Nonostante la produzione di Paton sia, come abbiamo visto, estremamente ampia e variegata, la sua opera senza dubbio più conosciuta nel vasto panorama letterario internazionale, ed anche maggiormente analizzata e studiata, è il romanzo Cry, the
Beloved Country. Prima di intraprendere un percorso di riflessione sulle tematiche e
sugli aspetti caratterizzanti, è opportuno rendere conto delle circostanze e delle motivazioni che portarono l’autore a produrre quello che, certamente, può essere considerato uno dei suoi lavori migliori. La genesi e il background di Cry, the
Beloved Country sono, infatti, molto particolari ed hanno svolto un ruolo decisivo
nella determinazione dello stile e della forma finale del testo, in un modo che non si è più ripetuto durante l’intera carriera dell’autore.
Il romanzo fu pubblicato nel 1948, un anno particolarmente significativo per il Sud Africa, a causa delle elezioni nazionali che affidarono la guida del paese al partito nazionalista di Malan, ma la sua storia ebbe inizio ben due anni prima. Nel 1946, infatti, Paton iniziava mostrare segni di stanchezza riguardo al proprio ruolo di direttore a Diepkloof, dove si trovava ormai da undici anni: la ricerca di nuove misure e soluzioni, soprattutto relazionate alla sfera politica, lo rendevano inquieto e desideroso di impegnarsi in un nuovo progetto. Per questo motivo, dopo una attenta e ponderata pianificazione, e con il sostegno della moglie Dorrie, Paton decise di intraprendere un viaggio per visitare e studiare le istituzioni penali di tutto il mondo,
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con l’obiettivo di tornare in patria con alle spalle un’esperienza formativa rilevante, che gli desse più certezze di incidere efficacemente nel panorama pubblico sudafricano. Dopo una tappa in Rhodesia, nel marzo del 1946, si consolidò in lui l’idea della necessità di compiere un tour più ampio in visita alle prigioni e agli istituti dei paesi stranieri, da cui il Sud Africa avrebbe avuto probabilmente molto da imparare.
Paton iniziò quindi il proprio viaggio l’8 giugno dello stesso anno, in un misto di eccitazione e timore, poiché la sua prima destinazione, Londra, fu da lui raggiunta tramite uno dei primi voli di linea dell’epoca.1 In Inghilterra, dove riuscì a sistemarsi in alloggi poco dispendiosi grazie alle sue numerose conoscenze, rimase inoltre sconcertato da come gli effetti della guerra da poco conclusasi avessero segnato il territorio, in particolare la capitale, che egli ricordava dal suo precedente viaggio (compiuto nel 1924) come una città estremamente sfarzosa e ricca, se confrontata con l’ambiente sudafricano. Prima di imbarcarsi nel progetto che era la motivazione del suo viaggio, Paton partecipò per un breve periodo ad una serie di conferenze organizzate dalla Society for Christians and Jews, tramite la quale fece la conoscenza di molti americani, i quali si sarebbero rivelati molto disponibili nei suoi confronti e lo avrebbero a breve ospitato nel lungo tour che l’autore avrebbe svolto nel loro paese. Il 6 agosto Paton iniziò finalmente le proprie visite agli istituti penitenziari britannici, annotando in un diario ogni dettaglio e, soprattutto, operando un confronto con Diepkloof: emerse fin da subito la sua sorpresa, ma anche l’orgoglio, nel constatare che le condizioni del suo istituto in Sud Africa non erano molto diverse da quelle del contesto inglese, soprattutto per quanto riguardava la percentuale delle evasioni.
Il 5 settembre concluse le sue visite in Inghilterra e continuò l’itinerario, spostandosi in Svezia: qui, mentre il suo progetto di ispezione e studio degli istituti penali andava avanti, crebbe sempre di più in lui un senso di forte nostalgia per la sua famiglia e per la sua terra, il Sud Africa. Questo sentimento, che si era già manifestato durante il soggiorno a Londra e che emergeva chiaramente da ogni lettera che l’autore inviava settimanalmente alla moglie (in cui spesso esternava sfoghi simili a questo: “Everywhere I go here, I think always back to South Africa &
1 Cfr. P
55 to the place we have been to & seen”)2
, si acuì progressivamente con il passare del tempo, particolarmente in Svezia, con lo sterminato paesaggio di campagna e la somiglianza della lingua locale con l’Afrikaans. I penitenziari da lui visitati in questa nazione si dimostrarono molto più ricchi ed attrezzati rispetto a quelli sudafricani, ma, nonostante ciò, egli non riuscì ad ignorare che i risultati da lui ottenuti a Diepkloof erano sostanzialmente gli stessi, considerando inoltre il fatto che il tasso di criminalità in Sud Africa era estremamente più elevato che in Svezia.
La svolta sarebbe arrivata, però, durante il suo soggiorno in Norvegia, dove si recò il 24 settembre per un breve periodo di vacanza prima di fare ritorno in Inghilterra. Fin dai primi momenti, questa sconosciuta e misteriosa regione nordica, che Paton tanto desiderava visitare, generò in lui sentimenti contrastanti, in cui si mescolavano nostalgia ed eccitazione, come egli stesso affermò ripensando a questo giorno, molti anni dopo: “I was in a strange mood, I spoke a grat deal to myself, composing sentences which seemed to me to be very beautiful”3
. Queste sensazioni aprirono la strada al momento decisivo per l’ispirazione letteraria, poche ore dopo l’arrivo a Trondheim, la città che avrebbe dato inizio al cammino ascendente dell’autore. Infatti, nelle prime ore del soggiorno norvegese, Paton si recò ad ammirare la famosa ed imponente Cattedrale Nidaros. La vista di questo monumento e della sua bellezza, leggermente oscurata dalle luci del tramonto, gli procurò un’illuminazione:
It was now almost dark, and the cathedral itself was in darkness. [...] It is the most beautiful cathedral in Norway, and kings are crowned there. It has also one of the most beautiful rose windows in the world, and when we had finished our tour we sat down in two of the front pews and looked at it. [...] We did not speak, and I do not know how long we sat there. I was in the grip of powerful emotion, not directly to do with the cathedral and the rose window, but certainly occasioned by them. I was filled with an intense homesickness, for home and wife and sons, and for my far-off country.4
L’episodio sopra descritto costituisce, quindi, una sorta di momento epifanico per Paton, il quale, osservando la bellezza della cattedrale, viene folgorato da una serie di
2 A
LAN PATON, lettera inedita diretta alla moglie, 1/09/1946, cit. ivi, p. 192.
3 A
LAN PATON, Towards the Mountain, 1980, cit. ivi, p. 194.
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emozioni e sentimenti rivelatori. Il rosone sulla facciata, su cui l’attenzione si focalizza maggiormente, funge da elemento scatenante di un momento di rivelazione improvvisa e spirituale: un’epifania, appunto, capace di sprigionare un sentimento di esaltazione e, contemporaneamente, nostalgia. Il prodotto di tale inaspettata illuminazione fu, in questo caso particolare, l’ispirazione artistica per la stesura del primo capitolo di Cry, the Beloved Country, come racconta lo stesso autore:
It must have been about six o’clock when I reached my room, and I sat down and wrote these words: “There is a lovely road that runs from Ixopo into the hills. These hills are grass-covered and rolling, and they are lovely beyond any singing of it”. That is how the story started. I do not remember if I knew what the story was to be. But the first chapter of Cry, the Beloved Country was written in my room at the hotel Bristol, while I was waiting for Mr. Jensen to come to take me to dinner.5
Da questo momento in poi, la stesura del romanzo avrebbe occupato ogni momento libero di Paton, il quale ne sarebbe progressivamente diventato “ossessionato”, come in preda ad un inesauribile impulso che, al contrario, sarebbe venuto meno per i due romanzi da lui pubblicati successivamente. In poco tempo, stilò una scaletta con i temi e i punti fondamentali dell’opera, incentrata sulla storia di un povero prete nero di campagna, Stephen Kumalo, impegnato nel disperato tentativo di riunificare il proprio nucleo familiare. Per questo motivo, Kumalo intraprenderà un lungo viaggio verso Johannesburg, alla ricerca della sorella, Gertrude, e del figlio, Absalom, i quali avevano abbandonato il villaggio nella speranza di trovare un lavoro in una città dalla quale, però, non erano più tornati. Entrambi hanno infatti imboccato una strada pericolosa: Gertrude è coinvolta in un giro di prostituzione e produzione illegale di alcolici, mentre su Absalom grava una pesante accusa di omicidio ai danni di un giovane uomo bianco, Arthur Jarvis. Nel corso del romanzo, Absalom verrà processato e condannato a morte, mentre Kumalo farà ritorno al villaggio di origine con il nipote e la nuora. Il finale vede però una riconciliazione tra l’anziano prete e il padre di Arthur, James Jarvis, il quale si impegnerà personalmente per promuovere il superamento del divario tra la comunità bianca e quella nera nell’area del Natal.
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Come emerge dalla trama, il tema principale è nuovamente costituito dallo scontro fra due diverse culture, quella bianca e quella nera, che sfocia però nella speranza di una possibile riconciliazione finale, perlomeno a livello dei rapporti interpersonali. Per questo motivo, Cry, the Beloved Country può essere considerato anche come una sorta di “documento sociale”, in cui il pathos ed i numerosi riferimenti simbolici vengono rapportati a elementi realistici, tratti dalla vita contemporanea: ad esempio, molti dei personaggi evocano persone realmente esistite o conosciute dall’autore, mentre svariati sono gli accenni ad eventi storici connessi al Sud Africa, come i boicottaggi degli autobus iniziati nel 19406.
Comunque, Cry, the Beloved Country fu anche ispirato dalle varie letture che Paton fece durante questo viaggio, le quali contribuirono in maniera significativa alla formazione di nuclei importanti della fabula. Il primo di questi testi è sicuramente il romanzo di John Steinbeck, noto autore statunitense, intitolato The Grapes of Wrath (1939), che Paton aveva letto durante la propria permanenza in Svezia. Il romanzo narra la storia di una famiglia contadina dell’Oklahoma costretta dalla depressione economica ad abbandonare la propria terra e ad affrontare un faticoso viaggio verso la California, alla ricerca di un futuro migliore. La California non soddisfa per niente le aspettative dei protagonisti, ma si rivela anzi uno scenario di ulteriore miseria. Il romanzo di Steinbeck ebbe, chiaramente, un profondo effetto su Paton, il quale ne trasse l’ispirazione per il tema del viaggio, inteso come esodo negativo (imprescindibile è pure il rimando alla matrice allegorica di The Pilgrim’s Progress di John Bunyan, come si vedrà). I protagonisti di The Grapes of Wrath, così come i membri della famiglia di Kumalo, intraprendono un viaggio alla ricerca di una “terra promessa”, che però si rivela illusoria, fallace, una sorta di inferno labirintico all’interno del quale essi finiscono inesorabilmente per perdersi.
Il secondo testo che esercitò una forte influenza per la stesura dell’opera patoniana è Growth of the Soil (1917) dell’autore norvegese Knut Hamsun; il romanzo, scritto in uno stile riconducibile al realismo tipico di certi autori nordici, ma caratterizzato
6 Nella prefazione al romanzo, comunque, Paton puntualizza anche che il testo non può essere
considerato semplicemente come un “social record” o una mera trasposizione della realtà sudafricana, poiché al suo interno gli elementi realistici vengono fusi in maniera imprescindibile con quelli fittizi, frutto dell’immaginazione letteraria. L’autore sentì quindi la necessità di fare chiarezza in questa nota iniziale, probabilmente pensando alle ripercussioni politiche che sarebbero scaturite dalla pubblicazione dell’opera, che uscì prima in America, ma che in breve tempo iniziò a circolare anche in Sud Africa.
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da un tono lirico e a tratti allucinatorio, riporta le vicende di Isak e della sua famiglia, la quale ha scelto di vivere nella regione più settentrionale della Norvegia per mantenere uno stretto contatto con la natura. Emerge in questo caso il senso dell’attaccamento alla vita rurale e un’avversione nei confronti del “progresso” della modernità. Hamsun, così come Paton, considerava l’innovazione tecnologica e industriale, applicata in modo selvaggio, come un pericolo per il genere umano, spinto così nel baratro della corruzione morale e dell’arrivismo. Indubbiamente, i concetti sviluppati in Growth of the Soil trovano spazio all’interno del romanzo di Paton, dove emerge analogamente un’opposizione fra l’ambiente “salvifico” rurale e la corruzione e la depravazione della società metropolitana moderna. Un altro testo a cui Paton era molto legato e che esercitò su di lui una profonda influenza, plasmando la matrice allegorica è indubbiamente The Pilgrim’s Progress (1678), l’allegoria cristiana di John Bunyan da cui egli riprese i motivi del viaggio in fuga dalla distruzione e della quest, sia fisica che spirituale.
Se i tre testi sopra citati contribuirono, quindi, a rafforzare in Paton la convinzione che la vita rurale avesse un effetto profondamente positivo sull’uomo, la cui speranza di salvezza non poteva essere scissa dalla contemplazione di un ritorno alle origini (paradigma che costituirà la base fondante di Cry, the Beloved Country), un ultimo romanzo incise sulla stesura e sulla struttura del testo patoniano. Si tratta di Black
Boy (1945), opera dell’autore americano nero Richard Wright e sorta di romanzo di
formazione in cui egli rivisitò la propria storia personale, mettendo in evidenza, attraverso l’uso di uno stile crudamente realistico, le difficoltà e le ostilità incontrate nel corso della vita, con particolare attenzione ai rapporti fra neri e bianchi all’interno del contesto sociale americano. Sebbene nel romanzo di Paton non siano presenti riferimenti diretti all’opera di Wright, essa ha certamente svolto un ruolo importante in relazione all’inserimento di episodi come quelli collegati ai disordini sociali e alle violenze del periodo.
Terminato il periodo di vacanza in Norvegia, Paton fece ritorno in Inghilterra per concludere le visite agli istituti penitenziari lì programmate, ma l’impeto della scrittura non lo abbandonò mai ed egli continuò a scrivere in ogni momento libero a sua disposizione. Il 6 novembre lasciò finalmente il Regno Unito alla volta dell’America, dove giunse, in un crescente stato di eccitazione febbrile, cinque giorni
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dopo. New York gli si presentò come una città enorme, estremamente moderna e, diversamente da Londra, animata da uno slancio ottimistico dopo la fine del recente conflitto mondiale. Paton dette subito inizio al proprio tour di ispezione delle numerose prigioni americane, ma, ancora una volta, il confronto con il riformatorio da lui gestito a Diepkloof non sembrò evidenziare differenze significative con gli istituti statunitensi. Pur impegnato ogni giorno a perseguire lo scopo principale del suo viaggio, Paton continuò a dedicarsi quotidianamente alla stesura del suo primo romanzo, un’operazione che, con sua sorpresa, si rivelò fluida ed “immediata”. La considerazione che egli dava al testo affiorò già in queste fasi iniziali, grazie alle lettere indirizzate alla moglie: “Anyway I prefer writing my book, & I am feeling already that this is going to be the most worth-while part of my trip”7. L’ispirazione creativa che lo aveva colto in Norvegia non si arrestò, quindi, in America, dove anzi venne alimentata da nuove esperienze, contribuendo ad una sempre maggiore evoluzione sia della trama, sia dei personaggi (come accadde, ad esempio, a Washington, al cospetto del Lincoln Memorial, il monumento alla memoria del presidente Abraham Lincoln, il quale fornì elementi di ispirazione per la caratterizzazione del personaggio di Arthur Jarvis).
Mentre i suoi spostamenti in treno per tutti gli Stati Uniti proseguivano, Paton ebbe modo di constatare personalmente la bellezza del “nuovo mondo”, oltre che la generosa ospitalità degli americani nei suoi confronti: in molte occasioni, infatti, alloggiò nelle dimore di uomini e donne conosciuti per caso, oppure in circostanze istituzionali, e molti di loro avrebbero instaurato con lui duraturi rapporti di stima ed amicizia. I paesaggi sterminati e spesso selvaggi del continente americano, come quelli della California o del Texas, fecero d’altro canto scaturire in Paton un sentimento di malinconia per il Sud Africa, componente di pathos che l’autore finì per riversare all’interno del proprio manoscritto. Con l’inoltrarsi del mese di dicembre, il romanzo si avvicinava alla sua conclusione e Paton era sempre più soddisfatto e convinto del valore del proprio lavoro, seppur ancora inconsapevole dell’effettivo potenziale: “I’ve written a book about South Africa which, good or bad, satisfies me in my depths”8
.
7 A
LAN PATON, lettera inedita diretta alla moglie, 18/11/1946, cit. in PETER.F.ALEXANDER, op.
cit., p. 204. 8 A
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Fu durante le festività natalizie che egli giunse alla stesura dei capitoli conclusivi di Cry, the Beloved Country: come riporta una delle innumerevoli lettere indirizzate alla moglie Dorrie, le ultime parole del romanzo furono scritte il 29 dicembre 1946, quando egli ancora non aveva idea di quale sarebbe stata la destinazione concreta di tanto lavoro.9 Il 24 dicembre aveva partecipato ad un party tenuto a San Francisco da Sonia Davur, una delle sue numerose conoscenze strette in Inghilterra: quella stessa sera incontrò per la prima volta Aubrey e Marigold Burns, una coppia che avrebbe avuto una parte decisamente importante per l’esito editoriale di Cry, the Beloved
Country. I Burns, entrambi appassionati di letteratura, invitarono Paton a trascorrere
il Natale in casa loro, dando così inizio ad un’amicizia profonda che sarebbe durata per il resto della vita. Quando Paton raccontò ai suoi generosi ospiti di aver scritto un romanzo “about South Africa”, essi insistettero per leggerlo, incuriositi ed attratti dall’argomento: Paton non avrebbe potuto chiedere di meglio, poiché furono i Burns, entusiasti e commossi dopo la lettura dell’opera, a spingerlo a presentare il manoscritto a diverse case editrici in vista di una pubblicazione.
Dopo che i suoi primi due lettori ebbero valutato in modo estremamente positivo il suo romanzo, si fece sempre più strada in Paton l’idea di dare una conclusione materiale al proprio impegno, cercando di ottenere la pubblicazione del manoscritto in America e successivamente, se ciò non fosse risultato possibile, in Sud Africa. Per questo motivo, i Burns lo aiutarono nella scelta del titolo più adatto, suggerendo anche una serie di possibili varianti; inizialmente, pensarono a The Tribe that is
Broken, ma poi la scelta ricadde all’unanimità su una frase che all’interno del testo
ricorre quattro volte, ossia Cry, the Beloved Country. Il primo elemento che l’autore volle così mettere in evidenza era il proprio legame con il Sud Africa, che egli ritrasse non con astio o commiserazione, ma con un sentimento di speranza e di amore (per il paese intero e tutte le etnie presenti al suo interno, per il suo paesaggio, le sue tradizioni e la sua storia)10.
9
Cfr. PETER.F.ALEXANDER, op. cit., p. 207.
10 Occorre ricordare che il titolo del romanzo, con la formula “beloved country”, oltre a rimarcare
il profondo attaccamento di Paton al Sud Africa (emerso in un momento di temporanea separazione, in occasione del viaggio durante il quale egli compose il testo), mette in evidenza altri due aspetti compresenti all’interno dell’opera e veicolati dall’espressione “cry”. In inglese, infatti, il verbo to cry ha un duplice significato: il più immediato è quello che rimanda alla sfera semantica del pianto e, in questo caso, esprime il lamento per la profonda devastazione della propria terra e per la distruzione dei rapporti umani. Un secondo significato è però quello che si riferisce al “gridare”: probabilmente,
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Il sottotitolo “A Story of Comfort in Desolation” non è presente nell’edizione americana, ma fu aggiunto in seguito nella versione britannica (di poco successiva), per sottolineare la centralità del tema della devastazione operata dal razzismo all’interno delle vite dei sudafricani.
I Burns, infine, fornirono a Paton una lista delle case editrici contattabili in America, indirizzandolo verso alcune delle più note ed influenti.