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L ILLIU 1976; Z UCCA 201: 209; Z UCCA 2014: 126-127.

Alessandro Usa

3 L ILLIU 1976; Z UCCA 201: 209; Z UCCA 2014: 126-127.

dell’interpretazione del supposto complesso sacro. Inoltre stupisce, nell’articolo di Lilliu, la mancata menzione dello scavo che Alessandro Bedini aveva effettuato nel sito nel dicembre del 19754.

Già da quel momento, la linea interpretativa di Lilliu era saldamente impostata. Essa fu poi esplicitata con straordinaria efficacia nel celebre studio intitolato Dal «betilo» aniconico alla

statuaria nuragica, pubblicato nel 19775, che ha esercitato un’influenza potentissima sulle

ricerche successive, da un lato indirizzandole e dall’altro condizionandole profondamente, fino a risultare addirittura fuorviante.

Giovanni Lilliu giunge a Mont’e Prama nella piovosa mattina del 4 gennaio 1977 e vi ritorna l’8 gennaio6. Nel campo arato e solcato da un rigagnolo, tutt’intorno al piccolo

saggio di scavo in cui è emersa la statua di un guerriero, osserva e descrive ciò che l’estate precedente aveva raccontato ancor prima di vedere: «colonne» e «capitelli». Imboccata di corsa la via del lessico dell’architettura classica, Lilliu vede non solo colonne monolitiche, ma addirittura «rocchi di colonne», quindi fusti composti da elementi sovrapposti. Senza un minimo d’incertezza, accenna appena a una dimostrazione accostando le «colonne» alle «colonnine riprodotte nelle barchette di bronzo e nei modellini c.d. di nuraghi, pure di bronzo e in pietra», e i «capitelli» (con tanto di «abaco» e «calathos») agli stessi modellini7.

Oggi possiamo facilmente rilevare la debolezza della dimostrazione: infatti né le barchette né i modelli di nuraghi rivelano strutture portanti composte da colonne, simili a quelle proprie dell’antichità classica. Anzi, la Sardegna nuragica non ha rivelato alcun elemento che si possa definire propriamente colonna; si deve necessariamente ipotizzare l’esistenza di pali lignei, anche con funzione portante, ma organizzati in modo totalmente diverso. Certo, se si pensa che tutta la prima parte dello studio del 1977 era dedicata ai betili nuragici, è stupefacente che Lilliu non abbia riconosciuto nelle «colonne» di Mont’e Prama i betili di arenaria, che furono riconosciuti correttamente solo durante lo scavo Tronchetti del 19798.

Ugualmente, è sorprendente che egli non abbia interpretato i «capitelli» di Mont’e Prama come modelli di nuraghe, se si pensa che proprio lui aveva interpretato correttamente, fin dagli anni ’40 e ’50, i modellini in bronzo di Ittireddu e Olmedo e quello lapideo di Barumini. Sembra evidente che egli fu tratto in inganno dalle dimensioni insolitamente grandi dei modelli di Mont’e Prama, tali da suggerire la connessione con le presunte colonne. Tuttavia oggi possiamo osservare che a Mont’e Prama sarebbe ben difficile connettere i betili in arenaria coi modelli di nuraghe in calcare di maggiori dimensioni;

4 Da ultimo BEDINI 2014. 5 LILLIU 1977. 6 LILLIU 1977: 113, 119-120; ZUCCA 2013: 209-214; 2014: 127-129. 7 LILLIU 1977: 117-119. 8 Da ultimo TRONCHETTI 2014.

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infatti il diametro sommitale dei primi9 è quasi sempre superiore a quello basale del fusto

dei secondi10. Infine, il grande modello in calcare di Serra ‘e is Araus di San Vero Milis11 era

sicuramente infisso al suolo12.

Nelle note Lilliu elenca con puntiglio insistente le misure di decine di lastre e conci in arenaria e basalto, tentando di ancorare l’interpretazione a un’obiettività descrittiva che tuttavia gli sfugge e a cui si aggrappa, consapevole del rischio che «andare oltre in ipotesi interpretative porti a guastare la positività necessaria del discorso»13. Tuttavia il discorso

procede apodittico, senza separare chiaramente la descrizione e l’interpretazione, che anzi si intrecciano e si confondono.

Colpisce la totale assenza di riferimenti alle sepolture individuali a pozzetto di Mont’e Prama. A questo proposito è necessaria una digressione. Abbiamo visto che nell’agosto 1976 Lilliu aveva omesso di citare lo scavo di Alessandro Bedini del dicembre 1975. Nel gennaio 1977 egli vede lo scavo, eseguito poco più di un anno prima, profondamente alterato dalle manomissioni e dagli agenti atmosferici e invaso dal fango14. Nel tentativo di

recuperare informazioni, pubblica due immagini dello scavo Bedini fornitegli da Giuseppe Atzori15. Come mostra il confronto con le fotografie di Bedini, quelle immagini furono

scattate subito dopo il 5 dicembre 197516, mentre le tombe furono chiaramente visibili solo

il 10 dicembre. Dunque Lilliu non vide fotografie dei giorni seguenti e non fu informato del rinvenimento delle tombe? Oppure ebbe la notizia e la scartò come inattendibile, senza nemmeno menzionarla?

La questione è veramente interessante, perché ci porta nel vivo delle relazioni tra i protagonisti della ricerca archeologica in Sardegna di quegli anni turbolenti, di cui hanno scritto Raimondo Zucca17 e Giampiero Pianu18. Dovremmo ritenere che, pur essendo stato

ispettore onorario e protagonista della scoperta di Mont’e Prama19, Atzori non sia tornato

sul posto nei giorni conclusivi dello scavo Bedini e per tutto l’anno 1976, e che quindi non abbia visto le tombe? Oppure le vide e le nascose a Lilliu? Bedini, trasferito nella penisola subito dopo lo scavo di Mont’e Prama, lasciò in Soprintendenza i reperti e le fotografie, ma non una relazione scritta; forse nemmeno raccontò l’indagine al Soprintendente Ferruccio Barreca, con cui aveva un cattivo rapporto personale20. Lo stesso Barreca era in profondo

9 USAI E. 2014: 297-299 (schede A1-A4: cm 40-46); USAI E.2015: 266 (schede A12-A13: cm 44-45). 10 LEONELLI 2014: 281-283 (schede nn. 18-20, 22: cm 36-40.).

11 USAI 2012.

12 CASTANGIA et alii 2016: 129-134, figg. 10-13. 13 LILLIU 1977: 124.

14 LILLIU 1977: 116, tav. XXIII.1-2. 15 LILLIU 1977: 116, tav. XXII.1-2. 16 Vedi BEDINI 2014: tav. III.1. 17 ZUCCA 2013: 214-222. 18 PIANU 2008.

19 Sulla figura di Giuseppe Atzori si veda ZUCCA 2013: 205-207. 20 ZUCCA 2013: 207-208.

contrasto con Lilliu. Probabilmente Bedini parlò col suo amico Giovanni Ugas, che avrebbe dovuto seguire con lui lo scavo e che fu impedito da impegni scolastici; anch’egli ignorava il rinvenimento delle tombe, oppure sapeva e tacque? Sicuramente sapeva tutto Vincenzo Santoni, che dopo aver saggiato nel febbraio 1976 i pozzetti detti di Is Arutas, proprio nel 1977 pubblicò quella che è rimasta fino al 2011 l’unica descrizione delle tombe dello scavo Bedini di Mont’e Prama21. Effettivamente, in quel momento l’esistenza di

sepolture nuragiche individuali era una novità assoluta, molto difficile da accettare.

Sta di fatto che Lilliu era pochissimo informato sullo scavo Bedini, che infatti erroneamente più volte ricorda come «scavo Bedini-Ugas»22. Oltre a lui rimasero all’oscuro

anche Carlo Tronchetti e Maria Luisa Ferrarese Ceruti. Soprattutto il primo, funzionario della Soprintendenza archeologica, doveva avere contatti con Barreca, Santoni, Ugas, Atzori e con lo stesso Bedini. Ancora nel dicembre 1977, ignari delle tombe e influenzati dall’interpretazione di Lilliu, Tronchetti e la Ferrarese Ceruti consideravano le lastre quadrate di arenaria, apparse nei loro saggi sotto i tronconi delle sculture, come elementi di una pavimentazione o gradinata, «resti provenienti da un grande edificio di culto»23. Di

fatto, Tronchetti riconobbe non solo i betili ma anche la necropoli con tombe individuali a pozzetto solo durante lo scavo del 197924.

In quel 1977 di forti tensioni, la mancata conoscenza o il rifiuto del rinvenimento delle tombe non fu un fatto casuale. Tuttavia quella non fu l’unica ragione per cui Lilliu escluse «del tutto, fino a prova contraria, l’idea di statue funerarie»25. Come abbiamo visto, la

convinzione della connessione delle statue con un tempio o con un santuario era nata da subito, fin dall’articolo de “La Nuova Sardegna” del 1974, solo sulla base delle presunte colonne e dei presunti capitelli, ed era stata accolta e riaffermata da Lilliu come un dato di fatto evidente di per sé, senza bisogno di verifica e dimostrazione.

Le motivazioni di questa scelta aprioristica possono essere molteplici. Probabilmente giocò un ruolo importante la preponderante connessione dei bronzetti nuragici col mondo dei santuari; infatti a quel tempo il tema dei bronzetti funerari, pur sollevato dai ben noti arcieri della tomba di Sa Costa di Sardara26 e da vecchi rinvenimenti non controllati, non era stato

ancora riportato in primo piano dal portatore di lancia della tomba 3 di Antas a Fluminimaggiore27. Ma sicuramente fu proprio il fascino delle statue a spingere Lilliu oltre i

limiti del conosciuto, in un mondo irreale che riecheggiava, anzi rivaleggiava coi santuari ellenici e italici e coi loro complessi scultorei.

21 SANTONI 1977: 355. 22 LILLIU 1977: 111-112, nota 129. 23 TRONCHETTI 1978. 24 TRONCHETTI 1981. 25 LILLIU 1977: 143. 26 TARAMELLI 1913. 27 UGAS,LUCIA 1987.

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Così Lilliu si avventura a cercare tra gli elementi lapidei smembrati di Mont’e Prama i documenti di uno o più templi nuragici. Da un lato immagina un edificio di forma indeterminata provvisto di colonne e capitelli in pietra con trabeazioni in legno28; dall’altro,

solo sulla base di pochi conci sporadici rinvenuti in un cumulo di pietre, ipotizza un tempio a pozzo di pianta retto-curvilinea, senza tuttavia escludere l’originaria pertinenza ad un nuraghe complesso smantellato29.

In Sardegna non si era mai visto un tempio nuragico con colonne e capitelli, eppure il nostro Autore non fu sfiorato dal minimo dubbio. Se le statue di Mont’e Prama erano uniche nell’isola, unico poteva essere anche l’edificio che riteneva dovesse contenerle. E se «l’isola dei nuraghi» lanciava «la sfida, nella grande plastica, ai potenti paesi egizi, mesopotamici e greci»30, altrettanto avrebbe potuto fare nel campo della più spettacolare

architettura sacra.

Lilliu riferisce che il cumulo di pietre sopra citato, in cui apparivano svariati conci di basalto e arenaria, si trovava 110 metri a Nord-ovest dello scavo Bedini, aveva forma approssimativamente rettangolare e dimensioni di circa metri 13 x 1431. Non si può certo

escludere che il cumulo avesse ricoperto e occultato un rudere; tuttavia lo stesso Lilliu afferma che già allora non restava «nessuna ferma traccia»32 e coerentemente non identifica

il cumulo stesso con un edificio rettangolare o di altra forma. Il cumulo non esiste più, ma esso appare chiaramente nelle ortofotografie aeree del 1968 e del 197733, in cui mostra una

forma non rettangolare ma trapezoidale. Perché si possa comprendere ciò che Lilliu vide e descrisse, mostro alcune fotografie del cumulo, scattate durante lo scavo Bedini del 1975 e conservate nell’archivio fotografico della Soprintendenza archeologica di Cagliari. Due immagini generali mostrano una distesa disordinata di pietrame di varia natura e pezzatura (Fig. 1.A-B); due immagini molto simili mostrano in dettaglio un blocco cubico di arenaria con foro quadrato (Fig. 2.A), che è certamente lo stesso blocco descritto e raffigurato dal Lilliu34; un’altra mostra un blocco parallelepipedo di arenaria con incavo cilindrico (Fig.

2.B); infine due immagini mostrano un grosso blocco informe di basalto con incavo quadrato, che forse si trovava nelle vicinanze (Fig. 3.A-B). Con la prudenza oggi dovuta, non possiamo attribuire sicuramente gli elementi descritti da Lilliu a un’originaria struttura nuragica esistente in quel luogo, ma dobbiamo considerare probabile una connessione, anche in condizioni di riutilizzo, con le tombe e con gli altri resti romani descritti da Bedini e Tronchetti nell’area a Nord-ovest della necropoli nuragica35.

28 LILLIU 1977: 117-118. 29 LILLIU 1977: 123. 30 LILLIU 1977: 111. 31 LILLIU 1977: 122. 32 LILLIU 1977: 122. 33 http://www.sardegnageoportale.it/webgis2/sardegnafotoaeree/. 34 LILLIU 1977: 123, tav. XXVIII.3.