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Fabrizio Frongia

26 S ETTIS 2002 27 A NDERSON 1996.

essenziali, integri e dotati di coerenza spazio/temporale, definiti dalla proprietà di particolari beni e attributi, depositi materiali e simbolici di memorie condivise28. Letta in

questi termini, la “patrimonializzazione” - definizione che comprende l’insieme delle pratiche volte alla costruzione/semiotizzazione e trasmissione del patrimonio culturale - rappresenta un fenomeno sociale comprensibile solo in relazione alle dinamiche contrastive dell’appartenenza, che implica azioni spesso fortemente selettive per l’individuazione dei beni da valorizzare, operate da attori sociali che costruiscono e decostruiscono, manipolano, producono “oggetti culturali”, ossia identità come fossero “cose”, attribuendo a oggetti del passato - mediatori performativi della differenza culturale - un forte valore identificante29. Laddove il pericolo maggiore risiede proprio nella deriva oggettivante che

queste pratiche impongono, traducibile nella «fissazione, naturalizzazione, immobilizzazione di processi socio-culturali ben più complessi», nella loro rappresentazione «integralista e olistica»30. Da non sottovalutare gli effetti delle altrettanto

deprecabili ipersemantizzazioni, decontestualizzazioni, invenzioni o, addirittura, falsificazioni cui frequente sono sottoposti fatti e oggetti del passato, oltre alla ricerca spasmodica degli improbabili correlati archeologici31.

Il maggiore contributo del quadro teorico elaborato da Handler risiede tuttavia nella sua applicabilità anche alla dimensione sovranazionale delle pratiche patrimoniali, così da poter interpretare gli sforzi di organismi internazionali, quali l’UNESCO, come dettati dall’intento di costruire, su un piano universale, nuovi sentimenti di appartenenza concepiti sulla base del possesso di determinati beni, semiofori32 di memorie collettive globali. Il

concetto trova massima espressione nella World Heritage List33, individuata a partire dai

dettami della “Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale” del 197234, ad oggi il prodotto di maggior successo dell’organizzazione. L’individuazione

delle cultural properties aventi valore “universale ed eccezionale” comporta il dover mediare continuamente, sfruttando la proverbiale “duttilità polisemica” dei concreta del passato, tra localismo e universalismo, unità e differenza, marcando le diversità culturali e mostrando nel contempo le convergenze.

Il complesso nuragico, sottoposto a vincolo archeologico nel 1952, secondo le previsioni della legge “Bottai”35, e acquisito definitivamente al patrimonio dello Stato nel 1972, viene

inserito nella “Lista” nel dicembre del 1997, inquadrato come “sito”36. Gli inizi della lunga

28 HANDLER 1988: 50-51.

29 HANDLER 1988: 11, 60. Si veda inoltre PALUMBO 2006: 51-52; COSSU 2015. 30 PALUMBO 2003: 35. 31 FRONGIA 2012. 32 MAFFI 2006: 6. 33 http://whc.unesco.org/en/list/. 34 http://whc.unesco.org/en/convention/. 35 Legge 1 giugno 1939, n. 1089. 36 http://whc.unesco.org/archive/advisory_body_evaluation/833.pdf;http://whc.unesco.org/archive/1997/ whc-97-conf208-17e.pdf.

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vicenda di patrimonializzazione, tuttavia, coincidono con i primi tempi di operatività della “Convenzione”. Il suo nome compare per la prima volta in un documento datato 21 ottobre 198037, mediante il quale il Ministero dei Beni Culturali porta a conoscenza delle

Soprintendenze interessate una prima lista propositiva (Tentative List), organica, dei «beni rappresentativi del patrimonio culturale italiano» da sottoporre all’approvazione del “Comitato per il Patrimonio Mondiale”, nella quale, dando seguito alle indicazioni scaturite dai lavori della III sessione (Il Cairo-Luxor, 21-28 ottobre 1979), si rispetta «una certa ripartizione geografica e di categoria». L’indefinito trova traduzione concreta nella dimensione regionale: accanto ad altri 95 “beni” sparsi per il territorio italiano, il «complesso nuragico» di Barumini rappresenta la Sardegna in compagnia degli stagni di Cagliari, di quello di Cabras e del Parco naturale del Gennargentu. Sono complessivamente 14 i siti di interesse archeologico. Si compone un quadro estremamente esemplificativo delle complessità e, talvolta, ambiguità delle logiche tassonomiche imposte dall’Unesco. Innanzitutto l’impossibilità di un superamento del vincolo statuale, sia in senso giuridico che di immaginativa patrimoniale: per assurgere al valore “universale ed eccezionale” un “bene” deve necessariamente conservare un proprio specifico profilo nazionale, situarsi in rapporto complementare ad altri beni egualmente emblematici dei differenti aspetti “identitari” del panorama patrimoniale di un singolo stato. Ne deriva un quadro classificatorio piuttosto rigido, fortemente gerarchico nel definire i livelli di appartenenza cui legare il valore iconico del bene (“Umanità”, “Stato”), sostanzialmente conforme agli ordini discorsivi degli stati-nazione su identità e patrimoni e paradossalmente causa di un rafforzamento dei dispositivi di controllo e classificazione ad essi riferibili38.

L’universalismo immaginato dall’Unesco è nulla più che una «riproduzione implicita di identità nazionali»39.

Protagonista assoluto del processo è, infatti, lo Stato, cui spetta la proposta iniziale. Una precisa volontà centralistica, anche nel nostro caso, sembra palesarsi dietro le pressanti e frequenti richieste da parte del Ministero di documentazione necessaria alla candidatura del sito, giunte agli uffici della Soprintendenza archeologica di Cagliari in un arco cronologico che va dal maggio del 1984 all’ottobre del 198840. Il processo subisce un’accelerazione solo

a partire dal 1994, preceduta da alcuni importanti accadimenti. L’area del sito, durante gli anni Ottanta sottoposta alla custodia diretta della Soprintendenza e resa fruibile grazie all’opera di alcuni volontari, dai primi anni Novanta è interessata da una serie di interventi con finalità conservative e di miglioramento della fruizione che, tuttavia, limitano

37 Nell’ottobre del 2014 ho avuto modo di consultare l’Archivio della Soprintendenza per i beni archeologici

per le province di Cagliari e Oristano, segnatamente il fascicolo 02.03.14/25 “Unesco”, dove trova sistemazione il carteggio relativo agli affari intrattenuti dall’ufficio con l’organizzazione internazionale e da cui provengono i documenti richiamati in queste pagine.

38 Si vedanoPALUMBO 2006: 50-52; SATTA 2013. 39 PALUMBO 2003: 351.

pesantemente l’accesso alla struttura41. C’è una volontà dal basso, che si esprime nelle

forme dell’assemblea popolare e si risolve nella richiesta di nuove forme di valorizzazione; c’è l’esempio ormai decennale del consorzio turistico Sa Corona Arrubia, modello di politiche del patrimonio finalizzate al marketing territoriale, costruito intorno ai resti del vicino nuraghe Genna Maria di Villanovaforru; un processo virtuoso dal quale Barumini e la sua “Reggia” risultano ancora, per varie ragioni, tagliati fuori.

Il 1 maggio del 1994, Lilli Gruber, al tg1 delle 13, informerà la nazione che Su Nuraxi è finalmente riaperto al pubblico: ad un trentennio dalla sua “scoperta” il sito ha una gestione efficiente e in piena regola. La società Ichnussa, formata da giovani professionisti della cultura, si occuperà ora di accompagnare gli oltre settantamila fruitori che annualmente faranno visita al complesso monumentale, offrendo un servizio di visita guidata42. Già il 12

maggio del 1994, una nota ministeriale richiede la produzione di documentazione per l’aggiornamento della “Lista propositiva”, richiamando generiche pressioni da parte di amministrazioni locali, sebbene manchi, curiosamente, un esplicito riferimento a Su

Nuraxi43. L’iter procedurale proseguirà senza intoppi fino all’inclusione definitiva nella

WHL. Nella documentazione che correda la richiesta di iscrizione la Soprintendenza, nel

motivarla secondo parametri imposti dall’UNESCO, sottolinea l’ “eccezionalità” del Su

Nuraxi nel contesto delle testimonianze attribuibili alla “civiltà nuragica”, da interpretare

soprattutto in relazione allo stato di conservazione delle strutture (ossia la sua “autenticità”), nonché il carattere di “tipicità” della cultura “nuragica” nel panorama della preistoria mediterranea. Un altro fattore evidenziato è quello della notorietà del sito, della fama internazionale cui godeva già a partire dagli anni ’50 del Novecento44. L’ICOMOS le

valuta positivamente, ponendo l’accento sulla singolarità della tradizione costruttiva “bellica” che si esprime nel nuraghe45. Ora Su Nuraxi è un luogo che appartiene alla

memoria universale: è il comune “genio creativo umano” che si manifesta nelle sue forme, fornendo risposte eccezionali a specifiche condizioni geografiche, sociali e politiche (Fig. 2). Trovo interessante sottolineare, seguendo Gino Satta, come la WHL, attraverso le retoriche dell’“eccellenza”, “unicità” e “autenticità”, in palese contraddizione con le moderne concezioni “degerarchizzanti” e storico-culturali del bene culturale cui si ispira la “Convenzione del ’72”, nel conferire valore solo ad alcuni siti dequalificando il resto ad ambiti di interesse puramente nazionali, pare reintrodurre surrettiziamente l’obsoleta logica estetico-elitaria dei rariora e del sommo pregio46.

41 Archivio della Soprintendenza per i beni archeologici di Cagliari, fasc. 02.03.14/25, Barumini. Interventi di

recupero e valorizzazione, 25 febbraio 1997.

42 Devo alla cortesia dell’archeologo Giorgio Murru, da me intervistato nel settembre 2014 e testimone diretto

delle vicende, le notizie riportate in queste righe.

43 Archivio della Soprintendenza per i beni archeologici di Cagliari, fasc. 02.03.14/25.

44 Archivio della Soprintendenza per i beni archeologici di Cagliari, fasc. 02.03.14/25, Giustification de la “valeur

universelle exceptionelle”, 6 giugno 1996.

45 http://whc.unesco.org/archive/advisory_body_evaluation/833.pdf. 46 SATTA 2013.

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Interessanti riflessi sulle politiche del patrimonio mostrano anche i successivi sviluppi, connessi stavolta alla predisposizione del cosiddetto “Piano di gestione”, strumento tecnico-gestionale che dal 2002 l’UNESCO pretende già in sede di nuova candidatura al fine di coniugare le istanze della tutela a quelle di «un’utilizzazione economica compatibile dell’intero patrimonio disponibile, coordinato in un sistema a scala territoriale»47. L’intera

azione patrimoniale ruota attorno al tema dello “sviluppo economico locale” - se non l’unico, il principale destinatario delle strategie di valorizzazione -, fondato sul «processo di crescita di consapevolezza da parte delle popolazioni locali sulla loro identità, espressa dal sistema patrimoniale del territorio»48. Ma quale identità? Le poetiche dello spazio/tempo

poste in atto dai soggetti istituzionali, sfruttando, come altrove, strategie retoriche di tipo “metalessico”49, ci parlano del «permanere delle ragioni della coesione e identità

territoriale»; «della omogeneità del tessuto culturale […] della regione storica della Marmilla»; di «distretti territoriali attuali, eredi delle curatorie, come già delle partes di età bizantina e via di seguito nel tempo», risalendo alla protostoria, a quel «bacino culturale omogeneo, già cantone in età nuragica»50. La sua redazione ha dato vita a un processo

burocratico vasto e articolato che coinvolge uffici periferici del Ministero e, a tutti i livelli, gli enti locali, segnatamente i comuni contermini.

Lungi dal poter ridurre ad un rigido schematismo contrappositivo il piano locale e quello globale dell’azione patrimoniale, casi come questi illustrano viceversa la presenza di chiari rapporti sinergici, e spesso gerarchici, tra i due livelli51. Se Wolfgang Kemp, da una

prospettiva estremamente riduzionista ed economicistica, ci parla dell’UNESCO come di un franchiser che dispensa il proprio marchio al solo fine di pubblicizzare prodotti culturali52,

è certo indubitabile come l’azione dell’organismo stimoli e suggerisca rinnovate, e altrettanto problematiche, forme di produzione di sentimenti di località53. Una particolare

fase cronologica e culturale della protostoria isolana subisce una riconfigurazione patrimoniale e, trovata in Su Nuraxi la sua sublimazione iconica, viene esibita quale cifra saliente di una pretesa identità locale dai confini fluidi e burocraticamente imposti, qualifica un territorio e ne guida lo sviluppo economico. Intorno al monumento si innestano ulteriori e ben selezionati oggetti patrimoniali, compresi i beni “immateriali” e paesaggistici,

47 M. R. GUIDO, Piani di gestione dei siti patrimonio mondiale dell’Unesco, 11 giugno 2003 (Archivio della

Soprintendenza per i beni archeologici di Cagliari, fasc. 02.03.14/25).

48 M. R. GUIDO, Piani di gestione dei siti patrimonio mondiale dell’Unesco, 11 giugno 2003 (Archivio della

Soprintendenza per i beni archeologici di Cagliari, fasc. 02.03.14/25).

49 La metalessi è una figura retorica caratterizzata, tra le altre cose, dalla sovversione delle coordinate spazio-

temporali (PALUMBO 2006: 44).

50V.SANTONI, Sa sienda de su nuraxi de Barumini (testo redatto in occasione della Terza Conferenza Nazionale

dei siti italiani Unesco, Torino, 20-21 maggio 2005). Archivio della Soprintendenza per i beni archeologici di Cagliari, fasc. 02.03.14/25.

51 Si veda COSSU 2015. 52 KEMP 2005: 1141-1153. 53APPADURAI 2001: 231-257.

le immancabili produzioni “tipiche” del settore artigianale e alimentare54. Non senza

contraddizione, archeologia e tradizioni devono essere sottoposte ad uno sguardo esterno oggettivante, che veda la differenza dal di fuori per poterne valutare il posizionamento all’interno del mercato globale del consumo culturale, alla sua crescente domanda di unicità e specificità locali55. Si costruiscono spazi culturali “autentici”, tradizioni storiche “reificate”

e immaginate integre nel tempo56, legate da un rapporto supposto “naturale” con i propri

“beni”; rappresentazioni celebrative di una propria, caratteristica, appartenenza comunitaria, reinventata sulla base di una immaginazione storiografica e patrimoniale di tipo universalista57. Una prassi ben sintetizzata dal concetto di “etnomimesi”, a partire dal

quale è possibile interpretare la patrimonializzazione come una forma di rappresentazione spettacolare e mercificata della cultura e dell’identità a uso di pubblici esterni, secondo parametri imposti da un discorso egemonico globale58. Quelle stesse logiche globalizzanti,

solo apparentemente omologanti, in reazione alle quali sono in buona parte leggibili le rivendicazioni etnicistiche e i regionalismi contemporanei, compreso quello sardo (in cui il patrimonio archeologico gioca un ruolo fondamentale), finiscono così, paradossalmente, per plasmare a livello locale le forme e i modi di fare e sentire il patrimonio, di immaginare, in ultima analisi, la propria identità59.

FABRIZIO FRONGIA

Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna

[email protected]

54 Archivio della Soprintendenza per i beni archeologici di Cagliari, fasc. 02.03.14/25; si veda inoltre Il modello

del Piano di gestione dei Beni Culturali iscritti alla lista del Patrimonio dell’Umanità. Linee Guida, Paestum, 25-26

maggio 2004 (http://www.unesco.beniculturali.it/getFile.php?id=44). 55 Cfr. COSSU 2015;SATTA 2013. 56 HOBSBAWM,RANGER 1987. 57 Cfr. PALUMBO 2003,2006. 58 SATTA 2013: 14. 59 COSSU 2015.

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Fig. 1: LAS PLASSAS - Il colle di Las Plassas su cui si ergono i ruderi dell’omonimo castello, visto da Su Nuraxi. (foto C. Buffa - L. Corpino, su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano).

Fig. 2: BARUMINI - Loc. Su Nuraxi. In primo piano, targa commemorativa dell’iscrizione nella Lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO. (foto C. Buffa - L. Corpino, su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano).

Giovanni Lilliu e la Gallura. “L’accantonamento