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Dalle autorità di collegamento ai network di punti contatto

L'esperienza maturata a seguito dell‘entrata in vigore dell‘Azione comune 96/602/GAI aveva dato esiti scoraggianti in fase attuativa, dando prova delle lacune dell‘impianto realizzato, la cui fragilità sul piano giuridico prestava il fianco a un atteggiamento reticente da parte degli Stati membri sul piano politico.182 Su tali basi e nel tentativo di dare nuovo impulso all‘iniziativa, a pochi anni dall‘introduzione dell‘azione comune venne avviato un timido processo di revisione che, attraverso la modifica della base giuridica, mirava essenzialmente a dare effettiva attuazione agli impegni già previsti del precedente atto.

Una tale prospettiva, del resto, veniva incoraggiata dall‘entrata in vigore del Trattato di Amsterdam che, ponendo lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia quale obiettivo strategico dell‘Unione, aveva dato una fortissima accelerazione al progetto di creazione di tale spazio,183 introducendo, tra l‘altro nuove tipologie di strumenti giuridici finalizzati alla prevenzione e alla lotta ai reati tendenti a tracimare gli argini della dimensione statale.184

182

L‘azione comune, del resto, era una tipologia di atto che non vincolava giuridicamente gli Stati né, tantomeno, poteva essere sottoposta alla valutazione della Corte di giustizia.

183

Vedi artt. 2 e 29 del Trattato di Amsterdam. Per un confronto sulle modifiche apportate dal Trattato di Amsterdam si vedano: ADAM R., La cooperazione in materia di giustizia ed affari interni tra

comunitarizzazione e metodo intergovernativo, in Il Trattato di Amsterdam, 1998; DRAETTA U., PARISI

N., Elementi di diritto dell‘Unione europea – parte speciale, 2010; POCAR F., Commentario ai Trattati

della Comunità e dell‘Unione europea, 2001. Vedi anche MONAR J., The integration of police and Judicial Cooperation in Criminal Matters into EU external relations. Achievements and problems, in FIJNAT C.,

OUWERKERK J., (ed.) The Future of police and judicial cooperation in the European Union, 2010, p 49 ss.

184 In particolare, si fa riferimento alle modifiche introdotte a seguito dell‘entrata in vigore del Trattato di

Amsterdam rispetto alla possibilità di adottare: ―posizioni comuni‖ che definiscono l'orientamento dell'Unione in merito a una questione specifica (art. K.6 comma 2.a), ―decisioni-quadro‖ per il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri (art. K.6 comma 2.b), ―decisioni‖ aventi qualsiasi altro scopo coerente con gli obiettivi del Titolo VI, escluso qualsiasi ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri (art. K.6 comma 2.c). Sul punto, va precisato che la Corte di Giustizia veniva investita della capacità di pronunciarsi in via pregiudiziale sull‘interpretazione e sulla validità degli atti adottati ai sensi dell‘art. 34 TUE. Tale capacità era di natura facoltativa. Solo i giudici degli Stati membri sottoscriventi la specifica dichiarazione, prevista all‘art. 35 TUE, erano titolari della facoltà di investire la Corte di giustizia a pronunciarsi su questioni pregiudiziali su materie rientranti all‘interno del terzo pilastro.

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La modifica dell‘articolo K1,185 in particolare, aveva reso possibile l‘adozione di misure comuni nel settore della cooperazione giudiziaria in materia penale, da realizzarsi attraverso la più stretta collaborazione tra le forze di polizia, le autorità doganali e giudiziarie e aveva introdotto, inoltre, la possibilità di ravvicinamento normativo delle norme di diritto penale, laddove ciò si fosse rivelato necessario allo scopo di garantire ai cittadini un elevato livello di sicurezza.186 Più precisamente, a seguito delle modifiche introdotte ad Amsterdam, lo sviluppo della cooperazione giudiziaria – in particolare in materia penale – si è mosso lungo tre grandi assi,187 attraverso i quali alla cooperazione di tipo tradizionale188 è stata associata tanto un‘azione parallela orientata al ―ravvicinamento

185 Divenuto di seguito l‘art. 29 TUE. Si segnala che nella formulazione originale dell‘art. K, contenuta nel

Trattato di Maastricht, venivano indicati i settori che gli Stati membri consideravano questioni di interesse

comune ― […] ai fini della realizzazione degli obiettivi dell'Unione, in particolare della libera circolazione delle persone, fatte salve le competenze della Comunità europea‖. Diversamente, con il Trattato di

Amsterdam e la modifica dell‘art. K1 ―l'obiettivo che l'Unione si prefigge è fornire ai cittadini un livello elevato di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, sviluppando tra gli Stati membri un'azione in comune nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale e prevenendo e reprimendo il razzismo e la xenofobia‖. Tra le modalità indicate all‘interno del paragrafo due per prevenire e reprimere la criminalità, il terrorismo, la tratta degli esseri umani ed i reati contro i minori, il traffico illecito di droga e di armi, la corruzione e la frode, viene indicata espressamente anche ―una più stretta cooperazione tra le

autorità giudiziarie e altre autorità competenti degli Stati membri‖.

186 Un tale ravvicinamento, secondo l‘art. 31 (e) TUE poteva concretizzarsi nella ―progressiva adozione di

norme minime relative agli ordinamenti costitutivi dei reati e alle sanzioni in materia di criminalità organizzata, terrorismo e traffico illecito di stupefacenti‖.

187

Sul punto si rimanda a SALAZAR L., La costruzione di uno spazio penale comune europeo, in GRASSO, SICURELLA, Lezioni di diritto penale europeo, Collana del Centro di Diritto Penale Europeo di Catania, 2007.

188 La cooperazione di tipo tradizionale era orientata all‘introduzione di strumenti giuridici vincolanti

all‘interno del settore Giustizia e Affari Interni. Ad esempio, nel settore penale si ricorda la Convenzione relativa alla procedura semplificata di estradizione tra Stati membri dell‘UE del 1995, e la Convenzione relativa all‘estradizione tra gli Stati membri dell‘UE del 1996. Si veda la Convenzione relativa alla procedura semplificata di estradizione tra Stati membri dell‘UE, adottata il 10 marzo 1995 e pubblicata in GUCE n. C 78 del 30 marzo 1995, e Convenzione relativa all‘estradizione tra gli Stati membri dell‘UE, adottata il 27 settembre 1996 e pubblicata in GUCE n. C 313 del 23 ottobre 1996. Prima dell‘introduzione dei due strumenti internazionali appena ricordati, la materia dell‘estradizione era stata oggetto della Convenzione Europea di estradizione, firmata a Parigi nel 1957, e integrata dai due protocolli addizionali del 1975 e del 1978. Si trattava del primo strumento internazionale finalizzato alla regolamentazione multilaterale dell‘estradizione tra i Paesi europei; in precedenza la materia era affidata a una serie di trattati bilaterali. Da ricordare, inoltre, che sotto l‘egida del Consiglio d‘Europa, nel 1959, è stata introdotta la Convenzione europea in materia di mutua assistenza penale. Con riferimento agli strumenti citati è opportuno sottolineare che la cooperazione si limitava a taluni aspetti procedurali, mentre sul piano sostanziale ogni Stato parte asseriva la propria completa autonomia rispetto alla legge applicabile.

84 normativo‖189

quanto una linea d‘azione diretta all‘adozione di ―forme innovative di coordinamento‖. Queste ultime, di particolare interesse ai fini della presente ricerca, erano finalizzate a migliorare la mutua comprensione tra i sistemi nazionali nonché a fluidificare i passaggi operativi che scandiscono le procedure di cooperazione giudiziaria attraverso strumenti di carattere soft che tendevano a incidere su un profilo pratico.

Come è noto, l‘azione combinata di tali linee di intervento ha contribuito non poco alla progressiva dissociazione tra la classica definizione di territorio e un‘inedita nozione di ―spazio‖ giuridico e giudiziario, all‘interno del quale gli Stati membri si trovano a dover contemperare i rispettivi sistemi giuridici nel quadro di una più vasta complessità.190 In questo nuovo quadro, in cui la costruzione europea si presenta come espressione di un progetto di integrazione tendenzialmente generale e non più di tipo settoriale, la consueta concezione di sovranità cede il passo a una poco ortodossa versione di ―sovranità condivisa‖, che non manca di riflettersi in un parziale ripensamento dell‘esercizio dell‘azione penale.191

Di fatti, a partire da una tale nozione riveduta e corretta di sovranità è stato possibile tracciare i contorni di una difficile quanto longeva soluzione di compromesso tra salvaguardia dell‘interesse nazionale e apertura sempre maggiore verso un approccio di tipo sovranazionale,192 che ha potuto trovare espressione nella costruzione

189 La realizzazione dell‘attività di ravvicinamento normativo non era affidata solo agli strumenti tipici della

cooperazione intergovernativa ma poteva contare anche sul ricorso ai nuovi strumenti resi disponibili dal Trattato, primo tra tutti l‘azione comune. Sul primo versante, ad esempio, si ricorda la Convenzione del 26 luglio 1995 in materia di incriminazione delle condotte di frode ai danni del bilancio comunitario (GUCE n. C 316 del 27 novembre 1995) e i tre successivi protocolli; la Convenzione del 1997 sull‘incriminazione degli atti di corruzione in cui siano coinvolti funzionari comunitari o funzionari di Stati membri (GUCE n. C 195 del luglio 1997). Sul punto si segnala come parte della dottrina abbia sostenuto l‘idea di una sorta di ―armonizzazione a diritto invariato‖, in ragione dell‘assenza di una reale volontà di realizzare tipologie di incriminazioni comuni, sul punto vedi DE KERCHOVE, L‘Europe pénale: bilan et perspectives, contributo al volume del Congresso FIDE 2004, p. 335 e FLORE, Une justice pénale européenne apres Amsterdam, in

Journal des Tribunaux, n. 60, giugno 1999, p. 127. Tuttavia, l‘adozione delle prime azioni comuni sembrò

testimoniare la volontà di realizzare delle azioni più ambiziose e dall‘impatto più ―percepibile‖ all‘interno degli Stati membri; sul punto vedi SALAZAR, L., La costruzione di uno spazio penale comune europeo, in GRASSO, SICURELLA, Lezioni di diritto penale europeo, Collana del Centro di Diritto Penale Europeo di Catania, 2007.

190

Ibid.

191 SPIEZIA, Lo Spazio Giudiziario Europeo dopo il Trattato di Lisbona,. Cit. p. 4. 192

Per un confronto sul punto vedi MONTAIN-DOMENAH J., Le droit de l‘espace judiciaire pénal

européen: un nouveau modèle juridique?, in Culture et Conflits, n. 62 (2006) Arrêter et juger en Europe, (pp.

149-168), p. 155. A seguito dell‘introduzione del Trattato di Amsterdam e in vista della sua entrata in vigore, è stata pubblicata la Comunicazione della Commissione ―Verso uno Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia‖, che si proponeva di offrire indicazioni circa le modalità più adeguate per tradurre in misure concrete gli ambiziosi obiettivi del Trattato; a pochi mesi di distanza, la comunicazione è stata seguita

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di forme di coordinamento alternative agli strumenti tipici della cooperazione intergovernativa così come al rigoroso utilizzo del modello gerarchico di memoria kelseniana, poco adatto a una realtà multilivello quale quella che andava profilandosi a livello europeo.193

La scelta di ottimizzare la cooperazione tra ufficiali di collegamento a partire dalla modifica della forma giuridica che ne stabilisce la disciplina si pone dunque in linea di continuità con un tale impianto prospettico. Il progetto di modifica proposto dalla Danimarca, di fatti, era essenzialmente finalizzato a porre rimedio alla fragilità giuridica dell‘Azione comune 96/602/GAI e appariva poco orientato a superare le criticità del sistema di cooperazione già in essere. L‘iniziativa, infatti, tradisce un impianto timido, fortemente affine nella sostanza al precedente atto, e persevera nella ricerca di un minimo comune denominatore. Gli emendamenti proposti sono stati tanto esigui quanto circoscritti sul piano sostanziale, allo scopo di evitare veti in seno al Consiglio e scongiurare lo sgretolamento di un quadro di riferimento politico che avrebbe consentito di raggiungere degli obiettivi nel breve periodo, seppure modesti. In sostanza, ciò che ha prevalso è stato un atteggiamento di prudenza, per certi versi opportuno, che si è tradotto in una revisione normativa minimale e limitata a un rispettoso mantenimento dello status quo.194

dall‘adozione del Piano d‘Azione di Vienna del Consiglio e della Commissione sul modo migliore per attuare le disposizioni del Trattato di Amsterdam concernenti lo Spazio Libertà, Sicurezza e Giustizia. Quest‘ultimo mette in risalto la stretta relazione intercorrente tra le nozioni di ―libertà‖, ―sicurezza‖ e ―giustizia‖, le quali devono essere considerate come strettamente intrecciate tra loro poiché, come viene evidenziato, ―la libertà perde formalmente di significato se essa non può essere vissuta in un ambiente sicuro e senza un sistema giudiziario che riscuota la fiducia dei cittadini dell‘Unione e delle persone che vi risiedono‖. Vedi Comunicazione della Commissione del 14 luglio 1998, Doc. COM (1998) 459 fin e il Piano d‘azione di Vienna concernente le modalità ottimali di attuazione delle disposizioni del trattato di Amsterdam relative

alla creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Quest‘ultimo è stato presentato al Consiglio

europeo di Vienna dell‘11-12 dicembre 1998, Doc. 13844/98, in GUCE, C 19, del 23 gennaio 1999. Cfr. anche con la risoluzione del Parlamento europeo del 13 aprile 1999, in GUCE, C 219 del 20 luglio 1999. Nell‘elencare le proprie priorità la Commissione afferma che ―è necessario tenere presente che una delle

caratteristiche della cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni è che essa si basa in egual misura tanto su accordi operativi che su strumenti legislativi‖, p. 4.

193 OST F., VAN DE KERCHOVE M., De la pyramide au réseau? Pour une théorie dialectique du droit,

Brussels, Publications des Facultés universitaires Saint-Louis, 2002, p. 14.

194 Vedi Risoluzione legislativa del Parlamento europeo sull'iniziativa del Regno di Danimarca in vista

dell'adozione di una decisione del Consiglio relativa all'utilizzo comune degli ufficiali di collegamento distaccati all'estero dalle autorità degli Stati membri incaricate dell'applicazione della legge (10507/2002 - C5-0357/2002 - 2002/0815(CNS)). Nel 2006 la Decisione del 2003 è stata oggetto di modifica attraverso l‘adozione della Decisione 2006/560/GAI del Consiglio, del 24 luglio 2006 , recante modifica della decisione 2003/170/GAI relativa all'utilizzo comune degli ufficiali di collegamento distaccati all'estero dalle autorità degli Stati membri incaricate dell'applicazione della legge.

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Ciò nonostante, il progetto di riforma culminato con l‘adozione della Decisione

2003/170/GAI195 non manca di apportare modifiche che, sebbene non particolarmente incisive in termini di efficacia, nel quadro della presente ricerca rilevano in ragione dell‘introduzione di taluni elementi caratteristici delle moderne dinamiche cooperative di stampo reticolare. Ad esempio, la Decisione del 2003 ha posto in capo agli ufficiali di collegamento distaccati presso lo stesso Paese terzo espliciti obblighi di informazione e coordinamento e ha reso vincolanti disposizioni concernenti la protezione dei dati a livello dell‘Unione;196

inoltre, sono state previste disposizioni concernenti la prassi degli incontri periodici (che possono prevedere, se del caso, la partecipazione della Commissione e di Europol)197 nonché il rapporto di complementarità delle funzioni degli ufficiali stanziati dagli Stati membri presso il territorio dello stesso Paese.

Tali disposizioni, tra l‘altro, benché in misura limitata, appaiono orientate a dare un taglio comunitario ai compiti assegnati agli ufficiali di collegamento, la cui funzione, secondo il punto di vista del Parlamento europeo, non avrebbe dovuto essere circoscritta alla difesa degli interessi del proprio Stato d‘origine, ma avrebbe dovuto estendersi alla tutela degli interessi di Stati membri altri che non dispongono di personale sul territorio di un dato Paese terzo. Nello specifico, l‘attribuzione di un valore vincolante alle norme concernenti le competenze degli ufficiali di collegamento e la protezione dei dati era finalizzata a evitare che l‘insieme delle normative nazionali potesse interferire con tali strumenti di controllo giudiziario. Inoltre, nella stessa direzione muovevano anche le misure orientate ad attualizzare le funzioni degli ufficiali di collegamento rispetto alle nuove competenze acquisite da Europol.198

195

Decisione 2003/170/GAI del Consiglio del 27 febbraio 2003 relativa all'utilizzo comune degli ufficiali di collegamento distaccati all'estero dalle autorità degli Stati membri incaricate dell'applicazione della legge.

196

Si veda l‘iniziativa del Regno di Danimarca in vista dell'adozione di una decisione del Consiglio relativa all'utilizzo comune degli ufficiali di collegamento distaccati all'estero dalle autorità degli Stati membri incaricate dell'applicazione della legge.

197 All‘art 4(1), che disciplina la creazione di reti di ufficiali di collegamento nei paesi terzi, viene posto in

capo allo Stato membro che esercita la presidenza del Consiglio della UE il dovere di invitare i propri ufficiali di collegamento a convocare riunioni periodiche che coinvolgano gli ufficiali degli altri Stati membri presenti sul territorio dello stesso Paese.

198 In particolare, l‘esigenza di tali misure venne supportata dal Parlamento europeo, il quale sostenne

fortemente l‘idea di una cooperazione tra gli Stati membri nell‘ambito dello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia mediante un netto rafforzamento della cooperazione tra gli ufficiali di collegamento dei diversi Stati membri e gli ufficiali di Europol qualora questi si trovassero nello stesso Paese terzo. In particolare il campo di cooperazione è ampliato e si consente ora all'Europol di richiedere informazioni direttamente agli ufficiali di collegamento degli Stati membri distaccati in un paese terzo o presso un'organizzazione internazionale.

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Proprio il rapporto con Europol, per altro, è stato al centro delle modifiche che hanno interessato in una fase successiva la Decisione del 2003.199 A seguito della valutazione relativa all‘attuazione della decisione era emersa l‘esigenza di rendere vincolante l‘impiego degli ufficiali di collegamento di Europol ai fini della trasmissione di informazioni e, soprattutto, ai fini del coordinamento e della cooperazione tra gli ufficiali di collegamento distaccati dalle autorità dei diversi Stati membri in uno stesso Paese o presso una stessa organizzazione.200 Le nuove misure introdotte, infatti, sono rivolte tanto al rafforzamento dello spirito di solidarietà e di cooperazione tra i servizi di polizia degli Stati membri, quanto alla maggiore efficacia di questi ultimi nei compiti che sono loro affidati evitando, per esempio, sovrapposizioni e ridondanze nell‘azione portata avanti da due o più Stati membri nello stesso territorio.

Se, da un lato, lo sviluppo dei meccanismi di cooperazione operativa tra le forze di polizia affrontava faticosamente, sul piano pratico, un momento di stasi, dall‘altra il processo di retificazione dei meccanismi di collaborazione tra autorità giudiziarie procedeva in maniera più spedita. A soli due anni dall‘introduzione dell‘Azione comune che aveva posto in essere la base giuridica per la formalizzazione di un sistema di scambio di magistrati di collegamento, le Istituzioni dell‘Unione hanno creato le premesse per la costituzione del primo meccanismo di cooperazione in rete operante a livello europeo. In linea con il Piano d‘Azione per combattere il crimine organizzato, adottato dal Consiglio nel 1997, l‘Azione Comune 98/428/GAI201 ha istituito il primo network di esperti nel campo dell‘assistenza giudiziaria concepito secondo una visione policentrica.202

199

Vedi Decisione 2006/560/GAI del Consiglio, del 24 luglio 2006 , recante modifica della decisione 2003/170/GAI relativa all'utilizzo comune degli ufficiali di collegamento distaccati all'estero dalle autorità degli Stati membri incaricate dell'applicazione della legge. Tale decisione è intesa a dare applicazione alle norme della precedente decisione relative agli ufficiali di collegamento distaccati da parte di Europol e, in senso più ampio, a rendere giuridicamente vincolante il ruolo attualmente svolto da detti ufficiali. Sul punto si veda anche la Risoluzione legislativa del Parlamento europeo sull'iniziativa del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord volta all'adozione di una decisione del Consiglio recante modifica della decisione 2003/170/GAI relativa all'utilizzo comune degli ufficiali di collegamento distaccati all'estero dalle autorità degli Stati membri incaricate dell'applicazione della legge (10706/2005 - C6-0255/2005 - 2005/0808(CNS)). GU C 293E del 2.12.2006.

200

Questi stessi ufficiali hanno anche il compito di comunicare informazioni concernenti minacce criminali che potrebbero essere dirette contro uno o più Stati membri ed essere utilizzate per scambiare informazioni su richiesta di uno Stato membro.

201 Azione Comune del 29 giugno 1998 che istituisce una Rete giudiziaria europea, (GUCE. n. L 191 del 7

luglio 1998 p. 4).

202 L‘idea originaria di creazione di una rete giudiziaria europea nasce dall‘iniziativa del governo belga che,

nel 1996, avviò un programma intitolato ―Rete giudiziaria europea e criminalità organizzata internazionale‖ con l‘obiettivo di creare un network attivo per la lotta contro la criminalità organizzata internazionale. Per un

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In maniera analoga ai magistrati di collegamento, la principale ragion d‘essere dei punti di contatto della rete consiste nel migliorare, facilitare e accelerare il funzionamento della cooperazione giudiziaria in materia penale, in particolare nel combattere le più gravi forme di criminalità, attraverso il sostegno alle autorità nazionali coinvolte.203 Tuttavia, come si vedrà nel corso della trattazione, malgrado le immediate analogie concernenti la funzione di intermediazione svolta, i due meccanismi di collaborazione presentano significative differenze per ciò che attiene il rispettivo status, il ruolo esercitato nonché la portata dell‘azione di raccordo realizzata. Come osservato precedentemente, il magistrato di collegamento funge essenzialmente da passerella culturale e svolge un‘attività di mediazione che è associabile a quella dell‘attaché. In sostanza, questi viene collocato presso il territorio dello Stato ospitante, dove ha la facoltà di costruire delle reti di relazioni