Cry, the Beloved Country è, come già detto, l’opera cardine della produzione di
Alan Paton poiché, oltre ad essere la sua prima pubblicazione, introduce molte delle tematiche principali che l’autore ha affrontato nel corso della sua lunga carriera. Nel corso del tempo, il romanzo è stato oggetto di dure critiche da parte di coloro che lo hanno ritenuto eccessivamente ingenuo e “paternalistico”, mentre altri lo hanno invece elogiato per le qualità idealistiche e spirituali di cui si connota. Molti, però, hanno finito per non valutare il romanzo nella sua integrità, mettendone in secondo piano il suo valore documentario, il suo essere una descrizione e un’analisi delle condizioni sociali e politiche del Sud Africa del periodo immediatamente antecedente al regime dell’apartheid1. In questo senso, Cry, the Beloved Country si presenta quindi come un testo poliedrico, in cui l’autore ha esposto una visione d’insieme chiara dei problemi del Sud Africa della sua epoca, proponendo degli spunti di riflessione nell’ottica di una possibile ricostruzione del paese.
Nonostante la relativa semplicità della trama, e nonostante il romanzo sia stato, come descritto nel capitolo precedente, frutto di una ispirazione improvvisa, dettata da un forte senso di nostalgia per il proprio paese, all’interno di Cry, the Beloved
1 Cfr. A
NDREW FOLEY, “Considered as a Social Record: a Reassessment of Cry, the Beloved Country”, English in Africa, vol. 25 (2), 1998, p. 63.
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Country è evidente che Paton ha riversato tutto se stesso, in particolare le esperienze
che più lo avevano segnato e avevano inciso sulla sua visione del Sud Africa. La rivelazione epifanica che lo colse in Norvegia lo spinse a scrivere, come lui stesso ha affermato, un romanzo “not so much about the beauties of the land, but about its men and women, and about the gross inequalities that so disfigured national life”2
. Paton era estremamente preparato e competente per affrontare un’analisi della situazione sudafricana poiché, nel corso degli anni, aveva maturato una profonda consapevolezza delle drammaticità derivanti da pratiche razziste e segregazioniste3.
Cry, the Beloved Country costituisce quindi un testo in cui è possibile riconoscere
la valenza storica degli eventi narrati, seppur filtrati dall’invenzione letteraria di Paton; egli, come anticipato, chiarisce i termini di questo equilibrio nella prefazione al romanzo, preoccupandosi di specificare come, nonostante vari aspetti fossero ispirati dalla realtà sociale, la trama e alcuni luoghi fossero fittizi:
It is true that there is a lovely road that runs from Ixopo into the hills. It is true that it runs to Carisbrooke, and that from there, if there is no mist, you look down on one of the fairest scenes of Africa, the valley of the Umzimkulu. But there is no Ndotsheni there, and no farm called High Place. 4
2 A
LAN PATON, Towards the Mountain, 1980, cit. in ANDREW FOLEY, “The First Page of Cry, the Beloved Country”, English Academy Review, vol. 23 (1), 2006, p. 36.
3 Andrew Foley, nel suo articolo intitolato “Considered as a Social Record: a Reassessment of Cry, the Beloved Country” (cit., p. 65), osserva come le esperienze principali che maggiormente avviarono
in Paton il processo di presa di conoscenza delle problematiche del Sud Africa siano essenzialmente tre. Egli individua come primo elemento il lungo lavoro come preside al Riformatorio di Diepkloof, dove ebbe modo di instaurare un contatto diretto con membri della comunità nera, in particolare con i giovani in difficoltà. Il secondo importante elemento individuato da Foley è la partecipazione di Paton alla Anglican Diocesan Commission nel 1941, presieduta dall’allora vescovo di Johannesburg, Geoffrey Clayton: fu in questa occasione che l’autore comprese davvero che in Sud Africa egli non avrebbe potuto definirsi un vero cristiano senza necessariamente attivarsi per la risoluzione dei problemi sociali. Infine, Foley evidenzia come un terzo avvenimento abbia segnato la vita di Paton in modo indelebile: si tratta della sua partecipazione al funerale di Edith Rheinallt-Jones, un profondo momento di rivelazione che egli stesso ha commentato nel saggio “A Deep Experience” (1961). Paton aveva conosciuto la donna all’interno del South African Institute of Race Relations, dove entrambi erano attivi per promuovere il superamento delle disuguaglianze etniche, ma fu soltanto al suo funerale che l’autore comprese la vera entità del lavoro svolto da Edith: alla cerimonia partecipò un’enorme folla, composta dalle etnie più disparate, riunite insieme per un giorno per onorare la memoria della donna. Paton rimase profondamente colpito da questa partecipazione (tanto che questa esperienza avrebbe ispirato la rappresentazione del funerale di Arthur Jarvis nel romanzo) e si convinse che l’ideale di giustizia ed uguaglianza razziale promosso da Edith fosse il valore più alto per cui valesse la pena lottare in Sud Africa.
4 A
LAN PATON, Cry, the Beloved Country. A Story of Comfort in Desolation, Penguin Books, Harmondsworth 1958, p. 5. A questa edizione si riferiranno le successive citazioni dal testo, con l’indicazione del numero di pagina.
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Paton afferma che il paesaggio del Natal (con la sua bellezza ma, contemporaneamente, con la sua devastazione), da lui dipinto a partire dall’incipit del romanzo, era ovviamente un elemento estrapolato dalla realtà, ma sottolinea pure come il povero villaggio di Kumalo e la sfarzosa tenuta di Jarvis fossero frutto della propria fantasia. Quanto ai personaggi descritti all’interno del romanzo, Paton spiega come, nonostante alcuni di loro fossero in parte ispirati a suoi amici e conoscenti, nessuno dovesse considerarsi al pari di una figura in carne e ossa, ad eccezione di due: il Professor Alfred Hoernlé, docente universitario di Filosofia, che egli definisce un “great and courageous fighter for justice”(p. 5), e Sir Ernest Oppenheimer, magnate dell’industria mineraria impegnato in numerose attività filantropiche volte ad alleviare le condizioni di segregazione.
Allo stesso modo, Paton sottolinea che anche i riferimenti testuali agli episodi relativi ai boicottaggi degli autobus (così come quelli inerenti alle proteste sociali, alla costruzione della township di Shanty Town e alle contestazioni dei minatori) erano costituiti da un misto di realtà e finzione. Quindi, nella prefazione Paton afferma chiaramente che la propria opera resta un testo romanzesco, ma allo stesso tempo ci tiene a rimarcare che il quadro delineato offre un’accurata analisi del panorama sociale sudafricano: “In these respects therefore the story is not true, but considered as a social record it is the plain and simple truth.”(ibidem). A ciò si unisce “a cry of protest against the injustices of my own country”5
, una protesta che è frutto delle osservazioni e della sua personale esperienza.
Il valore sociologico dell’opera non va però a scapito di quello diegetico- simbolico, poiché il plot, incentrato sul percorso di ricerca e progressiva presa di coscienza dei due padri protagonisti, presenta uno spessore esemplare a sfondo allegorico. Le due caratteristiche del romanzo sono quindi inseparabili e le vicende riportate da Paton, oltre che riferirsi alla storia del proprio paese, si ergono a emblema universale attraverso il quale l’autore si rivolge sia ai connazionali, sia al mondo intero.
Cry, the Beloved Country si inserisce, quindi, in un dibattito molto ampio, a cui
Paton partecipa schierandosi contro l’ideologia razzista che, poco dopo la pubblicazione del romanzo, si sarebbe tramutata nell’apartheid. I neri sono stati per
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LAN PATON, Towards the Mountain, 1980, cit. in ANDREW FOLEY, “Considered as a Social Record: a Reassessment of Cry, the Beloved Country”, cit., p. 66.
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lungo tempo privati dei diritti umani basilari: impoveriti e sradicati dalla propria terra, è stata loro negata la possibilità di accedere ad un’educazione vera e propria, di ricevere le cure mediche essenziali e di ottenere impieghi dignitosi e paritari a quelli dei bianchi. Essi sono stati oggetto di uno sfruttamento feroce ed incontrollato, che ha portato ad una loro disumanizzazione: Paton prende la sua posizione da cittadino bianco, all’interno di una maggioranza largamente razzista, scrivendo un romanzo in cui denuncia l’“eredità” lasciata dal primo colonialismo, con il suo bagaglio fatto di frammentazione, diaspora, crisi d’identità, sacrifici e contrasto fra il senso di inferiorità nero e quello di superiorità bianco6. Nel fare questo, egli si riferisce ovviamente in primo luogo alla storia e alle vicende del suo paese, ma il dramma dei protagonisti del romanzo si rivelerà applicabile all’umanità intera, poiché la piaga del razzismo non è stata neppure tutt’oggi definitivamente debellata.
Il romanzo è suddiviso in tre parti, attraverso le quali la storia si snoda gradualmente, con diverse messe a fuoco. Se il primo libro ricostruisce il penoso percorso di Stephen Kumalo, con il suo viaggio alla ricerca dei membri della propria famiglia scomparsi a Johannesburg e la successiva scoperta dei loro terribili destini, il secondo libro riporta, in una sorta di fatale parallelismo, la vicenda del bianco James Jarvis, anch’egli costretto ad affrontare un cammino costellato di difficili e dolorose scoperte. Le tragedie dei due protagonisti si risolvono con un esito parzialmente positivo nella terza ed ultima sezione del romanzo, da Edward Callan ribattezzata come il “Book of Restoration”7, in cui i percorsi di ricerca del nero e del bianco (sia fisica che, soprattutto, spirituale) convergono in un sentiero comune, in direzione di un abbattimento delle barriere: l’evidente cambiamento nel tono e nel contenuto della terza parte contribuisce quindi a trasportare il lettore oltre le vicende particolari dei protagonisti, adombrando una via di redenzione futura per l’intero Sud Africa.
Patrick Colm Hogan, docente all’Università del Connecticut, nella sua concisa analisi pedagogica di Cry, the Beloved Country ha evidenziato come all’interno del romanzo siano significativamente i personaggi “buoni” ad emergere con più forza. Questi sono, come sottolineato da Hogan, suddivisibili in due categorie principali: la
6 Cfr. A
LI GÜNE , “The Illumination of Freedom in South Africa: Post-Colonialism, Exploitation
and Identity Crisis in Alan Paton’s Cry, the Beloved Country”, Epiphany, vol. 2, 2009, p. 25.
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prima sarebbe costituita dagli uomini neri che hanno scelto di abbracciare il credo cristiano e porsi al servizio di Dio, mentre la seconda comprenderebbe il ristretto gruppo di bianchi che dedicano tempo ed energie ad aiutare i nativi8. Questa immediata ed essenziale categorizzazione si rivela utile per avviare un’analisi delle dinamiche che intercorrono nei rapporti tra i neri e i bianchi all’interno del romanzo. L’obiettivo di questo capitolo sarà appunto quello di descrivere i rapporti fra i vari personaggi di Cry, the Beloved Country, studiandone le caratteristiche individuali e, allo stesso tempo, la modalità di interazione.