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della DE

Negli anni sono stati effettuati diversi studi neuropsicologici, che prevedono l’uso di tecniche di neuroimaging, che documentano alterazioni a carico di diver- se strutture neuroanatomiche che sottendono il funzionamento di alcune funzioni neuropsicologiche implicate nella sintomatologia della DE. A livello neurologico molti studi hanno ipotizzato una disfunzione congenita delle aree cerebrali peri- silvane sottese alla rappresentazione fonologica o alle connessioni tra le aree di rappresentazione fonologica e le aree di rappresentazione ortografica. Nei sog- getti con DE gli studi di neuroimmagine hanno fornito evidenze di alterazioni microstrutturali e, soprattutto, funzionali a carico del SNC. Tali alterazioni sono state riportate principalmente a livello delle aree perisilvane dell’emisfero cerebra- le sinistro implicato nell’elaborazione del linguaggio, e di strutture sottocorticali deputate all’elaborazione visiva o a livello cerebellare. Andiamo ad analizzare più nel dettaglio alcuni di questi studi.

I primi studi di Neuroimaging (Galaburda et al., 1985) hanno evidenziato delle aree di ectopia neuronale nella corteccia cerebrale di persone dislessiche: sono state rilevate delle alterazioni nella struttura e nell’organizzazione della corteccia che si concentrano nelle regioni perisilviane soprattutto dell’emisfero di sinistra (zone predisposte all’elaborazione del linguaggio). Sempre in seguito a questo studio, nei soggetti con DE si è evidenziata un’alterazione del planum temporale. Questa è una zona nell’emisfero di sinistra preposta alle attività linguistiche e nei soggetti sani è molto più estesa nell’emisfero sinistro rispetto che in quello destro, nei dislessici si è visto che questa differente estensione o asimmetria dell’area del planum temporale tra gli emisferi non è presente (Galaburda et al. 1985).

In seguito a questa scoperta una serie di altri lavori ha dimostrato che le persone con dislessia possono presentare delle alterazioni nella struttura della corteccia cerebrale. Negli anni 2000 furono portati avanti una serie di studi morfologici che hanno riguardato il cervelletto (Eckert et al. 2003): sembra che il lobo anteriore destro del cervelletto sia più piccolo nei soggetti dislessici rispetto ai controlli. Questi studi non sempre sono arrivati a delle conclusioni chiare e condivise dai ricercatori.

In altri studi sono state evidenziate lievi alterazioni del corpo calloso, la struttu- ra costituita dall’insieme delle fibre nervose che uniscono i due emisferi cerebrali. Questo dato suggerisce che lo sviluppo delle asimmetrie funzionali nella comunica- zione tra i due emisferi cerebrali possa essere compromesso nella DE (Galaburda et al., 1999). Queste disfunzioni nella comunicazione tra diverse aree e circuiti neuropsicologici potrebbero essere alla base dell’ipotizzata “disconnessione” delle aree posteriori da quelle anteriori nell’emisfero sinistro (Paulesu et al., 1996) e delle “disconnessioni” interemisferiche che sembrano caratterizzare i bambini con DE (Facoetti & Molteni, 2001). Questa ipotesi è anche compatibile con le recenti evidenze genetiche e neurofunzionali circa un elementare disturbo della migrazio- ne neuronale nella DE.

Gli studi più recenti sono andati oltre allo studio della struttura anatomica e della morfologia del cervello dei dislessici attraverso metodiche di tipo funzionale (fRMI e PET).

In uno studio del 1998, i coniugi Shaywitz e colleghi hanno utilizzato la Riso- nanza Magnetica Funzionale per confrontare l’attivazione dei pattern cerebrali in soggetti dislessici e nei normolettori durante dei compiti fonologici a difficoltà progressiva. L’attivazione cerebrale differiva significativamente tra i 2 gruppi: nei soggetti dislessici si sono evidenziate delle aree ipofunzionali nelle parti posteriori del cervello (in particolare l’area di Wernicke, il giro angolare e la corteccia stria- ta) e delle aree relativamente iperattive nella regione anteriore (il giro frontale anteriore) (Fig. 2.2). Gli autori concludono l’analisi dei dati supportando l’idea che il danno nella dislessia sia di natura fonologica e che i modelli di attivazione cerebrali individuati possano fornire una base neurale per questa difficoltà (Shay- witz et al., 1998).

Figura 2.2: Differenze del- l’attività cerebrale in com- piti fonologici tra dislessici e controlli (Shaywitz et al., 1998)

Il dato descritto dal precedente studio è stato confermato in molte altre ricerche. In una metanalisi di Richlan e colleghi del 2009, vennero analizzati e comparati 17 differenti studi sulle anomalie funzionali del cervello dislessico per identificare le regioni cerebrali implicate durante compiti di lettura (Fig. 2.3). In tutti gli studi analizzati sono state individuate sia zone ipoattive che iperattive nel cervello dei soggetti con DE. Le zone di ipoattività sono quelle del lobo temporale (superiore, medio ed inferiore e fusiforme) e parietale inferiore dell’emisfero sinistro, mentre le zone iperattive sono a livello del lobo frontale, della corteccia motoria primaria e dell’insula anteriore. L’iperattività del lobo frontale viene motivata dal fatto che la persona dislessica debba utilizzare tutte le proprie energie e l’attenzione per poter sublimare lo scarso funzionamento delle regioni posteriori (i processi attentivi e di controllo funzionano in modo esagerato rispetto alle persone non dislessiche) (Richlan et al., 2009).

Figura 2.3: Aree di ipoattività e aree di iperattività durante compiti di let- tura in soggetti con dislessia (Richlan et al., 2009)

In un lavoro di Neuroimaging abbastanza recente (Shawitz et al., 2003) i ricer- catori sono andati ad esaminare come due gruppi di giovani adulti con difficoltà di lettura nell’infanzia (un gruppo che con lo sviluppo ha compensato la difficol- tà e un gruppo con difficoltà di lettura persistenti) differissero dai normolettori. Hanno utilizzato la Risonanza Magnetica Funzionale per studiare l’attivazione

cerebrale di questi gruppi di soggetti durante un compito di lettura di non-parole e di parole. Soffermiamoci nell’analizzare le immagini della risonanza dei lettori con dislessia e dei normolettori in compiti di lettura di non parole. Nell’imma- gine sottostante (Fig. 2.4) vediamo nella prima colonna a sinistra le aree che si attivano durante la lettura di non-parole nei normolettori (in particolare sono attivate le aree occipitali, temporali e frontali), nella colonna centrale vediamo l’attivazione per lo stesso processo in un soggetto dislessico e possiamo notare che l’attivazione delle aree posteriori per la lettura (confine tra lobo temporale e occipitale) è molto meno evidente. La terza colonna è un’immagine di sottra- zione (evidenzia le maggiori differenze tra il soggetto che legge normalmente le non-parole e il soggetto con dislessia): le differenze sono soprattutto a livello del lobo temporale e del lobo frontale (Shawitz et al., 2003).

Figura 2.4: Confronto tra aree di attivazione cerebra- li in soggetti dislessici e nei normolettori (Shawitz et al., 2003)

Un altro approccio di ricerca molto interessante è andare a studiare le funzioni neuropsicologiche che potrebbero essere identificate come possibile causa del DSA in bambini molto piccoli, che non hanno ancora sviluppato il disturbo e i conse- guenti naturali compensi cognitivi e neurobiologici. Questo approccio consente di prevedere il futuro sviluppo delle abilità di lettura in bambini che non hanno ancora imparato a leggere. Un altro approccio di ricerca (che si può associare a quello descritto in precedenza) può invece riguardare bambini considerati a ri- schio di sviluppare il disturbo, non tanto per le loro caratteristiche ma in quanto figli di genitori che lo manifestano o che lo hanno manifestato, e di confrontarli con bambini non a rischio (figli di genitori che non manifestano o che non hanno mai manifestato tale DSA) (Cornoldi, 2007).

I dati di connettività funzionale e strutturale analizzati finora suggeriscono che la Dislessia Evolutiva sia una sindrome da disconnessione, ma con questo studio di Hadi Hosseini e colleghi del 2013 si sono evidenziate delle anomalie della con- nettività anche in bambini che non hanno ancora imparato a leggere. In questa ricerca hanno studiato le differenze nelle proprietà topologiche globali e regionali delle reti neurali tra bimbi più o meno a rischio di sviluppare la dislessia (se in famiglia presentavano o meno altri parenti di primo grado affetti). Analizzando la figura riepilogativa (Fig. 2.5) si possono vedere nella riga in alto i dati riguardo i bambini a maggior rischio di Dislessia. I pallini rossi dell’immagine rappresen- tano i centri delle reti neurali e la grandezza di questi è proporzionale all’entità del nucleo di connessione in quella zona. I risultati hanno rivelato cambiamenti nelle proprietà topologiche nelle regioni cerebrali note per essere anormali nella dislessia (giro sopramarginale sinistro, giro frontale inferiore sinistro) nel gruppo di bambini a maggior rischio per questo disturbo. Hanno anche trovato alte- razioni nelle proprietà topologiche in regioni che non sono spesso associate alla dislessia, ma che comunque svolgono un ruolo importante nella lettura (cingolato posteriore sinistro, ippocampo e giro precentrale). Nel confronto tra le immagini sottostanti vediamo che i bambini che hanno un maggior rischio di Dislessia pos- siedono una rete neurale più povera e questo riguarda in particolare l’emisfero di sinistra (Hadi Hosseini et al., 2013). Questo ci fa intuire che alla base del rischio di diventare dislessici c’è una diversa organizzazione delle reti neurali cerebrali, e che questa diversa organizzazione è presente ancor prima che il bambino sia espo- sto alla lettura (base costituzionale nell’organizzazione cerebrale dalla nascita).

Figura 2.5: Confronto tra aree di attivazione cerebrali in sog- getti dislessici e nei normolettori (Shawitz et al., 2003)

Altri studi hanno evidenziato delle differenze nello spessore della corteccia cere- brale che sono già presenti in bambini che non hanno ancora acquisito le abilità di lettura ma con maggior rischio di sviluppare DE. In uno studio longitudinale norvegese sono state acquisite delle scansioni di Risonanza Magnetica strutturale in 27 bambini da prima dell’inizio della formazione dell’alfabetizzazione alla dia- gnosi di Dislessia. Hanno determinato che le anomalie neuroanatomiche primarie che precedono la Dislessia non sono nella rete di lettura stessa, ma piuttosto in aree di livello inferiore responsabili dell’elaborazione uditiva e visiva e delle fun- zioni esecutive principali. Le anomalie nella rete di lettura, invece, sono state osservate solo all’età di 11 anni, dopo che i bambini avevano imparato a leggere. Si tratta di una forma di diversità neurocostituzionale in quanto i precursori neu- roanatomici si trovano prevalentemente nelle cortecce sensoriali primarie e non direttamente nella rete cerebrale dedita alla lettura (Clark et al., 2014).

Nello studio di Finn et al. del 2014 per la prima volta si è attuata un’analisi della connettività funzionale per l’intero cervello nella Dislessia. Questa ricerca aveva come scopo il confronto dei profili di connettività dei lettori dislessici con quelli dei normolettori giovani e adulti. Rispetto ai normolettori, i lettori disles- sici hanno mostrato una connettività divergente all’interno del percorso visivo e tra le aree di associazione visiva e le aree di attenzione prefrontale; una maggiore connettività dell’emisfero destro; una connettività ridotta nell’area visiva della forma delle parole (parte del giro fusiforme sinistro specializzato per le parole stampate) e una connettività persistente alle regioni linguistiche anteriori intorno al giro frontale inferiore (Fig. 2.6). I risultati suggeriscono che i lettori di con- trollo sono maggiormente in grado di integrare le informazioni visive e modulare la loro attenzione agli stimoli visivi, e di riconoscere le parole sulla base delle loro proprietà visive, mentre i lettori dislessici reclutano dei circuiti di lettura alterati e si basano su laboriose strategie basate sulla fonologia nell’età adulta. Questi risultati sottolineano l’importanza della sincronia tra diverse regioni del cervello per una lettura di successo (Finn et al., 2014).

Figura 2.6: Confronto tra aree di attivazione cerebrali in sog- getti dislessici e nei normolettori (Shawitz et al., 2003)

Uno studio italiano di Pecini e colleghi del 2011 condotto con tecniche di neuroi- maging è andato ad evidenziare come le caratteristiche della DE, in una lingua con ortografia superficiale come l’italiano, siano influenzate da una storia positiva per il ritardo linguistico.

È stato condotto uno studio sperimentale in cui in un gruppo di individui con DE e in un gruppo di controllo è stata valutata la rappresentazione cerebrale dell’elaborazione fonologica con una Risonanza Magnetica Funzionale. È stato somministrato un compito di generazione di rime ed attraverso le metodiche di neuroimaging si è andata ad indagare la correlazione tra i modelli di attivazione di alcune aree cerebrali e la presenza o l’assenza di un ritardo linguistico nella storia del soggetto dislessico.

Gli individui con DE hanno mostrato una ridotta attivazione delle aree di ela- borazione fonologica dell’emisfero sinistro, come il giro temporale superiore, il giro frontale medio, il precuneo e il lobulo parietale inferiore. Inoltre, i pazienti con una storia di ritardo linguistico mostravano una ridotta attivazione nel giro frontale inferiore e mediale sinistro, che era associata ad una ridotta performance a livello della capacità di lettura e di precisione fonologica rispetto ai soggetti con normale sviluppo del linguaggio. Questo suggerisce che i profili comportamentali relativamente migliori osservati negli individui senza una storia di ritardo lingui- stico siano associati ad una maggiore attivazione delle reti frontali normalmente coinvolte nella Memoria di Lavoro fonologica (Pecini et al., 2011).