudelaire:

Exalter la ligne au détriment de la couleur, ou la couleur aux dépens de la ligne, sans doute c’est un point de vue; mais ce n’est ni trés large, ni trés juste, et cela accuse une grande ignorance des destinées particulières.

Vous ignorez à quelle dose la nature a mêlé dans chaque esprit le goût de la ligne et le goût de la couleur, et par quels mystérieux procédés alle opère cette fusion, dont le résultat est un tableau.

Ainsi un point de vue plus large sera l’individualisme bien entendu: commander à l’artiste la naïveté et l’expression sincère de son tempérament, aidée par tous les moyens que lui fournit son métier136.

Si capisce, dunque, come l’eterno scontro sia sterile se la critica deve essere giustamente governata, come accade, dall’individualismo. È necessario, pertanto, richiedere all’artista

132Ibidem.

133La differenza di impostazione tra i due testi è evidente: se nel Salon del 1845 Baudelaire segue ancora lo

schema della critica tradizionale, affrontando singolarmente gli artisti per macro-categorie in base al genere, nel Salon del 1846 il critico offre una sorta di dichiarazione d’intenti, un manifesto dell’arte moderna in cui la