86 portasse per l’avvenire la mutilazione del territorio nazionale; e forse – più grave ancora – non avesse chiara neppure la coscienza che, accettato il sacrifizio e la rinuncia per Fiume e per Zara, non si poteva andare più oltre, che la linea Wilson1
era per noi una a necessità vitale, non meno del Brennero. Il suo comportamento avrebbe dovuto essere adeguato a questa ferma convinzione. Invece l’incertezza, e l’incapacità, lo portarono a deviare, a sban care il problema realistico e scottante della Venezia Giu lia su un problema più ge nerico e meno impegnativo, anche se più “prestigioso”, qual era quello della Confederazione Europea; come se, impli- cando il primo proble ma nel secondo, si accantonassero tutte le difficoltà pre- senti, per risolverlo in un futuro più o meno lontano e più o meno realizzabile, e come se un’Italia monca, solo per il fatto di venir a far parte di un’Europa unita, potesse celare anche ai propri occhi il suo moncherino.
Intanto gli “altri” agivano sul terreno della realtà. La Jugoslavia da una parte e i tre Alleati occidentali dall’altra, facevano il loro gioco e con ben positivi risultati. La Jugoslavia, a Fiume, a Pola, a Parenzo, senza aver addosso l’occhio di nessuno; a Buie, a Umago, a Capodistria, con l’occhiolino tra stuzzicante e indifferente degli Alleati, faceva il proprio comodo e, con statistiche cervellotiche, con propaganda sfacciata, con l’impeto audace di chi sa di pretendere cosa che non gli appartiene, continuava a dimostrare ch’era stata defraudata di Trieste.
Gli Alleati (consigliere espertissimo in queste faccende, l’Inghilterra) hanno saputo — e per oggettività bisogna riconoscerlo — fare a loro volta gioco da gran maestri. Fabbricatasi la car ta del “Territorio Libero”2, l’hanno adoperata e gioca-
ta, per i propri interessi, come un atout formidabile, valendosi astutamente, ora come spauracchio, ora come aiuto, dell’ombra del quarto giocatore, la Russia, riti- ratasi dal tavolo. E continuano a giocarla.
Tutti i fatti avvenuti in questi ultimi tempi a Trieste non sono nuovi per chi è vissuto con occhi aperti sul posto e per chi ha capito fin da principio il gioco degli Alleati. Che abbiano invece tanto allarmato l’opinione pubblica italiana, è, voglia Dio, un segno, sia pur tardivo, di resipiscenza. «Fi nalmente — diciamo noi, non so con quanto conforto, tuttavia con le ultime spe ranze che ci restano — final mente l’Italia si è snebbiata la vista».
1 Dal nome del presidente americano Woodrow Wilson (1856-1924), che l’aveva proposta du- rante le trattative di pace a Parigi dopo la Prima guerra mondiale; seguiva il corso del fiume Arsa lasciando all’Italia Trieste, Gorizia e la maggior parte dell’Istria. Cfr. F. Cecotti, B. Pizzamei,
Storia del confine orientale italiano 1797-2007. Cartografia, documenti, immagini, demografia, Cd-rom
edito dall’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia (Irsml-Fvg), Trieste 2008.
2 Si trattava della soluzione prevista dal Trattato di pace sottoscritto dalle grandi potenze e fir- mato dall’Italia nel febbraio 1947: il Territorio libero di Trieste (Tlt), oltre alla città, avrebbe do- vuto comprendere i centri urbani di Capodistria, Pirano, Isola, Umago e Cittanova nell’Istria nordoccidentale, e avrebbe dovuto essere retto da un governatore nominato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Nell’attesa che tutto ciò avvenisse – resa vana dallo scoppio della Guerra fredda tra Usa e Urss – l’area continuava a essere amministrata dall’esercito angloame- ricano nella zona “A” (sostanzialmente Trieste) e dal governo militare jugoslavo nella zona “B” (da Capodistria a Cittanova), divise tra loro dalla linea Morgan. Su tali passaggi cfr. Cattaruzza,
La politica slavofila di Bowman3, nei primi anni del Governo militare alleato, la di-
chiarazione tripartita del marzo 19484, l’eliminazione recente del generale Airey5 coi
fatti conseguenti di que sti giorni, sono manifesta zioni anche troppo evidenti della politica, meravigliosa mente sincronizzata a pen dolo, degli Alleati: politica tempesti- va, bene avvisata sulle circostanze. La carta del “Territorio Libero”, quand’è scoperta, serve per la Jugoslavia, quand’è co perta per l’Italia: tutto sta scoprirla e coprirla con abilità. E l’abilità è tanta, che, ecco, sorgere, come evocato dagli spiriti, alle spalle di quelli che sono stati fino ad oggi i giocatori, un terzo ti mido assistente, che potreb be domani avere pure la vel leità di puntare la sua quota sul tavolo verde: l’Austria, un’Au- stria più o meno illusa di poter rimettersi nel profondo solco lasciato dagli Asburgo.
Intanto Trieste, sotto la alta protezione degli Alleati, si riempie di slavi, di slavi d’ogni genere e d’ogni paese, profughi e non profughi, commercianti e professioni- sti non ben definibili; si sta ravvivando di comitive di te deschi austriaci, che vengo- no giù a fine settimana per godersi l’antico mare “loro” e di cui qualcuno si ferma e ripone radici. Bisogna me scolarla ben bene questa città, illuderla con un’appa renza di vita mossa, col ru more del traffico, incantarla sugli affari e sul benessere della giornata, addormenta re certi spiriti insoddisfatti e battaglieri, che vedono più lon- tano del loro campanile. Farli attaccare al loro campanile, questi triestini, al loro campanile cosmopoliti co, farli ragionare coi piedi in terra: «Non avveleniamo ci il sangue per via del l’Istria, badiamo a noi, città indipendente, capace di rin novare i destini delle città anseatiche di gloriosa me moria, alla nostra zona industriale sorgente e prospe rante per i generosi aiuti dell’E.C.A.6, ai nostri com merci con la
Jugoslavia e con l’Austria; qualche evviva platonico, di tanto in tanto, all’Italia non fa male, sven toliamo pure in certe occa sioni, quando non è perico loso, la bandiera italiana, ma lasciamo che insieme sven tolino anche le altre, e attac chiamoci so- prattutto alla alabarda e al portafogli, che son quelli che contano».
E così, se domani, nelle prossime elezioni ammini strative7, avremo certi
risul tati corrispondenti alla si tuazione penosa in cui è la sciata Trieste, non ci si
3 Alfred C. Bowman, colonnello dell’esercito statunitense, comandante di zona dal luglio 1945 al giugno 1947, racconterà la sua esperienza triestina in Zones of Strain. A Memoir of the Early Cold
War, Stanford University Press, Stanford 1982.
4 Nel marzo del 1948 i governi di Usa, Gran Bretagna e Francia emanarono una nota congiunta in cui si dichiaravano favorevoli al passaggio dell’intero Tlt all’Italia, come forma di pressione nei confronti dell’Unione Sovietica nel contesto della Guerra fredda e misura di sostegno ai partiti italiani anticomunisti nelle imminenti elezioni politiche di aprile: G. Valdevit, La questione di
Trieste 1941-1954. Politica internazionale e contesto locale, Franco Angeli, Milano 1986, pp. 196-98.
5 Terence S. Airey, generale britannico, comandante della zona angloamericana del Tlt dal 1947 al 1951: R. Spazzali, La struttura del Governo militare alleato a Trieste dal 1945 al 1954, in, La città reale. Eco-
nomia, società e vita quotidiana a Trieste dal 1945 al 1954, Edizioni Comune di Trieste, Trieste 2004.
6 Economic Cooperation Administration: l’Agenzia governativa statunitense per l’erogazione degli aiuti economici del Piano Marshall.
7 La scadenza elettorale, inizialmente preventivata per l’estate 1951, sarebbe stata rinviata due volte e avrebbe avuto luogo soltanto nel maggio 1952, registrando in effetti una crescita signi- ficativa del voto indipendentista rispetto ai risultati delle amministrative del 1949: Millo, La
88 me ravigli, né ci si lagni. Si stu pisca invece, se dalla dispe razione, e dal coraggio ch’è pur in fondo all’anima trie stina, nascerà il miracolo d’una Trieste che abbia an cora il fiato d’ammonire l’Italia a non perdere tutte, fino all’ultima, le occasio- ni di salvare quel che è salva bile della Venezia Giulia e indispensabile per la sua stessa esistenza indipendente di Nazione.