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L’attivismo politico nero: John Kumalo come esempio di una realtà

John Kumalo è un personaggio secondario, ma è comunque una figura importante, in quanto rappresentante di una specifica “sottocategoria” sociale all’interno della comunità nativa. Egli è il fratello minore del protagonista, Stephen, ed anche lui, come Absalom e Gertrude, ha lasciato Ndotsheni per recarsi a Johannesburg senza più far avere sue notizie alla famiglia. Fin dall’inizio, egli viene dipinto negativamente attraverso le parole di Msimangu, il quale riferisce a Stephen che “Your brother has no use for the Church any more. He says that what God has not done for South Africa, man must do. That is what he says” (p. 25).

John si configura immediatamente come un uomo che si è lasciato corrompere dalla competizione e dall’arrivismo della vita cittadina: benché la degenerazione della sua personalità non sia sfociata nella criminalità penalizzata (come è accaduto a Gertrude o ad Absalom), egli è riuscito ad infiltrarsi nell’ambito dell’emergente attivismo nero, diventando uno dei più importanti leader della protesta politica

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urbana. Precedentemente era un semplice carpentiere, ma a Johannesburg si è trasformato in un uomo d’affari che gestisce con successo il proprio negozio, il che gli permette di condurre una vita relativamente agiata.

Il lettore lo incontra per la prima volta proprio all’interno della sua bottega, quando Kumalo va a cercarlo sotto la guida di Msimangu. Quando Stephen chiede il motivo per il quale John non ha più scritto nemmeno una lettera, egli risponde con precisione affermando che la vita a Johannesburg è troppo diversa da quella nelle campagne e che al villaggio nessuno avrebbe potuto capire: “– No, how could I write? You people in Ndotsheni do not understand the way life is in Johannesburg. I thought it better not to write. [...] – You see I have had an experience here in Johannesburg. It is not like in Ndotsheni. One must live here to understand it. He looked at his brother. Something new is happening here, he said” (p. 33). L’impressione che John affiora è quella di un uomo egoista ed opportunista, il quale, dopo aver rotto il suo primo matrimonio, convive adesso con un’altra donna41. Soprattutto, non si è curato del fatto che suo figlio Matthew si sia allontanato, insieme al cugino Absalom, per entrare nel pericoloso ambiente della criminalità. Inoltre, quando i due cugini saranno accusati dell’omicidio di Arthur Jarvis, soltanto Absalom confesserà, mentre John coprirà Matthew e le sue menzogne, salvaguardando così il proprio interesse a discapito del nipote, che sarà l’unico ad essere condannato.

Le spiccate abilità oratorie di John affiorano in due specifiche occasioni, in cui Stephen stesso rimane sconcertato e ammette di non essersi mai reso conto della capacità di suo fratello di parlare ed ammaliare il pubblico. Il primo momento in cui

41 Dalla reazione di Stephen a questa notizia emerge che l’assenza del vincolo matrimoniale è

considerata una peccaminosa falla; il matrimonio sembra essere visto, infatti, come uno dei legami più importanti all’interno del romanzo, ma, nella realtà dei fatti, esso viene disilluso nella maggior parte dei casi: Gertrude non riesce a trovare suo marito a Johannesburg e finisce col diventare una delle donne che “sleep with any men for their price” (p. 23) e John ha lasciato appunto sua moglie per vivere con una seconda donna. Anche la giovane fidanzata di Absalom è già segnata da svariate esperienze matrimoniali fallimentari: le è mancato l’esempio delle figure genitoriali (suo padre ha abbandonato lei e tutta la famiglia e la madre si è risposata con un altro uomo, con cui lei non va d’accordo) e lei stessa ha avuto prima di Absalom altri due mariti, entrambi arrestati. Se questi esempi sono indice di una degenerazione dei rapporti umani e delle strutture tribali, in cui i legami familiari sono invece particolarmente importanti, il matrimonio in Cry, the Beloved Country sembra assumere anche una funzione redentrice, come accade proprio nel caso di Absalom. Accettando di sposare la giovane che porta in grembo suo figlio, Absalom non solo accetta le proprie responsabilità e il proprio ruolo di marito e padre, ma permette anche alla ragazza di instaurare un legame duraturo con un nucleo familiare in cui lei sarà accolta come una figlia.

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egli ha modo di ascoltare la sua “bull voice” (p. 157) è proprio durante il primo incontro nella bottega di John. In questa occasione, John spiega il motivo per il quale preferisce la vita in città e non vuole tornare a Ndotsheni:

– Down in Ndotsheni I am nobody, even as you are nobody, my brother. I am subject to the chief, who is an ignorant man. I must salute him and bow to him, but he is an uneducated man. Here in Johannesburg I am a man of some importance, of some influence. [...] – I do not say we are free here. I do not say we are free as men should be. But at least I am free of the chief. At least I am free of an old and ignorant man, who is nothing but a white man’s dog. He is a trick to hold together something that the white man desires to hold together. (pp. 33-34)

Quello che John vuole coltivare è, principalmente, una relativa indipendenza e un’identità: rifiuta di essere sottomesso alle istituzioni bantu che prevedono un capotribù, da lui considerato uno dei “traditori” in quanto servitore dell’uomo bianco, che, in questo modo, manterrebbe il dominio anche delle zone rurali più periferiche. Dal suo punto di vista, i capi delle comunità rurali sono controllati dai bianchi in modo da attutire le voci dei nativi ed evitare ribellioni; perciò, John è consapevole che anche a Ndotsheni le possibilità di affermazione dei neri sono limitate e ridotte all’osso dal potere dei colonizzatori, i quali indirettamente continuano a offuscare le loro identità personali42. John sottolinea che, se il vero ordine tribale che teneva unita la società nera non esisteva più, una nuova forma di comunità si stava formando e avrebbe continuato inarrestabilmente a crescere, “Stronger than any church or chief” (p. 35). Egli non manca poi di accusare, non del tutto senza motivo, anche la Chiesa, colpevole secondo lui di non fare abbastanza per impedire la promulgazione di leggi e il consolidarsi di atteggiamenti razzisti in Sud Africa: dal suo punto di vista, quindi, la Chiesa non è diversa dai capi dei villaggi, contribuendo al soffocamento delle libertà dell’individuo, a cui sono imposti innumerevoli regole e doveri da rispettare:

– But it is not being held together, he said. It is breaking apart, your tribal society. It is here in Johannesburg that the new society is being built. Something is happening here, my brother. He paused for a moment, then he said, I do not wish to offend you gentleman, but the Church too is like the chief. You must do

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so and so and so. You are not free to have an experience. [...] It is true that the Church speaks with a fine voice, and that the Bishops speak against the laws. But this they have been doing for fifty years, and things get worse, not better. (p. 34)

Anche se questo discorso è rivolto a Stephen e Msimangu in un luogo circoscritto (la bottega), è evidente che John sembra rivolgersi a un pubblico più ampio, come quello presente solitamente ai suoi comizi pubblici. Anche in questa occasione egli non manca di denunciare quelli che sono i temi da lui più frequentemente affrontati, cioè lo sfruttamento e il lavoro sottopagato dei neri nelle miniere: questi erano argomenti scottanti sia per le masse popolari nere che per le autorità bianche, le quali temevano di veder calare i loro profitti concedendo maggiori garanzie ai nativi. Come afferma John, l’economia sudafricana, soprattutto nell’area intorno a Johannesburg, gravitava in buona parte intorno alle miniere e all’estrazione dell’oro. La denuncia converge in un’accusa rabbiosa nei confronti dei bianchi, in particolare gli strati dell’imprenditoria capitalistica e il loro accumulo di ricchezze costruito sulle sofferenze dei lavoratori43:

Go to our hospital, he said, and see our people lying on the floors. They lie so close you cannot step over them. But it is they who dig the gold. For three shillings a day. We come from the Transkei, and from Basutoland, and from Bechuanaland, and from Swaziland, and from Zululand. And from Ndotsheni also. We live in the compounds, we must leave our wives and families behind. And when the new gold is found, it is not we who will get more for our labour. It is the white man’s shares that will rise. [...] It is important to find gold, they say, for all South Africa is built on the mines. (pp. 34-35)

L’astio nelle parole di John è evidente, poiché egli denuncia in primo luogo le terribili condizioni in cui i cittadini neri erano costretti a vivere e a lavorare, ricevendo ben poco in cambio dai master per la loro preziosa manodopera: ”But it is not built on the mines, he said, it is built on our backs, on our sweat, on our labour” (p. 35). Nonostante la protesta di John verso le ignobili ingiustizie subite dalla comunità nativa contenga elementi di verità (al punto che lo stesso Msimangu è spinto ad ammettere che “Many of the things that he said are true.”, p. 37), le idee

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politiche e morali espresse da questo personaggio riflettono una visione della legalità molto lontana da quella promossa da Paton. L’autore ha sostenuto in tutta la propria vita la necessità del rispetto della legge e ha sempre rifiutato l’idea di un ricorso alla rivoluzione violenta, convinto che essa non avrebbe sicuramente apportato un beneficio a lungo termine al paese: “By temperament and principle I am opposed to the use of violence. By intellectual conviction I am opposed to its use in South Africa, believing that it will not achieve its declared purpose of making this country happier and better”44

.

Ciò non significa che Paton non sia mai stato attratto, nel corso della propria vita, dal ricorso alla forza come mezzo più rapido per avviare un cambiamento: egli era ben consapevole che anche all’interno del Liberal Party erano presenti alcune fazioni più radicali e che la situazione nel paese era talmente difficile da indurre a prospettare la ribellione violenta come l’unica strada percorribile45

. Tuttavia, per lui la violenza era sempre controproducente, e ne dà dimostrazione attraverso l’arroganza e l’atteggiamento prevaricante di John, rivoluzionario e corrotto, affiancabile all’anarchico che rifiuta qualsiasi forma di imposizione, sia essa statale, sociale o religiosa, e ha difficoltà a immaginare un’effettiva cooperazione per il bene comune.

John appare, perciò, come un personaggio ambiguo che denuncia forti criticità ma che si comporta da egoista ed opportunista; come nota Msimangu, egli è un uomo molto conosciuto a Johannesburg, in molti lo ammirano e potrebbe facilmente istigare le masse alla rivoluzione, se soltanto lo volesse: “– He is a big man, in this place, your brother. [...] They say he speaks like a bull, and growls in his throat like a lion, and could make men mad if he would. But for that they say he has not enough courage, for he would surely be sent to prison” (ibidem). All’arrivismo, dunque, si accompagnerebbe la vigliaccheria, il timore di doversi sacrificare in nome di una causa collettiva.

La seconda scena in cui ci si confronta con la voce potente di John si presenta nel Libro II, in cui viene riportata parte di un comizio da lui tenuto. Anche in questa

44

ALAN PATON, “John Harris”, 1965, cit. in ANDREW FOLEY, “Considered as a Social Record: a Reassessment of Cry, the Beloved Country”, cit., p. 82.

45 Cfr. A

NDREW FOLEY, “Considered as a Social Record: a Reassessment of Cry, the Beloved

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occasione, egli viene descritto come capace di ispirare gli animi di migliaia di persone, dote che altri esponenti politici gli invidiano, nonostante i limiti intellettivi: “Dubula and Tomlinson listen to it, with contempt, and with envy. For here is a voice to move thousands, with no brain behind it to tell it what to say, with no courage to say if it knew” (p. 158).

Ancora una volta, gli argomenti e le tesi da lui sostenute sono condivisibili, ma non riconducibili a un reale senso di giustizia etica, poiché la sua protesta è pragmaticamente incentrata sulla richiesta di un aumento dei salari per i lavoratori neri nelle miniere d’oro: il suo discorso è interamente mirato ad evidenziare gli squilibri nella distribuzione delle ricchezze all’interno del paese, dove i nativi erano sottopagati e i bianchi si arricchivano. Quello che John chiede è, perciò, un sistema più bilanciato e il suo discorso si tinge di una velata minaccia, poiché egli è ben consapevole che i bianchi temono le ripercussioni di uno sciopero: “All we ask is justice, says Kumalo. We are not asking here for equality and the franchise and the removal of the colour-bar. We are asking only for more money from the richest industry in the world. This industry is powerless without our labour” (p. 159).

John conosce bene, però, anche il proprio potere e i rischi che ne potrebbero conseguire: sa, che spingendosi troppo oltre, rischierebbe di essere arrestato e di perdere tutti i suoi beni attuali, nonché la libertà. Per questo motivo, quando la sua arringa sembra raggiungere il culmine della tensione, egli si ferma, abbassando la voce ed interrompendo il comizio: “Here is the moment for words of passion, for wild indiscriminate words that can waken and madden and unleash. But he knows. He knows the great power that he has, the power of which he is afraid. And the voice dies away over mountains, and echoes and re-echoes more and more faintly” (p.

ibidem).

Anche i poliziotti presenti nella piazza, soprattutto coloro che hanno già assistito ad uno dei raduni organizzati da John, sanno che quell’uomo non è pericoloso: nonostante, infatti, egli possa dipingere scenari catastrofici, in cui la popolazione africana si risveglia con un boato e si scaglia contro il dominatore bianco, la polizia sa che John non ha il coraggio di superare i limiti e che non è un vero sobillatore. I poliziotti quindi sono tranquilli, “For they know that this Kumalo goes so far and no further” (p. 158), e lasciano che l’uomo finisca il comizio senza preoccuparsi troppo.

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Sono di nuovo le sagge parole di Msimangu a chiarire la natura della personalità di John: “– Perhaps we should thank God he is corrupt, said Msimangu solemnly. For if he were not corrupt, he could plunge this country into bloodshed. He is corrupted by his possessions, and fears their loss, and the loss of the power he already has” (p. 161). Msimangu sottolinea come la corruzione del fratello di Stephen e il suo attaccamento ai beni materiali, che già possiede e che non vuole in alcun modo perdere, siano, dopo tutto, un fattore di vantaggio: se egli fosse stato sincero e i suoi discorsi fossero stati dettati da vera indignazione nei confronti dello sfruttamento dei neri, la sua voce avrebbe potuto spingere le masse a una ribellione sanguinosa46.

Nonostante sia uno dei pochi rappresentanti dell’ambito politico nero evocati all’interno di Cry, the Beloved Country, John è perciò dipinto da Paton negativamente: egli è semplicemente un egoista calcolatore, il cui unico interesse è la propria salvaguardia. John non auspica un cambiamento sociale su larga scala né tantomeno la rivoluzione, non è pronto a mettere a rischio la propria vita, non è interessato realmente alle condizioni dei suoi concittadini e non si fa scrupoli nel rinnegare persino il legame con il fratello e il nipote. Tomlinson e Dubula sono invece i personaggi coinvolti nell’impegno politico a cui l’autore sembra guardare con più simpatia, in quanto sostenitori convinti di una protesta non-violenta, organizzatori di iniziative efficaci quali i boicottaggi degli autobus e la costruzione di Shanty Town, esempio di una township “inscenata” per far toccare con mano la gravità delle condizioni nelle baraccopoli47.

In particolare, Dubula si distingue da John poiché si attiva in modo fattivo per aiutare la popolazione nera: egli non punta sulla violenza e sulla ribellione per attrarre le masse, bensì sulla persuasione morale. La sua è una protesta che rivisita in

46

Cfr. EDWARD CALLAN, Cry, the Beloved Country. A Novel of South Africa, cit., p. 94.

47 La costruzione di Shanty Town viene narrata all’interno del nono capitolo della prima parte del

romanzo: esso è un capitolo particolare, poiché costituisce un intermezzo con cui Paton interrompe momentaneamente la narrazione focalizzata sul protagonista per ampliare lo sguardo e la prospettiva sulle reali condizioni di vita dei neri nelle township. Un insieme di voci anonime dà al capitolo un sapore corale, potente segnale della tensione crescente verso la ricerca di maggiori e adeguati spazi dove poter vivere. La protesta è organizzata da Dubula e Shanty Town viene costruita in una sola notte: “Shanty Town is up overnight” (p. 53). L’evento non passa inosservato: “The white men come to Shanty Town. They take photographs of us, and moving photographs for the pictures. They come and wonder what they can do, there are so many of us” (p. 54). Le autorità lasciano che le baracche vengano costruite, anche se la loro è soltanto una tolleranza di facciata poiché nemmeno Shanty Town riuscirà ovviamente a risolvere il problema del sovraffollamento delle aree popolari nere nelle città.

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chiave africana il modello proposto da Gandhi e l’interesse verso le sofferenze degli uomini e delle donne intorno a lui è sincero48.

Mentre John non accetterebbe mai di andare in prigione per sostenere la causa della liberazione nera (poiché in carcere non otterrebbe nessun applauso e nessuna attenzione speciale), Tomlinson è dipinto come il più intelligente dei tre, e Dubula “has the heart”, poiché mette il cuore in ciò che fa e non cerca scappatoie per l’arricchimento personale. Per questo motivo, è lui che il governo teme maggiormente: “He is the one the Government is afraid of, because he himself is not afraid. He seeks nothing for himself” (p. 40); egli non ha paura di perdere i suoi beni ed è pronto a sacrificarsi in prima persona per la causa che ha scelto di sostenere. Sono le parole del narratore, quindi, a chiarire definitivamente la differenza fra Dubula e John:

There are some men who long for martyrdom, there are those who know that to go to prison would bring greatness to them, these are those who would go to prison not caring if it brought greatness or not. But John Kumalo is not one of them. There is no applause in prison. (p. 160)

La questione dell’attivismo nero, un fenomeno crescente nel periodo in cui Paton scrisse il romanzo, rappresentava certamente una problematica complessa e controversa, con la quale probabilmente l’autore aveva ancora alcune difficoltà a confrontarsi. Perciò, il dualismo implicito nelle raffigurazioni di John e Dubula rispecchia forse una tensione presente nell’anima di Paton, combattuto tra la consapevolezza della necessità di un cambiamento radicale e, contemporaneamente, il timore che un rinnovamento troppo rapido potesse essere distruttivo per il paese, piuttosto che rigenerativo49.