• Non ci sono risultati.

La cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale

La cooperazione giudiziaria internazionale non può essere concepita se non sulla base della stretta relazione che la lega al principio di esclusività territoriale dello Stato, in virtù del quale è fatto divieto all‘autorità nazionale di tracimare con la propria azione gli argini del territorio statale ai fini dell‘applicazione della legge. I rapporti di collaborazione che si strutturano a livello internazionale, infatti, appaiono strumentali all‘attivazione di meccanismi che consentono di mettere la forza pubblica di un Paese a servizio di procedure poste in essere nell‘ambito di una giurisdizione estera. Tali meccanismi poggiano sull‘utilizzo di strumenti di matrice internazionalistica basati sul principio di ―richiesta‖, quali la procedura di estradizione251

o il ricorso alla rogatoria;252 procedure farraginose, lente e inefficienti, i cui limiti consistono prevalentemente nella loro eccessiva lunghezza e nell‘ampia discrezionalità accordata al potere esecutivo. Infatti, lo Stato cui l‘istanza è inoltrata dispone di un largo margine discrezionale rispetto alla decisione di darvi seguito o meno. Ciò è rilevabile in particolar modo nelle procedure tradizionali di estradizione, nell‘ambito delle quali la decisione di dare seguito o meno alla richiesta di un altro Stato è stabilita sulla base di motivi che trascendono il contesto giuridico e che interessano la sfera delle relazioni internazionali, in cui il principio di opportunità assume

251 L‘estradizione consiste in una procedura, caratterizzata da una doppia forma di controllo, esercitato sul

piano politico a livello ministeriale e sul piano giudiziario dall‘autorità giurisdizionale nazionale. Questa si concreta nella consegna, da parte di uno Stato sovrano, di individui perseguiti per un reato o ricercati per l‘esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza dalle autorità giudiziarie della Stato richiedente (Art. 1 della Convenzione europea di estradizione Parigi, 13 dicembre 1957). Nello specifico, l‘estradizione può avere carattere processuale, quando l‘individuo che si chiede di estradare è oggetto di una ordinanza di custodia cautelare in carcere; diversamente, si parla di estradizione esecutiva, quando questi è destinatario di una sentenza di condanna definitiva ad una pena detentiva o ad una misura di sicurezza privativa della libertà personale. I Principi fondamentali che regolano la tradizionale procedura di estradizione sono la doppia incriminazione, principio di specialità e il principio di reciprocità.

252 La rogatoria consiste in una richiesta avanzata dall‘autorità giudiziaria di uno Stato, nei confronti

all‘autorità giudiziaria di un altro Stato, affinché venga prestata assistenza giudiziaria tramite l‘esecuzione di certi atti, quali comunicazioni, notificazioni, attività di acquisizione probatoria. Dal punto di vista procedurale si basa sulla trasmissione di un‘istanza mediante canali diplomatici, sottoposta a un duplice vaglio di ammissibilità.

107

una valenza centrale. 253 L‘estradizione è, dunque, espressione della decisione sovrana dello Stato richiesto, che non è di norma tenuto a procedere all‘esecuzione della richiesta, se non sulla base di condizioni stabilite attraverso accordi internazionali specifici e, comunque, solo nella misura in cui sussistano taluni requisiti, tra i quali, ad esempio, quello di doppia incriminazione o quello di reciprocità.254

Gli impegni assunti a livello internazionale, pertanto, diventano funzionali a limitare la capacità discrezionale dello Stato di accordare o meno la propria collaborazione e a rendere meno incerta l‘attività delle autorità nazionali finalizzata all‘applicazione della legge. Ciò avviene attraverso la disciplina, seppure non troppo puntuale, dei termini sulla base dei quali una tale cooperazione deve realizzarsi e, in modo particolare, attraverso la delimitazione dei motivi ostativi all‘esecuzione della domanda.

I problemi sollevati dall‘eventuale indisponibilità dello Stato a cooperare e i sistemi utilizzati per superarli, tuttavia, costituiscono solo una delle tessere del variegato mosaico di elementi di complessità generati dall‘esigenza di strutturare un rapporto cooperativo in materia di giustizia a livello internazionale. La cooperazione giudiziaria, infatti, trovando la propria ragion d‘essere nel principio di territorialità, si concreta essenzialmente in un rapporto di collaborazione inter-statuale e situa all‘interno del proprio nucleo essenziale la responsabilità dello Stato, che risponde delle proprie scelte sia quando l‘utilizzo della propria forza pubblica viene sollecitato, sia quando è esso stesso a richiedere che le proprie istanze di cooperazione vengano eseguite. Ne deriva che per tracciare un quadro fedele di questo delicato settore di intervento - e per meglio comprendere come l‘attività delle reti di cooperazione giudiziaria si inserisce all‘interno di questo quadro - non possono essere sottaciute le problematiche che si riversano sulla buona esecuzione di altri obblighi internazionali concernenti l‘esercizio del potere giudiziario. Questi possono sorgere tanto nei casi in cui venga opposto un rifiuto alla richiesta di collaborazione, quanto nelle ipotesi in cui tale collaborazione venga di fatto concessa. Da una parte, ad esempio, il rifiuto dell‘exequatur genera tra le più ―naturali‖ situazioni di contenzioso internazionale,

253 Opinione dell‘Avvocato Generale Ruiz-Jarabo Colomer, del 12 settembre 2006, nella causa C-303/05,

Advocaten voor de Wereld VZW v Leden van de Ministerraad. Punto 42

254 Sul punto vedi la dichiarazione congiunta dei giudici EVERSEN, TARASSOV, GIULLAME, AGIULAR

MAWDSLEY, Questions d‘interpretation et d‘application de la Convention de Montreal de 1971 resultant

de l‘incident aérien de Lockerbie, (Jamahiriya arabe libyenne c. Etats-Unis d‘Amérique), mesures conservatoires, ordonnance du 14 avril 1992, rec. CIJ 1992, p. 114, p. 126 par. 2. Si veda anche XIème

résolution adoptée à la session d‘Oxford, Ann. IDI, 1885-1886, p. 144 ; SAINT-AUBIN J., L‘extradition et le

droit extraditionnel théorique appliqué, 1913, pp. 679-695 ; MERCIER A., L‘extradition, RCADI, 1930-III

(33), pp. 167-270, pp. 189-190 ; PUENTE EGIDO J., L‘extradition en droit international : problèmes

108

concernenti la presunta illiceità dell‘azione dello Stato che si rende indisponibile a cooperare e la responsabilità che ne deriva sul piano internazionale.255 Dall‘altra, la decisione di mettere la propria forza pubblica a servizio dell‘autorità estera non appare essere immune da criticità, le quali possono interessare la tenuta dei diritti fondamentali256

255

Sul punto si vedano, ad esempio, tre casi recentemente portati all‘attenzione della Corte Internazionale di Giustizia. Nel caso Gibuti contro Francia del 2008, la Francia è stata accusata di venire meno agli obblighi internazionali derivanti dal Trattato di amicizia e cooperazione tra i due Paesi del 1977 e dalla Convenzione bilaterale di Assistenza giudiziaria del 1986, a causa del rifiuto a dare esecuzione alla lettera rogatoria riguardante la trasmissione di documenti relativi al Caso contro X per l‘omicidio di Bernard Borrel. Il Gibuti, inoltre, ha contestato la lesione dell‘obbligo internazionale sancito dall‘art. 17 della convenzione bilaterale di assistenza giudiziaria stipulata tra le due parti. Il Capo di Stato del Gibuti, presente sul territorio francese per partecipare a una conferenza internazionale, aveva ricevuto via fax dall‘ambasciata francese un invito a testimoniare davanti ai giudici francesi. Una tale modalità di convocazione è stata percepita dalle autorità del Gibuti come violazione dell‘obbligo internazionale di rispettare la dignità di un Capo di Stato straniero in visita nel territorio di un altro Stato e da luogo a una decisione di rifiuto. Il secondo caso, diversamente, concerne l‘Affaire Hissène Habré. Con sentenza del 20 luglio 2012 nel caso Belgio contro Senegal, la Corte internazionale di giustizia, accogliendo il ricorso del Belgio, ha accertato la responsabilità internazionale del Senegal per aver violato gli articoli 6.2 (obbligo di attivare un‘inchiesta preliminare) e 7.1 (obbligo di sottoporre il caso di fronte alle autorità giudiziarie) della Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti nella vicenda relativa al caso Hissène Habré, già dittatore del Chad tra il 1982 e il 1990. Infine, il 5 aprile 2011 la Corte internazionale di giustizia è stata chiamata a pronunciarsi sulla controversia concernente l‘applicazione della Convenzione di Lugano nel caso Belgio

contro Svizzera. Nello specifico, la domanda presentata dal Belgio nei confronti della Svizzera riguardava

essenzialmente il rifiuto dei giudici svizzeri e, in particolare, del Tribunale federale quale giudice di ultima istanza, di fare applicazione delle disposizioni contenute in tale Convenzione in materia di litispendenza e di connessione internazionale e di riconoscimento delle decisioni emesse negli altri Stati contraenti. Sul punto vedi SANTULLI C., Cooperation judiciaire internazionale et respect de l‘exclusivité territoriale: une

responsabilité de l‘État, in Revue Générale de Droit International Public, 2013, n. 3, pp 419 e ss ; vedi anche

POULIOT V., Forum prorogatum before the International Court of Justice: the Djibouti v. France case, in

The Hague Justice Portal

http://www.haguejusticeportal.net/Docs/Commentaries%20PDF/Vincent_Djibouti_EN_II.pdf; MARONGIU BUONAIUTI F., Una controversia relativa alla Convenzione di Lugano giunge innanzi alla Corte

internazionale di giustizia, in Rivista di diritto internazionale, 2010, pp. 454-463.

256 Com‘è noto è la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell‘Uomo nel celebre leading case Soering ad

aver messo in evidenza in primis i problemi relativi alla tenuta dei diritti fondamentali sollevati dalla scelta dello Stato richiesto di rendersi disponibile a cooperare. Si veda Court. E.D.H., 7 luglio 1989, Soering contro

Regno Unito, Rec. C.E.D.H. Serie A, vol. 161, pp. 8-50. Nel caso di specie, il ricorso alla Corte EDU era

stato avanzato dal sig. Soering, contro la decisione del Regno Unito di accordare la sua estradizione verso gli Stati Uniti e, precisamente verso lo Stato della Virginia, dove il richiedente avrebbe rischiato di essere condannato alla pena capitale. Come è noto, sulla base di una consolidata linea giurisprudenziale, il diritto alla vita sancito all‘art. 2 CEDU non costituisce un diritto assoluto; diversamente, una tale caratteristica è

109

o, più in generale, la responsabilità dello Stato nei confronti di soggetti ―terzi‖, siano essi singoli o entità statali.257

Queste ultime criticità, come sarà possibile osservare all‘interno della trattazione, sebbene mitigate, non risultano essere del tutto superate nemmeno nel quadro del sistema di cooperazione prefigurato a Tampere258 e attualmente operante nella sua versione riveduta e corretta a Lisbona. Infatti, le condizioni sussistenti (o per meglio dire, che si presume sussistano) a fondamento dello Spazio LSG, che hanno consentito di superare il ricorso al principio della richiesta, hanno determinato solo in maniera parziale e altalenante la riduzione delle situazioni di conflitto.

I.2 Mutuo riconoscimento e ravvicinamento normativo: alternanza, gerarchia o