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L’oasi multietnica della Mission House: Theophilus Msimangu e Father

Il reverendo Theophilus Msimangu è un altro dei personaggi positivi all’interno del romanzo: egli è un giovane sacerdote nero che vive nell’ambiente urbano di Johannesburg, dove, insieme ad un variegato gruppo di altri religiosi, è attivo per sostenere le comunità in maggiore difficoltà. È descritto come un uomo generoso e retto, pronto ad offrire conforto e sostegno a chi è in difficoltà. Msimangu è colui che scrive la lettera che spingerà Kumalo ad intraprendere il proprio viaggio alla volta di Johannesburg e sarà lui, come un Virgilio dantesco, a guidare l’uomo nelle diverse fasi della ricerca dei vari membri della sua famiglia nelle viscere infernali della

township. Lo assisterà, infatti, con saggezza e sensibilità, aiutandolo a districarsi

nella complessa e violenta realtà della metropoli. Il fatto che Msimangu sia legato al mondo cittadino comporta una diversa consapevolezza della situazione politica e sociale, consapevolezza che egli manifesta attraverso i suoi lucidi commenti sulle posizioni e gli atteggiamenti sia dei bianchi che dei neri.

L’esperienza di Msimangu a Johannesburg lo porta ad essere molto attivo e coinvolto nel sostegno al substrato sociale nero delle township: da vero cristiano, il suo attivismo è caratterizzato dalla sincerità e dall’altruismo fraterno, come egli dimostra prestando sostegno a Kumalo. Pur essendo più giovane del parroco di Ndotsheni, Msimangu svolge per lui il ruolo di una sorta di “fratello maggiore” e di mentore, conducendolo attraverso la città labirintica e pericolosa, di cui Stephen non conosce niente. Come si è accennato, egli è una guida con caratteristiche simili a quelle di Virgilio nella Divina Commedia, poiché di fatto scorta Kumalo all’interno dell’“Inferno”, facendogli toccare con mano la differenza tra la realtà nera rurale e quella urbana. Mentre Kumalo, pur confrontandosi necessariamente con i problemi della vita metropolitana, cercando di darle un senso e di riallacciare i rapporti familiari, non arriverà mai a negare del tutto la possibilità di un ritorno alla vita rurale, Msimangu costituisce un altro tipo di uomo religioso. Egli, infatti, vive ogni giorno in una realtà diversa e certamente più complicata, che gli permette di rendersi conto che la nuova situazione politica ha ormai spazzato via il sistema tribale originario, il quale difficilmente potrà essere reintegrato.

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Fin dal loro primo incontro alla Mission House, Msimangu sembra assumere il ruolo di guida, informando Stephen delle condizioni dei suoi familiari a Johannesburg: gli spiega come Gertrude sia ormai diventata una prostituta e una produttrice di liquori illegali e come John, suo fratello, sia assorbito dalla vita politica ed abbia dimenticato i veri principi cristiani. I timori e le angosce che avevano accompagnato Kumalo nel suo “bitter journey” (p. 25) fin dalla partenza da Ndotsheni sono adesso confermate, quindi, dalle parole di Msimangu. Con lui Stephen esterna la propria frustrazione e la propria ansia per ciò che il Vescovo avrebbe potuto pensare o dire riguardo alle condizioni dei suoi familiari, i quali non erano riusciti a mantenere la retta via nemmeno in virtù della parentela con un uomo di chiesa: “– What will the Bishop say when he hears? One of his priests.” (ibidem). La risposta di Msimangu chiarisce il divario culturale: “– What can a Bishop say? Something is happening that no Bishop can stop. Who can stop these things from happening? They must go on” (ibidem). Egli continua, poi, affermando che la modernità non può essere fermata, così come è inarrestabile il processo di cambiamento della società, e che persino un Vescovo non ha potere di interferire in questi sviluppi. Egli comunque non prova astio o rancore per l’uomo bianco in generale, poiché è grazie alla colonizzazione europea che ha potuto conoscere la religione cristiana e diventare ciò che è adesso: “– They must go on, said Msimangu gravely. You cannot stop the world from going on. My friend, I am a Christian. It is not in my heart to hate a white man. It was the white man who brought my father out of darkness.” (ibidem). Msimangu, quindi, è “grato” ai bianchi e non può odiarli poiché essi gli hanno permesso di scoprire Dio e, con lui, di abbracciare una religione fondata sull’amore e sulla fratellanza.

Allo stesso tempo, però, Msimangu non può fare a meno di essere realista e di constatare come il risultato principale della colonizzazione sia stato quello di aver distrutto alla radice il sistema di valori tribali preesistenti:

The tragedy is not that things are broken. The tragedy is that they are not mended again. The white man has broken the tribe. And it is my belief – and again I ask your pardon – that it cannot be mended again. But the house that is broken, and the man that falls apart when the house is broken, these are the tragic things.

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That is why children break the law, and old white people are robbed and beaten. (ibidem)

Msimangu attribuisce la colpa della devastazione ai bianchi, per i quali è stato “conveniente”, in passato, spazzare via la società tribale, distruggendo i forti legami familiari della comunità nativa e asservendola. L’errore successivo (quello più rave) è il non essersi preoccupati di far subentrare al vecchio ordine sociale un altro alternativo, in grado di mantenere gli assetti e impedire il dilagare della criminalità. Egli deve, però, anche parlare chiaramente, ammettendo che l’unità originaria difficilmente potrà essere ricostituita:

It suited the white man to break the tribe, he continued gravely. But it has not suited him to build something in the place of what is broken. I have pondered this for many hours and must speak it, for it is the truth for me. They are not all so. There are some white men who give their lives to build up what is broken. – But they are not enough, he said. They are afraid, that is the truth. It is fear that rules this land. (ibidem)

Msimangu tenta poi di vedere il buono in questa situazione, spiegando a Kumalo che ci sono alcuni bianchi che impiegano la loro vita per ricostruire ciò che è stato distrutto. Essi sono, però, ancora troppo pochi poiché la maggior parte della comunità bianca ha timore di ciò che potrebbe accadere se ai nativi fosse concessa maggiore autonomia. Il tema della paura torna, quindi, nelle parole di Msimangu, sottolineando ancora una volta l’entità del divario fra bianchi e neri. Il profondo rammarico del sacerdote riguarda, non tanto ciò che non c’è più, quanto quello che non viene ricostruito e, in particolare, la mancata interrelazione tra i due gruppi etnici principali, dei quali uno, quello dei neri, è soggetto a continue privazioni: “– They give us so little, said Msimangu sombrely. They give us almost nothing” (p. 26). Le parole di Msimangu riecheggiano quindi quelle degli scritti di Arthur Jarvis: in questo caso, però, esse vanno al di là della teorizzazione, ma sono poste in un contesto situazionale, come commento di problemi contingenti ed immediati34.

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Ciò non significa, ovviamente, che le idee di Arthur Jarvis si riducessero a una trattazione astratta senza riscontri empirici. Come descritto nel paragrafo precedente, Arthur era anzi estremamente attivo nell’ambito sociale e numerosi erano i suoi contributi alla causa che promuoveva l’uguaglianza etnica in Sud Africa.

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Entrambi i personaggi, a loro modo, svolgono una funzione etico-pedagogica significativa in relazione agli ideali liberali di Paton: tali ideali sono chiaramente discussi negli scritti di Jarvis (che avrebbero potuto benissimo essere stati articoli pubblicati dall’autore), ma vengono proiettati sul piano pratico attraverso le parole e le constatazioni di Msimangu.

Msimangu non è tuttavia un santo: se le sue parole contengono molta saggezza e consapevolezza, a volte suonano anche provocatorie e controverse. Questo è il caso dell’episodio all’interno del sesto capitolo del Libro I, in cui, accompagnando Kumalo nella ricerca di Gertrude, egli sembra quasi invocare la separazione delle etnie, ossia avallare il criterio dello sviluppo parallelo. Esasperato dai guai quotidiani alimentati dalla divisione dei mezzi di trasporto in base all’etnia, Msimangu afferma che forse sarebbe davvero meglio per tutti che ognuno vivesse “apart”, senza avere nessun contatto con le altre comunità: “– That is a pity, says Msimangu. I am not a man for segregation, but it is a pity that we are not apart” (p. 27). Ovviamente, si tratta di un’osservazione provocatoria, amaramente ironica, come se egli stesse parlando più a sé stesso che a Kumalo. Che la separazione etnica non possa essere una soluzione è dimostrato dalle reazioni dei giovani teppisti, i quali creano volutamente il caos, facendo emergere una spirale inarrestabile di violenze e crimini. A mente lucida, Msimangu introduce invece il tema dell’amore, allineandosi con il pensiero dell’autore, per il quale il termine “love” non implicava soltanto la benevolenza e l’affetto, ma piuttosto “the desire to create and live in a just society”35. L’atto di amare assume quindi, per Paton, una connotazione politica, facendosi espressione del desiderio di creare un sistema che riesca a portare un ordine sociale più equo, in cui tutti possano sentirsi liberi: ciò implica una stretta collaborazione fra bianchi e non-bianchi, i quali dovrebbero essere messi nella condizione di lavorare insieme per il bene del paese.36 La soluzione proposta da Msimangu, coinvolge un cambiamento interiore e profondo di prospettiva, una “rivoluzione dell’anima”, prima ancora che un mutamento strutturale.

Esemplificativa è la riflessione di Msimangu sui possibili effetti di un repentino (rivoluzionario) slittamento del potere dalle mani dei bianchi a quelle dei neri.

35 A

NDREW FOLEY, “Considered as a Social Record: a Reassessment of Cry, the Beloved Country”, cit., p. 81.

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Parlando con Kumalo, subito dopo aver avuto una prova del cambiamento di John dopo il suo trasferimento a Johannesburg, Msimangu esprime onestamente le proprie considerazioni, osservando come anche fra i leader neri fosse facilmente riscontrabile un alto tasso di corruzione: “Because the white man has power, we too want power, he said. But when a black man gets power, when he gets money, he is a great man if he is not corrupted. I have seen it often. He seeks power and money to put right what is wrong, and when he gets them, why, he enjoys the power and the money.” (p. 37). Secondo Msimangu, uno dei pericoli derivanti da un’improvvisa presa di potere da parte dei nativi sarebbe stat oil dilagare della corruzione, scatenata dal senso di orgoglio e da un viscerale desiderio di vendetta: “Some of us think when we have power, we shall revenge ourselves on the white man who has had power, and because our desire is corrupt, we are corrupted, and the power has no heart in it. But most white men do not know this truth about power, and they are afraid lest we get it” (ibidem).

Questo è ciò che, secondo il pensiero di Msimangu, gli uomini bianchi temevano maggiormente: essi erano spaventati dal numero degli africani (i quali costituivano la maggioranza della popolazione, nonostante fossero emarginati e penalizzati dal sistema legislativo e politico37) e dalle conseguenze di una loro presa di potere. L’unica forza, però, in grado di portare unione e armonia all’interno della società e, in generale, del mondo è, secondo Msimangu, un amore che coinvolge il rispetto reciproco e verso la propria terra:

But there is only one thing that has power completely, and that is love. Because when a man loves he seeks no power, and therefore he has power. I see only one hope for this country, and that is when white men and black men, desiring neither power nor money, but desiring only the good of their country, come together to work for it. (ibidem)

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Il palese squilibrio fra le percentuali dei membri appartenenti ad ogni gruppo etnico all’interno della popolazione sudafricana era stato messo in evidenza da Paton fin dalla prefazione al romanzo: “the population of South Africa is about eleven millions. Of these about two and a half million are white, of whom roughly three-fifths are Afrikaans-speaking and two-fifths English-speaking. The rest, except for one million coloured people, [...], are the black people of African tribes” (p. 5). Quello che Paton vuole sottolineare è la scandalosa mancanza di equità nella distribuzione del potere e dei beni materiali nel paese: i neri, i quali costituivano la maggioranza della popolazione, erano paradossalmente sfavoriti e discriminati dalle leggi e dai provvedimenti stabiliti dai bianchi, in particolare da quelli del gruppo Afrikaner.

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Nell’amore risiederebbe la forza motrice prima per la salvezza del Sud Africa: il vero potere (e con esso, la vera libertà dell’individuo), afferma Msimangu, consisterebbe nel rinunciare alla concezione materialistica del potere stesso, in modo da rendere possibile una proficua collaborazione tra bianchi e neri. Msimangu è, però, un personaggio a tutto tondo in cui si manifesta la compresenza di due spinte opposte, cioè l’amore e la paura38

. Egli, pur essendo un uomo di chiesa, sembra non riuscire ad essere fiducioso fino in fondo e deve confrontarsi con il suo più grande timore, cioè che in futuro, quando i bianchi avranno superato la loro paura e saranno propensi a rivolgersi amichevolmente ai neri con approccio collaborativo, scopriranno che è troppo tardi, poiché la comunità nera proverà ormai odio verso i colonizzatori: “I have one great fear in my heart, that one day when they are turned to loving, they will find we are turned to hating” (p. 38). Quello che Msimangu esterna è, quindi, il timore, condiviso dall’autore, di ciò che sarebbe derivato da un cambiamento drastico nella detenzione del potere e, soprattutto, dalle alternative politiche al liberalismo, che Paton considerava invece come l’unica strada percorribile per affrontare e risolvere la crisi senza scoppi di violenza: “But if Black power meets White power in headlong confrontation and there are no Black liberals and White liberals around, then God help South Africa. Liberalism [...] is humanity, tolerance, and love of justice. South Africa has no future without them”39. Gli anni Novanta del secolo scorso, con Mandela e Tutu, avrebbero dato ragione a Paton.

La generosità di Msimangu è ulteriormente testimoniata dalla sua decisione, nei momenti finali della storia, di rinunciare a tutti i suoi possedimenti materiali (in particolare ai suoi soldi, che devolverà a Kumalo per aiutarlo a sostenere le spese affrontate nel suo lungo viaggio a Johannesburg e quelle che lo attendono una volta tornato a Ndotsheni) per ritirarsi in preghiera in una comunità monastica: “He was retiring into a community, and would forswear the world and all possessions, and this was the first time that a black man had done such a thing in South Africa” (p. 183). Il parroco nero, durante tutto lo snodarsi del romanzo, non si vanta mai delle proprie azioni e, anche in questa occasione, si autodefinisce “a weak and a sinful man” (p.

38

Cfr. FRED H. MARCUS, “Cry, the Beloved Country and Strange Fruit: Exploring Man’s

Inhumanity to Man”, The English Journal, vol. 51 (9), 1962, p. 610.

39 A

LAN PATON, “On Turning 70”, 1973, cit. in ANDREW FOLEY, “Considered as a Social Record: a Reassessment of Cry, the Beloved Country”, cit., p. 81.

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184): poiché egli è un personaggio di riferimento positivo all’interno di Cry, the

Beloved Country, la sua modestia si correla alla volontà di operare nel contesto

sociale per il bene della comunità, e non per ricercare la gloria o la fama personale. Con la propria scelta, quindi, anche Msimangu si allontana definitivamente dalla realtà in cui ha vissuto finora e conclude il proprio percorso, come pure fa Stephen, abbandonando la metropoli infernale, per cercare un nuovo modo di svolgere la propria missione cristiana.

Un personaggio speculare alla figura di Msimangu sembra essere quello di Father Vincent: egli è un giovane prete bianco proveniente dall’Inghilterra e definito dal narratore come uno “young rosy-cheeked priest” (p. 21), che accoglie Kumalo all’arrivo alla Mission House di Sophiatown. Durante il percorso di ricerca intrapreso da Stephen, anche Vincent si adopererà personalmente per aiutare il parroco nero e lo sosterrà nei momenti di cedimento e di crisi spirituale. L’amicizia con Father Vincent aiuterà Kumalo ad estendere la sua consapevolezza dei problemi sudafricani ad un livello più globale: fin dall’inizio, egli appare un giovane missionario inglese con un profondo interesse per il Sud Africa, del quale vorrebbe conoscere le reali sfaccettature. Chiede a Stephen informazioni sulle condizioni di una parte del paese a lui ignota e i due si scambiano impressioni sui rispettivi luoghi di origine: Kumalo gli racconta della bellezza delle valli sudafricane ma, contemporaneamente, anche del loro stato di incuria, mentre il giovane inglese “spoke about his own country, about the hedgesand the fields, and Westminster Abbey, and the great cathedrals up and down the land”40

(p. 65).

Father Vincent quindi, come Msimangu, si dimostra un personaggio in grado di offrire supporto morale a Kumalo anche nei momenti più bui; ad esempio, quando Absalom viene accusato di omicidio, egli si rivolge al parroco di Ndotsheni promettendogli di fare qualunque cosa fosse in suo potere per aiutarlo: “Anything, he

40 Alcuni critici hanno ipotizzato che il comportamento di Father Vincent e il suo citare elementi

iconici della cultura britannica, come Westminster Abbey, implichi l’affermazione di un sottinteso grado di superiorità del retaggio bianco su quello nero. Uno di questi è Patrick Colm Hogan, che suggerisce come i personaggi “buoni” all’interno di Cry, the Beloved Country tendano a mettere in luce il primato della comunità bianca su quella nera: egli afferma, in particolare, che ciò sarebbe principalmente dovuto al fatto che gli europei hanno diffuso in Sud Africa la religione cristiana, permettendo ai neri di emergere dalla “darkness”, e rafforza questa tesi mostrando come molto spesso i neri debbano ricorrere all’aiuto dei bianchi per risolvere i propri problemi, come fa Kumalo in più di un’occasione (cfr. PATRICK COLM HOGAN, “Paternalism, Ideology and Ideological Critique: Teaching Cry, the Beloved Country”, op. cit., pp. 208-209). Questa teoria sembra però convergere verso

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says, anything. You have only to ask. I shall do anything” (p. 87). Egli si impegna in prima persona, senza arrogarsi il diritto di stabilire cosa sia giusto o sbagliato, ma affidandosi al giudizio di Dio: è lui che celebra il matrimonio tra Absalom e la giovane ragazza con in grembo il figlio del condannato, è lui che fa conoscere a Stephen l’avvocato che prenderà gratuitamente in carico la causa di Absalom. È sempre lui che si offre di seguire il processo del giovane quando Kumalo farà ritorno al villaggio. Quello che lo contraddistingue maggiormente da Msimangu è, comunque, la sua inesauribile fiducia: egli non si lascia scoraggiare dalle circostanze e dalla paura, in parte anche in virtù della sua condizione privilegiata di bianco. La Mission House a Sophiatown emerge, perciò, all’interno del romanzo come una sorta di oasi multietnica, in cui preti e missionari di ogni provenienza collaborano e “who try to rebuild in a place of destruction” (p. 98): essa costituisce un flebile raggio di luce e speranza nel caos di Johannesburg, a testimonianza di un impegno nella lotta alla segregazione e alla separazione etnica attraverso uno strumento incomparabile, l’amore cristiano concepito nella sua “operatività”.

5. L’attivismo politico nero: John Kumalo come esempio di una realtà