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Autoformazione: apprendere da sé

3. Autoformazione

3.2. Autoformazione: apprendere da sé

In questo frangente di storia l’autoformazione rappresenta un processo con cui l’individuo non può non confrontarsi se vuole, in qualche misura, rispondere alla complessità, liquidità e frammentarietà che caratterizzano i nostri tempi. Ogni ambito della nostra esistenza sembra produrre costantemente una situazione di emergenza in cui l’individuo, più che coinvolto, sembra essere travolto; l’autoformazione ormai occupa le diverse dimensioni della vita del soggetto: quella scolastica e/o lavorativa, quella sociale in senso più ampio, e anche quella privata.

La mancanza di modelli “vincenti” o risposte pronte e confezionate a cui fare riferimento pone l’individuo stesso di fronte alla necessità di una consapevolezza dell’ambiente in cui vive, delle sue relazioni e anche delle sue possibilità: questo implica una continua attenzione alla propria vita, alle proprie scelte ma, come diremo più avanti, anche la responsabilità del proprio agire non gioca un ruolo secondario.

Siamo posti di fronte ad un contesto caratterizzato dall’instabilità e ciò non può non avere conseguenze sul piano dell’apprendimento. Come osserva Knowles non è più realistico fondare l’apprendimento (e

l’educazione) su ciò che si sa e tanto meno associarla alla giovinezza, infatti non ci troviamo più in una situazione per cui ciò che hai imparato da giovane è sufficiente per tutta la vita. In un contesto mutevole ciò che apprendiamo diventa presto obsoleto, proprio per questo l’apprendimento deve avere lo scopo di sviluppare capacità di apprendimento autodiretto. Questo perché, ci spiega Knowles, «dobbiamo arrivare a identificare l’apprendimento con la vita. Dobbiamo imparare da tutto quello che facciamo; dobbiamo vivere ogni esperienza come “esperienza di apprendimento”. Ogni istituzione della nostra comunità – un ufficio pubblico, un supermercato, un’organizzazione ricreativa, una chiesa – diviene risorsa di apprendimento, così come lo divengono tutte le persone con cui entriamo in contatto: un genitore, un figlio, un amico, un fornitore di servizi, un medico, un insegnante, un collega, un capo, un sacerdote, un commesso ecc.»169.

Da questo punto di vista l’autoformazione si pone come un percorso irrinunciabile che sta alla base di qualsiasi apprendimento, è una disposizione dell’individuo, nei confronti di ciò che incontra, che lo rende in grado di affrontare le varie situazioni della quotidianità e sviluppare una capacità di progettazione della propria vita tale da renderla soddisfacente.

Più precisamente «l’autoformazione si iscrive […] come un paradigma socioeducativo della postmodernità in una prospettiva relazionale e socio-costruttivistica dell’esistenza individuale e sociale»170. Si tratta cioè

di un paradigma che fonda la propria ragione d’essere sull’instabilità, sul costituirsi di un terreno instabile che rende instabile ogni possibile “costante”. Poco più avanti infatti si precisa «sul quadro teorico e tecnico, l’autoformazione è ancora piuttosto frammentata e questo in seguito alla

169 Malcolm S. Knowles, L’apprendimento autodiretto. Una guida per i discenti e per i docenti.

In Gian Piero Quaglino (a cura di), Autoformazione, Raffaello Cortina Editore, Milano 2004, pp. 2-3.

sua natura fatta di costanti evolutive che diversificano cognitivamente, esperienzialmente e relazionalmente, altrettanti paradigmi con un discreto livello di impermanenza.» ma, subito dopo, aggiunge «la difficoltà della ricerca sull’autoformazione tuttavia non dipende solo dalle difficoltà teoriche o strategiche delle nuove forme e trasformazioni […] quanto dalla resistenza anche inconsapevole della formazione tradizionale nei confronti di questa nuova prospettiva»; ma se questo è vero quale significato assume una tale formazione gli individui?

Per quanto riguarda il nostro discorso dobbiamo precisare che l’area del discorso sull’autoformazione da cui prenderemo le mosse è quella esistenziale, lasciando così sullo sfondo altre concezioni171 che di fatto si

allacciano comunque, anche se in maniera indiretta, alla nostra esposizione; tale scelta si connette con l’idea che la comprensione di sé, come vedremo meglio, debba essere a fondamento di qualsiasi altro processo formativo e a maggior ragione se esso è auto-diretto; il ché non implica in nessun caso l’esclusione di concezioni che, come abbiamo detto, sono più o meno ma inevitabilmente e inestricabilmente implicate nell’agire umano e dunque anche al nostro discorso.

In questa prospettiva la domanda di azione sociale e professionale arretra per far posto a una domanda focalizzata sull’individuo e sul suo sviluppo personale. Si tratta quindi di porre l’attenzione ad un percorso che non esclude né l’aspetto sociale, anzi tutt’altro, e neppure quello professionale, e che - proprio per questo suo carattere inclusivo – non è, e non può essere, un percorso finalizzato ad un obiettivo predeterminato. In questo senso il punto di arrivo non è mai stabilito a priori, come succede percorrendo un sentiero che non si sa dove ci condurrà, e anche ci riconducesse nuovamente al punto di partenza non saremmo più lì allo stesso modo di prima. Sintetizzando una delle sfaccettature

171 Esistono diverse correnti autoformative che fanno riferimento ad altrettante concezioni

dell’autoformazione. Possiamo distinguere le seguenti correnti: autodidattica (integrale), esistenziale, formativa/educativa, cognitiva e sociale. Ivi, pp. 130 e ss.

dell’autoformazione, che qui risulta rilevante, Margiotta afferma: «è un percorso autobiografico e di ricerca personale al fine di ricostruire la memoria della propria storia. […] È un procedere maieutico che fa emergere temi significativi del vissuto personale nei contesti sociali di relazione e di lavoro o professionali. È un metodo che si fonda sul riconoscimento del principio di intersoggettività come originario al senso stesso della vita […] il che porta ad assumere un atteggiamento di […] autoriflessività, che permette di imparare dall’esperienza»172.