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Fluidità e complessità

1. Il contesto in cui si colloca la formazione

1.1. Fluidità e complessità

Il concetto di fluidità è ormai noto, emerge opportunamente dalle osservazioni che Bauman trae dalla situazione in cui ci troviamo a vivere, in quella che ormai viene definita postmodernità; tuttavia troviamo utile mettere in evidenza alcuni aspetti che questa situazione comporta, nel fare questo terremo naturalmente presente che le considerazioni di Bauman non si occupano, nello specifico, di formazione anche se certamente per noi le sue analisi in questo senso possono essere considerate significative. Naturalmente non è il solo ma senz’altro è stato tra i primi a delineare le attuali condizioni di precarietà ed incertezza non come un momento di

stallo destinato presto a rientrare ma bensì come un nuovo panorama con il quale è opportuno confrontarsi.

Bauman sottolinea il fatto che ormai camminiamo su un terreno instabile, il terreno su cui un tempo potevamo fondare le nostre prospettive di vita frana irrimediabilmente, tutto muta e cambia anche il volto stesso del progresso:

un tempo [il progresso] costituiva la manifestazione più estrema di ottimismo radicale e una promessa di felicità universalmente condivisa e durevole […]. Anziché grandi speranze e sogni d’oro, il ‘progresso’ evoca ormai notti insonni, popolate da incubi di ‘restare indietro’, di perdere il treno o di essere catapultati fuori del finestrino di un veicolo che accelera sempre più125.

I punti di riferimento non sono più stabili, si spostano anch’essi insieme a tutto il resto. «La vita si vive nell’incertezza, per quanto ci si sforzi del contrario. Ogni decisione è condannata a essere arbitraria; nessuna sarà esente da rischi e assicurata contro insuccesso e rimpianti tardivi. Per ogni argomento a favore di una scelta si trova un argomento contrario non meno pesante»126. Come sottolinea Bauman in questa

situazione ci si può affidare solo alla guida di una stella che scegliamo per la sua luce rassicurante, «ma in tutto ciò ci renderemo conto presto che la nostra scelta della stella-guida è stata, in ultima analisi, nostra, ed è gravida di rischi come lo sono state, e sono destinate ad essere, tutte le nostre scelte […] come nostra è la responsabilità di averla fatta»127.

Ma se quanto detto appare purtroppo sufficientemente visibile nella nostra quotidianità, ciò che rimane sullo sfondo senza destare grande attenzione riguarda un profondo cambiamento di prospettiva, «la

125 Bauman Z., (2005) Vita liquida, Tr. it. di Marco Cupellaro, Laterza, Roma-Bari 2007, p.

69.

126 Bauman Z., (2008) L’arte della vita, Tr. it. di Marco Cupellaro, Laterza, Roma-Bari

2010,p. 70.

preoccupazione per come viene gestito il mondo ha lasciato spazio a quella per la gestione di sé»128. Bauman segnala l’ascesa dell’autoreferenzialità e

vedremo che anche in ambito formativo questo aspetto avrà importanti influenze; nel discorso di Bauman da un lato l’autoreferenzialità mette immediatamente in evidenza il carattere egoistico, esso si connette a quella che viene definita ‘morale indolore’129 dall’altro, in ambito formativo,

l’autoreferenzialità viene assunta come inevitabile, per quanto complesso e problematico, elemento con cui si deve confrontare la formazione e il suo ripensamento. In questo contesto ciò che sembra mettere d’accordo tutti è che la formazione non può ormai prescindere da Longlife learning,

«La formazione dovrebbe essere tale affinché gli uomini e le donne del mondo liquido-moderno possano perseguire i propri obiettivi di vita con un minimo di intraprendenza e fiducia in se stessi, e con una speranza di successo. Ma c’è un’altra ragione, presa in considerazione meno frequentemente, ma più potente dell’altra fin qui analizzata: essa non ha nulla a che fare con l’adattamento delle abilità dell’uomo al ritmo rapido del cambiamento del mondo, ma con il rendere il mondo, che cambia rapidamente, un luogo più ospitale per l’umanità. Anche questo compito richiede una formazione continua e permanente»130.

128 Ivi, pp. 54-55.

129 Le considerazioni di Bauman in merito al passaggio all’autoreferenzialità si

inseriscono in un discorso più ampio che prende le mosse dalla questione, o meglio dal problema, della felicità: Bauman nel considerare se sia possibile oggi riconoscersi nell’obbligo di vivere per altro più che per noi stessi (considerazione di Gilles Lipovetsky con la quale Bauman si confronta) osserva che «l’ascesa spettacolare dell’autoreferenzialità egoistica procede, paradossalmente, a braccetto con una crescente sensibilità per la miseria umana, con l’avversione alla violenza, al dolore e alla sofferenza che colpiscono anche i più distanti tra gli estranei e con regolari esplosioni di carità mirata (riparatrice)», ciò nonostante il limite rimane quello della ‘morale indolore’, ciò significa che anche «quando si tratta di agire «per altro che per noi stessi» le passioni, il benessere e la salute fisica dell’Io tendono a essere l’inizio e la fine delle nostre considerazioni, e tendono a definire i limiti fin dove siamo disposti a spingerci nella nostra disponibilità ad aiutare». Ivi, pp. 53-54.

130 Bauman Z., (2005) Vita liquida, Tr. it. di Marco Cupellaro, Laterza, Roma-Bari 2007, pp.

Bauman tuttavia segnala un aspetto al quale non sempre viene attribuito l’importanza che merita, infatti non si tratta solo o principalmente di soffermarsi «sull’efficienza, sulla competitività, sul rapporto costi-efficaia e sulla affidabilità, […] di conferire alla ‘forza lavoro’ le virtù della flessibilità, della mobilità e delle “capacità di base legate all’occupazione”»131, come viene abbondantemente fatto, e

certamente si tratta anche di questo ma solo, «non sono soltanto le abilità tecniche a dover essere aggiornate continuamente, non è soltanto la formazione orientata al lavoro a dover essere permanente. Ne ha bisogno, e con urgenza ancora maggiore, anche la formazione alla cittadinanza»132.

Queste brevi considerazioni mostrano appena come la questione si sia articolata e complicata, come i confini che prima definivano i vari ambiti della vita e rendevano possibile una progettazione sufficientemente attendibile abbiano perso consistenza. L’emergenza ha dato vita ad una fuga collettiva in cui ognuno si deve occupare di sé, o al massimo di chi gli è più prossimo, e la vita collettiva si è svuotata. Come rispondere ora alla sollecitazione di Bauman «le abilità di cui abbiamo più bisogno al fine di offrire alla sfera pubblica una ragionevole possibilità di rinascita sono quelle dell’interazione con gli altri – di dialogo, di negoziato, di raggiungimento della comprensione reciproca e di gestione o risoluzione dei conflitti»133 rimane una questione aperta, come rispondere infatti

quando tutto è un flusso in continuo movimento?

Tale flusso da un lato richiede un continuo ri-orientamento dell’azione ma dall’altro non solo moltiplica i fattori da tenere in considerazione ma comprime anche i tempi per la decisione, emerge così una situazione di costante emergenza.

L’epoca attuale si caratterizza sempre più per una sorta di “presenza quantitativa” o aumento esponenziale del flusso delle interazioni e

131 Ivi, p. 139. 132 Ivi, p. 144. 133 Ivi, p. 143.

obbligazioni, e per una riduzione importante dei tempi di azione e decisione. La programmazione dei tempi medi di programmazione funzionano come linee programmatiche ed orientative anziché esecutiva, con urgenti e spesso sconvolgenti aggiustamenti nel breve o brevissimo periodo. La parola d’ordine è controllo dello squilibrio e dell’inversione di tendenza non funzionale, fatta da microinterventi, vere e proprie enazioni d’emergenza, sempre più necessari e continui.134