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Léon Cogniet ebbe innegabilmente un certo successo. Apprezzato o meno dalla critica, è ritenuto ad ogni modo un buon pittore dai contemporanei, autore di alcune opere che al tempo si annoverano tra le meglio riuscite del secolo. Autore di numerose commissioni pubbliche, sommo rappresentante del juste-milieu sotto il governo di Luigi Filippo, nonché amatissimo insegnante: come può esser stato destinato all’oblio?

Il 20 novembre 1880, l’artista muore nella sua casa in rue de l’Entrepôt, a Parigi. Come da testamento, tutti i suoi beni, mobili e immobili, divengono proprietà della moglie Caroline. Il fondo Cogniet-Thévenin che si va a costituire comprende le opere di proprietà di Cogniet al momento della morte, pertanto vi si contano più di duecento dipinti e millecinquecento disegni, sia autografi dell’artista che di mano di amici e allievi, nonché della stessa Amélie Cogniet, della moglie Caroline e di sua sorella Rosalie Thévenin, pittrice anch’essa1. L’eredità

artistica del maestro viene donata al Musée des Beaux-Arts d’Orléans nel 1892 e il suo studio approfondito permette, ad oggi, non solo di rintracciare testimonianze collaterali d’archivio, fondamentali per la datazione e la collocazione di alcune opere, ma anche la valutazione del prezioso inventario dei beni dell’artista redatto nel 1861.

Tuttavia, ben presto Cogniet perderà di rilevanza all’interno dello stesso museo; le opere appartenenti alla donazione, difatti, godono di una certa visibilità sino al 1939, ultima data in cui vengono esposte al pubblico, alla vigilia del secondo conflitto mondiale. L’interesse della letteratura artistica nei confronti dell’artista sfuma ancor prima, complici certamente le recensioni dissacranti di Paul Mantz e, soprattutto, della grande penna di Baudelaire, cronista di una modernità nella quale non vi è spazio per la moderazione. Pertanto, accade che agli inizi del XX secolo il nome di Léon Cogniet cada lentamente nell’abbandono; troppo

1E.MOINET,a cura di, Le temps des passions: collections romantiques des musees d’Orléans, catalogo della

mostra, (Musée des beaux-arts, Orléans, 7 novembre 1997 – 31 marzo 1998), Musée des beaux- arts d'Orléans, Orléans 1997, pp. 10-11.

99 poco incisivo in un Ottocento di rivoluzioni e dotato di ego assai timido per essere ricordato tra le grandi personalità romantiche, si perde in un Novecento di avanguardie che supera e sovverte il secolo precedente, la riproduzione mimetica della realtà e il ruolo stesso dell’artista; questo, oltre le Scuole e i Musei, rinasce dalle ceneri di un nuovo distruttivo progresso, dagli incubi delle nuove guerre e della scoperta psicoanalitica dell’io. La destinazione all'oblio è confermata dalle esposizioni che lo vedono partecipare con sempre più scarsi contributi: se l'ultima a cui prende parte personalmente è al Boulevard des Italiens nel 1862, il secolo successivo vede sporadiche partecipazioni in occasione della Biennale di Venezia del 1940 e, successivamente, citazioni accessorie in mostre dedicate ad artisti maggiori, tra cui, prima del dopoguerra, quelle su Baudelaire al Petit Palais nel 1968-69 e su Ingres e Delacroix alla Shepherd Gallery di New York nel 19752 . Solo nel 1984, in

occasione della riorganizzazione e successiva riapertura del Musée des Beaux-Arts, il suo curatore David Ojalvo riporta finalmente alla luce il fondo Cogniet-Thévenin ed espone all'interno della collezione permanente diciotto dipinti di Cogniet, su un totale di centosessantasette quadri e milleduecentoquaranta disegni dell'artista. Si tratta di una proporzione più che dignitosa se si pensa che il pittore riemerge dopo circa quarant'anni e, per di più, non nella sua città natale. Lo stesso Jacques Foucart porta l'esempio di un altro romantico, Ary Scheffer, il quale può vantare, nel museo della sua Dordrecht, un'esposizione di dimensioni assai minori3.

Il recupero delle sue opere e del suo atelier4 conduce a una vera e propria rinascita di Léon

Cogniet, riportato all'attenzione degli storici dell'arte che intraprendono pertanto una massiva indagine sull'artista e il suo peso nella Francia dell'Ottocento, partecipando di fatto alle vicende dell'intero secolo. Sotto tale prospettiva si veda la mostra, di rilevanza eccezionale, allestita al Musée des Beaux-Arts d'Orléans, sotto la direzione di Foucart5. Si

tratta della prima e sinora unica esposizione monografica sull'opera di Cogniet, la quale si pone l'ambizioso obiettivo di riabilitare l'artista, elevandolo nel pantheon dei grandi pittori

2J.FOUCART,E.FOUCART-WALTER, a cura di, Leon Cogniet: 1794-1880, catalogo della mostra, (Musee des Beaux-

arts, Orléans, 14 giugno-10 settembre 1990), Chiffoleau, Nantes 1990, p. 195.

3Ivi, p. 15.

4Il nuovo allestimento di Ojalvo a Orléans risulta fondamentale non solo per la riscoperta di Cogniet, in

quanto farà anche da apripista allo studio dei numerosi e diversificati fondi posseduti dal museo intrapreso dal 1991. Cfr. E.MOINET,a cura di, Le temps des passions, cit., p. 9.

100 del Romanticismo, nel quale mai ha trovato il suo posto. La mostra e il relativo catalogo di opere vogliono riscoprire l'homme secret et discret6 che si nasconde dietro il lascito di

innumerevoli disegni e dipinti, deducendone la reale portata. Il lavoro di studio prosegue nel 1997 con un'ulteriore esposizione a Orléans, stavolta dedicata alle collezioni romantiche del museo, nelle quali Léon Cogniet si guadagna un posto d'onore7. Resta, in questa sede

assolutamente debitrice delle due grandi mostre, da ripercorrere i motivi legati alla lunga sfortuna critica dell'artista.

Léon Cogniet è stato un romantico atipico; si è visto come nel corso della sua lunga carriera, sperimenti con successo tutti i generi, dal tema religioso delle commissioni per le chiese, al militare con la celebrazione delle campagne napoleoniche, dall'esotico orientalista, italiano e lappone, al paesaggio, dal soggetto mitologico al romanzesco, dal genere storico al ritratto. Tuttavia, vende ed espone poco, frenato da un'indole eccessivamente riservata e discreta, mentre i luoghi a cui sono destinate molte sue opere certo non aiutano. Un dipinto che viene dagli stessi contemporanei considerato fondatore della modernità, come il

Massacro degli Innocenti (figura 40), verrà formalmente acquistato dal museo di Rennes

soltanto nel 1988, dettaglio che ne limita di molto la fama, aggiungendo il problema della decentralizzazione sollevato all'epoca anche da Anatole de La Forge8 e che interessa

egualmente il Tintoretto che dipinge la figlia morta, conservato a Bordeaux (figura 98). Inoltre, scarsa visibilità ebbe dagli anni Sessanta dell'Ottocento anche il grande soffitto realizzato al Louvre inizialmente per la Sala dei papiri, poi convertita nella assai meno visitata Sala delle ceramiche antiche, comunque assai decentrata rispetto alla sezione dedicata alla pittura. Destino simile lo hanno i dipinti a tema bellico di Versailles, che invece vede Cogniet assente dal grande cantiere della Galerie des Batailles, popolata da grandi formati che l'artista in verità affronta raramente e soprattutto per i dipinti presentati ai primi Salons. Le contingenze certo non aiutano, se si pensa che le grandi tele pensate per il Municipio di Parigi e inerenti alle Rivoluzioni del 1789 e del 1830 non vedranno mai la loro degna collocazione, destinate sin dall'esecuzione a una collezione privata (figura 62), mentre l'insieme decorativo della Sala dello Zodiaco, frutto di una fatica decennale, andrà distrutto nell'incendio del 1971 (figure 109-111). Questo ci conduce alla forse più rilevante

6Ivi, p. 18.

7Si fa riferimento a E.MOINET, a cura di, Le temps des passions, cit.

101 pecca del lavoro di Cogniet, consistente nell'estrema ed eccessiva indole riflessiva, la quale assieme alla proverbiale lentezza pone condizioni per un vero e proprio auto sabotaggio. Privo dell'inclinazione istintiva ed entusiastica che il nostro metro di misura attribuisce al

topos del giovane artista romantico, Cogniet è celebre per le lunghe gestazioni delle opere,

soggette a innumerevoli ripensamenti. La collezione di schizzi di Orléans dimostra spesso, come si è visto nel capitolo precedente, un enorme divario qualitativo nell'uso del colore, tra le prime bozze e le opere finali. Come succede nella Rebecca rapita (figura 59), nella versione conclusiva si perde la dinamicità e l'immediatezza dell'uso del colore, altrimenti comunicativo e vibrante come si evince dall'uso che l'artista ne fa per le scene di paesaggio. La forza delle idee viene frenata dal timoroso artista, il quale, da solo, tarpa le ali a un genio artistico che altrimenti perfettamente si allineerebbe allo spirito del Romanticismo.

Grazie alle opere che verranno riportate all'attenzione nelle pagine seguenti, si avrà la possibilità di riscoprire e liberare la tempra rivoluzionaria e coraggiosa sopita nell'animo tranquillo di un pittore che confidiamo possa tornare a conquistarsi un posto tra i grandi nomi del XIX secolo. Tuttavia, ciò sarà possibile solo alla luce di un breve excursus riguardo al ritratto post-mortem e alla trattazione del tema della violenza nel corso dell'arte moderna.