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Per capire il momento sto rico che vive in questi giorni Trieste1, bisogna ave re il corag-

gio di penetrare nel suo fondo, di fissarne l’anima. In un’epoca in cui i valori spirituali sembrano decaduti a espressioni di comodo, e quasi più nessuno ci crede; anche a costo di apparire anacronistici o ingenui, noi sosteniamo che Trieste ha un’anima. E diciamo di più: se Trieste non avesse avuto un’anima, a quest’ora, sotto il cumulo del- le ingiustizie, delle mistificazioni, delle lusinghe, sarebbe stata perduta per la Patria. Trieste ha resistito. Era forse più difficile per lei resistere in questi nove anni tragici, che non nei secoli in cui seppe accrescere e mantenere se stessa in una lotta perpetua.

Chi si dà l’aria di guar dare alle cose della storia con razionalismo e pratici tà, e perciò limita le sue ricerche ai dati economici, al peso degli interessi, alla com- posizione dei ceti, al gioco delle tendenze politiche ecc., non s’avvede che oltre a questi fattori, labili e mutevoli, che possono sì dare il quadro complessivo di una città, ma possono al tresì deformarlo, c’è una costante che ne determina i tratti caratteristici, il volto: qualche cosa che sfugge a tutte le statistiche e analisi scien- tifiche, qualche cosa di essenzialmente vitale.

«Epoca», 10 ottobre 1954

1 Il 5 ottobre 1954, con la stipula del Memorandum di Londra, il Tlt veniva spartito tra l’Italia e la Jugoslavia e si chiudeva di fatto la questione di Trieste, con il reintegro della città nello Stato italiano. Il 4 novembre, anniversario della vittoria nella Prima guerra mondiale, si svolgeva nel capoluogo giuliano la visita del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Cfr. Cattaruzza, L’Ita-

100 Questa Trieste va oggi incontro all’abbraccio, lun gamente e drammatica- mente anelato, della Patria. Ma non ci si accontenti di misurare l’emozione di ta le incontro soltanto alle più superficiali manifesta zioni esteriori; si sollevi quel volto, si guardi dentro a quell’anima.

Ciò che sente oggi Trieste è insieme gioia e strazio. Non si dimentichi che Trieste è un corpo solo con l’Istria, che le sue vene si diramano per tutta l’Istria, da Fiume alle Isole del Quarnero, a Pola, su su fi no a Buie, a Capodistria, a Muggia. Nell’abbraccio con cui la stringe al proprio se no la Patria, Trieste non può non sentire, con pena rinnovata, anzi esaltata dallo stesso momento di gioia, le sue proprie mutilazioni, la propria carne martirizzata.

Di un altro abbraccio ci si impone oggi il confronto: la venuta dell’Italia a Trie- ste nel 1918. La memoria è ancora dei vivi. Trieste era allora esausta, ridotta qua si a un simulacro di se stessa da quattro anni di fame fisica, di tensione psichica, di sacrifizi materiali e morali. Ma chi ebbe la ventura di vedere l’anima di Trieste in quel momento, potè ben ripetere con con vinzione il detto evangelico che la Fede muove le montagne. Dal porto deserto, dai magazzini abbandonati, dalle case spaurite, dalla campagna rinselvatichita, una folla d’ombre., ridivenute come per miracolo persone vive, si radunò, s’accalcò, si riversò imponente verso il mare di dove giun gevano le navi italiane. Par ve che le stesse pietre del la città, da anni im- mobili in silenziosa attesa, si sol levassero, partecipassero al moto di quella folla, unissero la loro voce alla voce della folla, incontro all’Italia, al popolo d’Italia in armi che da quelle navi sbar cava. Fu un delirio, non nel la parola, ma nei fatti. Trie- ste, tutta Trieste col suo Friuli e colla sua Istria, Trieste, cuore della Regione Giu- lia, s’era abbandonata sul petto della Patria, dimentica dei suoi affanni, della sua esasperante lotta secolare, delle sue angosce e dei suoi timori, dimentica in quel momento persino delle persecuzioni, dei lutti, delle croci dei suoi figli ca duti, disseminate per tutti i campi di battaglia. L’anima di Trieste esausta sfolgorava in quell’abbandono, nella certezza di un periodo concluso: l’Italia, giungendo a lei, era, più che vittoriosa in una guerra, vittoriosa nel suo destino storico, al corona- to termine del proprio Risorgimento. Tutta la storia passata di Trieste, della Re- gione Giu lia, finalmente unita alla Pa tria, si trasfigurava, s’avva lorava, prendeva consisten za per un avvenire pieno di speranze.

Oggi Trieste sente nel suo profondo, nella coscienza che l’affina e la solleva a una visione decantata da tutti gli sfoghi, più che le gittimi, naturali d’un amo re mai venuto meno, Trie ste sente che l’Italia che ritorna a lei è un’Italia assai diver- sa da quella di Vittorio Veneto. Per capire il suo stato d’animo, è neces sario prima di tutto non confondere, non equivocare.

L’anima di Trieste è ita liana, italiana per riprova di secoli, per storia ed elezio- ne, per riconoscimento di tutti, connazionali e stra nieri, che non hanno avuto e non hanno veli davanti agli occhi, né menzogna da far valere al posto della ve- rità; italiana, quando Comune italiano accoglieva gli esuli fiorentini del tempo di Dante, italiana quando si batteva con Venezia e si sottraeva al suo dominio, italia- na quand’era austriaca come tante altre città e pro vince d’Italia, quando volle es-

sere cosmopolita, interna zionalista, europea; e ita liano sempre il suo linguag gio, nell’espressione comune e in quella del pensiero e della creazione.

Orbene, per l’anima che la muove e che la ispira, Trieste ha sempre tenuto e tiene tuttora fede all’Italia; non all’uno o all’altro Go verno d’Italia, non a que sto o a quel Partito italia no, non a questa o a quella classe sociale italiana, ma allo spirito unitario, essen ziale, perenne d’Italia, a quello spirito che, prima ancora di riunire gli Italiani in uno Stato politico, ha creato e formato l’arte, il pensiero, la civiltà italiana. Non è lecito dunque confon dere o equivocare.

Nell’ora solenne in cui Trieste si ricongiunge alla Patria, cessano tutte le di- visioni, le recriminazioni, le petizioni parziali, bruciano tutte le critiche che si potrebbero fare agli uomini del passato e del presente che hanno avuto ed hanno nelle man il Governo e nella coscienza la responsabilità del destino d’Italia.

Domani ognuno riprenderà il suo posto, dovrà rispondere di quello che ha fatto e non ha fatto. Oggi, nell’incontro e nell’abbraccio di Trieste con l’Italia c’è qualche cosa di commo vente; sotto tutte le mani festazioni rumorose e spie gate c’è qualche cosa di ta ciuto che tocca il cuore.

Trieste mutilata non può, come nel novembre del 1918, far sfavillare tutta l’anima dal proprio volto; l’Italia che le apre le braccia non è più la splendente Italia di Vittorio Veneto, ma un’Italia diminuita e umiliata. Nell’incontro, Madre e Figlia si sorridono con quella festosità che è naturale do po il lungo e doloro- so di stacco, ma non sanno non far scivolare lo sguardo pietoso una sulle piaghe dell’altra: una profonda, inespressa tristezza le serra insieme.

Solo a patto che tale mu ta coscienza resti attiva nel la sua sincerità e non ven- ga frastornata da nuove megalomanie o intorbidata da ipocrite autoinvestiture di parte, l’ora che grava sull’intera Nazione potrà se gnare il principio d’una ri- nascita, sia pur lenta e fa ticosa, di quel perenne spi rito essenziale che ha fatto nobile l’Italia nel mondo.

L’Italia d’oggi è venuta a cimentare a Trieste la propria capacità di risollevarsi, dopo aver scontato fino in fondo i propri er rori e le proprie debolezze. E Trieste, i triestini sanno che mai, come oggi, essere uniti, solidali con la propria Nazione vuol dire impegno severo a collaborare con i propri fratelli a un’opera consa- pevole di ricostruzione morale e politica, di rigene razione dei quadri dirigenti, di serietà e onestà in tutti i campi, dall’umile fatica giornaliera all’attività più altamente creatrice.

A Trieste, in questi giorni di avvenimenti che fanno storia, più d’una volta mi son trovato a chiedermi che cosa è veramen te la storia. Non in sede filosofica, ma al livello del giudizio dell’uomo comune che cerca di vederci chiaro, senza prender lu mi da quella secolare diatriba che tiene diviso e discorde il campo dei filosofi e degli sto rici. Le cose avvengono e, nel tumulto dei fatti, non è facile discernere

quali entreranno a formare il tessuto della storia. Di solito si guarda agli avveni-

menti con idee preconcette.

Aggirandomi in quei giorni per le vie della mia città, che ha vissuto momenti eccezionali, ap punto “momenti storici”, sape vo già in partenza che certi aspetti facilmente visibili del suo volto verrebbero giudicati, gros so modo, da questi due punti estremi: la sola città d’Italia che sappia che cosa sia amor di pa tria — città esaltata dalla retorica nazionalista. Opinioni, che già si mettono su piani pregiu- diziali, per interpretare nei mo di opposti gli stessi fatti. Opi nioni, in cui si av- verte lo sche ma e come un senso di ricetti vità alla superficie, soddisfatta in se stessa. Non si cerca più in là, più in fondo, in quell’umano che attraverso i fatti si manifesta e si rivela agli occhi di chi intende e sa vedere con uma nità.

I tricolori, l’onda tricolore in cui la città è stata sommersa, la folla innumerevo- le delle perso ne che hanno svuotato le case per riversarsi sulle rive, per le strade,

«La Stampa», 17 novembre 1954