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La base giuridica del ricorso di Slovacchia e Ungheria

2. Il ricorso presentato dalla Slovacchia e dall’Ungheria contro la

2.2. La base giuridica del ricorso di Slovacchia e Ungheria

In seguito al dibattito e alle dichiarazioni rilasciate in data 22 settembre 2015, la Slovacchia si è attivata contrariamente alla politica europea, attraverso un’azione che potrebbe ribaltare il piano europeo di ricollocamento di 120.000 rifugiati. Il governo slovacco ha quindi pubblicamente presentato un ricorso presso la Corte di Giustizia dell’UE ai sensi dell’articolo 263 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea89. L’articolo in questione regola il ricorso di annullamento, in cui l’oggetto di questo ricorso è il controllo di legittimità che la Corte di Giustizia dell’UE esercita sugli atti legislativi. In particolare, con riferimento alla natura degli atti imputabili, l’art. 263 TFUE recita testualmente: “La Corte di Giustizia dell’Unione Europea esercita un controllo di legittimità sugli atti legislativi, sugli atti del Consiglio, della Commissione e della Banca centrale europea che non siano raccomandazioni o pareri, nonché sugli atti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti dei terzi. Esercita inoltre un controllo di legittimità sugli atti degli organi o organismi dell’Unione destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi”. A tal proposito si è, peraltro, espressa la Corte, la quale in alcune importanti pronunce ha chiarito la natura

89 Rettman A., Slovakia filing case against EU migrant relocation, in Euobserver,

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degli atti sui quali esercitare il controllo. Ricordiamo a tal proposito le seguenti sentenze: 31 marzo 1971, Commissione c. Consiglio, causa 22/70, in Racc. 263; 23 aprile 1986, Parti écologiste «Les Verts» c. Parlamento

europeo, causa 294/83, in Racc. 1339; 15 marzo 2005, Spagna c. Eurojust, causa C-160/03, in Racc. I-2077. Il fine di questa procedura è di annullare

gli atti illegittimi; l'articolo 263 consente però agli Stati di interrogare le decisioni "per motivi di incompetenza, violazione delle forme sostanziali, violazione dei trattati o di qualsiasi regola di diritto riguardante la loro applicazione, o sviamento di potere". E’ pertanto entro quest’articolato contesto che si inseriscono i due ricorsi per annullamento contro la decisione del 22 settembre, depositati rispettivamente il 2 dicembre dalla Slovacchia (causa C-643/15) e il 3 dicembre dall’Ungheria (causa C-647/15). I motivi avanzati dalla Slovacchia nelle cause sono articolati in sei punti che variano dalla violazione del principio dell’equilibrio istituzionale alla violazione delle norme sostanziali. Il primo motivo verte sulla violazione dell’articolo 78 TFUE nonché dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE e del principio dell’equilibrio istituzionale poiché il Consiglio ha adottato la decisione impugnata al di là dell’orientamento del Consiglio Europeo, in contrasto con il suo mandato. Il secondo motivo è dato dal fatto che la decisione impugnata non può essere adottata sulla base dell’articolo 78 TFUE poiché l’atto impugnato ha natura di atto legislativo e quindi avrebbe dovuto essere adottato mediante una procedura legislativa che non è prevista dall’articolo in questione. Secondo i ricorrenti, quindi, il Consiglio non solo avrebbe violato tale disposizione, ma si sarebbe addirittura ingerito nella sovranità dei parlamenti nazionali e del Parlamento Europeo violando i principi della certezza del diritto, della democrazia rappresentativa e dell’equilibrio istituzionale90. Il terzo motivo si basa su una violazione delle forme sostanziali che regolano la procedura legislativa, nonché dell’articolo 10, paragrafi 1 e 2, TUE, dell’articolo 13, paragrafo 2 TUE; per l’ipotesi in cui

90 Il secondo motivo di ricorso verte su una violazione dell’articolo 10, paragrafi 1 e

2, TUE, dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE, dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, degli articoli 3 e 4 del Protocollo n. 1 e degli articoli 6 e 7 del Protocollo n. 2, nonché dei principi della certezza del diritto, della democrazia rappresentativa e dell’equilibrio istituzionale.

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la Corte di giustizia, in contrasto con quanto dedotto dalla Repubblica slovacca nell’ambito del secondo motivo, giunga alla conclusione che la decisione impugnata è stata adottata mediante una procedura legislativa (quod non), la Repubblica slovacca ne deduce, in subordine, la violazione delle forme sostanziali stabilite agli articoli 16, paragrafo 8, TUE; 15, paragrafo 2, TFUE; 78, paragrafo 3, TFUE; 3 e 4 del Protocollo n. 1, 6 e 7, paragrafi 1 e 2, del Protocollo n. 2, nonché una violazione dell’articolo 10, paragrafi 1 e 2, TUE, dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE e dei principi della democrazia rappresentativa, dell’equilibrio istituzionale e del buon governo. In concreto, non è stata rispettata l’esigenza di deliberazione e votazione in seno al Consiglio in seduta pubblica; è stata limitata la partecipazione dei parlamenti nazionali nel processo di adozione della decisione impugnata ed è stata violata l’esigenza della consultazione del Parlamento europeo. Il quarto motivo si base sempre sulla violazione delle forme sostanziali, in seguito alle numerose modifiche e integrazioni, previste dagli articolo 293 TFUE e 78 TFUE e dai principi sopra espressi. Anche in questo caso il Parlamento europeo non è stato consultato e il Consiglio non ha deciso all’unanimità sulle modifiche e integrazioni alla proposta della Commissione. Un altro fondamentale motivo del ricorso presentato è quello riguardante la mancanza dei presupposti per l’applicabilità dell’articolo 78 del TFUE. La Repubblica Slovacca deduce la violazione del suddetto articolo, per l’assenza dei presupposti riguardanti il carattere temporaneo delle misure nonché l’esistenza di una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi.

Infine, l’ultimo motivo per cui si impugna la decisione è la violazione del principio di proporzionalità giacché la decisione è considerata né adeguata, né necessaria al conseguimento dell’obiettivo perseguito91. In termini generali il principio di proporzionalità definisce la modalità di esercizio delle competenze dell’Unione, condizionando la scelta del tipo di atto in base all’esigenza che gli strumenti predisposti siano idonei a realizzare lo scopo perseguito e non vadano oltre quanto è necessario per

91 Repubblica Slovacca, Ricorso proposto il 2 dicembre 2015-Repubblica

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raggiungerlo. Tale principio implica, tuttavia, un ampio potere di discrezionalità in capo al legislatore e già in altre occasioni la Corte ha escluso la possibilità di poter sostituire la propria valutazione a quella del legislatore europeo, affermando alla più la possibilità di censurare le scelte normative di quest’ultimo soltanto nel caso in cui esse appaiano manifestamente erronee, o se gli inconvenienti che ne derivano per alcuni operatori siano sproporzionati rispetto ai vantaggi che essi per altro verso presentano (Germania c. Parlamento, causa C-233/94). Non si evincono le argomentazioni poste alla base di tale affermazione dal governo slovacco, ma la precedente giurisprudenza ha tracciato i criteri intorno ai quali la Corte può compiere le proprie valutazioni, fermo restando che le decisioni del legislatore implicano sempre una complessa ponderazione politica tra varie ragioni92.

In particolare, quello che è maggiormente contestato è che il Consiglio, adottando la decisione impugnata al di là del precedente orientamento del Consiglio europeo contrasta con l’articolo 68 del TFUE e perciò viola il principio dell’equilibrio istituzionale. Ai sensi dell’art. 68 TFUE spetta, infatti, al Consiglio europeo la definizione degli orientamenti strategici della programmazione legislativa e operativa nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Il ricorso slovacco fa presumibilmente riferimento alle conclusioni del Consiglio europeo del 25 e 26 giugno, da cui risulta che gli Stati si erano accordati sulla ricollocazione temporanea ed eccezionale di 40.000 persone per mezzo di una decisione da adottare all’unanimità. La decisione del 22 settembre, che aggiunge l’impegno a ricollocare altre 120.000 persone sulla base di una seconda decisione, assunta peraltro a maggioranza, sarebbe illegittimamente andata oltre l’accordo convenuto tra i capi di Stato e di governo. Tuttavia, al di là della valenza politica del requisito di approvazione all’unanimità fissato per la prima decisione, ci si può domandare se l’approvazione a maggioranza qualificata del secondo atto, in assenza di specifiche indicazioni nel Trattato,

92Di Pascale A., Il ricollocamento: appena nato è già finito?, in rivista Eurojus.it

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possa considerarsi in sé illegittima, essendo la maggioranza qualificata il metodo di voto ordinario in seno al Consiglio93.

Il ricorso dell’Ungheria invece si base su 10 motivi, di cui alcuni sono analoghi a quelli proposti con il ricorso avanzato dalla Repubblica Slovacca. Ciò dicasi, in particolare, per l’argomento che la decisione impugnata dato che deroga al regolamento n. 604/2013, costituisce un atto legislativo e quindi per la sua adozione non è possibile basarsi sull’articolo 78 TFUE che autorizza il Consiglio ad adottare atti esclusivamente non legislativi. In questo ricorso, un motivo fondante è quello che ruota intorno alla definizione di “misure temporanee”. Nella decisione impugnata, le misure sono introdotte per un periodo di 24 mesi e i loro effetti si potrebbero protrarre anche oltre tale periodo, andando in questo a non essere più compatibili con la nozione di “misura temporanea” prevista nell’articolo 78, paragrafo 3 del TFUE e perciò non tenendo in considerazione, in sede di determinazione, della sua applicazione nel tempo, della durata necessaria ai fini dell’adozione di un atto legislativo. È inoltre contestato che la decisione, anche nel caso in cui fosse stato possibile adottarla alla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, in sede di adozione si sarebbe dovuto rispettare il diritto dei parlamenti nazionali a fornire un parere sugli atti legislativi, previsti dai protocolli 1 e 2 allegati al Trattato sull’Unione Europea e al Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Si notifica inoltre l’inadempimento procedurale del Consiglio il quale ha modificato, in misura sostanziale, il testo del progetto dopo la consultazione del Parlamento Europeo ma non lo ha nuovamente consultato a seguito delle modifiche.

A differenza della Slovacchia, l’Ungheria contesta inoltre la decisione impugnata riguardo al rapporto che ha con il regolamento n.604/2013 e con le modifiche che vi vuole apporre. L’incongruenza tra le disposizioni del regolamento e quelle della decisione si ha, in special modo, per quanto riguarda l’applicazione delle garanzie giuridiche e procedurali attinenti alla decisione di ricollocazione: in particolar modo la decisione impugnata non sancisce in modo chiaro i criteri da seguire per la ricollocazione e non definisce adeguatamente lo status dei richiedenti nello Stato membro di

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ricollocazione. La decisione viene perciò interpretata come contraria alla Convenzione di Ginevra sullo Status dei rifugiati, dal momento che priva i richiedenti del diritto di soggiornare nel territorio dello Stato membro presso il quale è stata presentata la domanda di asilo e poiché consente la ricollocazione in un altro Stato membro senza che sia necessariamente dimostrabile l’esistenza di un legame tra il richiedente e lo Stato di ricollocazione. Infine, uno dei motivi cardine del ricorso ungherese consiste nella violazione del principio di necessità e del principio di proporzionalità. Atteso che, da un lato, l’Ungheria, rispetto alla proposta iniziale della Commissione, è stata esclusa dalla cerchia degli Stati membri beneficiari, è ingiustificato che la decisione di cui si tratta disponga la ricollocazione di 120.000 richiedenti la protezione internazionale. Tenuto conto del fatto che nella decisione impugnata non risulta più il principio di ricollocazione dall’Ungheria, la fissazione in tale decisione della cifra, inizialmente proposta, di 120.000 richiedenti risulta ormai avere carattere aleatorio e non presenta più alcun nesso con la situazione, prevista nella proposta della Commissione, che quest’ultima cercava concretamente di gestire.

Secondo i ricorrenti non è accettabile, in particolare nell’ambito di una misura provvisoria adottata sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, che circa la metà dei richiedenti ai quali quest’ultima sarà applicata siano l’oggetto, alla luce degli sviluppi successivi, di una decisione definitiva per quanto riguarda la loro ricollocazione. Si asserisce poi che la decisione impugnata viola il principio di proporzionalità per quanto riguarda l’Ungheria poiché le impone una quota obbligatoria quale Stato membro ospitante, laddove è assodato che si tratta di uno Stato membro nel cui territorio è penetrato un gran numero di migranti in situazione irregolare che hanno presentato domande di protezione internazionale. La decisione impugnata non soddisfa i presupposti dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE per quanto attiene all’Ungheria, giacché il presupposto previsto in tale disposizione, ossia che siffatte misure possano essere adottate nell’interesse dello Stato membro a fronte di un afflusso improvviso di cittadini di paesi

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terzi, non può ricorrere nel caso di una misura che fissa esclusivamente obblighi a carico di tale Stato membro94.

Possiamo quindi affermare che, nei ricorsi, ci sono in parte alcuni argomenti legalmente apprezzabili. Il più indicativo è che la decisione sul trasferimento di 120.000 richiedenti asilo è stata adottata sulla base giuridica errata perché contiene un emendamento al regolamento Dublino. Pertanto, la base giuridica avrebbe dovuto essere quella del regolamento (articolo 78, par 2 e), TFUE e non l'articolo 78 par 3 del TFUE. Un importante positivo effetto collaterale di questi casi è che presentando queste sfide, i due Stati membri riconoscono in modo esplicito e quindi rafforzano, la legittimità della Corte come istituzione centrale europea e, quindi, lo stato di diritto all'interno del sistema sovranazionale dell'UE. I due Stati, infatti, hanno scelto di giocare “secondo le regole” e avviare un dibattito pubblico sulle decisioni dell’Unione Europea invece di non applicarle direttamente. In attesa che il caso sia discusso di fronte alla Corte di Giustizia, tutti i 25 Stati membri interessati continuano ad essere vincolati dalla decisione95.

I ricorsi degli Stati ci portano a compiere alcune riflessioni sulla definizione di “situazione di emergenza” e di “afflusso improvviso”. L’attuale formulazione dell’articolo 78 del TFUE finora non era mai stata attuata, lasciando spazio a dubbi interpretativi. Così le azioni presentate da Slovacchia e Ungheria consentiranno alla Corte di precisare la portata del materiale e dei limiti di cui all'articolo 78, par 3 del TFUE. La Corte analizzando i casi potrà contribuire a delinearne i contorni e i presupposti applicativi, come potrà chiarire se gli atti in esame sono atti legislativi e in tal caso sia necessario il coinvolgimento del Parlamento Europeo nonostante ci si trovi in una situazione di emergenza. Solo due dei quattro Stati membri messi in minoranza da parte della maggioranza ha deciso di contestare la legittimità della decisione della Corte. Gli altri due Stati membri, la Repubblica Ceca e Romania, non hanno espresso la loro intenzione di

94 Ungheria, Ricorso proposto il 3 dicembre 2015— Ungheria/Consiglio dell’Unione

europea, Causa C-647/15.

95 Groenendijk K., Hungary’s appeal against relocation to the CJEU: upfront attack

or rear guard battle?, in Blog “EU Immigration and Asylum Law and Policy”,

16.12.2015, http://eumigrationlawblog.eu/hungarys-appeal-against-relocation-to- the-cjeu-upfront-attack-or-rear-guard-battle/ .

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seguire questo esempio. L’ostilità di Slovacchia e Ungheria rappresentano la resistenza e l’intolleranza dei vari Stati membri a vedersi imporre decisioni non condivise in un settore sensibile come il controllo delle frontiere e l’allontanamento delle e l’ingresso degli stranieri.

Questi mesi, in attesa dell’attuazione della solidarietà europea e della decisione della Corte, si intrecciano con la revisione del sistema Dublino e la crescente contrapposizione della politica europea migratoria che vede come possibili idee da parte della Commissione anche l’eventuale sospensione dello spazio Schengen e il ripristino dei controlli alle frontiere interne fino a due anni, sul presupposto che sussistano circostanze eccezionali che ne mettano a rischio il funzionamento globale ai sensi dell’articolo 26 del Codice Frontiere Schengen, anche in seguito agli attacchi terroristici di Parigi del 13 Novembre 201596. Quindi, non solo gli effetti concreti del controverso meccanismo di ricollocamento, nei primi mesi, sono stati estremamente modesti, ma esso rischia anche di subire un colpo sotto il profilo della legittimità.