• Non ci sono risultati.

IL PROCESSO LITISCONSORTILE: SITUAZIONI E ATTIVITA’

6.1. Le attività d’impulso

Con attività d’impulso, si intendono tutti gli atti, non solo delle parti ma anche d’ufficio, che determinano il ritmo del procedimento, facendolo progredire verso

la sua normale conclusione, ossia verso la decisione di merito.

Per quanto concerne l’impulso d’ufficio, la legge attribuisce all’istruttore la funzione di direzione del processo; è, infatti, il giudice che nell’esercizio di autonomi poteri, per un verso fissa le udienze di istruzione, trattazione e conclusione, per altro verso assegna i termini alle parti per il compimento di atti processuali.

A proposito di tali attività d’impulso, in riferimento al processo litisconsortile, si può rilevare quanto segue:

- In primo luogo, si tratta di poteri del giudice svincolati da poteri delle parti nel senso che è assolutamente irrilevante che a monte vi sia oppure no un istanza di parte: il giudice fissa le udienze ed assegna i termini anche se nessuno dei soggetti comparsi abbia avanzato una corrispondente richiesta e, di conseguenza, indipendentemente dal fatto che uno dei litisconsorti o tutti si siano attivati in tal senso.

- In secondo luogo, la circostanza che devono essere assicurate l’istruzione, la trattazione e la decisione congiunte delle cause riunite, fa sì che, finché il processo

simultaneo esiste, il giudice debba fissare una sola e contestuale udienza di trattazione e di decisione per tutte le controversie ed assegnare termini identici ai litisconsorti.

L’unitarietà del giudizio litisconsortile, riguardo all’impulso è assicurata dall’inscindibilità degli effetti di talune attività riguardanti la fase iniziale:

l’iscrizione nel ruolo generale sollecitata dalla presentazione della nota ad opera di uno dei soggetti privati, ha necessariamente ad oggetto tutte le cause, e mette in moto, per tutte, il meccanismo della formazione del fascicolo d’ufficio e dello svolgimento della prima udienza, con nomina di un unico istruttore (145).

La proiezione necessaria sull’intero procedimento, piuttosto che sulla singola lite, dell’iscrizione a ruolo deriva dall’esigenza di impedire una pluralità di iscrizioni e di giudici istruttori che indirizzerebbe su binari separati le cause, vanificando il processo simultaneo che le parti hanno inteso realizzare.

Passando alle attività d’impulso di parte, occorre subito caratterizzare cosa si intenda con tale concetto; infatti, se si considerassero tali tutte le attività che mirano ad ottenere il progressivo movimento del rapporto processuale verso la

_______________________________________________________

(145) PATELLI, Il litisconsorzio nel processo civile, Utet 2006, pag. 347.

fine, ogni atto del processo dovrebbe essere considerato d’impulso. E’, quindi, evidente che occorre circoscrivere i confini di questa figura.

La dottrina più recente ha specificato il concetto in questione assumendo come criterio selettivo il regime giuridico previsto dalla legge per alcune attività: sono pertanto, da considerarsi d’impulso non tutti gli atti di parte che abbiano la semplice finalità di mandare avanti il giudizio, ma soltanto quelli che oltre a determinare lo sviluppo della situazione giudiziaria, devono essere compiuti entro un termine perentorio e la cui omissione è sanzionata con la cancellazione dal ruolo o con l’estinzione del processo. L’atto per essere “propulsivo” deve, dunque, rispettare una duplice condizione:

a) deve avere la funzione di far avanzare il processo verso la fine;

b) deve essere stabilito per il suo compimento un termine di decadenza, il mancato rispetto del quale provoca la cancellazione dal ruolo o l’estinzione del processo.

Dopo aver così delimitato la categoria, possiamo riferirci nello specifico al processo litisconsortile: la dottrina risalente è solita affermare che “l’impulso

processuale spetta a tutti i litisconsorti e con effetti per tutti” (146).

Il tema degli atti di impulso si intreccia con quelli della cancellazione dal ruolo e dell’estinzione del processo, proprio perché queste rappresentano le sanzioni che la legge commina in caso di mancato compimento di determinate attività nei termini perentori da essa stabiliti. Le attività essenziali per lo svolgimento del procedimento il cui mancato compimento determina, per diritto positivo, la cancellazione dal ruolo o l’estinzione del processo, sono riconducibili a due categorie distinte: a volte, l’atto necessario per la prosecuzione del processo è un potere-dovere di sanatoria che la norma inserisce tra la rilevazione e la dichiarazione di nullità. Il giudice, accertata la sussistenza di nullità impedienti il merito, piuttosto che pronunciare sentenza di assoluzione dal giudizio, accorda alle parti un termine per il compimento della sanatoria; il mancato compimento di tale attività, comporta l’estinzione. Dunque l’estinzione, si coordina attraverso il mancato compimento dell’atto sanante, al consolidarsi di un vizio impeditivo dello svolgimento del processo; essa è una dichiarazione di nullità del procedimento, conseguente al mancato funzionamento di un meccanismo di __________________________________________________________________

(146) TARZIA, Il litisconsorzio facoltativo nel processo di primo grado, Milano 1972, pag. 124 ss.

sanatoria da porre in moto entro un termine perentorio.

Altre volte l’estinzione costituisce la sanzione per il semplice mancato compimento di un’attività entro un termine perentorio fissato dalla legge.

In queste figure, il potere-dovere di parte concerne la sanatoria del procedimento ed il suo esercizio consiste nel compimento di un atto avente efficacia sanante dell’invalidità rilevata dal giudice. L’estinzione che consegue al mancato compimento di quell’attività non è sanzione di mera inattività, bensì è dichiarazione di una nullità non più sanabile.

Il principio della legittimazione fa sì che soltanto le parti della causa colpita da nullità siano investite del potere-dovere di sanatoria del vizio; esclusivamente queste possono ripristinare le condizioni per l’esame e per la decisione del merito.

Le parti della controversia interessata dalla nullità sono arbitre del destino di essa; spetta esclusivamente a loro stabilire se la lite debba essere recuperata, ponendo in essere l’atto sanante, o, se, invece, debba chiudersi con la declaratoria dell’impedimento processuale. Il principio dispositivo accorda anche agli interessati di abbandonare il processo e di impedire la pronuncia di un

provvedimento di merito mediante l’omissione di un’attività considerata dalla legge necessaria per la sua prosecuzione.

Qualora il difetto processuale mini la validità di tutte le cause cumulate, e il giudice abbia fissato un termine perentorio per la sanatoria di esso, ne consegue che, a seguito del comportamento differenziato tenuto dalle parti, il processo cumulativo è destinato a scindersi; la causa che in forza del compimento dell’atto sanante è da considerarsi valida, viene trattata e decisa nel merito, mentre l’altre, che in ragione dell’inerzia degli interessati risulta insanabilmente nulla, viene dichiarata estinta, previa separazione.

Verifichiamo l’applicazione di questo principio con un esempio:

- il giudice ordina ex art. 102 c.p.c. l’integrazione del contraddittorio rispetto a tutte le controversie; uno dei litisconsorti provvede alla citazione del terzo, mentre né gli altri né la comune controparte, regolarizzano il contraddittorio riguardo alle restanti cause. Considerato che l’una lite ha superato la situazione di invalidità su cui versava, mentre l’altra risulta affetta da un vizio ormai non più sanabile, il litisconsorzio viene sciolto e le controversie avranno esiti differenziati: l’una è

chiusa con pronuncia di rito ex art. 307, mentre l’altra prosegue per la trattazione del merito.

Se ne ricava che il principio della legittimazione impone di considerare le parti di ciascuna causa quali uniche ed esclusive titolari del potere di provocare, mediante il compimento dell’atto, la pronuncia di merito in ordine ad essa; gli altri soggetti estranei agli effetti della domanda e della statuizione finale, non possono con la loro attività o inattività, far evolvere o impedire l’avanzamento della controversia verso il normale esito, controversia riguardo alla quale non hanno alcun titolo di legittimazione formale e nella quale non assumono il ruolo di parte né principale né accessoria.

L’impulso non può che concernere ciascuna lite, singolarmente considerata; la postulazione della decisione deve provenire da chi ne subisce gli effetti, in quanto affermato titolare attivo o passivo del rapporto giuridico sostanziale, mentre le eventuali attività o inattività dei litisconsorti, parti di cause diverse ed indipendenti, non assumono rilievo giuridico alcuno.