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Esiste un’ultima modalità sulla quale vorremmo soffermarci, quella della produzione dell’aura che contorna il corpo del performer. Per esplicare questa particolare dimensione della figurazione del corpo che ne disloca la presenza sulla scena, può essere impiegato il concetto di unheimlich, visto che in questo senso l’aura non è altro che la convocazione, nello spazio tempo del corpo, di un altrove. L’unheimlich sembra la forma più adatta a designare lo scarto, lo scollamento che si produce ogni volta a fianco del corpo reale. È una bordatura, un luogo che si produce in una condizione di non aderenza a sé, ciò che, in termini

39 U. Pitozzi. Si veda la conversazione con il coreografo nella seconda parte del presente lavoro.

40 Si veda la conversazione con Enrico Casagrande e Daniela Nicolò nella seconda parte di questo volume, ma anche l’analisi puntuale fornita da Anna Maria Monteverdi

Attraversamenti. Teatro e cinema in Rooms 969 dei Motus, in www.cut-up.net. In

questa direzione sembra andare la lettura che Gianni Manzella ha dato, nello specifico, della scena di By Gorky di Hermanis. Cfr., Uomo, che nome maestoso, in “Art’O, n° 19, inverno 2005-2006, p. 5.

di occupazione dello spazio, non coincide perfettamente con la presenza e con il dove della sua manifestazione come in Communion (1999) (figg. 56-59) di Isabelle Choinière o sulla scena di Invisibile dances. L’Altrove (2005) del duo londinese Bock & Vincenzi in cui il corpo, nella terza parte del lavoro, si presenta nella sua dimensione auratica. In questi lavoro la condizione di unheimlich produce un corpo diafano che doppia il corpo reale; diafano perché direttamente correlato alla condizione di luce che, letteralmente, lo espone alla visione. In questo senso il corpo diafano costituisce, grazie all’uso della luce, la dimensione virtuale di una presenza reale41.

III.2.3. Spectra II: gradazioni estensive

In direzione contraria, invece, troviamo una serie di esperienze che si muovono verso gradazioni della presenza di carattere estensivo. Ciò significa che queste gradazioni condividono una continuità di fondo con la matrice di partenza, ma tendono – grazie all’elaborazione digitale – a distanziarsene in modo netto. Entrambe le gradazioni che qui andremo ad analizzare lavorano dunque per divergenza rispetto alla loro matrice di partenza. Esistono, anche in questo caso, diversi tratti distintivi che ci consentono di articolare questa riflessione. Essi sono:

- produzione dei tratti dinamici e di intensità che sottendono la forma in oggetto e la alterano, spingendo verso una non riconoscibilità della matrice di fondo;

- dispersione e estensione di caratteri rappresentativi;

Estendere in questo caso significa separare, portare alcuni segni della presenza a divergere da sé, cercare una propria localizzazione spaziale, una propria autonomia in quanto segno, riscrivendo in modo radicale la relazione con ciò che l’ha generato. Questa dinamica può, oltre a essere interna alle figure sulla scena, relazionarsi esternamente con esse, offrendosi come punto di esplorazione dell’interiorità – poniamo caso – del performer. Questo è, precisamente, il caso delle spettrografie che andremo qui ad analizzare.

41 Cfr. le riflessioni di A. Vasiliu “Le transparent, le diaphane et l’image”, in P. Dubus (a cura di), Transparences, Paris, Éditions de la Passion, 1999 e di C. Buci- Glucksmann, Esthétique de l’éphémère, Paris, Paris, Éditions Galilée, 2003 sulla questione del corpo diafano.

III.2.3.1. “Le spettrografie”

Per inaugurare questa sezione di interventi sulle forme di gradazione per estensione partiremo dalla discussione di un particolare aspetto del ciclo della Tragedia Endogonidia della Socìetas Raffaello Sanzio, indagandone l’aspetto visivo in riferimento al lavoro video creato per la scena da Cristiano Carloni e Stefano Franceschetti per gli episodi di B#.03 Berlin (SPECTROGRAPHY I) (fig. 60-61), e di BN.#05 Bergen (SPECTROGRAPHY II) (figg. 62), mentre il penultimo episodio del ciclo, M.#10 Marseille (2004), accorpa in uno stesso lavoro entrambe le spettrografie42

.

L’interesse per l’uso, seppur molto limitato, del mezzo video in questo caso nasce da due fattori strettamente connessi fra loro. Il primo è la particolarissima tecnica di elaborazione dell’immagine digitale che utilizzano i due videoartisti, l’altro è il farsi figura del video stesso. Carloni e Franceschetti lavorano sul video seguendo tecniche di animazione ed elaborano il flusso video in un modo da restituirgli un tratteggio, una qualità grafica determinante.

Carloni e Franceschetti riprendono, montano e fanno suonare le immagini con una tecnica artigiana simile a quella del cesello: sotto le loro mani passa ogni singolo frame, per essere scelto, ritagliato, trattato e montato. Il risultato finale rivela e trasmette questa cura certosina, che è indispensabile per affrontare la questione del tempo in termini di occupazione (in senso territoriale). Se dunque ogni singola particella del filmato non è in funzione del tutto, ma di sé stessa, allora è possibile af-fermare nel video la contemplazione, la stasi, la cattura, il respiro introverso, lo smarrimento e l’esplorazione in una selva43.

È proprio questo sprofondare all’interno del materiale stesso, questo soffermarsi sulle micro-variazioni dell’immagine, che distoglie lo

42 SPECTROGRAPHY I, creato per lo spettacolo B.#03 Berlin, III Episodio della

Tragedia Endogonidia della Socìetas Raffaello Sanzio. Durata 30', anno 2002. SPECTROGRAPHY II, proiezione realizzata per lo spettacolo BN.#05 Bergen, il V

Episodio della Tragedia Endogonidia della Socìetas Raffaello Sanzio. Durata 6' loop, anno 2003.

43 C. Castellucci, “Le deiscenze di Carloni e Franceschetti”, dal catalogo Expanded theatre, Riccione TTV 2004, p. 12.

sguardo da qualunque possibile narrazione per portarlo verso una contemplazione simile a quella di un dipinto44. La Spettrografia è un’immagine che ricorda le macchie di Rorschach, occupa tutto lo spazio visivo e si impone come qualcosa dalle caratteristiche fortemente organiche. È la possibilità di trattare il flusso del video come materia molecolare, con procedimenti che consentono di lavorare sulla grana dell’immagine, che fanno pensare all’organico anche di fronte ad un oggetto di sintesi. Si tratta di una massa magmatica che si materializza in maniera violenta45, per la sua particolare qualità visiva – quasi organica – e per il suo imporsi allo sguardo come materia dinamica innominabile e che non vuole rimandare a null’altro da sé. Viene così a crearsi uno spazio che connette l’astratto e il figurale in un’unica esperienza espressiva in equilibrio tra presenza e assenza, prossimità e distanza, corpo e di-segno (qui inteso anche come segno-di) colti sulla soglia del loro dileguarsi, sul punto, cioè, di lasciare la scena. Le spettrografie sono, pertanto e alla lettera, tracce di fantasmi46.

Le Spettrografie, infatti, non rappresentano nulla, possono al limite evocare, esse sono pura materia esposta. La loro matericità deriva dal lavoro dei due videoartisti che, come abbiamo visto, sprofonda nell’immagine restituendole corpo, non riducendola ad elemento narrativo. Inoltre il suo essere esposta, e quindi legata solo al qui e ora, diventa tanto più evidente in relazione al mezzo usato. La materia video, infatti, vive solo nel momento della sua esposizione e fuori dalla contingenza della sua proiezione rimane un oggetto in potenza, virtuale. In questo senso si può dire che la Spettrografia, come nell’episodio di BN.#05 Bergen lavorano a stretto contatto con le figure sulla scena, in un certo senso ne rappresentano una vera e propria propagine che ci permette di entrare letteralmente dentro la figura.

[…] la figura è collocata al centro della scena come nella pittura rinascimentale; in questo caso specifico si tratta di una bambina immobile.

44 Ibid.

45 Per approfondire questo passaggio si veda la riflessione avviata da Annalisa Sacchi in Lo sguardo (s)tagliato dello spettatore, il testo è ancora inedito e pertanto mi è stato trasmesso in via privata dall’autrice.

46 Si veda la riflessione condotta da Joe Kelleher su questo passaggio all’interno della conversazione riportata nella seconda parte del presente volume.

Davanti alla sua testa è disposto lo schermo che accoglie le spettrografie. Queste ultime sono come un ingrandimento di ciò che sta avvenendo dentro la testa della bambina e l’occhio dello spettatore precipita dentro questo magma informe. In modo analogo, quando entra la figura con il cappello rosso e con il filo incandescente – utilizzato per toccare l’orecchio della bambina – viene inequivocabilmente restituita l’immagine del suo apparato uditivo. Cervello e udito sono dunque proiezioni, ingrandimenti. Sono come un disegno esploso in cui si vedono le varie parti che si amplificano47.

Alla figura risponde dunque l’ombra – forse la sua ombra – dell’immagine video. Se la scena evoca il corpo, traendolo dalla profondità abissale del fondo, lo schermo intercetta l’immagine, come segno umbratile sempre sul punto di disfarsi. L’incidente dell’essere spettatore si capovolge nell’incidenza della visione, nel suo incidere lo spazio della rappresentazione ed entrare in scena.

Il video sembra organizzato per esercitare una trazione dello sguardo, un’attrazione lungo l’asse della simmetria attorno cui queste immagini si dispiegano. I due videoartisti considerano la simmetria

[…] come apparente contrapposizione di forze identiche che generano e distruggono i propri fantasmi. La rivelazione perpetua e melanconica di eventi che negano la storia. La visione di una prospettiva abissale attraverso una vertigine di immagini ipnagogiche. Le macchie in movimento interrogano l’ignoto come una preghiera o piuttosto un esorcismo contro una minaccia. La sensazione del pericolo muta inevitabilmente la consapevolezza della visione ed educa lo sguardo48.

Il corpo che connette i due emisferi dello schermo (lo schermo qui è un cervello49) dà figura a corpi senza forma, alimentando la messa

47 R. Castellucci. Si veda la conversazione nella seconda parte di questo volume. 48 C. Carloni e S. Franceschetti, Intervista con Carloni e Franceschetti, a cura di Luca Scarlini, dal catalogo Riccione TTV 2004, pp. 17-18. Si veda A. Sacchi Lo sguardo

(s)tagliato dello spettatore, cit.

49 “lo schermo è un cervello in quanto spazio mentale, memoria, sudario che trattiene i movimenti delle forme nello spazio e le forme dei movimenti nel tempo. Un luogo di transizione e di attesa, di passaggio obbligato tra luce e buio, di cattura dei pensieri vivi perchè possano riprodursi” [C. Carloni e S. Franceschetti, Domande di Romeo

Castellucci a Cristiano Carloni e Stefano Franceschetti, Redbook, catalogo del

RomaEuropa Festival 2003, p.102]. Cfr. la conversazione con Romeo Castellucci nella seconda parte del presente volume.

in campo di forze. Nelle spettrografie c’è, dunque, una tensione di fondo tra il vedere e l’intra-vedere. Una risonanza articolata sull’affiorare e sull’impermanenza dell’immagine. L’impressione è quella che Carloni e Franceschetti producano le loro spettrografie attraverso una affiorare dell’immagine che corrisponde a una fuga, o meglio, a un evaporare della loro consistenza che, piano piano, è venuta alla luce. È come se, a tratti, i due videomaker lavorassero sull’immagine come in negativo, vale a dire sul suo rovescio, costruendo un vuoto attorno al quale si aggregano i fantasmi evocati.

Il nostro lavoro è un esercizio di credulità. Questo riposa nella definizione di figure in contatto con l’indefinito; sullo scarto di osservazioni sovrapposte e contrarie. Uno sguardo che torna, che ha la proprietà del rimbalzo. L’esperienza sensoriale ci permette di riconoscere le cose anche in condizioni di nebbia, buio, ma se si invertono i principi della visione, al negativo appunto, è sconcertante trovare l’abisso in uno spazio perfettamente illuminato, l’infinito in uno spazio finito. La reazione istintiva, immediata, è il tentativo di aggrapparsi a qualunque cosa, con lo stupore doloroso di uno sradicamento. In questa situazione si scoprono sostegni interiori insospettabili e se ne prende coscienza50.