• Non ci sono risultati.

La rappresentazione della violenza: un approfondimento

3. Cogniet e le forme della violenza

3.1 La rappresentazione della violenza: un approfondimento

Come ben sottolineato da Sidonie Lemeux-Fraitot nel suo breve saggio su Violence et

convenance130, la violenza costituisce di fatto un’aporia in quanto si rende impossibile da

definire oggettivamente e quindi da rappresentare. Mentre la morte come mero fatto fisico si riduce alla banalità della «cessazione delle funzioni vitali»131, se vogliamo tralasciarne le

implicazioni psicologiche, sociali e religiose, la violentia è «la tendenza abituale a usare la forza fisica in modo brutale o irrazionale»132 e pertanto, in quanto al di fuori del sistema

logico, impossibile da inquadrare. Le sue applicazioni e declinazioni risultano molteplici e

128E.DELACROIX, Journal, cit., p. 261. 129BAUDELAIRE, Salon de 1845, cit., p. 38.

130S.LEMEUX-FRAITOT, Violence et convenance, in J.FARIGOULE,H.JAGOT, a cura di, Visages de l’effroi. Violence et fantastique de David à Delacroix, catalogo della mostra a cura di di, (Musée de la vie romantique, Paris, 2

novembre 2015 – 28 février 2016), Lienart, Paris 2015, pp. 16-41.

131Si veda la definizione data da Treccani: http://www.treccani.it/vocabolario/morte/ Ultima consultazione

in data 5/11/2019.

137 altrettanto gli effetti, dall’umiliazione, alla paura, alla sofferenza fisica ed emotiva, sino alla morte. La definizione latina di forza eccessiva, dismisura, ferocia distruttiva, avvicina all’idea di trasgressione di norme inviolabili propria della ubris e pertanto nel mito sono innumerevoli le sue manifestazioni. Come dunque è possibile riportarla formalmente, sulla tela?

Se la forza plastica dei corpi affollati nell’avviluppo estremo delle membra rende lo scontro fisico preminente sin dai bassorilievi classici, ripresi dal gusto rinascimentale per le grandi battaglie, tra cui le celebri Anghiari e San Romano di Leonardo e Paolo Uccello, fondamentale rilevanza viene data agli effetti visibili delle umane passioni a partire dalle teorizzazioni di metà Seicento. Successivamente al Trattato delle passioni dell’anima di Cartesio133, Charles Le Brun tiene la celebre conferenza sulla codificazione delle passioni

seguita successivamente da un testo illustrato con i principali diagrammes delle fisionomie alterate dai moti dell’animo che costituiranno il maggiore riferimento per gli artisti dell’Ottocento134 . La grammatica delle espressioni che Le Brun propone non è tuttavia

fondata esclusivamente sull’osservazione, bensì converte in linguaggio grafico le emozioni rispettando i canoni estetici del tempo. Le Brun difatti, lui stesso artista al servizio del re, si basa sì sulla conoscenza anatomica la quale tuttavia viene assorbita da schemi precostituiti, attraverso un processo di idealizzazione condotto sulla base alla concezione del Bello inteso dal gusto accademico135. Nel Settecento neoclassico la concezione della Bellezza ideale si

133R.DESCARTES, Les Passions de l’âme, Paris 1649.

134C. LE BRUN, Conférence sur l’expression générale at particulière, Delorme, Amsterdam / Picart, Paris 1698.

Charles Le Brun (1619-1690) entra al servizio del Re Luigi XIV nel 1647 come pittore di corte, sino a divenire primo pittore del re nel 1664. Le sue decorazioni a Versailles riflettono l’esaltazione della figura reale mentre raggiungono indiscussa celebrità i soggetti inerenti alla storia di Alessandro Magno e del re stesso. Membro fondatore dell’Accademia sin dal 1648 è inoltre soprintendente della manifattura dei Gobelins, per la quale realizza numerosi cartoni e progetti per mobili, mosaici e arazzi. Nel 1676 diviene primo direttore

dell’Accademia di San Luca e in questa veste la fonde con l’analoga parigina, di cui fu il fondatore. Si occupa pertanto delle decorazioni delle residenze reali, promuovendo uno stile classicheggiante profondamente debitore dall’opera di Poussin ma tendente a un certo gusto drammatico e decorativo, binomio che lo allontana dagli eccessi sfarzosi del barocco francese. Per approfondire la teoria delle espressioni di Le Brun e l’impatto che ebbe sulle arti visive e il mondo accademico si segnala J.MONTAGU, The expression of passions:

the origin and influence of Charles Le Brun's Conférece sur l'expression générale et particulière, Yale

University Press, New Haven & London 1994.

135C.SCHALLER, L’expression des passions au XIXe siècle, Université de Fribourg, 2003, pp. 16-18. Il trattato di

Le Brun viene positivamente accolto negli ambienti accademici, tuttavia trova resistenza in una certa parte della critica che accusa i diagrammi di eccessiva semplificazione, non permettendo di cogliere le sfumature delle emozioni e le differenze incisive tra i singoli soggetti di diversa estrazione sociale e caratteristiche morfologiche. Félibien ad esempio, critica la schematizzazione di Le Brun per eccessiva razionalizzazione del lavoro dell’artista, che invece deve affidarsi in larga parte anche alle qualità immaginative, cfr. FÉLIBIEN,

138 conquista il centro nevralgico delle arti visive, prendendo a modello l’equilibrio della composizione raffaelliana e l’armonia della statuaria greca. Winckelmann è il teorico di questa nuova estetica, che esalta la grazia come preludio al contenuto morale136. Non è

credibile, infatti, l’espressione spinta all’eccesso e troppo passionale, che va a ricordare piuttosto le maschere del teatro antico, pertanto ne consegue la condanna della violenza convulsa di Michelangelo, eterno contrappunto sanguigno a Raffello. La scuola neoclassica purifica le pulsioni più aberranti, sublimando altresì l’azione con esempi di virtù, la cui centralità nel dipinto va a catturare l’attenzione dello spettatore, nobilitandolo137. Pertanto,

la pittura, forte di una nuova interpretazione laica dell’esistenza, rifugge le scene di martirio e dannazione delle tematiche religiose, preferendo, nella teorizzazione che ne fa Diderot nel suo Saggio sulla Pittura138, i soggetti amabili che si ritrovano nella mitologia antica. È

così dunque che gli artisti trovano svariati espedienti narrativi e formali allo scopo di edulcorare le scene di maggiore brutalità, «euphémismes picturaux» atti a celare situazioni estreme ed espressioni di eccessivo dolore139.

Le vie battute dagli artisti del XIX secolo per quanto riguarda il genere più nobile, l’histoire,

si avvicendano su un doppio binario, debitore dunque del dibattito settecentesco; il primo,

allora efficacemente teorizzato da Lessing140, vede da un lato rappresentati gli effetti della

136J.WINCKELMANN, Nachrichten von den neuesten Herculanischen Entdeckungen, Fuessli, Dresden 1764.

Johann Joachim Winckelmann (1717-1768) è studioso e archeologo tedesco. Appassionato di studi classici, si perfeziona nel disegno accademico. In Italia entra in rapporto con le alte sfere della Chiesa e delle Scienze e si dedica in particolare allo studio della statuaria greca. Nel 1764 diviene soprintendente alle antichità di Roma e, nel corso degli studi italiani, pubblica alcune delle opere più rilevanti, in cui sostiene un gusto estetico fondato su equilibrio classico e armonia, nel totale controllo dei moti passionali. Convinto assertore dell’egemonia dell’arte greca, afferma la superiorità di quella nobile semplicità che sarà la maggiore

caratteristica del Neoclassicismo, di cui Winckelmann si afferma come uno dei maggiori teorici. Per approfondimenti si veda K.HARLOE, Winckelmann and the invention of antiquity : history and aesthetics in

the age of Altertumswissenschaft, Oxford University Press, Oxford 2003. 137LEMEUX-FRAITOT, Violence et convenance, in Visages de l’effroi, cit., pp. 23-24. 138D.DIDEROT, Essai sur la peinture, Buisson, Paris 1795.

139L’autrice del saggio porta ad esempio la decollazione del Battista nascosta dietro la gamba del boia da

Jean-Baptiste-Marie Pierre (1761, Avignon, Musée Calvet) e le teste decapitate coperte dagli elmi riccamente decorati nella Rivolta del Cairo di Girodet. Cfr. LEMEUX-FRAITOT, Violence et convenance, in

Visages de l’effroi, cit., pp. 26-27.

140G.E.LESSING, Laocoonte, ovvero Sui limiti della pittura e della poesia, Rizzoli, Milano 1994.

Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781) è studioso e drammaturgo tedesco, autore di sostanziali saggi sull’estetica, tra cui il Laocoonte del 1766. Il suo pensiero è fondamentale nella filosofia illuminista per il sovvertimento della tradizionale e classica equivalenza di pittura e poesia, rispondente al concetto di ut

pictura poesis. Lessing sostiene l’impossibilità della prima di sostenere la complessità d’azione e tempo della

seconda, affermando la pluralità delle arti. A differenza di Winckelmann per cui il Bello è prima di tutto una necessità etica, per Lessing diviene pura estetica pur mantenendo un decoro formale che riconduce all’arte ellenistica.

139 violenza e più in generale dell’azione -si pensi ad esempio al Massacro di Scio (figura II) in cui Delacroix non illustra l’orrore bensì la prostrazione dei corpi delle vittime, arrese a quella che deduciamo essere la brutalità delle truppe ottomane- oppure, dall’altro, il momento immediatamente precedente l’acme dell’evento drammatico -ne fu già emblema la daga minacciosamente sospesa sopra il capo di un infante e che preannuncia il suo inevitabile destino nel Massacro degli innocenti di Reni. La seconda modalità risponde, invece, al sempiterno motto dell’ut pictura poësis, dottrina che risponde alla possibilità di trasporre su tela la narrazione nata per il medium della scrittura, di cui diviene sintesi illustrativa. In tal merito, emblematica della situazione risulta essere l’opera di due artisti nati nell’Età dei Lumi e che operano a cavallo dei due secoli, di modo da comprendere come la rappresentazione dell’azione venga traghettata verso l’Ottocento. Pierre Guérin nel 1799 ha venticinque anni e, ancor giovane, presenta al Salon un dipinto che ne vale un vero e proprio slancio nella carriera, per consenso di pubblico e critica. Il Ritorno di Marco Sesto (Figura LXXI) rielabora la storia del generale romano Belisario che, proscritto dall’Imperatore Giustiniano e in seguito divenuto cieco, torna alla propria casa scoprendovi la moglie morta e la figlia in lacrime di immensa disperazione. L’artista mantiene i tre personaggi nella scena culmine, tuttavia decide alfine di sostituire il celebre protagonista con l’immaginario Marco Sesto esiliato da Silla, tiranno comunemente affiancato al recentissimo Robespierre e alle devastazioni portate a seguito della Rivoluzione, il cui Terrore costrinse all’esilio tanti oppositori. Questi émigrés, tornati in patria con la restaurazione della Repubblica, immediatamente colgono la sottile assonanza e portano in trionfo il dipinto che racconta, tra le righe e per gli occhi ben allenati di un certo pubblico, la loro storia141. La tematica politica tramite la quale l’artista ammicca intelligentemente al

presente, va di pari passo con il recupero delle emozioni più forti, delle quali i visitatori rimangono profondamente impressionati. Lo sguardo fisso di Marco Sesto racchiude tutta la violenza della tirannide, mentre le pose e le espressioni sono orchestrate da Guérin attingendo al teatro e agli studi di fisiognomica che vanno a contaminare il mondo dell’arte,

141Sul tema della rivalità tra Guérin e David e un nuovo intendere della pittura di storia si veda in particolare

A.PINELLI, L’ultima trincea dell’ut pictura poësis: il genio dell’artista secondo Guérin, in M.PASCULLI FERRARA, a cura di, Per la storia dell’arte in Italia e in Europa. Studi in onore di Luisa Mortari, De Luca, Roma 2004, pp. 296-309.

140 dal già citato trattato di Le Brun al contributo di Lavater142 corredato dalle illustrazioni di

Füssli143. Nel 1802, lo stesso anno in cui viene pubblicata l’edizione francese del testo di

Lessing144, Guérin presenta al Salon la Fedra e Ippolito (Figura LXXII), tratta dalla tragedia

del drammaturgo seicentesco Jean Racine, autore che risponde alla modificata sensibilità di gusto derivata dal superamento degli anni della rivoluzione e fondata su un’attenzione maggiore all’introspezione e ai sentimenti più controversi dei personaggi. Il giovane Ippolito è colto nel momento di scontro col padre Teseo, geloso del rapporto del figlio con la matrigna Fedra; questa, attratta e non ricambiata dal giovane, è isolata in un angolo con aria di smarrimento e sconfitta, frenata dalla nutrice Enone nell’impulso di confessare il proprio amore per difendere l’onore di Ippolito. Le luci sono registicamente gestite nell’esaltazione dei personaggi mentre le espressioni dei volti, portate al parossismo, confliggono con l’icasticità delle composizioni neoclassiche davidiane. Il dipinto è accolto con il medesimo entusiasmo riservato al Marco Sesto, tuttavia scatena un sentito e partecipatissimo dibattito in merito alla fedeltà alla fonte e alla scelta delle modalità di rappresentazione della stessa145. Complice la traduzione francese del Laocoonte, domina la 142J.C.LAVATER, Essai sur la physiognomie destiné à faire connaître l’homme et à le faire aimer, La Haye,

1781-1803. Johann Kaspar Lavater (1741-1801) è pastore protestante e scrittore svizzero. La sua opera più celebre sostiene l’impiego della scienza della fisiognomica allo scopo di distinguere i caratteri psicologici dell’uomo, in base alla conformazione del volto. L’espressione è dunque un insieme di proporzioni matematiche unite alla morale religiosa che ne diviene causa ed effetto. L’ottica cristiana lo allontana ovviamente dalla razionalità rivoluzionaria, pur collocando la sua opera in un periodo favorevole per la diffusione di scienze (e pseudo-scienze) atte a indagare la psiche umana, dallo studio della malattia mentale alla frenologia. Per approfondimenti su Lavater, cfr. J.K.STEMMLER, The Physiognomical Portraits of Johann Caspar Lavater, in «The Art Bulletin», vol. 75, no. 1, 1993, pp. 151–168. Per una panoramica sull’impatto

sulla fisiognomica sull’arte, si segnala F.CAROLI, Storia della fisiognomica. Arte e psicologia da Leonardo a Freud, Electa, Milano 2012.

143Tra queste, un’illustrazione derivata dall’Ezzelino Bracciaferro che medita sul corpo di Meduna (1779,

London, Soane’s Museum) potrebbe aver ispirato l’espressione di fissità del Marco Sesto, nella quale altresì venne riconosciuto dai contemporanei il segno dell’Ugolino di Reynolds (1773, Knole, Lord Sackville Collection), in dialogo con un altro dipinto sullo stesso tema successivamente realizzato dallo stesso Füssli. Per approfondimenti, cfr. S.GINZBURG, Sulla fortuna di Pierre-Narcisse Guérin come peintre d’expression, in

«Ricerche di Storia dell’Arte», n. 40, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1990, pp. 5-22.

144LESSING, Du Laocoon; ou, Des limites respectives de la poesie et de la peinture. Traduit de l’allemand par Charles Vanderbourg, Renouard, Paris 1802.

145Emblematica della discussione e dell’impatto del testo di Lessing sulla critica francese è l’opinione di

M.me de Staël. Durante il suo viaggio in Italia, la scrittrice cita assai positivamente la Fedra di Guérin, sostenendo che gli artisti dovessero trarre i loro soggetti dai testi di poemi e tragedie. Successivamente alla diffusione del Laocoonte, M.me de Staël modifica la sua opinione in merito al dipinto, confermando i limiti della pittura rispetto alla drammaturgia e alla poesia. La protagonista del suo romanzo Corinne ou l’Italie asserisce, difatti, l’impossibilità della coesione sulla scena dipinta da Guérin di entrambi i personaggi di Ippolito e Fedra, che nella tragedia raciniana agiscono in due momenti ben distinti. Cfr. PINELLI, L’ultima

trincea, cit., pp. 303-304. Per il romanzo di M.me de Staël, cfr. DE STAËL-HOLSTEIN, G.,Oeuvres de madame la baronne de Staël-Holstein, Tome 2, Lefevre, Paris 1838.

141 discussione l’impossibilità di cogliere nelle arti visive la complessità dell’intreccio letterario. Se le une sono, difatti, fondate su un tipo di rappresentazione sincronica e dunque costruita su un esatto momento, l’altro gioca proprio sulla diacronia, pertanto sullo svolgersi di dati eventi e delle loro conseguenze nel tempo. La narrazione scritta è pertanto impossibile da cogliere in un singolo sguardo nell’opera pittorica, la quale deve dunque focalizzarsi sull’attimo immediatamente precedente o successivo l’apice drammatico della vicenda, di modo da suggerirlo ma avere senso estetico di per sé e poter sopravvivere nel tempo alla fonte stessa come pura espressione visuale. Sostenendo la tradizionale sorellanza tra le due arti, Guérin invece sceglie di interpretare, mediante i propri strumenti e le possibilità della pittura, la tragedia di Racine, condensando in un solo momento l’altrimenti più articolata narrazione, di modo da renderla fruibile e maggiormente comprensibile sulla tela146 .

Drammaticità del testo e teatralità dell’immagine divengono un tutt’uno, tanto da valere a Guérin l’appellativo di peintre d’expression147.

Sul versante opposto, in quegli anni, Louis David tenta di scrollarsi di dosso i fantasmi della Rivoluzione e lo fa vittoriosamente con un dipinto concepito durante il periodo di reclusione trascorso tra il 1794 e il 1795, successivo alla caduta di Robespierre. Il grande artista, complice a tutti gli effetti del governo rivoluzionario, presenta nel 1799 le sue Sabine (figura LXXIV), tramite le quali, come Guérin con il Marco Sesto, mette in scena la storia antica per suggerire la più recente. Piuttosto che alla violenza del ratto, David preferisce dedicare la sua attenzione al momento risolutore, colto tra le pagine della Vita di Romolo di Tito Livio. Vi si descrive l’intervento delle donne sabine, arrivate con i propri bambini a placare la furia virile dei due popoli che si vanno nuovamente a scontrare a seguito dell’incursione dei Sabini, determinati a liberare le proprie mogli. La mediazione femminile sventa la tragedia e conduce gli uomini a deporre le armi nell’ottica di costituire un unico popolo. La concitazione del momento è come congelata dall’entrata in scena delle donne, difatti non

146Nel 1810, l’Andromaca e Pirro (figura LXXIII) sarà ancor più teatrale e non avrà lo stesso riscontro positivo.

Il gusto in un decennio cambia e se nel 1802 la teatralità è accolta come qualità, negli anni diventa accezione negativa, anche per il definitivo affermarsi delle tesi di Lessing. L’inscenare il dramma con i personaggi-attori non ha più presa sul pubblico e le pose esasperate da pantomima risultano forzate per un bisogno di maggiore autenticità. A tal proposito si ricordi il giudizio di Stendhal al Mario sulle rovine di Cartagine di Léon Cogniet, accusato di ricordare le pose artificiose dell’attore Talma. Cfr. STENDHAL, Mélanges d'art et de

littérature, Michel-Lévy frères, Paris 1867, p. 48. Lo stesso Guérin dimostrerà interesse nei confronti del

gesticolare attoriale e delle pose classiche derivate dalla nuova scuola espressiva promossa da Talma, tanto da riprodurne alcune pose emblematiche in diversi studi conservati al Musé des Beaux-Arts di Valenciennes.

142 scorre il sangue e nonostante la contorsione e lo sforzo dei corpi, la violenza è celata. David presenta dunque al pubblico un’altra via, quella della riconciliazione, con la quale compie una revisione, che è ovviamente anche autocritica e tentativo di riabilitazione, dell’estremismo rivoluzionario148. David ricorre al nudo, scelta che suscita scalpore in nome

della verosimiglianza storica, e idealizza le carni tendendo al Bello Ideale teorizzato da Winckelmann, pur in una scena di confusa violenza, ripudiando la crudezza delle anatomie affermata in precedenza con tele come il Bruto o il Giuramento degli Orazi. Parimenti a una tale nuova sperimentazione, accorre la prima idea del Leonida alle Termopili (figura LXXV)149, elaborata attorno al 1799 e che riporta a una semplicità di interpretazione che si

allinea con il ritorno all’antico di Winckelmann e Lessing, con particolare riferimento agli artisti cosiddetti primitivi del Tre-Quattrocento150 . David abbandona pertanto i forti

contrasti ripresi dall’arte seicentesca e il pathos drammatico debitore dell’arte antica, per dedicarsi a una pittura maggiormente lineare, con forte rimando alle pitture di Pompei ed Ercolano, sottolineato dall’allievo e biografo Delécluze 151 . Vediamo dunque come,

prendendo in prestito le parole di Pinelli, David esce dalla Rivoluzione affinato e addolcito, meno “romano” e più “greco”, mentre Guérin si afferma nell’opposizione alla scuola davidiana come più “romano” nella tragicità esasperata e spiazzante dei volti di Marco Sesto e Fedra, dietro ai cui occhi è nascosta tutta la violenza che è sottratta allo spettatore152.

Se dunque dal Settecento deriva una rappresentazione della violenza ambivalente seppur universalmente teatrale e armonica, Girodet viola tale affermata e condivisa estetica nel presentare al Salon del 1806 la Scena di diluvio (figura LXXVI), la grande tela che, con i suoi personaggi stravolti dal dolore e dallo sforzo di resistenza a una natura del tutto indifferente, scandalizza e spaventa il pubblico. Torna l’insistenza espressiva michelangiolesca, supportata dall’attenzione al dramma della solitudine umana. Non vi si rappresenta il diluvio universale, bensì un isolato episodio catastrofico sul quale l’uomo tenta di imporsi lottando assiduamente per salvare ciò che ha di più caro, famiglia e beni; le forze della natura sono tuttavia impietose e la fine tragica del gruppo è preannunciata

148PINELLI, L’ultima trincea, cit., p. 298. 1491814, Paris, Musée du Louvre.

150La tendenza a superare la teatralità parossistica che si riflette nell’interscambio delle arti d’imitazione, è

perfettamente esposta da Paillot de Montabert, non a caso allievo dello stesso David. Cfr.J.N.PAILLOT DE

MONTABERT, Théorie du geste dans l’art de la peinture, Paris 1813.

151DELÉCLUZE, Louis David, son école et son temps, Paris 1855, pp. 220-221. 152PINELLI, L’ultima trincea, cit., p. 300.

143 dal precario ramo che la subitanea luce del fulmine rivela in procinto di cedere. Girodet, pur