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Il romanzo di un mondo, il mondo in un romanzo: Cry, the Beloved Country di Alan Paton

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LINGUE E LETTERATURE

MODERNE EUROAMERICANE

TESI DI LAUREA

Il romanzo di un mondo, il mondo in un romanzo: Cry, the Beloved

Country di Alan Paton

CANDIDATO

RELATORE

Francesca Biancalani

Chiar.ma Prof. Laura Giovannelli

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A mio nonno Mauro, con tutto l’amore possibile.

A mia nonna Bruna, con la speranza che da Lassù possa essere orgogliosa di me.

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INDICE

PREMESSA ………..………. 1

INTRODUZIONE Alan Paton: origini e formazione ……….……… 3

CAPITOLO I Il macrotesto ……….………... 15

CAPITOLO II Cry, the Beloved Country: la nascita di un classico ………... 53

1. Genesi del romanzo ... 53

2. Pubblicazione e ricezione critica ……….……….. 61

3. Adattamenti teatrali e cinematografici ……….…………. 67

CAPITOLO III L’auspicio di una società multirazziale: bianchi e neri a confronto in Cry, the Beloved Country ……….…….. 75

1. Introduzione ……….……. 75

2. Due padri a confronto: Stephen Kumalo e James Jarvis ……….……...79

3. Il destino della gioventù sudafricana: Absalom Kumalo e Arthur Jarvis ... 90

4. L’oasi multietnica della Mission House: Theophilus Msimangu e Father Vincent ……….………... 104

5. L’attivismo politico nero: John Kumalo come esempio di una realtà emergente ...……….……… 111

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CAPITOLO IV

Il conforto nella Wasteland sudafricana ……….…. 126 1. Terra amata e deturpata ……….………..… 126 2. L’opposizione fra campagna e città e il fenomeno della broken tribe ….... 128 3. Sfruttamento del territorio e coscienza ambientale ……….…….... 134 4. La Holy Mountain, simbolo di rinascita e speranza ………...… 145

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PREMESSA

Nell’ambito della letteratura sudafricana anglofona, Alan Paton è stato certamente uno degli autori più rinomati ed apprezzati a livello internazionale. Caratterizzata da una forte impronta cristiana e liberale, tutta la sua vita è stata dedicata alla lotta e al sostegno per l’emancipazione e il dialogo interetnico tra i popoli del Sud Africa. Il suo non è stato, quindi, soltanto un contributo letterario, ma socio-politico, che lo ha visto impegnato su numerosi fronti. Scopo di questo elaborato è perciò delineare un quadro sfaccettato della figura di Paton per cercare di comprendere gli ideali che lo hanno ispirato e i risultati da lui ottenuti, soffermandoci in particolar modo sul suo primo e più celebre romanzo, Cry, the Beloved Country (1948).

L’introduzione a questa tesi contiene un breve accenno alla biografia dell’autore, a partire dai suoi rapporti interfamiliari e dagli anni della formazione scolastica e accademica, per passare poi dalle sue principali esperienze lavorative e giungere, infine, alla sua importante carriera politica all’interno del Liberal Party sudafricano.

Il Capitolo I mira invece a far luce sulla produzione letteraria di Paton, con lo scopo primario di individuarne i fili conduttori dagli albori della sua carriera fino alle opere della maturità: in prima istanza, vengono presi in considerazione i due romanzi successivi al masterpiece del 1948, riflettendo sull’ulteriore sviluppo delle tematiche in esso presenti, nonché sulla graduale maturazione personale ed artistica. Segue, quindi, un’analisi delle short stories, dei testi teatrali, delle biografie e autobiografie e, infine, dei più importanti articoli e contributi saggistici all’interno dei quali Paton espresse chiaramente la propria poetica e le proprie idee per il risollevamento del paese.

Il Capitolo II è dedicato a introdurre il romanzo più conosciuto di Paton ed oggetto di questa tesi. Essendo particolari e significative le circostanze che portarono l’autore alla composizione del suo primo vero testo letterario, ho ritenuto imprescindibile renderne conto, per poter comprendere appieno le varie sfaccettature che arricchiscono l’opera. Il primo paragrafo è incentrato perciò sugli stadi della genesi del romanzo, del quale, nei due paragrafi successivi, vengono ripercorsi i

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passi che portarono alla pubblicazione, le ricezioni critiche più rilevanti ed i numerosi adattamenti teatrali e cinematografici.

Nel Capitolo III l’attenzione è concentrata interamente sul testo di Cry, the

Beloved Country, partendo dalle relazioni inter-razziali, in connessione con i

personaggi principali del romanzo. In particolare, i vari personaggi sono stati messi a confronto nell’ottica di somiglianze e differenze, parametri etici e spessore simbolico, osservando il loro processo di evoluzione personale ed analizzando il loro atteggiamento comportamentale nell’interazione fra bianchi e neri. In questo modo, ho voluto mettere in evidenza varie componenti della società sudafricana del periodo immediatamente precedente all’apartheid, sottolineando la coesistenza di correnti più marcatamente razziste o conservatrici ed altre invece liberal-democratiche, ad espressione della visione stessa di Paton, seppur filtrata nel linguaggio della letteratura.

Il Capitolo IV conclude questo elaborato, affrontando il tema relativo ai problemi legati alla terra ed al suo sfruttamento selvaggio. Partendo da un confronto fra la rappresentazione dell’ambiente rurale e di quello urbano, seguendo un topos letterario classico, nell’ultima parte viene preso in esame il modo in cui Paton dipinge la questione della rottura dell’ordine tribale tradizionale e dello sfruttamento del territorio africano da parte dei bianchi. Infine, un ultimo sguardo viene diretto al substrato simbolico del paesaggio, ponendo particolare attenzione al motivo della montagna sacra e al messaggio di speranza e redenzione che essa veicola.

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INTRODUZIONE

Alan Paton: origini e formazione

There is only one way in which one can endure man's inhumanity to man and that is to try, in one's own life, to exemplify man's humanity to man.

Paton, “The Challenge of Fear”

Chiunque intenda procedere con un’analisi ed un commento di una o più parti dell’opera di un autore del calibro di Alan Paton (1903-1988), non può e non deve esimersi dal prenderne in esame la biografia, indagandone a fondo le convinzioni etiche, morali e politiche che certamente costituiscono la base fondante della sua carriera di scrittore. Se questa premessa è valida per qualsiasi artista in generale, non solo in ambito letterario, lo è ancora di più per un autore proveniente da uno scenario come quello sudafricano, un contesto in cui i contrasti e le contraddizioni generate dal lungo e complesso processo coloniale hanno sicuramente influenzato lo sviluppo di una letteratura peculiare e particolarmente segnata dalle vicissitudini storiche. Lo stesso Alan Paton affermava chiaramente che, per un autore sudafricano, il testo letterario, e di conseguenza il suo valore più profondo, è inestricabilmente e inevitabilmente vincolato al contesto della vita reale, poiché ne riporta al contempo i drammi e le speranze: secondo la sua opinione, un romanzo che non indagasse, direttamente o indirettamente, le tematiche e gli aspetti più complessi della realtà sudafricana non valeva la pena di essere scritto né pubblicato. Le sue abilità compositive e critiche si misurarono perciò nel terreno di produzioni impegnate, che permettevano di stabilire una connessione diretta con la difficile realtà sudafricana e che, allo stesso tempo, mettevano in luce gli ideali che l’autore mantenne e coltivò per tutto l’arco della propria vita.

Il percorso di crescita di Alan Paton va quindi misurato da un lato attraverso le sue proficue ed eterogenee composizioni letterarie, che comprendono complessivamente tre romanzi, raccolte di short stories, poesie, saggi, opere biografiche e drammaturgiche. Dall’altro lato, occorre tener conto delle sue

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numerose attività in ambito sociale e politico, soprattutto in relazione ai suoi interventi e il suo ruolo all’interno del Liberal Party sudafricano, nel quale l’autore ha militato per un lungo periodo ed in cui ha investito il suo tempo e le sue energie, abbandonando persino in vari momenti la carriera di scrittore per dedicarsi a quella politica. Per questo motivo, la sua produzione letteraria viene ancora oggi analizzata e letta soprattutto in chiave ideologica, mettendo in evidenza l’influenza esercitata su di lui dal liberalismo e dalla religione cristiana che, da sempre, hanno caratterizzato il suo modo di pensare e di concepire i rapporti e la convivenza umana1.

Alan Stewart Paton nacque l’11 gennaio del 1903 a Pietermaritzburg, una piccola città del Natal, all’epoca una delle colonie britanniche in Sud Africa, di cui era capitale; la cittadina, nonostante la lunga dominazione inglese, prese origine da un primo insediamento boero, poiché fu fondata nel 1838 dai cosiddetti Trekkers, cioè un gruppo di pionieri legati ai contadini boeri2 che, in seguito alla crescente egemonia inglese, scelsero di abbandonare la Colonia del Capo alla ricerca di nuovi territori, sottraendo nuovamente terreno ai nativi del luogo (in particolare Xhosa e Zulu)3. La provincia del Natal, nonostante le origini boere, è stata una delle zone in cui il dominio britannico e il legame con la madrepatria si sono espressi in misura maggiore, a partire dall’atmosfera e dall’architettura delle città e dei villaggi fino ad una spiccata resistenza nei confronti della cultura afrikaner: Pietermaritzburg ne rappresentava l’emblema, in quanto gli inglesi la resero il centro nevralgico della provincia, eleggendola a capitale legislativa.

1 Cfr.

A. PAJALICH, Una letteratura africana coloniale di lingua inglese, Supernova Edizioni, Venezia 1991, p. 219.

2 Si identificano con il nome di Boeri, poi Afrikaner, i membri appartenenti al gruppo discendente

dai primi colonizzatori di origine olandese e parlanti una lingua distintiva, cioè l’Afrikaans. La società boera, insediatasi inizialmente nell’area di Table Bay (il primo insediamento finanziato dalla Compagnia Olandese delle Indie Orientali risale al 1652) e della colonia del Capo, si impose sulle popolazioni native instaurando un vero e proprio dominio coloniale.

3

Intorno alla fine del XVIII secolo, in seguito ad una crisi dell’impero coloniale olandese, la Gran Bretagna iniziò ad interessarsi all’area sudafricana, intuendone i numerosi vantaggi e potenzialità e giocando un ruolo decisivo nella trasformazione del panorama coloniale africano. Si aprì quindi un lungo periodo caratterizzato da una serie di scontri tra i due gruppi, con un alternarsi del predominio sul territorio tra le due fazioni. Nel 1814 la colonia venne definitivamente consegnata nelle mani degli inglesi, ma i rapporti tra i due gruppi rimasero tesi al punto che, tra il 1834 e il 1850, i boeri rifiutarono l’autorità britannica e scelsero di intraprendere un percorso di migrazione alla ricerca di nuovi territori. Iniziò così quello che viene comunemente denominato Great Trek, che portò alla nascita della Repubblica del Natal nel 1839 (annessa nel 1843 alle colonie britanniche), della Repubblica Indipendente del Transvaal (1845) e della Repubblica dell’Orange Free State (1852), fino al costituirsi della Union of South Africa (1910), comprendente Transvaal, Orange Free State, Natal e la regione del Capo.

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Il legame con Pietermaritzburg e con il Regno Unito emergeva anche in seno alla famiglia dello stesso Paton, influenzando molti aspetti della vita e della carriera dell’autore. Il padre, James Paton, era un funzionario statale impiegato come stenografo alla Corte Suprema di Pietermaritzburg, ma le sue origini erano scozzesi: era infatti nato a Glasgow per poi, in seguito ad una prima giovinezza difficile, emigrare in Sud Africa in cerca di una migliore sistemazione. L’attaccamento e il senso di orgogliosa appartenenza alla terra natale rimasero però un elemento costante nella vita dell’uomo, il quale cercò, con scarso successo, di trasmettere tale attaccamento anche ai propri figli. Il carattere schivo e severo e le dure regole che imponeva ai membri di tutta la famiglia fecero sì che James non fosse particolarmente amato dai figli, ai quali tuttavia riuscì a tramandare alcune delle proprie passioni e dei propri valori: in particolare, l’amore per la natura, oltre che l’interesse per la letteratura e un profondo sentimento religioso. Questi elementi si radicarono soprattutto nel primogenito, Alan, su cui l’influenza del padre ha avuto però anche altri esiti, come egli stesso ha affermato nella prima parte della propria produzione autobiografica:

His use of physical force never achieved anything but a useless obedience. But it had two important consequences. One was that my feelings towards him were almost those of hate. The other was that I grew up with an abhorrence of authoritarianism, especially the authoritarianism of the State, and a love of liberty, especially liberty within the State. Another thing happened too. [...] I grew up to have – eventually, say thirty years later – a will which, though not inflexible or implacable, was in matters of principle unshakeable.4

Il rifiuto della violenza e di qualsiasi forma di autoritarismo sembra quindi emergere in Paton già dai primi anni della sua vita come contro-risposta all’atteggiamento dispotico del padre, il quale contribuì inconsapevolmente a far scaturire nel figlio una volontà e una determinazione ferree, che gli avrebbero permesso di raggiungere importanti obiettivi in futuro.

La madre di Paton, Eunice, un’insegnante nata in Sud Africa ma di origini inglesi, era invece una donna gentile e paziente, sia con i figli che col marito: il suo ruolo

4

ALAN PATON, Towards the Mountain, 1980, cit. in PETER F. ALEXANDER, Alan Paton. A

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nella prima educazione scolastica impartita ai figli influenzò sicuramente il primogenito, il quale ne seguì inizialmente le orme nell’ambito professionale, allorché ottenne un posto di impiegato nel settore educativo.

Fin dalla prima infanzia, Alan Paton mostrò di possedere abilità fuori dal comune: nel 1909, all’età di sei anni, venne iscritto alla sua prima scuola, la Berg Street Girl’s School, in cui si distinse immediatamente fra i compagni di classe. Eunice Paton aveva impartito a tutti i suoi figli un’educazione primaria di base ed Alan aveva imparato a leggere già all’età di tre anni: questo gli permise di avanzare velocemente tra le varie classi, cambiando scuola per ben due volte. Nel 1910 infatti, dopo appena un anno, venne iscritto alla Havelock Road Boys’ e successivamente, nel 1914, grazie ad una borsa di studio, riuscì ad ottenere un posto nel prestigioso e rinomato Maritzburg College, l’istituto scolastico più importante di Pietermaritzburg.

Nel 1919, all’età di appena sedici anni, si iscrisse poi al Natal University College, con l’obiettivo di conseguire un diploma in Scienze che gli permettesse di entrare nel corpo insegnante: l’ambiente universitario si dimostrò particolarmente stimolante per il giovane Paton, che qui iniziò a muovere i primi passi verso la sua carriera futura. In questo periodo cominciò ad affinare la sua abilità letteraria, come dimostrano le frequenti pubblicazioni sulla rivista universitaria, alla quale contribuiva attivamente componendo soprattutto poesie, ma anche i primi esperimenti di narrativa breve. All’università incontrò anche molti altri studenti con i quali confrontarsi, tra cui alcuni destinati a diventare amici intimi nel corso della sua vita e fonte di grande ispirazione per Paton. Fu sempre in questi anni che nell’autore iniziò a manifestarsi un importante cambiamento, alimentato sia dalle sue convinzioni religiose, sia da un ineluttabile e sempre maggiore interesse verso temi politici, come il problema delle condizioni di sudditanza che gravavano sulla popolazione nera5. Divenne presto membro attivo di varie associazioni studentesche, in particolare della Students’

Christian Association e dello Students’ Representative Council, ai cui programmi

partecipava energicamente, promuovendo sempre di più i valori di tolleranza e giustizia che già i suoi genitori e il suo credo gli avevano trasmesso.

Nel 1924 Paton intraprese il suo primo viaggio all’estero su iniziativa dei compagni universitari, che lo delegarono come rappresentante del Natal University

5 P

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College presso la Imperial Conference of Students, tenutasi a Londra e a Cambridge. In questa occasione emersero molti dei punti sui quali si sarebbe poi sviluppata la sua carriera futura, poiché il confronto con un mondo diverso gli aprì gli occhi sul sospetto con cui all’estero veniva giudicato il trattamento riservato in Sud Africa ai membri della comunità non bianca. Approfittando dell’occasione offertagli dai suoi compagni, Paton si apprestò a compiere quello che sarebbe stato il primo di una lunga serie di viaggi, un tour dell’isola britannica che lo portò a visitare i luoghi di origine della propria famiglia, senza rimanerne tuttavia particolarmente impressionato, per tornare poi in Sud Africa di buon animo: nonostante la passione per i viaggi e la forte curiosità che caratterizzava la personalità di Paton, l’amore e la lealtà verso quella che lui considerava la sua vera patria rimasero una costante anche quando, ormai noto scrittore di fama internazionale, avrebbe passato sempre più tempo all’estero.

Il rientro in Sud Africa segnò pure l’inizio della sua vita professionale, destinata a svolgere un ruolo fondamentale nello sviluppo del suo profilo di autore e uomo politico. Nel 1925, giovane e pieno di ambizioni, ottenne il primo vero impiego, come insegnante di scienze alla Ixopo High School, dove rimase fino al 1928. Ixopo è un piccolo villaggio di campagna, non molto distante da Pietermaritzburg, e la scuola a cui Paton venne destinato era riservata a studenti bianchi; qui si dedicò con impegno al suo compito, anche se dai suoi studenti sarebbe stato ricordato più per la severità che per l’attitudine all’insegnamento. Nonostante il lavoro lo tenesse impegnato per gran parte del tempo, la stanchezza non gli impedì di dedicarsi contemporaneamente anche ad altre attività, la più importante delle quali fu sicuramente l’organizzazione durante le vacanze scolastiche, insieme ad alcuni vecchi compagni universitari, di campeggi per ragazzi il cui scopo era quello di “to win boys […] to Christian principles on life and society”6

. Questi campeggi, organizzati annualmente, avrebbero avuto molta importanza nel corso della vita di Paton, sia perché gli permisero di consolidare maggiormente le sue convinzioni religiose, sia in quanto si rivelarono soprattutto l’occasione per conoscere Jan H.

6 A

LAN PATON, Hofmeyr, 1964, cit. in EDWARD CALLAN, Alan Paton, Twayne Publishers, New York 1968, p. 34.

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Hofmeyr, con il quale l’autore avrebbe instaurato una duratura amicizia7. Ad Ixopo conobbe inoltre quella che sarebbe diventata la sua prima moglie, cioè Doris Olive Francis, con cui si sposò nel luglio del 1928 e da cui ebbe due figli, David (1930) e Jonathan (1936).

Nel 1928 si trasferì nuovamente a Pietermaritzburg ed iniziò a lavorare al Maritzburg College, la scuola che lui stesso aveva frequentato anni prima, dove rapidamente si conquistò la fama di insegnante molto severo e temibile; in questo periodo, a causa della degradazione dovuta alla crisi finanziaria mondiale che stava influenzando anche il Sud Africa, crebbe in lui il desiderio di rendersi utile in modo pratico per la comunità in cui viveva. Il grande spirito morale spinse Paton ad impegnarsi personalmente per dare aiuto in modo particolare ai giovani, unendosi alla Toc H, un’associazione a scopo di beneficenza volta a fornire un sostegno alla comunità e improntata ai valori della fratellanza. Paton ne sarebbe diventato uno dei membri più attivi, continuando ad essere operativo in questa organizzazione per il resto della propria vita. In questa fase iniziò anche ad interessarsi del problema riguardante la popolazione nera in Sud Africa: finora, infatti, la sua attenzione si era concentrata soprattutto sul rapporto fra i due principali gruppi bianchi, gli inglesi e gli afrikaner, la cui convivenza era stata da sempre caratterizzata da rivalità e ostilità. Forte del suo spirito cristiano, Paton aveva invece sempre auspicato una piena riappacificazione tra i due gruppi. Questa speranza fu uno dei principali motivi per cui egli coltivò sempre di più l’amicizia con Jan H. Hofmeyr, che ammirava e con cui aveva molto in comune, augurandosi che potesse diventare per lui un mentore in campo politico. Paton nutriva infatti la speranza di potersi un giorno dedicare alla carriera politica, sognando di fondare insieme all’amico un partito che avesse come obiettivo primario la costruzione di un paese e di una società capaci di garantire la partecipazione a tutti i gruppi etnici presenti, ma questo obiettivo non era destinato ad avverarsi a breve termine.

Nel 1930 intraprese il percorso per ottenere un secondo diploma al Natal University College e nel frattempo divenne membro del South African Institute of

7

Jan H. Hofmeyr (1894 – 1948) è stato un importante politico sudafricano di origini afrikaner che ha avuto un ruolo di rilievo nel governo di Jan Smuts, governo nel quale sarebbe divenuto Ministro tra il 1939 e il 1948. Il suo contributo maggiore fu proprio quello dato al costituirsi dello United Party, che riuniva al proprio interno il South African Party e il National Party.

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Race Relations, un’organizzazione senza precise affiliazioni politiche il cui scopo

principale era combattere il pregiudizio razziale, come affermò lo stesso Paton: “while its task was to gather and disseminate objective information about all racial affairs, it was to be done from the point of view of those who believed in a common South African Society, and who regarded segregation as both impossibile and unjust”8

. La sua coscienza morale, profondamente forgiata dai principi della religione cristiana, lo spinse quindi ad interessarsi sempre più attivamente alle condizioni in cui versavano i diversi gruppi etnici in Sud Africa, incluso soprattutto quello costituito dalla popolazione nera. Egli era convinto della necessità di adottare un atteggiamento che andasse oltre le categorie di razza o colore della pelle e che mettesse invece alla base di ogni relazione umana il concetto di uguaglianza e giustizia: “He was beginning to see that a system which attempted to divide a country into hermetically sealed compartments was an impossibility”9.

Nel 1935 la carriera di Paton giunse ad una svolta decisiva: venne infatti assegnato al Diepkloof Reformatory, una sorta di istituto di prigionia dove erano detenuti i giovani criminali neri che non avevano compiuto ancora la maggiore età. All’arrivo di Paton, questa struttura, situata nelle vicinanze di Johannesburg, versava in condizioni decisamente critiche: gli edifici erano pressoché fatiscenti, la disciplina imposta ai detenuti era estremamente severa e le condizioni dei ragazzi erano miserabili. Il primo impatto con questa drammatica realtà scosse la coscienza di Paton e certamente influenzò in modo decisivo la sua politica d’azione futura, in particolare connessione con il Sud Africa: trovarsi a stretto contatto con membri della popolazione di colore e conoscere le loro tragiche storie personali gli aprì gli occhi sulle condizioni in cui i neri erano costretti a vivere e sugli effetti che un pregiudizio razziale ormai normato aveva sull’intera società sudafricana10

.

Avendo bene in mente un proprio progetto pedagogico e riformativo, Paton introdusse fin dai suoi primi giorni di servizio un cambiamento radicale nella gestione della struttura, trasformandola in breve tempo in un’istituzione in cui a tutti venivano riconosciuti i diritti civili basilari. In conformità con le proprie convinzioni,

8

ALAN PATON, Hofmeyr, 1964, cit. in EDWARD CALLAN, Alan Paton, cit., p. 44.

9 P

ETER F.ALEXANDER, op. cit., p. 121.

10 Cfr. T

HENGANI H.NGWENYA, “The Liberal-Christian Vision in Alan Paton’s Autobiography”, Current Writing: Text and Reception in Southern Africa, N. 9 (2), 1997, p. 44.

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egli si ripropose di trasformare Diepkloof in un luogo educativo il cui obiettivo principale non fosse più la detenzione, ma piuttosto la riabilitazione. I mezzi tramite i quali intendeva ottenere tale risultato erano decisamente opposti a quelli in vigore a Diepkloof prima del suo arrivo e si basavano su una “increasing freedom, increasing responsibility, increasing privilege, and increasing temptation”11, con l’obiettivo

primario di convertire una prigione in una scuola, poiché

A reformatory where all opportunities for evil-doing are removed, is no reformatory at all. To keep a delinquent unspotted from the world for his period of detention is to do nothing for him at all. He must learn to move in a world where both good and evil are offered him, and must learn to choose; the real education lies in the choice offered, and not in the creation of an artificially crimeless environment.12

Ai giovani detenuti, dopo essersi dimostrati degni di fiducia, fu quindi garantita una sempre maggiore libertà: fu loro permesso di uscire dai confini del riformatorio e di usufruire di permessi speciali per fare visita alle famiglie; i dormitori vennero lasciati aperti anche di notte; furono introdotte attività volte alla socializzazione come il giardinaggio, di cui lo stesso Paton era un appassionato. Essi vennero inoltre incoraggiati ad apprendere dei mestieri, in modo da dare loro una speranza di vita concreta, una volta tornati in libertà, ed evitare che commettessero nuovamente dei crimini. Paton vedeva infatti un parallelismo tra Diepkloof e il Sud Africa nella sua totalità, ed era convinto che l’unico vero modo per combattere il crimine fosse riformare la società stessa, mettendo al primo posto la dignità di ogni individuo e spingendolo a misurarsi con le tentazioni del mondo esterno per andare incontro ad un vero cambiamento:

There is one supreme reason why men do not commit crime and that is because they have goals, interests, ideals, homes, children, savings schemes. The home, the Church, the association, have given them worthy aims and have expressed – and continue to express – social approval of their lives and actions. They do not

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DWARD CALLAN, Alan Paton, cit., p. 38.

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commit crime – not because they are afraid – but because they are socially significant.13

I risultati ottenuti sotto la direzione di Paton andarono oltre le sue stesse aspettative e videro un calo notevole delle evasioni dei detenuti: dopo aver rimosso simbolicamente le inferriate all’entrata del riformatorio, il nuovo direttore di Diepkloof divenne ben presto noto in Sud Africa come “The man who pulled down the barbed-wire fences and planted geraniums”14, a testimonianza della coraggiosa esemplarità dei suoi metodi controcorrente. Nei tredici anni trascorsi a Diepkloof (si dimise dall’incarico nel 1948), Paton accantonò temporaneamente l’attività letteraria, dedicando ogni energia al proprio progetto di riforma delle istituzioni carcerarie giovanili: allo stesso tempo, però, da quest’esperienza egli trasse elementi ispiratori per la creazione di personaggi che verranno poi inseriti nei suoi futuri testi letterari, a segnale del valore che l’autore attribuì all’esperimento.

Mentre all’inizio del 1939 il mondo si avviava verso il secondo conflitto mondiale, in Sud Africa si diffondevano sempre più i germi di quello che, circa dieci anni dopo, sarebbe diventato il regime dell’apartheid. Il fratello di Paton, Atholl, rimase ucciso durante la guerra e Alan stesso decise di arruolarsi per apportare il proprio contributo, ma venne esonerato a causa del servizio “socialmente utile” che stava svolgendo a Diepkloof. Negli anni della Seconda Guerra Mondiale si radicò sempre più a fondo in lui l’idea che una nazione disgregata, in cui non tutti avevano gli stessi diritti, è inevitabilmente destinata al crollo: fu dunque in questo periodo che egli giunse alla piena consapevolezza dei problemi strutturali del proprio paese. Di qui i suoi sforzi per imparare la lingua Afrikaans e quella Zulu, attraverso le numerose amicizie che strinse con membri della popolazione di colore e indiana, nell’ottica del costituirsi di una nazione unita il cui unico scopo fosse la condivisione comunitaria del Sud Africa.

Nel 1946, poco dopo la fine della guerra, Paton intraprese un altro percorso che si sarebbe rivelato fondamentale per la sua carriera futura: decise infatti di organizzare a proprie spese un viaggio per andare a visitare le più importanti istituzioni e

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LAN PATON, “The Real Way to Cure Crime”, 1944, cit. in EDWARD CALLAN, Alan Paton, cit., p. 44.

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strutture carcerarie in località europee ed extra-europee, in modo da trarne insegnamento ed ispirazione e proporre un vero cambiamento anche in Sud Africa. Per sei mesi viaggiò quindi in Europa, sostando in particolar modo in Scandinavia e in Inghilterra, per poi spostarsi in Canada e negli Stati Uniti. Osservando le condizioni in cui vivevano in questi paesi i detenuti, restò profondamente colpito dalle differenze che riscontrò rispetto ai trattamenti riservati ai carcerati sudafricani e si propose di far tesoro del suo studio delle istituzioni penali nel mondo per promuovere una riforma efficace in patria. Questo viaggio si rivelò molto importante anche per un altro aspetto poiché, mentre si trovava in Norvegia, Paton iniziò a scrivere quello che sarebbe divenuto il suo romanzo più famoso a livello mondiale, ovvero Cry, the Beloved Country. Specchio della sua esperienza sudafricana, ma anche frutto delle conoscenze acquisite all’estero, quest’opera segnò infatti il suo definitivo ingresso nel mondo letterario, dando inizio ufficialmente alla carriera di Paton come scrittore. Da questo momento in poi, la sua vita cambiò in modo radicale: decise infatti di lasciare il proprio lavoro nel campo dell’istruzione per dedicarsi alla scrittura, pubblicando nel corso degli anni numerose opere di grande spessore.

Mentre Paton si affacciava nel campo della letteratura, diventando in breve tempo un autore di fama internazionale, in Sud Africa la situazione politica si faceva sempre più difficile e complicata: se, fino a quel momento, le politiche discriminatorie erano state dissimulate (benché superficialmente), dopo le elezioni le condizioni dei non-Europei (ossia i natives) peggiorarono sensibilmente. Nel 1948, infatti, salì al potere il National Party, un partito di stampo nazionalistico molto vicino al gruppo degli afrikaner e guidato dal primo ministro Daniel François Malan, il quale iniziò immediatamente a promuovere un programma politico caratterizzato da un complesso insieme di leggi che favoriva ed aspirava ad una completa separazione delle varie etnie presenti in Sud Africa.

Paton, con le sue convinzioni morali, non poteva accettare questa politica segregazionista istituzionalizzata e impiegò tutte le sue forze nel tentativo di trovare un modo pacifico e civile per opporsi alle leggi dell’apartheid: nel 1953 contribuì, insieme ad un gruppo di altri liberal-democratici, alla fondazione del Liberal Party of

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anche la carriera di Paton come uomo politico impegnato nella promozione dei valori progressisti e cristiani, a sostegno di una protesta che non avesse alla propria base la violenza ma, al contrario, aspirasse a delle riforme e a dei cambiamenti. Nonostante fosse consapevole del poco sostegno che molti elettori (bianchi) avrebbero dato al suo partito, Paton non riuscì a sottrarsi a ciò che sentiva come il proprio dovere: “I believed that I could not be true to my Christian beliefs and at the same time keep my mouth shut”15

.

Nel 1956 fu eletto presidente del Liberal Party, intensificando la propria dedizione alla causa in seno a un partito che stava anche stringendo i contatti con altre associazioni politiche, incluse alcune formate da neri. Paton diventò quindi una figura molto importante e conosciuta nella vita politica del Sud Africa, apprezzato da alcuni gruppi ma non altrettanto dai sostenitori dell’apartheid. Il governo stava infatti varando leggi e riforme sempre più estremiste e la vita di Paton venne stravolta dalle intrusioni della polizia di stato, la quale aveva il compito di controllare i “dissidenti”. Soprattutto dopo il massacro di Sharpeville, il 21 marzo del 1960, il governo inasprì le misure di repressione e molti membri del Liberal Party vennero considerati simpatizzanti dei non-Europei, arrestati e sottoposti ad un duro regime di riabilitazione. Paton riuscì ad evitare questo destino soltanto grazie alla fama di autore internazionale: un suo arresto avrebbe infatti attirato troppa attenzione verso ciò che stava accadendo in Sud Africa e lo scalpore che ne sarebbe derivato avrebbe avuto conseguenze negative sul sistema stesso dell’apartheid. La libertà di Paton venne comunque limitata dalle intromissioni della polizia nella sua vita privata, poiché divenne oggetto di pedinamenti, intercettazioni e la sua casa fu ispezionata varie volte, così come la sede del partito; quello che però lo sconvolse maggiormente fu la confisca, nel 1960, al rientro in Sud Africa da un viaggio a New York in cui aveva ricevuto il Freedom Award, del proprio passaporto con l’accusa di tradimento e di diffamazione ai danni del governo sudafricano. Gli venne quindi impedito di lasciare la nazione, poiché nei suoi numerosi viaggi all’estero si era fatto sempre portavoce dell’opposizione, di una esplicita propaganda anti-apartheid.

In seguito a questo avvenimento, la vita dell’autore sarebbe stata segnata da altri drammatici eventi: il primo fra tutti fu la morte della moglie nel 1967, mentre il 1968

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vide la dissoluzione, da molto tempo ormai annunciata, del Liberal Party. Il governo impose infatti una nuova legge, il Prevention of Political Interference Act, secondo la quale le associazioni che promuovevano una visione non razziale della società, e che contavano al proprio interno cittadini sia bianchi sia di altre etnie, erano da considerarsi una minaccia alla stabilità del paese e per questo dovevano essere messe al bando.

Dopo questo periodo di crisi particolarmente difficile, però, la vita personale di Paton si risollevò: nel 1969 convolò in seconde nozze con la sua segretaria, Anne Hopkins, e si trasferì in una nuova casa a Botha’s Hill, dove sarebbe rimasto fino alla fine dei suoi giorni. Il matrimonio si rivelò particolarmente felice e diede a Paton un rinnovato slancio creativo nell’ambito della scrittura: si dedicò soprattutto a numerosi articoli giornalistici, nel tentativo di proseguire la sua campagna anti-apartheid, ma redasse anche un’autobiografia in due parti (Towards the Mountain e

Journey Continued) e un terzo romanzo (Ah, But Your Land is Beautiful). Negli anni

successivi, egli divenne sempre di più oggetto di attacchi anche da parte dei radicali sia bianchi che neri, cioè coloro che non sostenevano più la filosofia democratico-progressista di matrice britannica poiché la ritenevano troppo blanda e inefficace sul piano dell’azione. L’autore non avrebbe tuttavia mai abbandonato i propri ideali e, anzi, avrebbe continuato a sostenerli anche durante il proprio tramonto politico. Nonostante lo scetticismo con cui i liberals venivano guardati negli anni ’70 e ’80, Paton non cessò di impegnarsi con viaggi all’estero, ripresi dopo la restituzione del passaporto, in occasione dei quali tenne moltissime conferenze e ricevette premi e riconoscimenti importanti, mentre continuò contemporaneamente a dedicarsi alla scrittura.

Il 12 aprile del 1988 Alan Paton si spense, in seguito ad una grave malattia, circondato dall’affetto della moglie, dei figli e di tutti coloro che avevano avuto modo di conoscerlo e di condividere fino alla fine i suoi ideali di apertura democratica e riformistica.

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15

CAPITOLO I

Il macrotesto

It's the action, not the fruit of the action, that's important. You have to do the right thing. It may not be in your power, may not be in your time, that there'll be any fruit. But that doesn't mean you stop doing the right thing. You may never know what results come from your action. But if you do nothing, there will be no result.

Mahatma Gandhi

Essendo stato un autore molto prolifico, Alan Paton vanta nel corso della propria carriera una grande quantità di testi di natura e genere vari, alla luce dei quali è possibile tracciare il percorso di crescita che ha portato al costituirsi della sua complessa identità, sia letteraria che politica e personale. Attraverso i suoi romanzi, i racconti e, soprattutto, le biografie e i testi di natura saggistica e giornalistica, possiamo ricostruire i principi fondanti del pensiero di Paton, i quali si profilano in ogni opera e si riconnettono a temi e problematiche della realtà sudafricana, con cui l’autore inevitabilmente dialoga. Nelle proprie opere Paton segue un percorso in cui emergono diversi aspetti concernenti i principi cristiani e liberali che sempre hanno caratterizzato il suo modo di intendere il mondo e le relazioni umane, toccando quindi concetti quali la libertà, la compassione, il perdono, ma anche la giustizia e il rapporto con la legge.

In particolare, le drammatiche e singolari condizioni sociali e politiche in cui versava il Sud Africa rendevano impossibile per Paton, cresciuto con un forte sentimento religioso ma anche con un solido e fondato senso della legge, evitare di affrontare il tema cocente delle relazioni inter-razziali e, soprattutto, la situazione in cui si trovavano a vivere i non-bianchi. L’educazione all’osservanza della legge, radicatasi in lui fin dall’infanzia, gli impediva d’altro canto di sostenere iniziative di tipo rivoluzionario; ma, dopo l’istituzione del regime dell’apartheid nel 1948, egli stesso dovette prendere atto della necessità di una ribellione, seppur non basata sul

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ricorso programmatico alla violenza. Una delle strade che Paton imboccò in questo percorso fu perciò quella della scrittura, osservando e denunciando le ingiustizie e plasmando, attraverso i suoi testi, un’autorità morale “alternativa” a cui ispirarsi e a cui fare riferimento.

Per quanto riguarda la produzione narrativa, il romanzo che aprì la strada alla carriera di Paton, rendendolo noto in tutto il mondo, è il famoso e, per un certo periodo, celebratissimo Cry, the Beloved Country (1948). Sebbene questo romanzo sia senza alcun dubbio la sua opera più conosciuta, Paton ha saputo dimostrare a se stesso e al pubblico di non essersi fermato al traguardo di “one-book man”1

, componendo infatti altri due romanzi di successo. Il primo di questi testi si intitola

Too Late the Phalarope, pubblicato nel 1953 ed accolto dalla critica internazionale

con grande favore: nonostante le difficoltà riscontrate durante la stesura, dovute a continui ripensamenti e scelte compiute in corso d’opera, il romanzo riscosse un successo pari al suo predecessore e consolidò il nome di Paton nell’ambito della letteratura internazionale.

Too Late the Phalarope fu scritto in un periodo cruciale sia per l’autore,

impegnato anche nella stesura di una biografia del defunto Jan Hofmeyr (politico afrikaner da cui Paton fu molto influenzato) e nella fondazione del nuovo Liberal

Party, sia per l’intero Sud Africa, dove il National Party si era riconfermato il partito

leader alle elezioni nazionali. L’opera mette in luce le falle delle politiche interrazziali già nel periodo immediatamente precedente l’imposizione dell’apartheid e registra la crescente consapevolezza della necessità di affrontare in modo molto più aperto e consapevole questioni sociali così importanti. La trama della storia è relativamente semplice, ma veicola una critica non molto velata alla mentalità afrikaner, ed in particolare al principio della “pure race”2. Essa si sviluppa su un modello che ricorda un’antica tragedia greca, delineando la parabola discendente di un “eroe” gravato da una colpa impronunciabile: un poliziotto bianco appartenente al gruppo afrikaner, Pieter van Vlaanderen, che vedrà la sua carriera e la sua vita rovinate per una “vergognosa infrazione”, ovvero l’aver stretto una relazione con una ragazza di colore, infrangendo quindi una delle leggi più severe (e contestate) del regime dell’apartheid, l’Immorality Act. Questa legge era stata promulgata nel 1950

1 P

ETER F.ALEXANDER, op. cit., p. 270.

2 E

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(con vari emendamenti negli anni successivi) con l’obiettivo di proibire qualsiasi relazione di natura sentimentale e sessuale tra persone appartenenti ad etnie diverse. Un rapporto “misto” era infatti considerato “immorale”, promiscuo e contaminante, in linea con quelle che Paton definì “fierce laws to achieve utopian purposes”3

. Questa legge enunciava quindi uno dei principi basilari del regime stesso, in quanto garantiva a priori lo sviluppo separato dei vari gruppi etnici sulla base della

colour-bar.

Figlio di un afrikaner conservatore, il protagonista stringe un rapporto extraconiugale con una ragazza di colore, Stephanie, e sarà proprio questo atto di “adulterio aggravato” a portarlo alla rovina quando verrà scoperto, con la complicità della ragazza stessa, cui seguirà l’inevitabile distruzione della propria famiglia e di se stesso. In senso più ampio, Paton intendeva mettere in evidenza come il principio stesso di una “razza pura” e superiore alle altre fosse pericoloso e deprecabile, nonché una posizione con cui gli afrikaner entravano in conflitto rispetto all’etica della religione cristiana da loro professata. Ne sarebbe derivata una “heretical Christianity”4, la “monstruosity known as Christian-nationalism”5

, in cui cruciale era il ruolo ricoperto all’interno di un certo gruppo etnico, quello bianco. Nella filosofia cristiana abbracciata e vissuta interiormente da Paton, invece, il massimo crimine che un uomo può commettere è quello di violare le leggi divine, non quelle sancite dalla propria etnia spesso a proprio vantaggio: nel romanzo, il Capitano Jooste affermerà che “as a Christian I know an offence against God; but I do not know an offence against the race”6

.

Dalla lettura dell’opera del 1953 emergono quindi le pratiche discriminatorie e il senso di isolamento e ostilità che l’apartheid stava alimentando all’interno del Sud Africa: Pieter ne è l’emblema, combattuto fra un sentimento di fierezza, trasmessogli dal padre relativamente all’appartenenza, e l’apertura verso a un’umanità “altra”, ritenuta genealogicamente e spiritualmente estranea. Come osserva Jean Philippe Wade, il conflitto interiore di Pieter (figura meno monolitica rispetto al padre) riflette le tensioni di un uomo costantemente in lotta con la “tentazione” di contravvenire

3 A

LAN PATON, Towards the Mountain, 1980, cit. in MICHAEL BLACK, “Alan Paton and the Rule

of Law”, African Affairs, vol. 91 (362), 1992, p. 62.

4 E

DWARD CALLAN, Alan Paton, cit., p. 69.

5A

LAN PATON, Save the Beloved Country, 1987, cit. in MICHAEL BLACK, op. cit., p. 63.

6A

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alle innaturali imposizioni avallate dalla società in cui vive, che trovano appunto la tangibile espressione nel rapporto tormentato con Jakob, il padre estremista7. Non esiste, però, un facile rimedio per questa spaccatura interna dell’anima di Pieter, la cui tragedia è contemporaneamente sia di tipo personale che comunitario, in quanto preludio della catastrofe sociale più ampia che si sarebbe estesa all’intero Sud Africa.

La personalità divisa e complessa di Pieter si configura anche alla luce dei rapporti e degli atteggiamenti dei diversi membri della sua famiglia e degli amici, ma l’accento viene posto in particolar modo sul padre, Jakob van Vlaanderen, e la zia, Tante Sophie. Jakob incarna in tutto gli aspetti e i valori caratteristici di una famiglia afrikaner di tipo patriarcale ed è un convinto sostenitore dell’ideale nazionalistico coniugato con il senso della purezza e della superiorità della propria razza: quando Pieter viene accusato e processato per aver infranto l’Immorality Act, l’uomo recide immediatamente ogni legame con lui, cancellando ogni “traccia” di un figlio che, nella sua ottica, ha macchiato l’onore dell’intera famiglia. Il loro rapporto da sempre tormentato raggiunge il culmine nel momento in cui Jakob ordina alla sorella, Sophie, di distruggere tutto quello che all’interno della casa possa avere un collegamento con il parente colpito da ostracismo, e lei, in quanto donna, non può fare niente se non prendere atto della distruzione che questa tragedia ha portato all’interno della famiglia.

Il personaggio di Tante Sophie è però importante poiché, oltre ad essere la zia del protagonista, è anche la narratrice dell’intera storia: la vicenda infatti ci viene riportata dalla donna, la quale vive all’interno della casa ed è quindi una diretta testimone della disgrazia che si abbatte su di loro. Tante Sophie incarna significativamente un punto di vista dissidente rispetto a Jakob van Vlaanderen, in quanto il suo personaggio si connette a valori e qualità intrinsecamente cristiane come la compassione e la pietà: la sua etica è fondata sull’amore e non sull’obbedienza o il comando, al contrario di quella del fratello. Per questi motivi, il personaggio di Sophie può essere accostato a Paton stesso, soprattutto in quanto si fa portavoce della tematica e del messaggio principale che l’autore voleva esprimere all’interno del romanzo: l’importanza del perdono e del dialogo pacifico come viatico per il costruirsi di una nazione in cui tutte le etnie potessero interagire.

7Cfr. J

EAN-PHILIPPE WADE, “Radical Democracy and Literary Form: Alan Paton’s Ah, But Your Land Is Beautiful”, English in Africa, vol. 28 (1), 2001, pp. 91-103.

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Nell’ottica di Sophie, versione di una moderna Antigone, un decreto umano non può contraddire la morale divina, e una legge non dovrebbe mai essere così severa da negare ad un uomo l’amore e il perdono di chi lo circonda: anche se, agli occhi dell’intera società, quella di Pieter è una vera e propria “sentence for life”8

, Sophie e il Capitano Jooste si fanno promotori di un’etica compassionevole ed illuminata, secondo cui “An offender must be punished, mejuffrou, I don’t argue about that. But to punish and not to restore, that is the greatest of all offences”9

. La necessità del perdono e della compassione costituisce la base dell’opposizione cristiano-liberale alla politica dell’apartheid promossa invece dal Partito Nazionalista. Paton stesso aveva messo in pratica questi principi durante la propria esperienza a Diepkloof, dove mai dimenticò che, secondo la filosofia cristiana, l’assoluzione è fondamentale per garantire l’inizio di una nuova vita ed è un percorso che gli uomini non possono ignorare, soprattutto coloro che hanno in mano il potere, poiché “if a man takes unto himself God’s right to punish, then he must also take upon himself God’s promise to restore”10

.

Il personaggio di Sophie mostra però anche caratteristiche più sfumate e, per questo motivo, è stato analizzato pure in prospettiva diversa: se è vero che, per molti aspetti, le sue convinzioni ricordano quelle di Paton, al punto che spesso la sua figura è stata indicata come una sorta di alter ego dell’autore, è importante sottolineare come il personaggio esiti sulla soglia quando sono chiamati in causa argomenti scottanti quali il pregiudizio razziale. Non bisogna inoltre dimenticare che la zia del protagonista è anche la narratrice, libera di filtrare la storia dal suo personale punto di vista, con le inevitabili limitazioni epistemiche e ideologiche del caso. L’affetto e l’attaccamento quasi materno che la donna prova verso Pieter influenzano tutto il racconto, rendendolo in qualche modo sbilanciato e parziale poiché la versione della controparte, cioè quella di Stephanie, non viene presa in considerazione. Il silenzio “imposto” a Stephanie, descritta nel romanzo assimilando i pregiudizi tipici del razzismo, è in qualche modo indice di una diversità che la narratrice non riesce a riconoscere e a comprendere, sia in conseguenza della segregazione, sia poiché ciò

8

ROSE MOSS, “Alan Paton: Bringing a Sense of the Sacred”, World Literature Today, vol. 57 (2),

1983, p. 235.

9 A

LAN PATON, Too Late the Phalarope, 1953, cit. in MICHAEL BLACK, op. cit., pp. 65-66.

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implicherebbe una riscrittura e, forse, un rovesciamento dell’intera storia emblematica di Pieter, il quale potrebbe anche essere “riletto” come lo stupratore della ragazza anziché come la vittima delle sue trame.

Il personaggio di Sophie si dimostra quindi controverso: incarna tolleranza e compassione, ma questi sentimenti sembrano essere validi soltanto per una parte della popolazione sudafricana, cioè quella bianca. La donna esemplifica quindi, all’interno del testo, quella parte afrikaner moderata che auspicava una cooperazione effettiva e paritaria con gli inglesi, ma non con i nativi. I limiti di Tante Sophie aiutano quindi anch’essi a comprendere i motivi principali che spinsero Paton a fondare un Liberal Party, in cui l’elemento distintivo fosse proprio il cammino verso la giustizia e l’uguaglianza per tutte le etnie.

In Too Late the Phalarope la forza dell’amore e del perdono è inoltre espressa attraverso altre due figure femminili. La prima è la madre del protagonista, che, nonostante non possa ribellarsi apertamente al marito, non ne condivide le posizioni per quanto riguarda il trattamento riservato al figlio e chiede a Tante Sophie di portare il suo messaggio a Pieter, ormai recluso in prigione: “And you will say to my son, she said, that though he may suffer under the law, there is no law that can cut him off from our love, nor from the love of his friends.”11

. La seconda figura è la moglie di Pieter, Nella, la quale, dopo aver subito il tradimento, reso ancora più pesante dal fatto che è stato compiuto con una donna di colore, trova comunque il coraggio e la forza di perdonarlo e di rimanergli accanto durante tutto il processo.

Secondo quanto riportato dalla narratrice, Nella sembra tuttavia avere una parte di responsabilità per le azioni immorali di Pieter. Il suo perdono rimane in ogni caso un gesto di redenzione, anche per se stessa: “there’s a hard law, mejuffreou, that when a deep injury is done to us, we never recover until we forgive”12. Too Late the

Phalarope racconta quindi la tragedia di un mondo in cui i valori irrinunciabili della

pietà e dell’amore non trovano il sostegno necessario per opporsi a forze contrastanti che spingono gli uomini in una direzione autodistruttiva. Il dramma di Pieter van Vlaanderen, con il suo cedimento alla tentazione ma anche al dialogo con l’alterità, costituisce il punto focale dell’intero romanzo e mette in evidenza il coinvolgimento di soggetti diversi. Con l’intensificarsi della durezza delle leggi dell’apartheid,

11Cit. ivi, p. 65. 12Cit. ivi, p. 67.

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gruppi e individui si contrapporranno sempre di più fra di loro: nel contesto sudafricano nemmeno i “buoni”, cioè coloro che dimostrano qualità come la tolleranza, la generosità e la carità, riescono ad adottare una visione totalmente liberale, ma si trovano avviluppati in uno scontro con i poteri forti e lo scudo del pregiudizio.

Ah, But Your Land Is Beautiful è il titolo del terzo, ed ultimo, romanzo di Paton

(anche se, come si vedrà, qui la componente fittizia è ridotta): l’ispirazione giunse all’autore nel 1979, in seguito alla conclusione della prima parte della propria autobiografia (Towards the Mountain), e nell’arco di due anni il testo fu pronto per essere pubblicato. Nel settembre del 1981 il romanzo fece il proprio debutto in Sud Africa, mentre nel marzo dell’anno successivo comparve anche negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna: le recensioni mostrarono opinioni discordanti, in parte influenzate dalle dichiarazioni dell’autore sul progetto di una trilogia di cui l’opera del 1981 avrebbe costituito il primo volume. Rispetto ai due precedenti romanzi patoniani, i quali si erano essenzialmente focalizzati sul clima di terrore ed illegalità alimentato dal regime, sottolineando così il dramma della mancanza di moralità e di giustizia sociale, Ah, But Your Land Is Beautiful risulta un testo più particolare, tramite il quale l’autore vuole rivolgersi più direttamente all’autoritarismo afrikaner ed al suo mezzo espressivo principale, l’apartheid, auspicando il raggiungimento di quella che Wade definisce una “radical democracy”13

.

L’opera costituisce, infatti, una sorta di romanzo storico in cui vengono ripercorsi gli anni ’50 in Sud Africa, il cosiddetto “Decennio Favoloso”, e si concentra in particolare sul periodo compreso tra il 1952 e il 1958, prendendo in esame gli eventi politici principali di quel tempo. Il progetto iniziale prevedeva un ulteriore sviluppo in altri due volumi, in cui l’autore avrebbe voluto ripercorrere rispettivamente lo spaccato 1958-1966 e quello che si sarebbe chiuso nel 1976, includendo le ripercussioni derivate dall’eccidio di Soweto14

. Benché il progetto sia rimasto

13

JEAN-PHILIPPE WADE, op. cit., p. 95.

14 L’episodio, meglio noto come Rivolta di Soweto, rappresenta un evento cruciale nella storia del

Sud Africa: il 16 giugno del 1976 fu organizzata dai gruppi studenteschi un’enorme manifestazione per opporsi alla nuova iniziativa del governo di introdurre nelle scuole non-bianche l’insegnamento obbligatorio di alcune materie nella lingua afrikaans, invece che in inglese. La ribellione degli studenti di colore a questa nuova direttiva fu imponente, poiché essi vedevano l’afrikaans come la lingua dell’invasore che li aveva ridotti in povertà, ma tale fu anche la repressione del governo: nelle settimane successive morirono negli scontri almeno 575 studenti.

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incompiuto, il primo ed unico testo della trilogia ad essere pubblicato rappresenta una testimonianza preziosa e diretta relativa ad una fase molto delicata della storia del Sud Africa, con una particolare attenzione rivolta prevedibilmente al Liberal

Party, che si costituì nel 1953.

Alla fondazione del partito contribuirono una serie di figure di spicco con cui Paton condivideva i sogni ed i progetti per la diffusione del liberalismo, come mezzo per evitare la definitiva corruzione del paese e allontanare i rischi di una qualsiasi dominazione razziale (fosse essa dei bianchi sui neri o viceversa). Nel maggio del 1953, con l’avvicinarsi delle nuove elezioni nazionali, fu quindi fondato il nuovo partito: Margaret Ballinger fu eletta nel ruolo di Presidente, mentre le nomine di Vicepresidenti andarono a Leo Marquard e a Paton. Altre importanti personalità vi ricoprirono ruoli di rilievo, come Oscar Wollheim, nominato Segretario nel 1953, e Peter Brown: quest’ultimo, un giovane di origini inglesi, fu uno dei maggiori sovvenzionatori del partito, a cui aderì grazie allo stretto rapporto di stima e amicizia che strinse con Paton. Brown, sotto l’influenza dell’amico, fece propri i principi del

Liberal Party e si impegnò moltissimo nella campagna contro l’apartheid,

profondamente convinto che esso fosse moralmente sbagliato ed ingiusto, pagandone, però, anche le conseguenze: venne infatti arrestato nel 1960, nel clima di reazione alla triste vicenda consumatasi a Sharpeville, insieme a numerosi colleghi liberal-progressisti (tra cui Hans Meidner, Elliot Mngadi, Frank Bhengu e molti altri).

Oltre che di forme di osteggiamento statale, il partito sarebbe divenuto oggetto di attacchi e profonde critiche da parte delle altre forze politiche di opposizione, le quali accusarono i liberal-democratici di non giocare un ruolo sostanziale nella lotta per una società paritaria e democratica. Molte sono state le figure pubbliche che si sono espresse in una critica del partito liberale, a partire da autori di rilievo come Nadine Gordimer, la quale, in occasione di un’intervista da cui scaturì poi una sorta di scontro con Paton, affermò polemicamente che “Liberal is a dirty word. Liberals are people who make promises they have no power to keep”15

, sottolineando come la realtà ormai lacerata del paese avesse bisogno di interventi radicali. Lo stesso Nelson

15 N

ADINE GORDIMER, intervista a cura di Michael Ratcliffe, The Times, Londra, 1974, cit. in PAUL

HJIUL e PUMEZA MDANGAY, “Paton’s Novels and the Liberal Ideal: A Construction of the Liberal

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Mandela descrisse i liberali come “afraid to identify themselves with the people and to assume the task of mobilizing that social force capable of lifting the struggle to higher levels”16

.

Lo scritto di Paton può essere quindi interpretato anche come una sorta di tentativo di riscatto del Liberal Party, di cui egli fu un fondatore e sostenitore fino alla fine della propria vita. Nel testo sono rintracciabili dinamiche interne al partito, con ritratti lucidi e talora ironici di personaggi attivi nel campo progressista. Queste figure sono introdotte all’interno di una galleria variegata, con lo scopo preciso di rispecchiare quella che sarebbe stata la vera natura del Liberal Party: un’associazione di personalità diverse e di varie etnie, costituita non solo da membri del gruppo bianco. Il romanzo mette in luce, quindi, la natura eterogenea del partito, con le sue numerose correnti.

Paton argomenta come la fondazione del Liberal Party fosse legata essenzialmente a due fattori principali, che richiedevano una risposta urgente: il primo di questi fattori fu l’avvicinamento dello United Party alla destra afrikaner più radicale, e l’altro fu la richiesta sempre più pressante da parte dell’ANC (African

National Congress) di un’organizzazione bianca che fosse apertamente

anti-apartheid e che collaborasse alla lotta alla discriminazione. Una parte dell’opposizione confluì direttamente nelle fila dell’ANC, mentre un’altra scelse di formare appunto un nuovo partito, il Liberal Party, la cui protesta si sarebbe concretizzata seguendo metodi non violenti, ovvero percorsi parlamentari e costituzionali. In un contesto in cui il dissenso con il governo si faceva sempre più acceso, il partito di Paton si distinse subito per il suo spirito anti-violento, che lo avrebbe però gradualmente fatto apparire agli occhi dell’elettorato e delle altre forze come un gruppo di minore importanza nel panorama politico. Anche all’interno del movimento liberale emergevano però diverse correnti di pensiero, ognuna con il proprio punto di vista: vi erano infatti i membri più decisamente progressisti, quelli più conservatori, ed anche uomini di colore (indiani e coloured).

L’opera di Paton fotografa quindi tutte queste discrepanze e sfaccettature, in una forma dialogica e polifonica che dà spazio ad un complesso variegato di voci e punti di vista. Nel testo si dipana un tessuto fatto di stralci di lettere, riflessioni, parti di

16 Cfr. M

ARTIN MEREDITH, Nelson Mandela: A Biography, 1997, cit. in CHRISTOPHER SAUNDERS, “The Liberal Party Reassessed”, South African Historical Journal, vol. 37 (1), 1997, p. 196.

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dialoghi, trascrizioni di sentenze, estratti di quotidiani o riviste, documenti ufficiali, ma anche poesie, discorsi pubblici e descrizioni di eventi simbolici per la storia del paese. Attraverso la commistione di questi elementi, affiancati e posti in sequenza da un narratore onnisciente che sembra possedere una lunga e infallibile memoria storica, Ah, But Your Land Is Beautiful fornisce quindi un quadro “mobile” della complessa situazione politica del Sud Africa nel periodo degli anni ’50 del 1900, mostrandone i conflitti, le contraddizioni e gli sviluppi da diverse angolature.

Al pericolo di un’eccessiva frammentazione fa fronte una suddivisione in sei sezioni, disposte in ordine cronologico a partire dal periodo cruciale della Defiance

Campaign17, toccando poi anche altri aspetti che hanno caratterizzato i primi anni dell’imposizione dell’apartheid, risalente al 1948, con la vittoria elettorale del

National Party e l’inizio di una delle pagine più buie e tristi della storia sudafricana.

Nonostante in quest’opera siano riportati anche i punti di vista di personaggi che sostenevano le politiche segregazioniste, affiancandosi al governo afrikaner, il testo si concentra principalmente sulle storie di molti dei membri di rilievo del Liberal

Party. In particolare, viene ripercorsa quella di Robert Mansfield, insegnante e

direttore scolastico bianco, il quale cercò di garantire ai propri studenti gli strumenti necessari a ricevere una giusta educazione, includendo il confronto con studenti appartenenti ad altre etnie, soprattutto con quelli di colore. La situazione politica del paese interferì però pesantemente con quelli che dovevano essere gli obiettivi primari di ogni sistema educativo, cioè la formazione di una coscienza sociale e la promozione di forme di interazione umana, e Paton mette quindi in evidenza come sia agli insegnanti bianchi, sia a quelli neri fosse negata l’opportunità di agire per il “meglio”. Nonostante il coraggio e l’iniziativa personale, l’individuo si trovava quindi a scegliere se mantenere il proprio lavoro, accettandone in silenzio le imposizioni, oppure continuare a sostenere le proprie idee, entrando in politica o contemplando l’eventualità di emigrare all’estero per sfuggire alla repressione del

17

La Defiance Campaign fu una campagna di disobbedienza civile organizzata dall’ANC, guidato all’epoca da Albert John Luthuli, nel 1952, per chiedere l’abrogazione delle leggi dell’apartheid promulgate pochi anni prima. La protesta, basata sui principi della convivenza pacifica e della non-violenza, era rivolta soprattutto verso le leggi palinsesto del regime, varate dal governo nel 1950: il

Population Registration Act (con cui si definivano i criteri con cui ogni individuo veniva assegnato

alla nascita ad una specifica categoria razziale), il Group Areas Act (che stabiliva l’assegnazione dei territori in base alle categorie razziali) e l’Immorality Act (che proibiva ogni forma di relazione sentimentale o sessuale fra persone di razze diverse).

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governo. Ovviamente, nella figura di Robert Mansfield è possibile individuare una proiezione simbolica dello stesso Alan Paton, che in questo modo diede voce alle insormontabili difficoltà che anche i membri della società bianca e di lingua inglese dovevano affrontare, e che egli visse sulla propria pelle durante l’esperienza come insegnante e direttore del Diepkloof Reformatory.

Le diverse storie riportate sono poste quindi in rapporto dialogico tra loro, così come i legami tra i vari personaggi e gli avvenimenti storici, che mostrano strette correlazioni. In questo modo, analogie e contraddizioni interne alla politica sudafricana affiorano secondo un principio dinamico, come se si snodassero sotto i nostri occhi. Un altro aspetto che conferma ulteriormente la singolarità della strategia narrativa scelta dall’autore riguarda il rapporto tra finzione letteraria e veridicità storica, poiché esistono degli elementi fittizi che talora “colorano” avvenimenti e personaggi realmente esistiti: così come la figura di Robert Mansfield converge con quella dell’autore, allo stesso modo altre analogie sono facilmente tracciabili tra altri personaggi e figure storiche di spicco del periodo. I personaggi non sono dunque mai delineati e sviluppati a tutto tondo: l’autore ne traccia volutamente un profilo sfumato perché l’intento principale è quello di aprirsi a un coro di voci variegate e diverse, che rappresentano altrettanti punti di vista sul mondo, scalfendo il “monumento monolitico” dell’apartheid. Dalla compresenza di tutti questi punti di vista emerge quello che è il vero protagonista del romanzo: il Sud Africa, con la storia del paese nella sua totalità.

La forza dialogica si esprime in sostanza attraverso un dibattito virtuale sia tra le varie parti politiche (che danno voce a idee opposte a proposito della questione razziale), sia intrinsecamente ad ogni partito, all’interno del quale alcuni membri tendono a contestare e confutare persino idee precedentemente condivise. Il Liberal

Party non è esente da queste dinamiche, e Paton si dimostra qui estremamente

consapevole di come queste divisioni interne siano state una delle cause principali della relativa marginalità che il partito avrebbe conosciuto nel panorama politico nazionale. Ancor più critico è l’atteggiamento verso i non-liberali, la cui parodia mira a sottolineare come i principi dell’apartheid fossero ingiusti ed irrealizzabili.

Ah, But Your Land Is Beautiful intende lasciar intravedere una società possibile ed

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