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I Burns, decisi a individuare un editore potenzialmente interessato prima che Paton tornasse in patria, si adoperarono personalmente per fare delle copie di parti del romanzo, da loro inviate ad una serie di case editrici.

Nel frattempo, Paton continuò il suo viaggio, recandosi in Canada e rimanendo in attesa di ricevere qualche responso dagli editori contattati. Al suo arrivo ad Ottawa, già lo attendevano almeno quattro lettere contenenti le risposte di editori interessati a

Cry the Beloved Country, una delle quali proveniente dalla Charles Scribner’s Sons:

questa era una delle case editrici più rinomate ed influenti di New York, il cui redattore, Maxwell Perkins, era famoso per aver collaborato con autori del calibro di Ernest Hemingway, Scott Fitzgerald e Thomas Wolfe, e per la sua visione ben precisa della letteratura. Perkins era infatti fermamente convinto che un buon testo letterario dovesse essere in grado di “stupire” il lettore con la bellezza e la particolarità dello stile, ma, allo stesso tempo, di “istruire”, aprendo squarci illuminanti sulla realtà.11

Paton stimava la Charles Scribner’s Sons, essendo un ammiratore di molti degli autori da essa pubblicati, e perciò la possibilità di essere annoverato tra loro lo entusiasmò al punto che si affrettò a spedire a New York una copia integrale del manoscritto. Il 4 febbraio 1947 incontrò finalmente Perkins nel suo studio a New

quindi, Paton ha voluto sottolineare già dal titolo stesso un aspetto più direttamente accusatorio, denunciando i comportamenti criminali dei bianchi nei confronti dei nativi. Nonostante la traduzione italiana del titolo abbia privilegiato l’elemento del pianto (parafrasandolo con l’espressione Piangi,

terra amata), è importante tenere a mente che in tutta probabilità, per l’autore, i due aspetti

occupavano un ruolo di pari rilievo e costituivano certo due caratteri imprescindibili dell’opera.

11 Cfr. E

DWARD CALLAN, Cry, the Beloved Country. A Novel of South Africa, Twayne Publishers, Boston 1991, p. 15.

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York: questi, avendo letto soltanto i primi sei capitoli, ed essendone rimasto comunque decisamente colpito, fissò un altro appuntamento con l’autore, assicurandogli che, entro tre giorni, avrebbe ricevuto una risposta concreta. Il 7 febbraio, quindi, Paton si presentò al secondo incontro con Perkins, ansioso di conoscere il responso definitivo, scoprendo finalmente, nell’ufficio dello stesso Charles Scribner, che il romanzo era stato accettato.

Paton non avrebbe potuto sperare di meglio e, pur avendo ricevuto anche altre interessanti proposte, firmò il contratto con la Scribner’s Sons. Si imbarcò poi il 18 febbraio 1947 per fare finalmente ritorno in Sud Africa, dove mancava ormai da circa otto mesi; dopo ben quattro settimane di navigazione, durante le quali si dedicò principalmente alla stesura di un resoconto del proprio tour di ispezioni penitenziarie, approdò al porto di Città del Capo (21 marzo). Da lì raggiunse in treno Johannesburg, dove lo aspettavano la moglie e i suoi due figli, ancora ignari del futuro esaltante che si sarebbe di lì a poco profilato per la loro famiglia.

In attesa della pubblicazione, Paton tornò quindi a Diepkloof, dove continuò il proprio lavoro sulla base di ciò che aveva appreso durante il viaggio all’estero: il suo entusiasmo per il progetto del riformatorio stava però scemando, soprattutto a causa dei concomitanti cambiamenti nella situazione politica. Il Partito Nazionale si avviava infatti verso un eclatante successo elettorale ed i primi provvedimenti segregazionisti stavano già alimentando un’atmosfera cupa in tutto il paese: la situazione sarebbe precipitata nella primavera del 1948, quando fu ufficialmente istituito il regime dell’apartheid, in seguito alle elezioni nazionali. Il romanzo di Paton, pubblicato in quello stesso anno (nonostante fosse stato composto in un periodo precedente), costituisce quindi un documento di grande importanza per il suo messaggio politico e morale, in un frangente delicato e nevralgico per le sorti nazionali.

Mentre attendeva di vedere pubblicato Cry, the Beloved Country, Paton spedì una copia del manoscritto ad alcuni dei suoi amici più intimi, fra i quali Jan H. Hofmeyr. Nonostante l’autore avesse anticipato all’amico alcuni elementi già nel periodo immediatamente successivo alla prima stesura, e sperasse in una sua approvazione, rimase invece profondamente deluso dalle critiche mosse da Hofmeyr, le quali riguardavano principalmente la scelta del titolo e la costruzione del personaggio di

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Gertrude, la sorella di Kumalo. Paton difese dal canto suo queste scelte, argomentandole soprattutto in relazione alle circostanze in cui l’opera era stata concepita, tra stanze d’albergo e viaggi in treno. Da questo momento in poi, il rapporto con l’amico ministro si incrinò e l’autore non anelò più a ottenere la sua approvazione come aveva fatto in passato, convincendosi di poter offrire un supporto al proprio paese in maniera autonoma: “I am also deeply grateful that my sense of individual significance, which had been waning as I told you, has returned to me. I feel that I am going to do something for South Africa after all.”12

.

Cry, the Beloved Country sarebbe stato pubblicato a New York il 1 febbraio 1948,

circa un anno dopo il ritorno di Paton in Sud Africa: durante questo lungo periodo di attesa, l’autore si tenne sempre in contatto con Perkins e Scribner, i quali suggerirono alcune lievi modifiche, ma lo rassicurarono anche sulle innegabili qualità della rappresentazione da lui operata del Sud Africa e dei suoi dilemmi inerenti alla questione razziale: “It gives an extraordinary realization of the country and of the race problem, not as a problem but as a situation”13

.

Nonostante l’atteggiamento fiducioso di Paton ed i giudizi positivi degli editori, nessuno poteva comunque immaginare che Cry, the Beloved Country sarebbe diventato un indiscusso best-seller nei giorni immediatamente successivi alla sua entrata nel mercato: pochi giorni dopo, il romanzo era infatti già esaurito e furono necessarie diverse ristampe per soddisfarne le numerosissime richieste. L’inaspettato, ma non per questo immeritato, successo fu accompagnato da un rincorrersi di recensioni da parte di critici letterari e giornalisti, che diedero segno di apprezzamento. Uno dei primi ad esporre la propria valutazione positiva fu, ad esempio, il noto critico letterario Orville Prescott, il quale sul New York Times definì

Cry, the Beloved Country “a beautiful and profoundly moving story, a story steeped

in sadness and grief but radiant with hope and compassion”14. Prescott fu presto seguito da altri influenti critici e intellettuali dell’ambiente letterario americano, come Richard Sullivan, che sottolineò in particolare la profondità del dramma

12 A

LAN PATON, lettera inedita diretta a Jan H. Hofmeyr, 22/02/1948, cit. in PETER. F. ALEXANDER, op. cit., p. 224.

13

A. SCOTT BERG, Max Perkins: Editor of Genius, 1987, cit. in EDWARD CALLAN, Cry, the

Beloved Country. A Novel of South Africa, cit., p.16. 14 O

RVILLE PRESCOTT, recensione a Cry, the Beloved Country, New York Times, 2/02/1948, cit. ivi, p.17.

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espresso all’interno del romanzo, mettendo in evidenza come i suoi temi e argomenti principali, poco noti alla maggioranza del pubblico statunitense, fossero in realtà espressione di valori universali.

Alcuni critici apprezzarono lo stile utilizzato da Paton, come ad esempio Margaret Hubbard, la quale vi individuò il tratto più lodevole dell’intero romanzo, definendo l’inglese dello scrittore sudafricano “a new cadence, derived from the native tongues”15. La Hubbard, come molti altri, mise perciò in evidenza la particolarità della resa linguistico-stilistica, plasmata dal ritmo e dalle cadenze delle lingue Zulu e Xhosa, le quali si sarebbero fuse con l’inglese per dare origine ad una sorta di

melting-pot16. Lewis Gannet fu un altro a lodare in particolar modo questo stile, sottolineando come Paton fosse riuscito ad unire nella stessa opera le sue qualità di poeta, romanziere e osservatore attento della realtà sociale.

Comunque, le recensioni di Cry, the Beloved Country non commentarono soltanto lo stile ed il linguaggio, ma anzi molti critici si soffermarono anche sui personaggi, evidenziando il pathos e il sentimento di speranza che pervadono l’intera opera; è il caso, ad esempio, di Edith James, la quale ha inoltre colto il respiro universale del testo, in grado di catalizzare nel lettore una riflessione profonda: “Here is a book which presents a clear and compassionate picture of one land and yet is universal in its basic theme. It is a book to read and enjoy and then to read again and ponder over”17

.

Il 27 settembre 1948 Cry, the Beloved Country fu pubblicato anche in Inghilterra (grazie all’accordo siglato con Jonathan Cape dalla nuova agente letteraria di Paton, Annie Laurie Williams), dove ottenne un ulteriore, immediato successo di critica e pubblico. Le recensioni, tuttavia, si distinsero in alcuni aspetti da quelle americane, poiché si focalizzarono in misura maggiore sulla questione delle relazioni interrazziali presente all’interno del romanzo, probabilmente sulla scia delle notizie che arrivavano in merito ai recenti sviluppi della politica interna sudafricana. Questi sviluppi, che portarono all’istituzione dell’apartheid, e il boom di vendite di Cry, the

Beloved Country furono le due principali cause per cui Paton decise di lasciare

15 M

ARGARET CARSON HUBBARD, recensione a Cry, the Beloved Country, New York Herald

Tribune Weekly Book Review, 1/02/1948, cit. in PETER.F.ALEXANDER, op. cit., p. 220.

16 Cfr. E

DWARD CALLAN, Alan Paton, cit., p. 57.

17 E

DITH JAMES, recensione a Cry, the Beloved Country, San Francisco Chronicle, 15/02/1948, cit. in EDWARD CALLAN, Cry, the Beloved Country. A Novel of South Africa, cit., p. 19.

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ufficialmente il proprio incarico di preside del riformatorio di Diepkloof, rassegnando le dimissioni il 31 marzo 1948. Con l’ascesa al potere del partito nazionalista afrikaner era ormai evidente che l’esperimento condotto a Diepkloof sarebbe stato ben presto interrotto, sostituito da norme e provvedimenti di stampo separatista, per cui l’autore varcò per l’ultima volta il cancello del riformatorio il 30 giugno dello stesso anno, con l’intenzione di iniziare a servire il proprio paese attraverso quello che considerava, in quel frangente, un mezzo per lui più efficace, ossia la letteratura.

In Sud Africa, il romanzo circolò soltanto in seguito alle elezioni nazionali del 1948 e ricevette delle recensioni contrastanti, dovute certamente alle divisioni etniche presenti all’interno del paese. Se, infatti, molti sudafricani di origine inglese dimostrarono di apprezzare il testo ed il suo stile lirico, una parte di loro lo ritenne invece propagandistico e, dunque, poco veritiero. Gli afrikaner condivisero prevedibilmente quest’ultima valutazione, ritenendo che la rappresentazione del Sud Africa avallata da Paton non rispecchiasse la situazione reale del paese.18 Se la reazione della parte afrikaner era abbastanza ovvia, la ricezione del romanzo nella comunità nera fu più spiazzante: mentre l’oppressione dell’apartheid si faceva sempre più consistente, il romanzo patoniano fu spesso criticato da parte degli esponenti di molte associazioni nere, in quanto a loro avviso troppo dipendente dal punto di vista dell’uomo bianco.

Nonostante gran parte della critica nera non avesse levato un plauso a Cry, the

Beloved Country, quello che più ferì Paton furono le riserve di alcuni dei suoi più

fidati amici e colleghi, in particolare Railton Dent. Paton, che a Dent si era ispirato per la caratterizzazione del personaggio di Arthur Jarvis, aveva inviato all’amico una copia del romanzo nel maggio del 1948, convinto di ricevere da lui un riscontro positivo, ma, come era avvenuto con Hofmeyr, rimase molto deluso. Dent, infatti, gli inviò una lettera in cui, dopo aver inizialmente lodato lo scritto dell’amico, definendolo una delle opere più importanti e commoventi dell’intera produzione letteraria sudafricana, manifestò perplessità riguardo diversi aspetti del testo, che riteneva troppo idealistico. Ciò per Paton fu uno smacco, poiché nella stesura del romanzo la sua mano era stata guidata soprattutto dalla volontà di dare espressione

18 Cfr. E

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alle idee che avevano unito i due amici fino a quel momento; la lettera che egli inviò in risposta a Dent mostra chiaramente un certo risentimento e lo sforzo di difendere l’opera. Il suo obiettivo non sarebbe mai stato produrre qualcosa di interesse puramente artistico, ma, al contrario, un testo che avesse un’importanza sociale e che dipingesse un quadro della reale situazione sudafricana:

I must say also that I had in this book no desire to produce art which would have no reference. […] I do not know what I shall do next; but it may well be another book with a purpose. I would rather write a book that would help our cause than write all the plays of Shakespeare, as I feel now.19

A parte queste critiche, la fortuna di Cry, the Beloved Country si dimostrò solida: dopo la prima pubblicazione nel 1948, il romanzo ha continuato a vendere migliaia di copie in tutto il mondo. Il testo è stato tradotto, nel corso degli anni, in più di venti lingue, fra cui il francese, l’italiano, il tedesco, il norvegese, lo svedese, il danese ma anche lo zulu e molte lingue asiatiche. La misura del successo di Cry, the Beloved

Country non va però ricercata esclusivamente nel numero di copie vendute. Un’opera

che possa veramente definirsi di valore deve, infatti, permettere ai lettori di cogliervi una verità profonda e un potenziale etico e epistemologico. Il romanzo patoniano ha saputo distinguersi nel panorama della letteratura sudafricana per una serie di motivi, primo fra tutti la capacità dell’autore di rappresentare in maniera densa e sostanzialmente fedele, attraverso un’incisiva galleria di personaggi e situazioni, la società ed il dramma della sua beloved country: il romanzo permise, soprattutto, al pubblico straniero di conoscere la realtà di un paese lontano e per loro all’epoca quasi sconosciuto, alzando definitivamente il sipario sulla questione del razzismo in Sud Africa.

La forza di Cry, the Beloved Country risiede inoltre nel substrato allegorico, nel suo porsi come un apologo, una parabola in cui si condensano aspetti collettivi della condizione umana. Vi si rintraccia dunque anche una sorta di esperienza spirituale, soprattutto tramite la figura di Stephen Kumalo.

Non è un caso, quindi, che Cry, the Beloved Country sia ancora oggi uno dei romanzi sudafricani più letti ed emblematici; la sua influenza ed i suoi temi di respiro

19 A

LAN PATON, lettera inedita diretta a Railton Dent, 2/05/1948, cit. in PETER.F.ALEXANDER, op.

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universale (come, ad esempio, il rapporto conflittuale tra generazioni, i rapporti interrazziali, l’amore e la speranza, ma anche la legge e la criminalità) lo hanno reso un contributo fondamentale, poiché, come affermò Nadine Gordimer, esso è un testo

which suggested the need of a Christian solution to the political problem of racialism. It was a book of lyrical beauty and power that moved the conscience of the outside world over racialism and, what’s more, that of white South Africa as no book had done before.20