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Percorsi diagnostici e riabilitativi nei Disturbi Specifici dell'Apprendimento: uno studio clinico sulla teleriabilitazione

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Academic year: 2021

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Universit`

a degli Studi di Pisa

FACOLT `A DI PATOLOGIA CHIRURGICA, MEDICA, MOLECOLARE E DELL’AREA CRITICA

Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica e della Salute

Tesi di laurea magistrale

Percorsi diagnostici e riabilitativi

nei Disturbi Specifici dell’Apprendimento

Uno studio clinico sulla teleriabilitazione

Candidato:

Alice Mercugliano

Relatore:

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Abstract

Il presente lavoro di tesi, dopo un inquadramento teorico sugli aspetti ezio-patogenetici, epidemiologici e clinici e sulle procedure diagnostiche e riabilitative dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), e in particolare della Dislessia Evolutiva (DE), presenta uno studio clinico-sperimentale finalizzato a descrivere le modalità di presa in carico di soggetti con questi disturbi in un servizio cli-nico attraverso delle procedure di teleriabilitazione applicate alla DE o a ritardi nell’apprendimento della lettura. Inoltre, lo studio è volto ad indagare retrospetti-vamente l’efficacia e a valutare gli effetti dell’intervento teleriabilitativo sostenuto da un campione clinico con particolare attenzione alla tipologia del trattamento stesso (orientato al compito vs orientato al processo). Hanno partecipato alla ri-cerca 20 bambini in età scolare, a cui è stato somministrato un protocollo specifico di valutazione pre-trattamento (T0), a cui ha seguito un programma di teleria-bilitazione effettuato con applicazioni della piattaforma Ridinet della durata di 3 mesi circa, scelte in base all’età e al profilo neuropsicologico presentato alla valutazione pre-trattamento, dettagliatamente descritto nello studio. Il campio-ne è stato suddiviso in due gruppi: un gruppo ha utilizzato un’applicaziocampio-ne che permette di effettuare un intervento sull’abilità (Reading Trainer 2 ), ovvero che va a stimolare direttamente la competenza di lettura compromessa, e l’altro grup-po, in cui il profilo neuropsicologico ha evidenziato difficoltà a carico di funzioni cognitive di base, ha effettuato il trattamento con applicazioni che forniscono un tipo di intervento sul processo (Run the Ran e Memoran), volte a potenziare le abilità cognitive che supportano la competenza di lettura difettuale. Terminato il periodo di intervento, è stato somministrato nuovamente il protocollo di valu-tazione nel post-trattamento (T1) ad entrambi i gruppi e sono state analizzate le loro prestazioni nelle prove di lettura.

Sulla base dei risultati ottenuti, si sono evidenziati miglioramenti statisticamente significativi dopo il trattamento a carico delle abilità di decodifica della lettura, oggetto dell’intervento, con efficacia comparabile dei due metodi teleriabilitativi.

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2 Avendo analizzato nel dettaglio il profilo neuropsicologico di partenza dei due gruppi, è possibile che l’individuazione corretta del metodo di riabilitazione ab-bia permesso di raggiungere questi risultati, confermando l’utilità di un approccio riabilitativo calibrato sul fenotipo comportamentale e sull’endofenotipo cognitivo del disturbo.

PAROLE CHIAVE: Disturbi Specifici dell’Apprendimento, Dislessia Evolutiva, teleriabilitazione, Ridinet, studio clinico-sperimentale

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Indice

Introduzione 1

1 I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) 3

1.1 I Disturbi Specifici dell’Apprendimento . . . 5

1.2 Criteri Diagnostici . . . 8

1.3 Esordio, comorbidità e decorso . . . 10

1.4 Epidemiologia . . . 11

1.5 Eziopatogenesi e prognosi . . . 12

1.6 Diagnosi . . . 14

1.7 Modalità d’intervento . . . 17

2 I Disturbi Specifici di apprendimento della lettura: la Dislessia Evolutiva 19 2.1 Manifestazioni cliniche della DE . . . 20

2.2 Diagnosi della DE . . . 22

2.3 Eziopatogenesi della DE . . . 24

2.4 Modelli interpretativi della DE . . . 25

2.4.1 La teoria fonologica della Dislessia Evolutiva . . . 28

2.4.2 Le teorie sensoriali della Dislessia Evolutiva . . . 29

2.5 Basi neurobiologiche e Studi di Neuroimaging della DE . . . 33

2.6 Percorsi abilitativi per il trattamento della DE . . . 40

3 Lo sviluppo tipico delle abilità di lettura 42 3.1 Modello di lettura a due vie . . . 43

3.2 Prerequisiti per lo sviluppo delle abilità di letto-scrittura . . . 46

3.3 Le Funzioni Esecutive (FE) . . . 49

3.3.1 La neurobiologia delle FE . . . 50

3.3.2 Le Funzioni Esecutive nei DSA . . . 52

3.4 Modelli evolutivi di acquisizione delle capacità di lettura decifrativa . . . 56

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3.5 Modelli interpretativi della DE . . . 59

4 La Teleriabilitazione nei DSA 62 4.1 Le origini della telemedicina . . . 63

4.2 Potenzialità e limiti della teleriabilitazione . . . 64

4.3 Teleriabilitazione nei DSA . . . 68

4.4 L’esperienza dell’IRCCS Fondazione Stella Maris: la piattaforma Ridinet . . . 70

4.5 Teleriabilitazione ai tempi del Covid-19 . . . 74

4.6 Telemedicina e prospettive future . . . 76

5 Studio Clinico-Sperimentale 78 5.1 Premessa e obbiettivi . . . 78 5.2 Materiali e Metodi . . . 79 5.2.1 Partecipanti . . . 79 5.2.2 Strumenti . . . 80 5.2.3 Procedura . . . 83 5.2.4 Analisi Statistica . . . 89 5.3 Risultati . . . 90 5.4 Discussione . . . 94 Riflessioni Conclusive 100 Bibliografia 102 Ringraziamenti 129

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Introduzione

L’obiettivo della presente tesi di laurea è quello di indagare l’efficacia di al-cuni programmi di teleriabilitazione, utilizzati all’interno del Servizio di Teleria-bilitazione delle Funzioni Cognitive di Base e delle Difficoltà di Apprendimento dell’IRCCS Fondazione Stella Maris, appartenenti alla piattaforma Ridinet, ri-volti al potenziamento delle abilità di decodifica della lettura e ad alcuni dei suoi prerequisiti, in bambini con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), in par-ticolare con Dislessia Evolutiva (DE) o con ritardi di apprendimento della lettura, con particolare attenzione anche alla tipologia del trattamento stesso.

Nel dettaglio, nel primo capitolo si presenterà una descrizione dei DSA, tipologia di disturbi principalmente trattati in questo servizio teleriabilitativo. Ne verran-no riportate le caratteristiche principali, i criteri diagverran-nostici secondo il DSM-5, le modalità di esordio e il loro decorso tipico, una piccola descrizione epidemio-logica ed infine verranno descritte le ipotesi di tipo eziopatogenetico e la prognosi.

Nel capitolo successivo, verrà descritta in modo particolareggiato la Dislessia Evolutiva (in quanto disturbo specifico preso maggiormente in considerazione nel nostro studio clinico-sperimentale). Per questo disturbo verranno evidenziate: le manifestazioni cliniche, le procedure diagnostiche, l’eziopatogenesi, i modelli interpretativi (in particolar modo andando ad esporre la teoria fonologica e le teorie sensoriali), le basi neurobiologiche con i relativi studi di neuroimaging ed infine i percorsi abilitativi per il trattamento.

Nel terzo capitolo, si andrà a descrivere lo sviluppo tipico delle abilità di let-tura, con particolare riferimento al modello di lettura a due vie ed ai modelli evolutivi di acquisizione delle capacità di lettura decifrativa, rispetto ai quali è possibile interpretare la sintomatologia dei bambini con DE. Dal momento che alcuni trattamenti teleriabilitativi presi in esame coinvolgono direttamente alcuni dei prerequisiti per lo sviluppo delle abilità di letto-scrittura, si spiegherà in che cosa consistono tali abilità, riportandone: i principali modelli neuropsicologici,

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più o meno recenti, le differenti interpretazioni fornite e le principali basi neu-robiologiche associate. Si tratterà anche il tema delle Funzioni Esecutive (FE), riportando la loro definizione, la descrizione delle abilità che ne fanno parte e le loro basi neurobiologiche. Un paragrafo sarà, infatti, dedicato all’analisi del rapporto esistente tra le FE e i DSA, evidenziandone lo stretto legame attraverso l’esame della letteratura scientifica; in particolare, verrà analizzata la relazione presente tra l’insorgenza di questi disturbi e le alterazioni a carico delle FE.

Nel quarto capitolo si approfondirà il concetto di teleriabilitazione, partendo dalla nascita di questo innovativo approccio riabilitativo, analizzandone i pre-gi ed i difetti, le modalità di utilizzo, l’efficacia e le prospettive future. Si farà riferimento anche alla specifica esperienza del servizio teleriabilitativo presen-te all’IRCCS Fondazione Spresen-tella Maris (luogo in cui è stato effettuato lo studio clinico-sperimentale), andando anche a descrivere le applicazioni appartenenti alla piattaforma Ridinet utilizzate nello studio. Inoltre, vista l’emergenza epide-miologica in atto dovuta al virus SARS-COV-2, sarà effettuata un’analisi della recente letteratura per sottolineare l’evoluzione degli approcci teleriabilitativi in questo particolare periodo storico.

Infine, l’ultimo capitolo sarà dedicato a descrivere uno studio clinico-sperimentale sull’applicazione di programmi di teleriabilitazione in soggetti con DE o ritardo della lettura e presentare i risultati della sperimentazione riguardo agli effetti di differenti interventi di teleriabilitazione. Specificatamente, in questo studio sono state utilizzate delle applicazioni facenti parte della piattaforma Ridinet: Reading Trainer 2, Run the Ran e Memoran. Si descriveranno le diverse fasi del percorso finalizzato ad indagare l’efficacia delle applicazioni, anche in base alla tipologia di trattamento utilizzata: i bambini che hanno aderito allo studio, gli strumenti e le procedure utilizzate, le analisi statistiche condotte, i risultati ottenuti e la loro discussione.

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CAPITOLO

1

I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA)

I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) sono delle condizioni cliniche contemplate nella categoria diagnostica dei “Disturbi del Neurosviluppo”, inclu-sa per la prima volta nell’ultima versione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5, APA, 2014), con la finalità di descrivere i distur-bi a maggior probadistur-bilità di comparsa in età infantile ossia che, manifestandosi precocemente, alterano le traiettorie tipiche dello sviluppo (hanno quindi una peculiarità età-specifica). I Disturbi del Neurosviluppo comprendono un’ampia varietà di disturbi mentali, emotivi e di caratteristiche comportamentali e fisiche che influenzano in vario grado lo sviluppo socio-emotivo e cognitivo del bam-bino. Si manifestano tipicamente nelle prime fasi della crescita del bambino, di solito ancor prima di iniziare la scuola primaria e determinano una compromissio-ne significativa del funzionamento personale, sociale, scolastico o lavorativo. La tipologia e la gravità di questi disturbi variano notevolmente: si passa da limita-zioni di abilità specifiche, fino ad una compromissione globale del funzionamento (APA, 2014).

All’interno della categoria dei Disturbi del Neurosviluppo si individuano: • Disabilità Intellettive (DI);

• Disturbi della Comunicazione; • Disturbo dello Spettro Autistico;

• Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD); • Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA);

• Disturbi del movimento;

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Tali categorie comprendono, a loro volta, delle sotto-classificazioni per indicare le diverse forme che possono assumere i vari disturbi in relazione alla qualità, all’estensione, all’intensità o alla frequenza dei sintomi.

Questi vari disturbi presentano una percentuale elevata di comorbilità tra loro, si ha quindi la possibilità che in uno stesso bambino o adolescente siano presenti due o più disturbi psicopatologici (Nicolson & Fawcett, 2007; Gooch et al., 2014). Ciò potrebbe essere riconducibile alla condivisione degli stessi fattori eziologici, dato che l’eziologia dei Disturbi del Neurosviluppo è multifattoriale e molti fat-tori eziologici sono comuni a più disturbi del Neurosviluppo (Vio & Lo Presti, 2014). Un altro aspetto fondamentale che li caratterizza è il fatto di presentare una sintomatologia diversa in base all’epoca di sviluppo del soggetto che ne è affetto (APA, 2014).

Negli ultimi anni abbiamo assistito all’incremento della prevalenza di tutti questi disturbi: nel 2014 lo studio di Atladottir et al. ha confrontato coorti di bambini nati negli anni ’90 del secolo scorso con bambini nati negli anni 2000 e ha eviden-ziato una variazione della prevalenza di alcuni di questi disturbi. Tale fenomeno appare dovuto in parte ad un vero aumento della casistica (causati da fattori ambientali, come l’aumento dell’età media dei genitori, la più alta percentuale di nati pretermine, l’inquinamento . . . ) e in parte ad altri fattori: una maggior consapevolezza della popolazione su questi temi, un cambiamento dei criteri dia-gnostici, una miglior identificazione delle forme più lievi, migliori programmi di screening e la presenza di strumenti sempre più precisi per poter effettuare dia-gnosi precoci (Atladottir et al., 2014).

Secondo il Global Burden of Disease Study pubblicato nel 2010 (GBD, 2010), i disturbi mentali e legati all’abuso di sostanze sono direttamente collegati al 7,4% del carico di malattia presente nell’intera popolazione e hanno un peso maggiore rispetto ad altre problematiche mediche come HIV/AIDS, diabete o alle conse-guenze degli incidenti stradali. Inoltre più del 50% dei disturbi neuropsichici dell’adulto emergono in età evolutiva o comunque sono causati da eventi emersi molti anni prima del disturbo conclamato (Whiteford et al., 2013).

I fattori che intervengono nello sviluppo della disabilità non riguardano solo con-dizioni genetiche o lesionali precoci ma hanno un ruolo importante anche fattori epigenetici, ambientali e relazionali che intervengono nelle prime fasi di sviluppo. Per questo motivo sono fondamentali la prevenzione, la diagnosi e il trattamento precoci di questi disturbi, in quanto con questa modalità di azione si può cambia-re la storia naturale della malattia e pcambia-revenicambia-re numerose sequele psicopatologiche evitando o mitigando un decorso cronico e anomalo (Cioni et al., 2016).

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Un intervento precoce in un periodo critico come quello infantile può avere un ruolo positivo anche andando a modulare lo sviluppo cerebrale soprattutto grazie alla plasticità molecolare, anatomica-funzionale e strutturale del cervello in que-sta fase sensibile dello sviluppo (Ismail et al., 2017).

Il presente lavoro di tesi sarà dedicato all’approfondimento di una categoria di Disturbi del Neurosviluppo, i Disturbi Specifici di Apprendimento. Andiamo ora dunque ad analizzarne più nello specifico le caratteristiche principali, i criteri dia-gnostici, le modalità di esordio e il decorso clinico, la descrizione epidemiologica ed infine le ipotesi di tipo eziopatogenetico, le modalità di intervento e la pro-gnosi. All’interno dei DSA, inoltre, sarà approfondita, nei capitoli successivi, la descrizione del sottotipo della Dislessia Evolutiva (di cui saranno trattati più nello specifico i suddetti aspetti facendo riferimento anche ai processi tipici di sviluppo delle abilità di lettura) e sarà presentato un contributo clinico-sperimentale sulla presa in carico riabilitativa e gli effetti del trattamento della Dislessia Evolutiva con programmi di teleriabilitazione.

1.1

I Disturbi Specifici dell’Apprendimento

La ricerca psicologica sui Disturbi dell’Apprendimento si è sviluppata sola-mente negli ultimi decenni, anche se la descrizione di questo tipo di difficoltà negli apprendimenti e delle varie proposte di intervento si trovano nei secoli pas-sati e in vari paesi del mondo (Mises, 1975). Una delle prime evidenze del disturbo in letteratura risale addirittura ad un lavoro dello scrittore greco Filostrato, in cui vennero descritte le difficoltà nella lettura incontrate dal figlio di Erode il Sofista vissuto nel II secolo D.C. (Doris, 1986).

Negli anni Sessanta in Italia le difficoltà di lettura o di scrittura in assenza di problema fisici o di disabilità evidenti prendevano il nome di “disturbi lacunari”, con riferimento alle mancanze presenti nelle abilità scolastiche. In quegli anni i bambini in ritardo sulle normali tappe di apprendimento venivano tolti dalle classi normali ed inseriti in classi differenziali (Quadrio, 1968). L’atteggiamento nei confronti di questi disturbi è cominciato a cambiare con l’avviamento anche in Italia di ricerche specifiche condotte con metodi obbiettivi riguardo alle co-siddette Learning Disabilities (in particolare in Italia citiamo gli studi condotti dal professor Cornoldi e dal suo gruppo di ricerca dagli inizi degli anni Ottanta che hanno permesso il primo generale inquadramento di queste tematiche da un punto di vista psicologico e neuropsicologico).

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Si deve a Donald Hammill la definizione dei Disturbi Specifici dell’Apprendimen-to nel 1990, sulla base delle conclusioni a cui erano giunte numerose associazioni di ricerca e di intervento in questo ambito:

“Learning Disability (L.D.) si riferisce ad un gruppo eterogeneo di di-sturbi manifestati da significative difficoltà nell’acquisizione e nell’uso di abilità di ascolto, espressione orale, lettura, ragionamento e ma-tematica, presumibilmente dovuti a disfunzioni del sistema nervoso centrale” (Hammill,1990; p. 77).

I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) sono un insieme di condizioni ti-piche dell’età evolutiva caratterizzate dalla presenza di difficoltà significative in una o più aree dell’apprendimento scolastico (in particolare coinvolgono le abilità di lettura, scrittura e di calcolo), in assenza di difficoltà generali e alterazioni biologiche o neurologiche. Secondo quanto emerge dalla Consensus Conference del 2007, la caratteristica principale dei DSA risiede nella specificità del defi-cit: si presenta una compromissione significativa ma circoscritta di uno o più ambiti che incide significativamente sul rendimento scolastico, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. In questo senso, l’aspetto principale per stabilire la definizione e la diagnosi di Disturbo Specifico dell’Apprendimento è il “criterio della discrepanza”: si presenta un divario tra le abilità del dominio specifico interessato, che risulta deficitario in rapporto alle attese per l’età o la classe frequentata quando viene misurato con test standardizzati, e il livello di intelligenza generale (adeguato per l’età cronologica). Per l’applicazione di questo criterio esiste un sostanziale accordo sul fatto che la compromissione dell’attività specifica debba essere significativa, si deve verificare quindi una prestazione signi-ficativamente inferiore ai valori normativi attesi per l’età e la classe frequentata (Consensus Conference, 2007).

Inoltre, per porre diagnosi occorre provare che le difficoltà riscontrate non sia-no attribuibili ad altri disturbi o a determinate condizioni di vita (si utilizza un secondo criterio denominato “di esclusione”) come: menomazioni neurologiche o sensoriali gravi, disturbi significativi della sfera emotiva o motivazionale, situazio-ni ambientali di svantaggio socio-culturale che possono interferire con le normali opportunità educative (Consensus Conference, 2007). Da quanto ribadito nel DSM-5, appare comunque evidente che la valutazione del disturbo dovrà tenere conto sia dello sviluppo globale del bambino sia del suo comportamento adattivo (APA, 2014).

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Le difficoltà sono di natura “evolutiva” e “non acquisita”, riguardano quindi lo sviluppo dell’abilità e non rappresentano la perdita di un’abilità acquisita in precedenza. Nella versione corrente del DSM (APA, 2014) all’interno di questa categoria diagnostica, in relazione all’elevata comorbidità fra le alterazioni nei vari sottoambiti dell’apprendimento, sono stati unificati vari disturbi che vengo-no quindi differenziati come manifestazioni del medesimo problema (che dunque varierebbe per estensione ed entità) e non come patologie a sé stanti. Tutta-via, nell’attività clinica, l’enorme variabilità dei quadri clinici rende necessario conservare la suddivisione di tali sottotipi, prevista in modo più specifico nelle precedenti classificazioni diagnostiche (DSM-IV, ICD 10) in modo da poter valu-tare in ogni individuo le singole funzioni deficitarie (lettura, scrittura, calcolo) per definire un profilo clinico personale e un trattamento mirato per ogni bambino (Guidetti, 2016).

Sulla base del deficit funzionale si possono distinguere le seguenti condizioni cliniche, così specificate all’interno del DSM-5 e dell’ICD-10:

– DSA con compromissione della lettura: dove sono presenti alterazioni a carico della lettura, soprattutto nella decodifica del linguaggio scritto in termini di accuratezza, fluenza, velocità e comprensione del testo (Dislessia è un termine alternativo utilizzato per riferirsi a tale condizione);

– DSA con compromissione dell’espressione scritta: disturbi specifici della scrittura, intesa come abilità grafo-motoria, in cui sono compromesse la fluenza e la qualità del gesto grafico, le abilità di codifica fonografica e la competenza ortografica (Disgrafia e Disortografia sono termini alternativi); – DSA con compromissione del calcolo: nel quadro clinico si evidenziano diffi-coltà nelle abilità matematiche, intese come capacità di comprendere e ope-rare con i numeri. Si possono riscontope-rare difficoltà con il concetto di numero e con la memorizzazione di fatti aritmetici; si riscontrano problemi nell’ese-guire calcoli matematici in maniera accurata e fluente e nell’effettuare dei ragionamenti matematici corretti (Discalculia è un termine alternativo uti-lizzato per riferirsi a questo pattern di difficoltà) (WHO, 1993; Marotta & Varvara, 2013; APA, 2014).

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1.2

Criteri Diagnostici

Vengono riportati i criteri diagnostici presenti nella quinta versione del DSM, normalmente utilizzati nella pratica clinica:

A. Difficoltà di apprendimento e nell’uso di abilità scolastiche, come indicato dalla presenza di almeno uno dei seguenti sintomi che persistono per alme-no 6 mesi, alme-noalme-nostante la messa a disposizione di interventi mirati su tali difficoltà:

– Lettura delle parole imprecisa o lenta e faticosa (per es. il bambino legge singole parole ad alta voce in modo errato o lentamente e con esitazione, spesso tira ad indovinare le parole, pronuncia con difficoltà le parole);

– Difficoltà nella comprensione del significato di ciò che viene letto (per es. il bambino può leggere i testi in maniera adeguata ma non com-prende le sequenze, le relazioni, le inferenze o i significati più profondi di ciò che viene letto);

– Difficoltà nello spelling (per es. nella scrittura il bambino può aggiun-gere, omettere o sostituire vocali o consonanti);

– Difficoltà con l’espressione scritta (per es. il bambino fa moltepli-ci errori grammaticali o di punteggiatura all’interno delle frasi: usa una scarsa organizzazione dei paragrafi, l’espressione scritta delle idee manca di chiarezza);

– Difficoltà nel padroneggiare il concetto di numero, i dati numerici o il calcolo (per es. il bambino ha una scarsa comprensione dei numeri, della loro dimensione e delle relazioni, conta sulle dita per aggiungere numeri ad una singola cifra, piuttosto che ricordare i fatti matematici come fanno i coetanei, si perde all’interno di calcoli aritmetici e può cambiare procedure);

– Difficoltà nel ragionamento matematico (per es. il bambino ha gra-vi difficoltà ad applicare concetti matematici, dati o procedure per risolvere problemi quantitativi).

B. Le abilità scolastiche colpite sono notevolmente e al di sotto di quelle atte-se per l’età cronologica dell’individuo e tale divario, quantificabile in modo oggettivo, causa significativa interferenza con il rendimento scolastico o la-vorativo o con le attività di vita quotidiana, come confermato da

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misura-zioni standardizzate, somministrate individualmente, dai risultati raggiunti e da valutazioni cliniche complete. Per individui di 17 anni od oltre di età, un’anamnesi documentata delle difficoltà di apprendimento invalidanti può sostituire l’inquadramento clinico standardizzato.

C. Le difficoltà di apprendimento iniziano durante gli anni scolastici ma pos-sono non manifestarsi pienamente fino a che la richiesta rispetto a queste capacità scolastiche colpite supera le limitate capacità dell’individuo (per es. come nelle prove a tempo, nella lettura o scrittura di documenti complessi e lunghi in breve tempo, con carichi scolastici eccessivamente pesanti). D. Le difficoltà di apprendimento non sono meglio giustificate da disabilità

intellettiva, acuità visiva o uditiva alterata, altri disturbi mentali o neurolo-gici, avversità psicosociali, mancata conoscenza della lingua dell’istruzione scolastica o istruzione scolastica inadeguata.

Generalmente si specifica se:

– Con compromissione della lettura (specificare se nell’accuratezza nella let-tura delle parole, nella velocità o fluenza della letlet-tura, nella comprensione del testo);

– Con compromissione dell’espressione scritta (specificare se nell’accuratezza nello spelling, nell’accuratezza nella grammatica e nella punteggiatura, nella chiarezza/organizzazione dell’espressione scritta);

– Con compromissione del calcolo (specificare se nel concetto di numero, nel-la memorizzazione di fatti aritmetici, nel calcolo accurato o fluente, nel ragionamento matematico corretto).

Nel manuale diagnostico viene richiesto di specificare anche la gravità attuale del disturbo: lieve, moderata o grave. Si presenta gravità lieve quando le difficoltà negli ambiti scolastici non sono eccessive e consentono al soggetto di compensare mediante l’uso di facilitazioni e servizi di supporto; gravità moderata, quando le difficoltà nelle abilità di apprendimento sono marcate e per sviluppare compe-tenze adeguate sono necessari periodi di insegnamento specializzato e intensivo; invece il disturbo è grave, quando gli ambiti scolastici coinvolti sono numerosi, rendendo difficile l’apprendimento senza un insegnamento intensivo, continuativo e personalizzato (APA, 2014; pp. 77-78).

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1.3

Esordio, comorbidità e decorso

L’epoca di esordio dei DSA è variabile: in alcuni casi i soggetti manifestano delle difficoltà già a partire dai primi anni della scuola primaria, in altri sogget-ti invece il disturbo si rende evidente solo successivamente, quando le richieste scolastiche diventano maggiori (APA, 2014). La diagnosi di questi disturbi è pos-sibile non prima della fine della seconda primaria per quanto riguarda l’ambito della lettura e della scrittura, e alla fine della terza primaria per l’ambito della sfera numerica e del calcolo. Quando però siamo di fronte a casi particolarmen-te gravi, è possibile sospettare la presenza di DSA anche alla fine della classe prima (Marotta & Varvara, 2013). La diagnosi precoce è considerata un fattore determinante per un buon esito della storia naturale di questi disturbi: è stato dimostrato che una diagnosi precoce in bambini che presentano dei sintomi che possono precedere il disturbo conclamato (come un disturbo del linguaggio, delle prassie o l’orientamento spazio-temporale) e un successivo intervento precoce può prevenire un successivo disturbo della letto-scrittura (Spataro, 2005).

Questi disturbi presentano un elevato grado di comorbidità sia al loro interno, cioè fra i vari sottotipi dei disturbi dell’apprendimento (soprattutto nei primi anni di scolarizzazione) sia con altre problematiche emozionali e comportamentali di vario tipo.

Le ricerche hanno più volte evidenziato la presenza di comorbidità con disturbi depressivi (disturbo depressivo maggiore o persistente) e disturbi del comporta-mento (ADHD, disturbo oppositivo provocatorio e disturbo della condotta) che portano ad un rischio di disadattamento e abbandono scolastico (Bernabei et al., 1991). Recenti ricerche hanno dimostrato che i bambini e gli adolescenti con disturbo dell’apprendimento presentano una più elevata incidenza di distur-bi depressivi e d’ansia rispetto alla popolazione generale (l’incidenza varia dal 25-35% nei DSA rispetto al 10% dei gruppi di controllo, Strepparava & Iacchia, 2012). L’identificazione dei disturbi in comorbidità è fondamentale in quanto la co-occorrenza di DSA e disturbi internalizzanti o esternalizzanti comporta un peggioramento del quadro sintomatologico di entrambi (Guidetti, 2016).

In generale, anche se non si raggiunge la soglia clinica per parlare di una comor-bidità con disturbi conclamati, sono frequenti ripercussioni di ordine emotivo e motivazionale quali: comportamenti di tipo oppositivo o rifiutante rispetto alle attività scolastiche o tendenza ad assumere ruoli aggressivi all’interno della clas-se, comparsa di disturbi psicosomatici (come mal di testa o vomito) e si possono

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manifestare anche vissuti di profonda inadeguatezza, perdita di autostima, fru-strazione e rabbia. La percezione di un senso di scarsa autoefficacia, lo sviluppo di una cattiva immagine di sé, il senso di impotenza appreso, la perdita della fiducia nella loro possibilità di miglioramento possono condurre a comportamenti poco orientati al cambiamento e a un disinvestimento motivazionale delle attività scolastiche (Celi & Fontana, 2015).

Senza un intervento specifico, i disturbi dell’apprendimento tendono a persistere nel tempo, i differenti tipi di difficoltà, tuttavia, possono manifestare andamenti diversi nel corso delle varie fasi di scolarizzazione dello stesso individuo. I soggetti adulti con DSA commettono frequentemente errori ortografici, leggono in modo lento e faticoso, oltre a manifestare resistenza nei confronti di quelle attività che presuppongono l’utilizzo di abilità scolastiche (APA, 2014).

1.4

Epidemiologia

I Disturbi dell’Apprendimento risultano molto rilevanti sul piano epidemio-logico. La prevalenza dei DSA è stimata tra il 2,5 e il 3,5% della popolazione italiana in età evolutiva (MIUR, 2011). Questa stima in realtà è soggetta a molte variazioni in base ai criteri e agli strumenti utilizzati per la diagnosi (Moll et al., 2014): secondo alcuni autori arriverebbe fino al 10% della popolazione scolasti-ca (Gabrieli, 2009). Secondo i dati emersi dalla Consensus Conference (Istituto Superiore di Sanità, 2011), quasi il 30% dei soggetti che accedono ai servizi di neuropsichiatria infantile e il 50% dei bambini che ricevono un intervento riabili-tativo, presentano un DSA.

Un criterio che può indurre una variazione dell’espressività clinica e della preva-lenza del disturbo è la difficoltà ortografica delle lingue. Si possono distinguere lingue ad "ortografia trasparente o superficiale", come l’Italiano, in cui esiste un rapporto diretto fra segno scritto e suono prodotto e percepito, e lingue ad "ortografia opaca o profonda", come l’inglese, in cui a ciascun grafema possono corrispondere più fonemi a seconda del contesto in cui si presenta o, invece, di-versi grafemi possono rappresentare lo stesso fonema (Daloiso, 2012; Maffioletti & Facchin, 2016). La complessità delle lingue opache sembra avere un ruolo di rilievo nell’incidenza del disturbo tra vari paesi, come si evince, ad esempio, dal confronto della prevalenza tra Italia (3-4%) e Stati Uniti (8-10%) (Lindgren et al., 1985).

Soffermandosi invece sulle differenze legate al genere, secondo la letteratura si ha una maggiore presenza di queste problematiche nei maschi rispetto alle

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fem-mine, con un rapporto di 2-3:1. Questo dato è stato associato alla presenza di fattori genetici, neurologici, ambientali e socio-emotivi legati al sesso di appar-tenenza che possono precedere l’espressione di questi problemi clinici (Sauver et al., 2001). Sauver e collaboratori (2001) hanno evidenziato che i bambini sono sensibili, in modo diverso in base al sesso, ai fattori di rischio per lo sviluppo di disturbi dell’apprendimento, come il basso peso alla nascita, l’età paterna o il livello di istruzione conseguito dai genitori, che assumono un peso statisticamen-te differenstatisticamen-te nella storia di sviluppo a seconda del sesso del campione analizzato (Sauver et al., 2001)

Negli ultimi anni si è assistito ad un netto incremento della diagnosi di DSA: secondo le indagini statistiche condotte dal MIUR nell’anno 2016/2017, se nel-l’A.S. 2010/2011 la percentuale di alunni con certificazione di DSA sul totale degli alunni italiani si attestava ad appena lo 0,7%, tale percentuale è salita fino al 2,9% nell’anno di riferimento dello studio (considerando la media nei vari ordi-ni scolastici). Questa notevole crescita delle certificazioordi-ni potrebbe derivare dalla sempre maggior attenzione e consapevolezza posta riguardo all’individuazione dei casi sospetti sia da parte dei professionisti sanitari che da parte delle strutture scolastiche (MIUR-Ufficio Statistica e Studi, 2018).

1.5

Eziopatogenesi e prognosi

Nonostante molte ricerche condotte in ambito psicologico e neurobiologico, l’eziologia dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento è ancora dubbia. Molti stu-diosi sono concordi nell’affermare che sia determinante l’influenza di diversi fattori sia genetici sia ambientali nell’insorgenza del disturbo (Peterson et al., 2007). Ci sono dunque molte evidenze secondo cui i DSA avrebbero basi neurobiologiche, e sarebbero disturbi determinati dall’anomalo funzionamento di alcuni circuiti ce-rebrali deputati all’espletamento di aspetti specifici dell’attività cognitiva, la cui espressione viene modulata da fattori ambientali (Lyon et al., 2003; Pennington, 2006; Consensus Conference ISS, 2007). Queste difficoltà presentano anche una forte componente genetica come suggerito dall’osservazione della netta prevalenza nel genere maschile e dall’elevato grado di familiarità, si ha quindi un’aumentata probabilità di insorgenza del disturbo per un bambino che presenta un genitore o un parente stretto affetto dallo stesso disturbo (Lyytinen et al., 2001). Un gruppo di ricerca italiano dell’Istituto Scientifico “Eugenio Medea-La Nostra Famiglia” e della facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano nel 2004 ha confermato, studiando 121 famiglie di bambini italiani con dislessia,

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l’o-rigine genetica del disturbo dovuta al coinvolgimento del cromosoma 15 (Marino et al. 2004). Questo dato è stato confermato anche da altre ricerche americane con bambini di lingua inglese; quest’area del genoma risulta quindi in grado di influenzare la suscettibilità alla dislessia indipendentemente dalle caratteristiche linguistiche e culturali dei diversi paesi in cui un bambino vive (Schumacher et al. 2007).

Inoltre, si individuano delle condizioni che agiscono come fattori di rischio, au-mentando la probabilità di manifestare il disturbo. Tra questi fattori i più fre-quentemente messi in luce sono: fattori genetici, condizioni medico-biologiche legate alle epoche precoci di sviluppo (prematurità, basso peso alla nascita, sof-ferenze prenatali e perinatali etc.), fattori ambientali come problemi psicologici e sociali nei genitori, povertà, basso livello socio-culturale, bassa qualità del-l’accudimento e dell’educazione forniti (Consensus Conference, 2011). Infine la presenza di segni in età prescolare quali problemi di coordinazione e impaccio motorio, difficoltà dell’orientamento spazio-temporale, del processamento visivo o dell’attenzione visuo-spaziale e il ritardo nell’acquisizione del linguaggio orale o le incertezze nello sviluppo linguistico possono essere considerati come un fattore predittivo della successiva insorgenza di un disturbo dell’apprendimento (APA, 2014).

Per quanto riguarda la prognosi, bisogna sottolineare come questi siano disturbi che permangono tutta la vita salvo poi compensarsi. La prognosi è influenzata da vari fattori come la severità del disturbo, la comorbidità con altri disturbi evo-lutivi (principalmente altri disturbi del neurosviluppo) o la presenza di disturbi emozionali associati, il livello di sviluppo generale, la tempestività e l’appro-priatezza dell’intervento riabilitativo messo in atto (Marotta & Varvara, 2013). Dobbiamo comunque chiarire che il DSA è un disturbo che permane tutta la vi-ta, salvo poi compensarsi con il progredire dell’età e con la terapia. Un aspetto importante riguarda anche la cooperazione tra la famiglia, la scuola e gli opera-tori sanitari. In base al riscontro o meno di queste variabili si possono avere dei percorsi prognostici più o meno favorevoli. Un tempo si pensava che le difficoltà di apprendimento si andassero a risolvere con la crescita, invece studi condotti dal gruppo di ricerca di Cornoldi parlano di una prevalenza di questi disturbi nella scuola secondaria di secondo grado e nell’università dal 4 al 5% (Cornoldi, 2007). In presenza di molti fattori di rischio, la prognosi vira verso delle evoluzio-ni negative: in questi casi il disturbo dell’apprendimento può mantenersi grave lungo tutto il periodo della scolarizzazione e anche in età adulta, può evolver-si verso problematiche pevolver-sicopatologiche più gravi e complesse o può comportare

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la comparsa di altri problemi emotivi, sociali ed economici (Schonhaut & Satz, 1983). Generalmente la prognosi è sostanzialmente favorevole nei casi meno gravi e laddove il soggetto riesca a compensare il suo disturbo: chi ha avuto un DSA può trovare un lavoro meno remunerato, ma di solito non presenta una soddisfa-zione inferiore sul lavoro o un minor benessere psico-sociale (Spreen, 1978). Per un riscontro positivo e consolatorio su questa tematica, si possono citare alcuni personaggi famosi (Picasso, Edison, Leonardo da Vinci, Einstein, Walt Disney etc.), ai quali, dal riesame dei loro profili clinici, pur differenti tra loro, è stata attribuita la presenza di un ritardo o di un disturbo dell’apprendimento (Grenci & Zanoni, 2011).

1.6

Diagnosi

La diagnosi di Dislessia e Disortografia è possibile dalla fine della 2a° classe Primaria, quella di Discalculia e di Disgrafia dalla fine della 3a° classe Primaria, in considerazione dei tempi generalmente più lunghi richiesti per l’automatizzazione delle competenze aritmetiche di base e degli aspetti grafo-motori della scrittu-ra (Mariani et al., 2012). La diagnosi nosogscrittu-rafica è di tipo multidisciplinare in quanto si vedono coinvolte una grande varietà di figure professionali: neuropsi-chiatra infantile, psicologo e logopedista come unità minima ed eventualmente l’equipe deve essere integrata da altri professionisti sanitari in base alle difficoltà del bambino e modulabile a seconda delle fasce d’età (Regione Toscana, 2018). Il protocollo diagnostico (Fig. 1.1) consigliato prevede (CNOP, 2016):

– Un primo colloquio con i genitori dove si raccoglie l’anamnesi personale e familiare, in cui si valutano le possibili cause sottostanti al disturbo (com-plicazioni pre, post o perinatali), il possibile ritardo nel raggiungimento delle normali tappe di sviluppo, la presenza o meno di esperienze di vita traumatiche avvenute nell’infanzia o di eventuali disturbi neurologici e/o psichiatrici. Vengono valutati anche l’eventuale presenza di familiari con DSA e il clima familiare in relazione alle difficoltà presentate dal bambino (Guidetti, 2016).

– Si procede con un colloquio e una visita con il bambino, in cui si cerca di comprendere i vissuti del bambino rispetto alle sue difficoltà e al clima scolastico. Durante il colloquio si osservano anche le sue capacità socio-relazionali e il suo comportamento. Si vanno ad indagare anche i tempi di acquisizione delle abilità grafiche e dei primi elementi di lettura, scrittura e calcolo (Guidetti, 2016).

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– Si procede poi con l’indagine psicodiagnostica che prevede la valutazione di varie abilità e funzioni neuropsicologiche. La valutazione clinica prevede, in relazione alle difficoltà riscontrate dal bambino, diversi livelli di approfon-dimento diagnostico e l’utilizzo di test specifici standardizzati che devono essere individuati nell’ambito della testologia attualmente riportata nelle linee guida di riferimento (Zoccolotti, 2021). Si procede con la valutazio-ne intellettiva da effettuarsi attraverso test multi-compovalutazio-nenziali (WISC-IV, WAIS-IV, Wechsler, 2003) il cui esito deve risultare nella norma.

– Vengono somministrate delle prove diagnostiche per la valutazione degli apprendimenti scolastici (abilità di scrittura e lettura e abilità matema-tiche), ad esempio per la scuola primaria e secondaria di primo grado le più utilizzate sono: Prova MT o MT-3-Clinica di accuratezza/rapidità e di comprensione della lettura (Cornoldi et al., 1995, 1998, 2016); Prove di lettura di liste di parole e non-parole (Batteria per la dislessia e disorto-grafia evolutiva -DDE-II-, Sartori et al., 2007); Prove di dettato di parole, non-parole e frasi (DDE-II); Prove di dettato di brano e di produzione di un testo scritto e di velocità di scrittura -BVSCO- 2- (Tressoldi et al., 2013); Prove di conoscenza numerica e di calcolo orale e scritto (Batteria per la discalculia evolutiva –BDE, Biancardi et al., 2016).

– Si valutano poi alcune funzioni neuropsicologiche con batterie specifiche, da usare in modo mirato a seconda del caso: capacità di attenzione, funzioni esecutive, memoria, linguaggio etc. Infine si vanno ad indagare gli aspetti di ordine emotivo e motivazionale attraverso il colloquio con il paziente e i familiari o grazie alle informazioni ottenute dal coinvolgimento degli inse-gnanti oppure con scale di valutazione per disturbi psicopatologici specifici come la Child Behaviour Check List (CBCL - Achenbach, 2001) o con l’uso di tecniche proiettive come il CAT (Bellack et al., 2009) e il TAT (Murray, 1960) (Regione Toscana, 2018; Guidetti, 2016).

– A questo punto si può completare la stesura della diagnosi e sarà program-mato un colloquio di “restituzione” in cui avverrà una discussione della diagnosi e del profilo funzionale del disturbo e dove verranno descritti gli interventi possibili. Indipendentemente dall’etichetta diagnostica, è impor-tante trasmettere ai genitori qual è il reale funzionamento del proprio figlio nel contesto scolastico, andando ad analizzare i diversi profili funzionali (profilo cognitivo, profilo neuropsicologico e profilo degli apprendimenti) (Stella & Grandi, 2016).

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– Le prove utilizzate nella valutazione sono prove sulle quali sono state fatte delle analisi che ne hanno accertato la qualità dal punto di vista psicome-trico e che sono state somministrate ad un campione rappresentativo della popolazione. Il confronto tra la prestazione del soggetto esaminato e del campione normativo viene fatto principalmente attraverso due indici stati-stici che sono i punti z e i percentili. Le linee guida della SINPIA (2005) affermano che si può porre una diagnosi di DSA quando, a test standar-dizzati di lettura, scrittura e calcolo, il livello di una o più di queste tre competenze risulta di almeno due deviazioni standard inferiore ai risultati medi prevedibili (e dunque i due indici statistici citati corrispondono a z < -2 o percentile< 5°), oppure l’età di lettura e/o di scrittura e/o di calcolo è inferiore di almeno due anni in rapporto all’età cronologica del soggetto, e/o all’età mentale, misurata con test psicometrici standardizzati, nonostante una adeguata scolarizzazione.

Figura 1.1: Tabella che mostra il protocollo per la valutazione diagnostica nei bambini con sospetto di DSA in base alla fascia d’età (Regione Toscana, 2018)

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1.7

Modalità d’intervento

Per i Disturbi Specifici dell’Apprendimento si vede la necessità di integrare tra loro diversi livelli di intervento che hanno come finalità il miglioramento di abilità e competenze differenti:

– Intervento diretto sulle difficoltà presentate attraverso specifici programmi riabilitativi. Il programma di riabilitazione è composto dal trattamento, che ha lo scopo di aumentare l’efficienza del processo compromesso (ad esempio di lettura/scrittura), e dall’abilitazione, l’insieme degli aiuti che permettono l’utilizzo del livello di funzionamento attuale.

– Interventi di contenimento delle limitazioni funzionali associate ai DSA (impiego delle misure dispensative e compensative).

– Intervento sulle difficoltà di ordine emotivo e motivazionale (SINPIA, 2005). Per quanto riguarda il primo punto, sulla base del profilo emerso si andranno ad eseguire degli interventi direttamente sulla prestazione deficitaria, cercando di migliorare o rafforzare le abilità più colpite andando a costituire un intervento individualizzato. Si possono avere quindi diverse tipologie di trattamenti: in-terventi per il riconoscimento dei grafemi, inin-terventi per l’automatizzazione del riconoscimento della sillaba, interventi di tipo lessicale o sulla comprensione del testo per la Dislessia e la Disgrafia, interventi per il riconoscimento delle cifre o delle principali componenti del calcolo per la Discalculia. Tutti questi interventi possono essere effettuati sia con modalità tradizionale che utilizzando le nuove tecnologie (computer, software, applicazioni etc.) (Cornoldi, 2007)

È possibile anche effettuare un intervento sulle abilità generali (linguaggio, perce-zione, attenperce-zione, memoria, motricità) che appaiono carenti e sottendono le diffi-coltà di apprendimento (Cornoldi, 2007). Possiamo fare l’esempio di un recente studio di Benso et al. del 2008 che ha messo in luce l’efficacia di un trattamento combinato sul modulo della lettura e sulle componenti attentive, in questo caso il potenziamento delle risorse attentive rinforza il sistema che diventa più adeguato a modularizzare il processo di lettura (Benso et al., 2008). Ci sono state, tuttavia, diverse critiche a questa tipologia di intervento basate sulla considerazione che non ci siano prove sufficienti per dimostrare che per eliminare le difficoltà sco-lastiche la via ottimale sia quella di effettuare un esteso intervento sulle remote basi cognitive della difficoltà (Myers & Hammil, 1976).

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Si è riscontrato utile anche seguire un approccio metacognitivo (sul controllo strategico), cioè proporre un intervento sulle idee e sulle rappresentazioni che il bambino ha in merito all’ apprendimento e ai processi implicati per sviluppare delle strategie funzionali efficaci a risolvere il compito (Cornoldi, 1996).

Per quanto riguarda l’ambito scolastico, la legge dell’8 Ottobre 2010, n° 170 (Nuo-ve norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico) prevede per gli alunni con DSA la messa in atto di un percorso di programma-zione didattica personalizzata (esplicitato nel "Piano Didattico Personalizzato" o PDP) che consideri le loro difficoltà e l’utilizzo di strumenti didattici compen-sativi e dispencompen-sativi. Il ricorso a misure di tipo “compensativo” e “dispensativo” nei DSA è finalizzato a consentire al bambino di realizzare le sue potenzialità di apprendimento e di conseguire i normali obiettivi formativi, venendo penalizzato il meno possibile dalle sue difficoltà strumentali di lettura, scrittura e/o calcolo. Gli strumenti compensativi prevedono che il soggetto con DSA possa avvalersi di strumenti in grado di compensare la sua debolezza funzionale e sollevano lo studente da una prestazione resa difficoltosa dal disturbo, senza peraltro facili-targli il compito dal punto di vista cognitivo. Le misure dispensative prevedono che il soggetto con DSA possa essere esentato dall’eseguire prestazioni o essere sottoposto a valutazioni che lo penalizzerebbero in considerazione della natura specifica del disturbo, ma che tuttavia non hanno a che vedere con la qualità dei concetti da apprendere.

I bambini con questi disturbi spesso presentano tutta una serie di problemati-che emotive strettamente correlate al disturbo di apprendimento: un concetto di sé più negativo, una diminuzione dell’autostima, ansia prestazionale, una tenden-za a persistere poco e ad abbandonare il compito alle prime difficoltà, un senso di inadeguatezza sul versante principalmente scolastico che viene esacerbato dalle critiche e anche la presenza di una scarsa resistenza alla frustrazione (Cornol-di, 2007). Si vede, quin(Cornol-di, necessario un intervento di supporto psicologico agli aspetti emotivi e motivazionali che possono accompagnare i disturbi dell’appren-dimento. Si cercherà di potenziare con degli interventi mirati l’autostima, la motivazione, il senso di autoefficacia e lo stile di attribuzione in quanto se non trattati possono andare ad influenzare la percezione del bambino riguardo alle proprie abilità e al proprio valore come studente e possono influire negativamente sulla riuscita del trattamento (Celi & Fontana, 2015).

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CAPITOLO

2

I Disturbi Specifici di apprendimento della lettura:

la Dislessia Evolutiva

I Disturbi Specifici dell’Apprendimento con compromissione della lettura ven-gono definiti dal DSM-5 come disturbi di acquisizione delle capacità di lettura (che possono riguardare sia la traduzione delle parole della lingua scritta in cor-rispondenti sonori, sia la comprensione del significato di ciò che viene letto) che si manifestano in bambini con intelligenza nei limiti della norma, privi di im-portanti patologie neurologiche o psichiatriche e di deficit sensoriali, nonostante abbiano sperimentato normali opportunità educative (APA, 2014). Nell’ICD-10 sono definiti invece come l’incapacità di acquisire i livelli attesi per l’età e il livello intellettivo per quel che riguarda l’accuratezza, l’automatizzazione (la velocità) e meno frequentemente la comprensione della lettura (WHO, 1993). In caso di diffi-coltà severe delle capacità di decodifica, come conseguenza anche la comprensione del testo scritto risulta generalmente compromessa ed è frequente l’associazione con difficoltà a carico delle competenze ortografiche nella scrittura (Cornoldi, 2007). Il termine Dislessia Evolutiva (DE) è un vocabolo utilizzato in ambito clinico per riferirsi al DSA della lettura caratterizzato da problemi con il ricono-scimento accurato o fluente delle parole, ossia da una compromissione dei processi di automatizzazione della decodifica (incapacità di acquisire l’automatismo nella decodifica di un messaggio scritto, passando dalla percezione all’apprendimento) e di spelling (APA, 2014). Nella DE può riscontrarsi la presenza di difficoltà lin-guistiche dal punto di vista espressivo, sintattico, lessicale, fonologico, semantico. La Dislessia rappresenta il DSA più comune e colpisce il 3-7% della popolazione (Peterson & Pennington, 2012). La prevalenza varia a seconda dell’età di rileva-zione, con ampie oscillazioni tra i livelli e la tipologia di scolarità, anche a seconda del tipo di lingua considerata (ortografia opaca o trasparente) e in relazione al livello socio-culturale di appartenenza. Secondo uno studio di Fluss e colleghi del

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2008, la prevalenza dei disturbi della lettura sale al 24% nei soggetti provenienti da famiglie con livello socio-culturale particolarmente basso (Fluss et al., 2008). La Dislessia è un disturbo difficilmente riconosciuto dalla famiglia e dalla scuo-la, soprattutto nelle prime fasi di apprendimento. Il bambino dislessico presenta diverse difficoltà nella lettura, si stanca facilmente e commette diversi errori, se non capito viene etichettato come un bambino “pigro, lento, disattento e svo-gliato”. Una diagnosi tardiva può essere un fattore di rischio in quanto se non trattato il quadro clinico tende a complicarsi e le reazioni emotive collegate al disturbo tendono a crescere nel tempo. Il disturbo si ripercuote inevitabilmen-te sull’apprendimento scolastico complessivo ed ha ricaduinevitabilmen-te importanti sul piano dell’autostima e dell’equilibrio psicologico del bambino. È quindi importante ca-pire ed aiutare questi bambini che, se lasciati soli e non aiutati ad affrontare le loro difficoltà con il supporto e gli strumenti adeguati, spesso si scoraggiano, vi-vono un progressivo senso di inferiorità rispetto ai coetanei e possono arrivare a mettere in atto dei comportamenti di rifiuto verso le attività di apprendimento e verso la scuola. Queste difficoltà, soprattutto se non trattate, frequentemente si traducono in abbondono scolastico e andranno ad incidere anche nella scelta di un percorso formativo o di un’attività lavorativa, che saranno inferiori alle reali possibilità del soggetto (Cornoldi, 2007).

2.1

Manifestazioni cliniche della DE

La Dislessia può manifestarsi con sintomi clinici variegati che differiscono da bambino a bambino. Un aspetto comune alle varie forme di DE è rappresentato dal forte rallentamento delle prestazioni di lettura, pertanto la velocità di lettura è un parametro di assoluto rilievo per valutare il bambino con Dislessia (Grossi & Trojano, 2018). Infatti, una caratteristica dei dislessici in lingua italiana è la loro lentezza decifrativa, che sembra tipica anche di altre lingue ad ortografia regolare come il tedesco; Heinz Wimmer ha coniato il termine di “speed dyslexia” ovvero di dislessia di velocità per identificare questo sottotipo di disturbo (Wimmer, 1993). I parametri essenziali per la diagnosi di dislessia evolutiva, nei sistemi verbali trasparenti come la lingua italiana, sono infatti valori di rapidità, misurata in base al tempo di lettura di brani, parole o sillabe, e di correttezza, misurata in base al numero di errori in lettura e scrittura, inferiori al 5° percentile o alle 2 deviazioni standard sotto la norma rispetto alle prestazioni di lettori della stessa età o che risultino tipici di individui di almeno due anni inferiori rispetto all’età cronologica del soggetto (SINPIA, 2005).

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I deficit evolutivi della lettura si manifestano con diverse tipologie di errori: ad esempio, sostituzioni, omissioni, aggiunte o inversioni di una o più lettere all’in-terno della parola stimolo (errori visivi o fonologici, le lettere sostituite possono essere visivamente simili ma anche avere un suono simile). In particolare, i bam-bini dislessici tendono ad avere difficoltà nella discriminazione (soprattutto nei testi scritti in stampato minuscolo) di grafemi diversamente orientati nello spa-zio (per esempio, tendono a confondere la lettera “p” con la “b”), di grafemi che differiscono per piccoli particolari (lettere che nel loro segno grafico sono simi-li, come la “m” e la “n”) oppure di grafemi che corrispondono a fonemi sordi e fonemi sonori (mostrano difficoltà nel discriminare grafemi relativi a fonemi con somiglianze percettivo-uditive) (Petruzzelli, 2011). Agli errori di sostituzione di fonemi, si aggiungono con elevata frequenza errori di omissione di grafemi o sil-labe, inversioni di silsil-labe, aggiunte o ripetizioni (Petruzzelli, 2011), errori che richiamano difficoltà a livello di decodifica sequenziale. La lettura è un proces-so complesproces-so che richiede di seguire alcune regole che riguardano l’orientamento spaziale e i movimenti oculari; nella lingua italiana si procede con lo sguardo in direzione sinistra-destra e dall’alto in basso. Normalmente questo processo risulta difficoltoso nelle fasi iniziali di apprendimento della lettura ma con l’esperienza e l’esercizio la difficoltà diminuisce gradualmente fino a scomparire. Nei soggetti dislessici, invece, la decodifica sequenziale rimane un ostacolo (Petruzzelli, 2011). Un’altra tipologia sono gli errori nella funzione grammaticale o nel referente se-mantico della parola (errori derivazionali) oppure alterazioni della parte variabile della parola che indica il genere, il numero, il tempo dei verbi (errori morfologi-ci); in alcuni casi gli errori prodotti del bambino possono mantenere una relazione semantica con lo stimolo (errori semantici). Altri due tipi di errori consistono ri-spettivamente nella regolarizzazione di parole con accentazione irregolare (errori di regolarizzazione) e nella trasformazione di sequenze di lettere prive di signifi-cato (non parole) in parole (lessicalizzazioni). Alcuni bambini possono incontrare delle difficoltà in prove che non prevedono la lettura ad alta voce, ma richiedo-no, ad esempio, di decidere se una parola è scritta nel modo giusto o sbagliato (disambiguazione di omofoni) (Grossi & Trojano, 2018). Si possono riscontra-re anche degli errori denominati di anticipazione, conseguenti all’utilizzo di una componente intuitiva rispetto a quella di decodifica. Spesso il soggetto esegue la decodifica della prima parte della parola, talvolta anche solo della prima sillaba, e procede “intuendo” l’ultima parte della parola. La parola all’interno del testo viene spesso trasformata in un’altra parola, che può avere significato affine o di-verso dalla parola realmente scritta nel testo (Petruzzelli, 2011).

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Ovviamente tutte queste tipologie di errore possono non esseere presenti contem-poraneamente nello stesso bambino.

2.2

Diagnosi della DE

La diagnosi di Dislessia Evolutiva (DE), che segue i criteri più generali utiliz-zati per la diagnosi di DSA riportati nel capitolo precedente, viene posta allorché le prestazioni nei compiti di lettura decifrativa si collocano significativamente al di sotto di quanto previsto per la classe frequentata, nonostante un livello intellet-tivo generale nella norma, l’assenza di significativi deficit sensoriali e nonostante normali opportunità educative. La prestazione nei compiti standardizzati di let-tura decifrativa si colloca almeno 2 deviazioni standard al di sotto della media in termini di rapidità e/o al di sotto del 5° percentile per l’accuratezza rispetto ai dati del campione normativo di riferimento. Al contrario, il livello intellettivo va-lutato con test standardizzati si deve collocare entro 1 deviazione standard dalla norma (equivalente ad un QI di 85) (Grossi & Trojano, 2018). La diagnosi non può essere formulata prima della fine della II classe primaria: è necessario infatti che sia terminato il normale processo di insegnamento/apprendimento delle abi-lità di lettura (SINPIA, 2005). Ovviamente per porre diagnosi, le problematiche devono riscontrarsi ed essere presenti nell’arco della storia scolastica del bambi-no e quindi devobambi-no avere un carattere persistente (Corbambi-noldi & Tressoldi, 2014). La diagnosi di DE non esclude la concomitante diagnosi di altri DSA o di altre problematiche cliniche spesso associate: per esempio è comune l’associazione tra DE e disortografia, ma potrebbero presentarsi anche altre difficoltà scolastiche, problemi emotivi o un disturbo del linguaggio pregresso o ancora in atto. Que-ste comorbidità associate ad una valutazione complessiva degli esiti psicometrici permettono di specificare il grado di severità del disturbo (Cornoldi & Tressoldi, 2014).

La valutazione del livello intellettivo generale e della lettura decifrativa viene ef-fettuata attraverso appositi strumenti standardizzati. Le prove da utilizzare in sede di accertamento delle condizioni di inclusione nei criteri diagnostici del di-sturbo dovrebbero essere il più possibile simili alle prestazioni richieste nella vita quotidiana e allo stesso tempo “neutre” rispetto ai vari modelli teorici che cercano di qualificarne le caratteristiche (Cornoldi, 2007).

Per quanto riguarda la valutazione del livello intellettivo globale, vengono im-piegati generalmente test multi-componenziali come: WISC-IV (scala per l’età scolare) o WAIS-IV (scala per l’età adulta) (Wechsler, 2003) il cui esito deve

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ri-sultare nella norma. La scala WISC-IV è considerata lo strumento clinico basilare per la valutazione delle capacità cognitive di bambini tra 6,0 – 16,11 anni. Per-mette la valutazione dell’intelligenza mediante l’utilizzo di prove psicometriche fattoriali. La batteria è composta da 15 subtest (di cui 10 principali e 5 supple-mentari), che permettono di calcolare 4 indici: l’Indice di Comprensione Verbale (ICV), l’Indice di Ragionamento Percettivo (IRP), l’Indice di Memoria di Lavo-ro (IML) e l’Indice di Velocità di Elaborazione (IVE); la cui somma ponderata permette di ottenere il calcolo del Quoziente Intellettivo Totale (QIT). Gli indici vengono calcolati con punteggi a media pari a 100 e deviazione standard pari a 15.

Invece, per quanto riguarda la valutazione delle singole abilità di lettura deci-frativa è previsto l’utilizzo di prove standardizzate che esaminino la lettura in alcune delle sue forme principali ed in particolare ottenendo misure relative alla velocità e all’accuratezza della lettura di parole, non parole e brani. Gli strumenti e le prove utilizzate ovviamente devono avere delle buone proprietà psicometriche per quanto riguarda la validità e l’attendibilità test-retest (Cornoldi & Tressoldi, 2014).

I principali strumenti per la valutazione del deficit di lettura decifrativa nella scuola primaria e secondaria di primo grado sono i seguenti:

– Prove di lettura MT o Mt-3-Clinica di accuratezza e rapidità (Cornoldi & Colpo, 1995, 1998; Cornoldi & Carretti, 2016): tale strumento consente di misurare la velocità e la correttezza della lettura attraverso la lettura di brani diversi a seconda della classe scolastica, dalla prima classe primaria alla terza media.

– Batteria per la valutazione della dislessia e della disortografia evolutiva (DDE-2) (Sartori et al., 1995, 2007): questo strumento esplora la capacità sia di lettura che di scrittura attraverso una serie di prove per le diverse com-ponenti cognitive implicate nella decodifica e nella codifica del linguaggio scritto.

– ALCE – Assessment di lettura e comprensione per l’età evolutiva (Bonifacci et al., 2014): permette di valutare le abilità di lettura e comprensione del testo in bambini della scuola primaria.

Una trattazione più cospicua ed approfondita della parte testistica impiegata per la diagnosi e la valutazione della DE verrà affrontata nella descrizione dello studio clinico-sperimentale presentato nell’ultima parte di questo elaborato.

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2.3

Eziopatogenesi della DE

L’eziologia della Dislessia rimane ad oggi sostanzialmente sconosciuta sebbene ci siano evidenze riguardo all’importanza di fattori genetici combinati con fattori di rischio ambientali. Le ricerche più recenti sull’argomento confermano l’ipotesi di un’origine costituzionale della Dislessia Evolutiva: ci sarebbe una base genetica e biologica da cui origina la predisposizione al disturbo (Lyytinen et al., 2001). Da diversi studi di genetica si è evidenziato che questo disturbo presenti una mag-gior ricorrenza in famiglie con almeno un membro affetto e che la concordanza del disturbo sia più elevata nei gemelli omozigoti (84%) rispetto a quelli eterozigoti (29%). Da questo dato si può intuire quanto la componente genetica sia fon-damentale nel determinare l’insorgenza del disturbo, dal momento che i gemelli monozigoti presentano una maggiore identità di geni di suscettibilità rispetto ai dizigoti, ma anche quanto sia indispensabile il contributo dell’ambiente, poiché anche in caso di gemelli monozigoti il coefficiente di concordanza non arriva al 100% (Bakwin, 1973). Con alcuni studi di genetica molecolare si sono fatti passi importanti verso l’identificazione di specifici geni canditati per l’eziologia della DE, localizzati in particolare sul cromosoma 6 (geni DCDC2 e KIAA0319), 3 (gene ROB01) e 15 (gene DYXC1C1) (Guidi et al., 2018; Bieder et al., 2020). In particolare, tutti questi geni svolgono delle funzioni legate allo sviluppo neu-rologico, ovvero alla migrazione di neuroni e alla crescita degli assoni durante lo sviluppo cerebrale (Galaburda et al., 2006).

Un lavoro di Peterson e Pennington del 2012 conferma quanto abbiamo detto finora: da un punto di vista neurobiologico, la dislessia è caratterizzata da di-sfunzioni della rete normale per il linguaggio dell’emisfero sinistro e implica anche lo sviluppo di anomalie nella sostanza bianca dello stesso emisfero. Anche in que-sto studio sono stati identificati 6 geni predisponenti ma si evidenzia anche il ruolo delle interazioni gene-ambiente (Peterson & Pennington, 2012).

Fluss e colleghi nel 2008 hanno svolto uno studio epidemiologico in Francia per andare ad indagare l’impatto del background socioeconomico sullo sviluppo della lettura precoce e sulle possibili problematiche delle abilità di lettura. Allo studio hanno partecipato un gruppo ampio di bambini di seconda elementare apparte-nenti a 20 scuole diverse e questi bimbi sono stati divisi in base al livello dello status socioeconomico. I risultati hanno dimostrato che i bambini con uno status socioeconomico di basso livello presentavano prestazioni accademiche significati-vamente inferiori rispetto ai loro coetanei e anche la prevalenza di difficoltà di lettura è stata altamente correlata con lo status socioeconomico, variando dal

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3,3% nell’area con alto livello di benessere economico al 24,2% nella zona socioe-conomica più bassa (Fluss et al., 2008).

Secondo la letteratura, ulteriori fattori possono fungere da potenti predittori per la Dislessia Evolutiva: in molti studi sono citati l’istruzione dei genitori, la strut-tura familiare e demografica, l’esperienza di alfabetizzazione tra le mura dome-stiche (Macheretti et al., 2012). Per il bambino nei suoi primi anni di vita, essere immerso in un ambiente familiare dedito alla lettura condivisa (intesa come let-tura ad alta voce della madre al bambino ma anche con analisi condivisa di libri figurati), dove questa viene vissuta come un momento piacevole, risulta un fattore protettivo riguardo alle future possibili difficoltà; in quanto il bambino inizia così a sviluppare una sensibilità metacognitiva sugli scopi della lettura persino prima di iniziare a leggere (Celi & Fontana, 2015). Altri fattori ambientali di rischio identificati sulle prove di ricerche precedenti sono: l’età dei genitori, alcuni studi hanno dimostrato che la prole delle madri più giovani è a maggior rischio per lo svantaggio cognitivo e per la dispersione scolastica (Melekian, 2001); fattori pre e postnatali, come l’esposizione al fumo (Fried et al., 1997) e la condizione neu-rologica neonatale non ottimale e le prime malattie infettive in un’epoca precoce di sviluppo, oltre che la nascita prematura o il basso peso, e aver subito almeno due anestesie generali prima dei 4 anni (Batsra et al., 2003). Infine, in uno studio di Michaelsen et al. del 2009 è stato dimostrato che l’allattamento al seno può avere un piccolo, ma significativo, effetto positivo sulle funzioni cognitive generali ed anche sulle abilità di apprendimento e di lettura (Michaelsen et al., 2009).

2.4

Modelli interpretativi della DE

Sebbene la base neurobiologica dei DSA sia diffusamente accettata da moltis-simi studiosi, rimane ancora aperto un acceso dibattito sulla specifica funzione cognitivo-neuropsicologica alterata e di conseguenza sul preciso substrato neuro-biologico alla base dei singoli DSA (Habib, 2000) e sull’endofenotipo cognitivo che determina la manifestazione o il fenotipo comportamentale del disturbo. Tutti gli studiosi che si occupano di sviluppo, sia esso normale o patologico, si trovano in accordo sul fatto che i processi neuropsicologici siano il risultato della complessa interazione tra fattori genetici/biologici e ambientali. Tuttavia esistono notevo-li discrepanze in merito a quanto sia il contributo che questi fattori apportano nel determinare lo sviluppo di una funzione neuropsicologica. Fra le numerose posizioni teoriche esistenti possiamo individuarne due principali e collocabili agli estremi opposti del continuum ereditarietà-ambiente:

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1. L’approccio innatista: gli “innatisti” sostengono che la causa della DE sia da ricercare in un difetto genetico che determinerebbe un deficit specifico in un circuito corticale circoscritto, che a sua volta causerebbe la sintoma-tologia specifica che ritroviamo in questo disturbo. Viene ipotizzato quindi che un modulo cognitivo danneggiato, mancante o disconnesso, sia respon-sabile della compromissione di specifiche abilità (Fisher & Francks, 2006). Questi studiosi hanno indicato come fattore genetico significativo il distur-bo della migrazione dei neuroni e l’ectopia delle circonvoluzioni cerebrali. Le principali ipotesi eziologiche (unicausali e deterministe) della DE pos-sono, dunque, essere ricondotte a due grandi filoni: da un lato le ipotesi del deficit fonologico (Snowling, 2000); dall’altro quelle relative a deficit dei meccanismi sensoriali non linguistici, che altererebbero i precoci processi di elaborazione dell’informazione uditiva e visiva (Wright et al., 2000). La metodologia primaria di ricerca legata a questo approccio teorico sarà costi-tuita da studi che mirano a identificare i fattori genetici sottostanti oppure che mirano a identificare un deficit dovuto al danno del modulo cognitivo di ordine superiore mediante dei compiti cognitivi. Verranno impiegate anche tecniche di neuroimaging al fine di evidenziare quali siano le specifiche aree corticali implicate nei DSA (Cornoldi, 2007).

2. L’approccio empirista: gli “empiristi” sottolineano che le cause della DE risiederebbero principalmente nei fattori ambientali, che determinerebbero un generico deficit cerebrale provocando un rallentamento dei processi di apprendimento e dello sviluppo delle abilità di lettura. Quindi l’approccio empirista tende ad enfatizzare il valore dell’esperienza insita nel proces-so di crescita: l’esperienza viene considerata come il fattore che struttura il cervello del bambino, ritenendo il comportamento il risultato delle abi-lità dominio-generali (Blumenfeld, 1992; Penney, 2018). Le ricerche che adottano questa prospettiva prendono quindi in considerazione aspetti con-testuali ed ambientali come: le condizioni di apprendimento, le variabili emotivo-relazionali, i metodi didattici adottati etc.

3. Esattamente a metà strada tra queste due linee teoriche estreme si trova l’approccio neurocostruttivista, dove l’oggetto di studio è costituito dall’in-terazione dinamica tra la componente genetica e quella ambientale. Viene riconosciuto pienamente il ruolo dei vincoli biologici innati (anche se il di-sturbo non viene più visto come il risultato di uno specifico modulo dan-neggiato ma come il risultato distale e indiretto di disfunzioni nei processi

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di elaborazione precoce) ma allo stesso tempo anche i fattori ambienta-li giocano un ruolo cruciale sulla plasticità del sistema cognitivo e sulle possibili strategie di compensazione del disturbo (Karmiloff-Smith, 2018). In concordanza con queste osservazioni, gli emergenti modelli causali han-no ricohan-nosciuto la natura probabilistica e multifattoriale delle disfunzioni neuropsicologiche sottostanti ai DSA (Pennington, 2006). Le strategie di ricerca risultano completamente diverse da quelle utilizzate nei due approc-ci di prima, in quanto gli studi mirano ad investigare le dinamiche dello sviluppo. Quindi la ricerca dovrà basarsi su approfonditi studi longitudi-nali che vanno ad indagare, anche attraverso tecniche di neuroimaging (sia strutturale che funzionale), la funzione o la relativa disfunzione delle abilità implicate in questi disturbi (Cornoldi, 2007).

Analizziamo uno schema riassuntivo dell’approccio neurocostruttivista proposto da Thambirajah (2010) in un articolo che propone una panoramica sulla Disles-sia Evolutiva (Fig. 2.1). L’autore in questo schema a cascata evidenzia come si arriva ad una situazione di dislessia partendo da fattori costituzionali, anche fat-tori di rischio genetici. I geni individuati provocano probabilmente delle piccole alterazioni nei processi di migrazione dei neuroni che sfociano quindi in un’alte-razione della struttura della corteccia cerebrale in alcune aree ben definite che supportano i processi di lettura e che si trovano prevalentemente nell’emisfero di sinistra. A causa di questa differenza strutturale i processi fonologici, i processi per la conversione grafema-fonema, per il collegamento di suono e visione, sono meno efficienti e questa disfunzione fonologica alla fine si manifesta con tutta una serie di sintomi tipici dei disturbi della lettura (difficoltà fonologica, errori in lettura, scarsa fluenza della lettura, problema nella memoria fonologica a breve termine, difficoltà a recuperare nomi etc.). In tutti gli stadi di questo grafico vediamo anche quanto sia essenziale l’influenza dell’ambiente che determina la progressione verso la sintomatologia conclamata, giocando un ruolo cruciale sul-la psul-lasticità del sistema nervoso e sulsul-la possibilità di compensazione durante lo sviluppo (Thambirajah, 2010).

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