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Una nuova forma, l’utilitarsmo delle preferenze

1. Utilitarismo

1.4. Una nuova forma, l’utilitarsmo delle preferenze

Richard Mervyn Hare (1919-2002) si propone di costruire una teoria che sia non-descrittiva ma al contempo razionale a partire dall’uso e dalla funzione che i termini morali svolgono nel contesto del linguaggio. Hare da un lato critica l’intuizionismo per non essere in grado di rendere conto del disaccordo morale e soprattutto per il fatto di cadere nel relativismo227.

Al naturalismo invece oppone il fatto che non è possibile derivare alcuna conclusione valutativa da premesse esclusivamente descrittive, per Hare infatti i termini morali svolgono una funzione prescrittiva e non descrittiva.

Secondo il nostro autore dunque la prima caratteristica dei giudizi morali è appunto la prescrittività. I giudizi morali infatti “implicano” imperativi, il termine implicazione vuole sottolineare il fatto che i giudizi morali non devono essere confusi con gli imperativi che comportano. L’assenso ad una prescrizione implica l’impegno ad agire come il giudizio indica, cosa molto diversa dall’assenso ad un’affermazione descrittiva su qualche fatto, la quale invece implica eventualmente un valore di verità. Inoltre Hare ritiene che la seconda caratteristica peculiare dei giudizi morali sia la loro universalizzabilità. Ricordiamo che Hare riconosce piena validità al ragionamento e pertanto parlare di universalizzabilità dei giudizi morali significa, secondo il nostro autore, che dati due individui simili negli aspetti rilevanti, in due situazioni simili negli aspetti rilevanti,

226 Hare R. M., (1981) Il pensiero morale, Tr. it. di Stefano Sabattini, Società editrice il

Mulino, Bologna 1989, p. 20.

227 Critica generalmente viene rivolta ai non cognitivisti per il fatto di rifiutare la

è incoerente che essi agiscano in maniera diversa. Ovvero la questione della universalizzabilità è legata al problema di dare ragioni rispetto a un giudizio morale e se tale giudizio è universalizzabile ciò significa che le ragioni che lo riguardano sono neutrali rispetto all’agente, esse dunque devono riguardare una qualche proprietà non-morale dell’oggetto del giudizio. Infine, la terza caratteristica dei giudizi morali è la predominanza, questa invece ha a che fare, diversamente dalla precedente, proprio con il soggetto agente il quale considera i giudizi morali predominanti rispetto ad altri tipi di giudizio.

Poste le considerazioni preliminari in merito ai giudizi morali, arriviamo alla questione che interessa la nostra trattazione e cioè il fatto che Hare individua due livelli di riflessione morale: il livello 1 è quello intuitivo e il livello 2 è quello critico; di fatto c’è anche un terzo livello e cioè quello metaetico sul quale però noi non ci intratterremo e rispetto al quale ci limitiamo a dire che si occupa del significato dei termini morali e della logica del ragionamento morale. I primi due livelli invece si interessano delle questioni morali sostanziali anche se le affrontano in maniera diversa e si ricorre ad un livello piuttosto che all’altro in base al tipo di occasione che viene a presentarsi.

Il primo livello è dunque quello intuitivo ed esso si rifà all’utilitarismo della norma nel senso che poggia su principi largamente condivisi. Questo livello costituisce, secondo Hare, la maggior parte della riflessione morale degli uomini buoni228. Tali uomini buoni agiscono

razionalmente se l’azione che realizzano «è l’azione più probabilmente giusta, anche se, quando tutti i fatti sono noti, come non lo erano quando l’azione è stata compiuta, risulta che essa non era giusta. […] L’azione

228 Per uomo buono Hare intende l’uomo moralmente ben educato il quale pur essendo

«talvolta capace di, e disposto a, mettere in questione i principi che gli sono stati insegnati, avrà ricevuto nella sua educazione un insieme di motivazioni e inclinazioni tali che violerà questi principi assolutamente controvoglia». Hare R. M., Teoria etica e

utilitarismo in Sen A., Williams B. (a cura di), Utilitarismo e oltre, Il Saggiatore, Milano 1984, p. 45.

razionale sarà quasi sempre quella conforme ai generali principi buoni del livello 1»229. Il livello intuitivo infatti si connette alle acquisizioni derivanti

dall’educazione, si tratta cioè di affidarsi a principi socialmente diffusi ma perché vi sia effettiva diffusione tali principi devono essere semplici e generali.

Una espressione […] valida [per esprimerli] è “principi prima facie”. Tali principi esprimono dei “doveri prima facie”; sebbene essi, formalmente, siano semplicemente delle prescrizioni universali, a causa della nostra educazione sono associati a disposizioni d’animo e a sentimenti assai saldi e profondi.230

Hare ipotizza per alcuni di essi un possibile sviluppo in direzione di una maggiore complessità, tale incremento potrebbe infatti realizzarsi per quei principi maggiormente utilizzati dagli individui; essi acquisendo con l’uso una maggiore articolazione derivante dall’esperienza di situazioni differenti, potrebbero diventare complessi al punto da “sfuggire alla formulazione verbale”; tuttavia, avverte Hare, il loro grado di complessità non potrà mai raggiungere quello dei principi di secondo livello, questo a motivo della loro stessa funzione di riferimento per le situazioni quotidiane e abituali. Tali principi infatti sono necessari per il pensiero morale umano, ma non sono sufficienti, e non lo sono ad esempio nel caso in cui due principi che abbiamo appreso entrino in conflitto. In un caso come questo solo un pensiero critico può essere in grado di arrivare ad una risoluzione; «Pensare criticamente significa fare una scelta rispettando i vincoli imposti dalle proprietà logiche dei concetti morali e dai fatti non morali: nient’altro.»231

229 Ivi, p. 44.

230 Hare R. M., (1981) Il pensiero morale, Tr. it. di Stefano Sabattini, Società editrice il

Mulino, Bologna 1989, p. 71.

Il secondo livello, quello critico, si rifà all’utilitarismo dell’atto e la sua funzione è quella di «selezionare il miglior insieme di principi prima facie per utilizzarli nel pensiero intuitivo»232 oltre a questo si occupa anche

di risolvere, come abbiamo già detto, eventuali conflitti tra principi prima facie; tali conflitti saranno tanto più rari quanto più il livello critico sarà efficiente.

Alla base dell’indagine c’è un procedimento razionale che prende le mosse dal principio di utilità il quale richiede di considerare per ogni individuo interessato dalle mie azione ciò che vorrei fosse fatto per me nell’ipotesi in cui io fossi appunto nella sua situazione; il principio, inoltre, richiede di fare altrettanto nel caso in cui le mie azioni, come quasi sempre accade, interessino più di un individuo; in questo caso allora devo «fare ciò che vorrei, in tutto e per tutto, fosse fatto per me in circostanze ipotetiche in cui mi trovassi in tutte le loro situazioni»233. Hare precisa che

non essendo possibile, per ovvii motivi, accertare tutti i fatti esistenti (il nostro autore sa bene che gli uomini non sono arcangeli) il pensiero critico umano per procedere deve usare dei criteri per selezionare i fatti a cui prestare attenzione e sono i principi morali a stabilire cosa sia rilevante. Infatti «trattare una certa caratteristica di una situazione come rilevante sotto il profilo morale significa applicare a quella situazione un principio morale che faccia menzione di tale caratteristica»234

L’efficienza di tale ragionamento infatti ha come condizione il fatto che la riflessione razionale si svolga alla luce dei fatti, la determinazione in merito a quali procedure siano razionali dipenderà da quali sono le questioni in causa. «Se tentiamo di rispondere a questioni fattuali, è ovvio che la razionalità ci obbliga ad accertare i fatti, proprio perché le questioni

232 Ivi, p. 83.

233 Hare R. M., Teoria etica e utilitarismo in Sen A., Williams B. (a cura di), Utilitarismo e oltre, Il Saggiatore, Milano 1984, p. 35.

234 Hare R. M., (1981) Il pensiero morale, Tr. it. di Stefano Sabattini, Società editrice il

sono fattuali»235, la razionalità delle prescrizioni dunque dipende dalla

conoscenza dei fatti. Il fatto che questo accada anche per le questioni

morali, le quali, secondo il nostro autore, non sono interamente fattuali in

quanto hanno una componente prescrittiva, dipende dalla

universalizzabilità dei giudizi morali; questi infatti, come le asserzioni puramente fattuali o descrittive, hanno un significato descrittivo. Ovvero, per usare le parole di Hare:

quando giudichiamo moralmente, dichiariamo di raccomandare o condannare azioni o persone perché hanno alcune proprietà che le rendono giuste o sbagliate, buone o cattive; e pertanto è ovviamente irrazionale emettere il giudizio senza accertare se le azioni o le persone in questione abbiano o meno tali proprietà. [Hare sottolinea che] questo requisito non dipende minimamente dall’altro elemento presente nel significato dei giudizi morali, quello prescrittivo o valutativo.

Ed esprimere un giudizio morale include una prescrizione universale la quale, in una formulazione razionale, non può ignorare la prudenza, anzi essa stessa dev’essere universalizzata.

Sia che io stia prescrivendo nel mio interesse o in quello di qualcun altro […], devo domandarmi non cosa io o l’altro vogliamo realmente in questo momento, ma cosa dovremmo volere, prudenzialmente parlando. È da questo punto di vista razionale (nel senso prudenziale di «razionale») che devo esprimere le mie prescrizioni universali.236

I principi del livello 2 sono quelli ai quali si perviene attraverso una riflessione morale tranquilla in cui vi è adeguata conoscenza dei fatti. Tali

235 Ivi, p. 127.

236 Hare R. M., Teoria etica e utilitarismo in Sen A., Williams B. (a cura di), Utilitarismo e oltre, Il Saggiatore, Milano 1984, p. 37.

principi sono universali e tuttavia in alcuni casi possono essere specifici237.

Il livello critico infatti si risolve in un utilitarismo dell’atto che raggiunge tuttavia l’utilitarismo della norma a causa dell’universalizzabilità dei giudizi morali che vengono derivati, oltre all fatto che essi possono assumere i gradi richiesti di specificità. Hare ritiene che la sua teoria morale critica sia in grado, in linea di principio e nell’ideale condizione in cui sia data una conoscenza sovrumana dei fatti, di produrre in merito a ogni caso che le venga sottoposto una risposta su come agire in maniera moralmente corretta.