2.4 Modelli interpretativi della DE
2.4.2 Le teorie sensoriali della Dislessia Evolutiva
Sebbene numerosi studi abbiano fornito l’evidenza di un deficit fonologico, in altri studi si presentano casi di deficit visuo-percettivi. Gli errori tipici sono costituiti da sostituzioni, inversioni e omissioni che possono essere attribuiti a un disturbo nel processamento visivo dell’informazione. Negli ultimi vent’anni si è assistito alla rinascita dell’interpretazione percettiva della dislessia, che è suffra- gata da numerosi studi, ed individua nel difetto della via visiva Magnocellulare (sistema transiente) la causa principale del disturbo (Skottun, 2000).
Possiamo individuare 2 vie neuroanatomiche che vengono identificate come le basi corticali dell’attenzione visiva:
1. Via dorsale (detta occipito-parietale o magnocellulare): si estende alla cor- teccia parietale posteriore e comprende l’area medio temporale. È devoluta alla visione spaziale necessaria per giudicare la collocazione degli oggetti nel- lo spazio, è preposta anche alla percezione del movimento ed all’integrazione visuo-motoria (Gazzaniga et al., 2015). È inoltre implicata nell’attenzione visiva, nella ricerca visiva, nei movimenti oculari e nell’integrazione dell’in- formazione dal campo visivo centrale e periferico (Walsh, 1995). Per tale ragione è definita anche “via del dove”.
2. Via ventrale (detta occipito-temporale o parvocellulare): questa via proietta alla corteccia infero temporale. È preposta alla percezione del colore, della forma e delle caratteristiche necessarie all’identificazione degli oggetti e dei volti; è sensibile alla sagoma delle immagini, al loro orientamento e ai loro margini grazie all’elevato potere risolutivo. Per tale ragione è definita anche “via del cosa” (Gazzaniga et al., 2015).
Queste due vie (la via magnocellulare e quella parvocellulare), costituite princi- palmente da cellule gangliari, funzionano in parallelo e proiettano il segnale ri- spettivamente agli strati Magno e Parvo del corpo genicolato laterale del talamo, la più importante stazione sottocorticale che trasmette le informazioni raccolte principalmente dagli assoni retinici alla corteccia cerebrale. Queste vie sono dota- te di caratteristiche anatomiche-fisiologiche differenti e trasmettono informazioni di natura diversa alla corteccia visiva (Walsh, 1995).
La via parvocellulare è composta da cellule parvocellulari (o canali sostenuti) che sono costituite da campi recettivi di dimensioni ridotte e bassa velocità di con- duzione, quindi grazie alle caratteristiche delle sue cellule questa via è sensibile al colore e ai fini dettagli spaziali e vengono maggiormente eccitate da stimoli ad alto contrasto e ad alte frequenze spaziali.
La via dorsale riceve gli input principalmente dal sistema retino-genicolo-parietale che prende origine dai neuroni magnocellulari della retina, i quali, a causa delle loro grandi dimensioni rispondono meglio a stimoli visivi in movimento anche di basso contrasto di luminanza e di bassa frequenza spaziale e frequenze tempo- rali alte. Questa via definita via Magnocellulare è specializzata nella rilevazione dei cambiamenti istantanei nel movimento dello stimolo (Kandel et al., 2003).Vi sono diversi aspetti utili per una buona lettura riconducibili sia all’attività del- la via Magnocellulare come, ad esempio, una buona sensibilità al contrasto o una buona percezione del movimento (Boden, & Giaschi, 2007), sia riconduci- bili alle regioni della corteccia visiva primaria in cui proietta tale via (corteccia parietale posteriore) come, un adeguato controllo dei movimenti oculari e l’at- tenzione visivo-spaziale (Laycock, & Crewther, 2008). L’ipotesi visiva suppone che sia presente un malfunzionamento della via Magnocellulare, che porterebbe a disturbi di elaborazione visiva e, attraverso la corteccia parietale posteriore, ad un’instabilità binoculare e ad una capacità visuo-attentiva deficitarie (Stein, & Walsh, 1997). La sensibilità della componente magnocellulare nel processo vi- sivo può essere testata usando uno stimolo che selettivamente la attiva: alcuni esempi possono essere luci a rapida intermittenza, luci a bassa intensità lumino- sa o a basso contrasto, target in movimento a bassa frequenza spaziale. Questi
test psicofisici eseguiti in laboratorio evidenziano una differenza significativa tra dislessici e controlli (Stein & Walsh, 1997). Questa ipotesi è sostenuta a livello biologico dalle scoperte anatomiche sui cervelli post-mortem di Galaburda (1999) che trovò delle anormalità nelle lamine Magnocellulari, ma non in quelle Par- vocellulari, del Nucleo Genicolato Laterale del Talamo. Le cellule delle lamine erano per il 27% più piccole delle cellule nei cervelli dei soggetti controllo, dotate, presumibilmente, di assoni più sottili e minor velocità di conduzione del segna- le (Laycock, & Crewther, 2008). Per lungo tempo non è stato chiaro se questo deficit fosse un effetto o una causa della dislessia. Il gruppo di Andrea Facoetti, dell’università di Bergamo, è stato il primo al mondo a dimostrare che la presenza sia di un deficit attentivo sia di un deficit visivo in età prescolare sono elementi predittivi dell’insorgenza dei problemi di lettura (Franceschini et al., 2016; Gori et al. 2016). I deficit dell’attenzione visuo-spaziale sono presenti prima dell’in- sorgere del disturbo dislessico e quindi vanno annoverati di diritto tra le sue cause.
Inoltre, alcune ricerche hanno dimostrato l’esistenza di un sistema M per la mo- dalità uditiva caratterizzato da cellule con grandi campi recettivi e con specifiche caratteristiche fisiologiche di rapida ricezione e trasmissione del segnale, e quindi specializzato per l’analisi della posizione e del movimento degli stimoli uditivi. Questa via uditiva M potrebbe essere il substrato neurobiologico del deficit del- l’elaborazione temporale uditiva (Tallal, 2004). Gli studi pionieristici di Paula Tallal hanno dimostrato che i bambini con DE (e anche con Disturbo Primario del Linguaggio, DPL) mostrano un deficit specifico nell’elaborazione di stimo- li uditivi (linguistici e non linguistici) presentati per breve tempo o in rapida successione. Secondo questa ipotesi il deficit dell’elaborazione temporale com- prometterebbe selettivamente la percezione dei rapidi transienti acustici alla base della capacità di discriminazione dei fonemi (per esempio, p/b). La percezione dei fonemi sarebbe quindi alterata nei bambini con Dislessia, ostacolando l’ela- borazione e la memoria fonologica.
La decodifica fonologica, necessaria per leggere le parole nuove (e le non-parole), si avvale, infatti, di specifici meccanismi di conversione grafema-fonema. La per- cezione e la rappresentazione dei fonemi sono dunque cruciali per una decodifica fonologica, che richiede anche efficienti meccanismi di mantenimento in memoria a breve termine e di assemblaggio dei fonemi (sintesi fonemica).
La versione multisensoriale (visiva e uditiva) della teoria M suggerisce quindi che i bambini con DE (e anche con DPL) abbiano uno specifico deficit nell’elaborare stimoli sensoriali brevi o presentati in rapida successione temporale sia nella mo- dalità visiva che in quella uditiva (Farmer e Klein, 1995).
Negli anni si è sviluppata un’altra teoria che ipotizza la presenza nei bambini con DE di un’elaborazione percettiva multisensoriale generalmente inefficiente, piuttosto che un disturbo specifico del sistema visivo e uditivo M. Secondo lo studio di Amitay e colleghi del 2002, i deficit specifici del sistema M non vengono riscontrati in tutti i soggetti con DE: questi bambini mostrano anche prestazioni alterate sia nella modalità visiva sia uditiva in compiti non M, che richiedono fini discriminazioni delle frequenze e in cui gli stimoli non sono né modulati nel tempo né presentati rapidamente (Amitay et al., 2002).
Al fine di spiegare un generico deficit nell’elaborazione percettiva dei dislessici (e anche nei bambini con DPL), Hartley e Moore (2002) hanno sviluppato un modello basato sull’efficienza dell’elaborazione: secondo gli autori è un’inefficien- za dell’elaborazione generale piuttosto che l’ipotesi dell’elaborazione temporale (come sostenuto dall’ipotesi del deficit M) a poter spiegare l’interferenza spaziale e temporale indotta da un “rumore” sull’elaborazione del segnale (effetti di ma- scheramento) che avviene nei bambini affetti da DE. I bambini con DE, infatti, presentano un disturbo specifico nell’elaborazione di un segnale visivo seguito da una “maschera”, uno stimolo distrattore presentato successivamente che provoca un’interferenza sull’elaborazione del segnale: tale fenomeno è denominato ma- scheramento visivo all’indietro (Di Lollo et al., 1983). Più recentemente, diversi studi hanno dimostrato che lo stesso fenomeno danneggia gravemente anche la percezione uditiva dei bambini con DE (Montgomery et al, 2005). I loro risultati mostrano che la capacità di escludere il rumore risulta compromessa sia utilizzan- do stimoli M sia utilizzando stimoli elaborati dal sistema parvocellulare (detto anche via del “che cosa” che va a costituire invece il circuito ventrale), specializ- zato nella fine discriminazione delle forme e dei colori (Slaghius e Ryan, 2006). È quindi possibile concludere che “un rumore” (la maschera), presentato subito dopo un segnale (il bersaglio), è in grado di produrre un’interferenza maggiore nei bambini con DE rispetto ai bambini con normali abilità di lettura sia nelle modalità visive che in quella uditiva.
Inoltre, anche un “mascheramento laterale” potrebbe disturbare l’efficienza gene- rale dell’elaborazione percettiva degli stimoli visivi e uditivi nei bambini con DE.
I bambini dislessici sono maggiormente disturbati, rispetto ai normali lettori, an- che da una maschera laterale, presentata contemporaneamente (mascheramento spaziale) al segnale da riconoscere sia nella modalità visiva (Pernet et al., 2006) che in quella uditiva (Geiger et al., 2008). A questo riguardo, in uno studio di Casco, Tressoldi e Dell’Antonio del 1998 si è dimostrato che le abilità di atten- zione spaziale focalizzata, implicate nella precisa e veloce ricerca di stimoli visivi (il segnale bersaglio), posti dentro una configurazione composta da altri stimoli visivi (il rumore o distrattore), erano compromesse in modo specifico nei cattivi lettori (Casco et al., 1998).