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B EDINI 2014: 138; T RONCHETTI 2014: 157.

Alessandro Usa

35 B EDINI 2014: 138; T RONCHETTI 2014: 157.

Più avanti, Lilliu amplia lo sguardo e rileva la connessione delle statue e dei presunti templi di Mont’e Prama con altri ruderi esistenti nelle vicinanze. In primo luogo richiama la fitta rete dei nuraghi del Sinis, solo pochi anni prima descritti da una tesi di laurea36, e tra questi

menziona il nuraghe complesso collocato all’estremità meridionale del pianoro di Mont’e Prama37; in secondo luogo afferma l’esistenza di un abitato nuragico esteso sulle pendici del

colle, di cui l’unico resto evidente era costituito da un edificio circolare di circa 9 metri di diametro38. Anche in questo caso le affermazioni di Lilliu sono nette e decise, ma carenti di

dimostrazione; infatti il nuraghe di Mont’e Prama sorge circa 300 metri a Sud-ovest del luogo in esame e sembra rivolgersi prevalentemente verso i quadranti meridionali, così che la necropoli con le statue, fino a prova contraria molto più recente del nuraghe, sembra essere stata collocata non in diretta connessione col monumento ma in un luogo distante e quasi alle sue spalle39; inoltre i reperti ceramici in superficie confermano che l’insediamento

era adiacente al nuraghe40, mentre l’edificio circolare prossimo alla necropoli, imponente e

quasi isolato, non ha l’aspetto di una semplice abitazione, ma piuttosto suggerisce una funzione cerimoniale nel senso più ampio e generico41.

Le basi su cui Lilliu costruì la sintesi interpretativa del sito di Mont’e Prama sono senza dubbio evanescenti. Su queste basi, il presupposto iniziale del santuario nuragico abbandona il terreno della realtà e vola nel mito. Ora l’interpretazione si fa visione, espressa coi toni epici del miglior Giovanni Lilliu narratore. Dalle sue pagine emerge l’immagine viva di un «abitato nuragico con capanne rotonde non distante dal nuraghe, insieme ad altri edifizi fra i quali eccelleva, nella parte bassa, il tempio con le statue», «un santuario da supporre celebrato, famoso, pansardo», coi «simulacri esposti nel tempio a colonne», «immagini sacre di remoti antenati-eroi “nazionali”, grandi guerrieri, divinizzati e venerati da tutte le genti sarde nuragiche»42. La prudenza ritorna nell’evocazione del mito di Iolao e

dei Tespiadi, che Lilliu richiama senza cedere alla tentazione di identificare luoghi e personaggi, solo cogliendo lo spunto per «riandare a una meno definita e personificata saga sarda relativa a una memorabile antica impresa guerresca forse cantata in tutta l’isola»43. Ben

inteso, io non sono insensibile al fascino della perduta mitologia nuragica; qui il tema in discussione è il metodo d’impostazione della ricerca archeologica scientifica.

36 IBBA 1972-73.

37 LILLIU 1977: 121.

38 LILLIU 1977: 115, 120-122, tav. XXI. 39 USAI 2014: 35, 38, 39; 2015a: 318, figg. 1-2. 40 USAI 2014: 42, 47; USAI 2015a: 321.

41 L’edificio, appena saggiato da Carlo Tronchetti nel 1979 (TRONCHETTI 2014: 158-159, tav. III.1), è stato

indagato nel 2015 dallo scrivente con la collaborazione di Antonio Vacca, Franco Campus e Silvia Vidili (USAI 2015b: 86-87, tavv. XVII-XIX; USAI,VIDILI 2016: 254-258, tavv. I-VII, VIII.1; USAI et alii 2017: 162- 169, tavv. XII.15-24, XIV-XV).

42 LILLIU 1977: 124, 139, 142. 43 LILLIU 1977: 142.

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In questo primo studio, Lilliu mette in evidenza lucidamente la struttura massiccia delle statue e la raffinata decorazione di piena ambientazione geometrica44 e inquadra il

fenomeno della grande statuaria nuragica nello sviluppo di una nuova società aristocratica «competitiva ed espansiva, autonoma ed autodeterminata», capace di creare una «organizzazione tendenzialmente se non del tutto “urbana” nella Sardegna dell’VIII secolo a.C.»45. Ancora una volta Lilliu vola alto e non cerca dimostrazione nella realtà

archeologica. A mio avviso, la tendenza urbana è un altro mito creato da Lilliu, in qualche modo costretto dall’impressione esercitata dalle grandi statue, che evidentemente egli non riusciva a concepire fuori da un ambiente urbano, secondo il modello della grande scultura orientale, greca e italica. Tuttavia la documentazione nuragica del Sinis e dell’intera Sardegna mostra, ancora nella piena Prima Età del Ferro, un’organizzazione gerarchica policentrica46, certamente più complessa e dinamica di quella imperniata sui nuraghi del

Bronzo Medio e Recente, che indica una rapida evoluzione dell’economia e delle società nuragiche, ma non produce fenomeni di stretta aggregazione, concentrazione e sinecismo, come sono noti nella penisola italiana nella fase di formazione delle comunità urbane. Allo stesso modo, non casualmente, la critica attuale sottopone a valutazioni problematiche anche le aristocrazie nuragiche evocate da Lilliu, poiché il peculiare fenomeno di concentrazione di ricchezza nei santuari conferma la formazione di élites sociali eminenti ma non soddisfa i requisiti dei criteri comunemente adottati per la definizione di un ceto aristocratico47.

Infine, ancora nello studio del 1977 Lilliu accenna alla distruzione intenzionale delle statue e del santuario, che ritiene avvenuta «quando la civiltà nuragica era cessata nel luogo»48.

Negli studi successivi49 Lilliu non aggiunse e non cambiò molto al quadro interpretativo

abbozzato nel 1976 e costruito compiutamente nel 1977. Confermò la definizione del complesso come santuario o «heroon-tempio» e la sua connessione con l’insediamento e col nuraghe. Accolse l’esistenza della necropoli, ma non ne fece mai l’elemento portante dell’organizzazione del luogo. Ipotizzò la violazione delle tombe, citando come indizi la mancanza dei corredi e la presenza di frammenti di statue nei pozzetti, ma senza considerare la giacitura primaria indisturbata degli scheletri. Accettò la presenza dei betili, ma non rinunciò a confermare l’esistenza delle colonne con capitelli, e quindi dell’edificio colonnato, né tentò minimamente una distinzione tra colonne e betili, se non per il particolare degli incavi quadrangolari presenti su alcuni dei secondi; anzi è interessante osservare che nello studio del 1995 dedicato ai betili e ai betilini nuragici, non fece il 44 LILLIU 1977: 139-141. 45 LILLIU 1977: 143. 46 USAI 2014: 49 e passim. 47 PERRA 2009; TRONCHETTI 2012. 48 LILLIU 1977: 120. 49 LILLIU 1980: 118-120;1981: 190-192;1982: 98, 135-136, 200-204;1988: 380, 431, 434-435, 484, 547-550, 578;1997: 313-314.

minimo cenno ai betili di Mont’e Prama50. Ancora, confermò e precisò l’inquadramento

stilistico e culturale geometrico nell’ambito dell’VIII sec. a. C. e il riferimento a una società aristocratica e gentilizia, «evoluta e competitiva culturalmente»; ma mentre nel 1980 definì senza mezzi termini una «organizzazione politico-sociale aristocratica e urbana»51, nel 1982

e 1988 corresse l’ultimo aggettivo con espressioni più sfumate, come «preurbana (se non anche urbana)»52 e «preurbana (se non anche paraurbana)»53.

Infine si deve ricordare l’ultimo studio, edito nel 1997, con cui Lilliu approfondì l’analisi iconografica e stilistica delle sculture, esaltandone la singolarità e nello stesso tempo esplorandone l’ambientazione culturale generale nel mondo mediterraneo tra i periodi geometrico e orientalizzante. In questo campo, Lilliu diede certamente il suo contributo più acuto e più durevole.

Naturalmente, l’influenza del pensiero di Lilliu è stata ed è ancora enorme. Già nel 1977, Vincenzo Santoni scriveva di un tempio quadrangolare a Mont’e Prama, accanto allo scavo Bedini54; si tratta forse del cumulo di pietrame «approssimativamente rettangolare» descritto

da Lilliu, già visto da Bedini e improvvisamente trasformato in tempio? Successivamente, molti Autori si sono cimentati nell’evocazione di un heroon, un tempio-necropoli, anzi un santuario-necropoli, senza poterne definire la forma e le strutture55.

Non è questa la sede adatta per affrontare il tema dell’esistenza di un tempio o di un santuario nuragico a Mont’e Prama. Ovviamente io non nego questa eventualità, ma attendo dati archeologici consistenti e concordanti, che tuttora mancano. Perciò credo che tutte le affermazioni finora fatte, cominciando proprio da Giovanni Lilliu, non siano adeguatamente sostenute dai documenti archeologici e debbano essere tenute strettamente nel campo delle congetture, anzi delle speculazioni. Nonostante le affermazioni sempre categoriche di Lilliu, nessun elemento architettonico distinto riferibile a un edificio sacro è stato rinvenuto negli scavi effettuati nella necropoli dal 1975 al 197956 e così pure nel

201457, nel 201558 e nel 201759; solo in un saggio eseguito nel novembre 2016 è emerso un

concio rettangolare molto eroso con faccia concava leggermente aggettante, che indizia l’esistenza di una struttura diversa dalle sepolture finora note nel luogo, che però al momento considero azzardato proporre60. Ai conci sporadici di basalto e arenaria descritti

50 LILLIU 1995. 51 LILLIU 1980: 118. 52 LILLIU 1982: 203. 53 LILLIU 1988: 547. 54 SANTONI 1977: 355.

55 ZUCCA 2013: 269-275 (ivi bibliografia precedente); 2014: 135-136. 56 MINOJA,USAI (eds.) 2014.

57 RANIERI,ZUCCA (eds.) 2015. 58 USAI 2015b: 75-86, tavv. I-XVI.

59 Indagine inedita diretta dallo scrivente e da Raimondo Zucca.

60 USAI in stampa. Il concio è emerso nel Saggio Sud 2, circa 16 metri a Sud del terreno della Confraternita del

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da Lilliu si sono aggiunti pochi altri conci analoghi, anch’essi sporadici61. Delle presunte

colonne e dei presunti capitelli ho scritto nelle pagine precedenti. Infine, gli edifici indagati a Ovest della necropoli nel 201562 e il lungo muro rettilineo posto in luce nel 201663 non

hanno rivelato elementi mobili o immobili evidentemente riferibili ad attività di culto. La lettura critica degli scritti di Giovanni Lilliu su Mont’e Prama dà luogo ad una valutazione problematica del suo contributo sul tema specifico, che si riflette sull’intera ricostruzione della preistoria e protostoria della Sardegna. In qualche modo, lo studio Dal

«betilo» aniconico alla statuaria nuragica può ben essere considerato un modello del metodo di

lavoro di Lilliu, un capolavoro del sardismo archeologico e anche un esempio di come oggi non si deve fare ricerca archeologica, almeno in campo preistorico e protostorico. Sarebbe sciocco e ingiusto accusare Lilliu di non aver visto ciò che noi abbiamo appena visto e di non aver conosciuto ciò che solo ora cominciamo a credere di conoscere. D’altra parte, ciò che era normale ai suoi tempi non è più consentito oggi. Cercare conferme alle proprie tesi nelle intuizioni geniali e visionarie e nelle affermazioni apodittiche di Lilliu è del tutto privo di senso. Il compito degli archeologi, anche dei suoi affezionati allievi, non è confermare o confutare ciò che Giovanni Lilliu o chiunque altro ha detto o scritto, ma avanzare nella ricerca confrontandosi coi dati senza condizionamenti, quindi facendo ogni volta piazza pulita di tutte le precedenti interpretazioni, selezionando e sviluppando solo gli elementi che superano il setaccio della critica secondo i parametri di validità che vengono di volta in volta stabiliti dalla comunità scientifica.

Giovanni Lilliu è storia, un monumento della ricerca archeologica e storica in Sardegna. Senza di lui tutto sarebbe stato diverso. Certamente Lilliu continuerà ad essere un punto di riferimento obbligato per la discussione; non dovrà essere un feticcio da idolatrare e nemmeno un bersaglio di detrattori irrispettosi. Le sue opere continueranno ad essere miniere di informazioni e di riflessioni, ma dovranno essere collocate nell’atmosfera culturale appropriata e messe a confronto con le analisi e con le sintesi più attuali, senza cedere al fascino del pensiero e della parola.

ALESSANDRO USAI

Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio - Cagliari. alessandro.usai@beniculturali.it, alessandro.usai@tiscali.it.

aggetto al centro, dal margine superiore a quello inferiore, cm 6; spessore medio cm 20/27.

61 BERNARDINI et alii 2015. 62 Vedi nota 41.

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