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Nell’ambito dei trattamenti dei DSA si preferisce utilizzare il termine abilita- zione in quanto indica un insieme di interventi con il fine di favorire l’acquisizio- ne, il normale sviluppo ed il potenziamento di una funzione a sviluppo deficitario (Tressoldi & Vio, 2012; Stella et al., 2019). Si possono identificare tre tipologie di intervento mirate al processo di abilitazione della DE: gli interventi preventivi (che di solito vengono effettuati dall’età prescolare fino alla seconda classe del- la scuola primaria), gli interventi abilitativi (effettuati dalla seconda classe della scuola primaria) e gli interventi compensativi (che di solito vengono attivati in seguito ad un’attenta valutazione del grado di severità del disturbo e prevedo- no una selezione degli strumenti in base al profilo clinico specifico del bambino). Questi, come già detto, possono essere integrati con interventi di supporto psi- cologico o di tipo psicoterapico volti a supportare le problematiche emotive che possono accompagnare questi disturbi (Celi & Fontana, 2015).

Gli interventi preventivi sono quelli che vengono attivati più precocemente, già a partire dall’età prescolare, e vanno a potenziare i prerequisiti necessari per lo svi- luppo e l’apprendimento delle abilità di letto-scrittura. Questo argomento verrà trattato più cospicuamente nel capitolo successivo in quanto gli interventi preven- tivi, come del resto quelli abilitativi, sono indirizzati a potenziare le abilità e le procedure implicate nel percorso di apprendimento tipico delle abilità di lettura e scrittura.

Gli interventi abilitativi si attivano nel corso della classe seconda della scuola primaria e risultano efficaci quando con il loro utilizzo si riesce ad ottenere un cambiamento clinicamente significativo delle prestazioni del soggetto in termini di correttezza (numero di errori) e di rapidità (la velocità espressa in sillabe al secondo) della lettura. Ciascun trattamento di questo tipo può essere classifica- to in base al tipo di modello teorico a cui fa riferimento. Si possono utilizzare trattamenti lessicali e sublessicali, dove l’obiettivo è lo sviluppo della corretta e veloce associazione tra parole (lessicale) o sillabe (sub-lessicale) con le loro cor- rispondenze fonologiche, tramite esposizione tachistoscopica o varie facilitazioni percettive (Tressoldi et al., 2007)

Si possono individuare poi una serie di trattamenti classificati di tipo neuropsi- cologico perché gli autori enfatizzavano l’importanza di potenziare anche abilità cognitive diverse dalla lettura, quali la memoria verbale, l’attenzione visiva, ecc. (Benso et al., 2008; Mogentale & Chiesa, 2009).

Sono risultati efficaci anche trattamenti condotti secondo la procedura suggerita da Lorusso e Cattaneo (2007), che prevede esercitazioni e procedure distinte di esposizione del materiale da leggere diverse a seconda del tipo di DE dei par- tecipanti, classificati secondo procedure proprie, di tipo percettivo, linguistico o misto (Lorusso & Cattaneo, 2007).

Infine, è possibile intervenire con trattamenti misti, in cui le esercitazioni com- prendono un insieme di esercitazioni su aspetti fonologici, lessicali e sublessicali (Ripamonti et al., 2004; 2008). Tutte queste tipologie di interventi possono esse- re somministrate sia in forma cartacea sia utilizzando software specifici e nuove tecnologie e possono venire effettuati sia in ambiente ambulatoriale che in am- biente domestico. Gli interventi compensativi e dispensativi prevedono il ricorso a strumenti in grado di vicariare una o più funzioni deficitarie. I vari trattamenti ed interventi citati vanno ad agire su carenze funzionali del soggetto dislessico e a stimolare lo sviluppo o il potenziamento delle strategie necessarie alla normale evoluzione delle competenze di lettura In questo senso gli studi sullo sviluppo della lettura in condizioni tipiche, che affronteremo nel prossimo capitolo, sono fondamentali per capire le difficoltà dei soggetti con DE e allestire funzionali strategie di intervento.

CAPITOLO

3

Lo sviluppo tipico delle abilità di lettura

L’abilità di letto-scrittura non è geneticamente innata: il linguaggio scritto (la lettura e la scrittura) è un’innovazione culturale relativamente recente nella storia della nostra specie (la scrittura è comparsa solo seimila anni fa). È un prodotto culturale, nel tempo abbiamo sviluppato questa abilità che è diventata una ca- pacità che possiede una base neurobiologica. Secondo il pensiero dello scienziato cognitivo Stanislas Dehaene, il nostro cervello ha sviluppato un adattamento alla scrittura e alla lettura grazie al cosiddetto “riciclaggio neurale”: durante l’evolu- zione alcune strutture nervose, predisposte geneticamente a svolgere un compito specifico, hanno modificato le proprie attitudini di selettività per diventare adatte a competenze più funzionali per l’evoluzione (Dehaene, 2009). Il cervello viene visto come un sistema continuamente auto-organizzato, dove i neuroni sono re- clutati in tempo reale in partnership che non sono mai fisse; quindi, ogni abilità culturalmente appresa, come la lettura, chiama in causa una particolare parte del cervello, un circuito già utilizzato ma che possiede la giusta plasticità per essere riallenato (Dehaene, 2009). La lettura è un processo cognitivo gerarchicamente complesso che coinvolge diversi livelli di elaborazione dell’informazione.

Un bambino per imparare a leggere deve sviluppare una consapevolezza esplicita degli elementi strutturali del linguaggio (i fonemi) e apprendere il loro legame con una serie di simboli visivi definiti in modo arbitrario (i grafemi). Inoltre, la lettura impone alcune inusuali richieste alle funzioni neurocognitive del nostro cervello, tra cui un alto grado di capacità di discriminazione uditiva e visiva, un fine controllo oculo-motorio ed una rapida velocità di elaborazione (Cornoldi, 2007).

Attraverso studi di Neuroimaging si sono fatti notevoli progressi nelle conoscen- ze del substrato neurale dei processi di lettura e scrittura. Analizzando i dati derivanti da studi basati sulle neuroimmagini funzionali (fMRI) in partecipanti adulti cognitivamente integri o in pazienti con danno neurologico (Hillis & Tuf-

fiash, 2002; Hillis, 2002) sono stati evidenziati i correlati neuronali dei processi di lettura e scrittura:

– L’elaborazione dell’informazione lessicale ortografica richiede l’integrità di una rete che include il giro angolare/sopramarginale, il giro fusiforme, e probabilmente, il giro frontale inferiore e medio.

– Il normale svolgimento dei processi di conversione grafema/fonema e fone- ma/grafema richiede il funzionamento di aree perisilviane: giro frontale in- feriore, giro precentrale, insula, giro temporale superiore/area di Wernicke, giro sopramarginale.

– Ha un ruolo centrale la memoria ortografica a breve termine (buffer gra- femico) dove è coinvolta una rete che include aree frontali, aree parietali posteriori e inferiori e aree occipitali laterali.

– Per la lettura e scrittura di parole sembrano critiche le regioni temporo- occipitali.

– Per l’elaborazione di parole e di non parole, in lettura e scrittura, invece sono determinanti i giri angolare, sopramarginale e frontale inferiore (Vallar & Papagno, 2007).

3.1

Modello di lettura a due vie

La neuropsicologia cognitiva, nell’ambito di un approccio modulare all’orga- nizzazione delle funzioni cognitive, consente di isolare le funzioni che compongono un processo individuando le modalità attraverso le quali il processo viene svolto. Nell’ambito della lettura, questo ha portato allo sviluppo di modelli che scom- pongono questo processo in una serie di operazioni sequenziali: dall’analisi visiva delle lettere fino alla produzione della parola (supportati dalle diverse aree cere- brali sopracitate).

Verrà ora descritto un modello di spiegazione dei processi implicati nella lettura che sarà messo in relazione con le diverse ipotesi eziologiche del DSA. Il “modello di lettura a due vie” (o “a doppio accesso”), che prevede due diverse vie o strategie di decodifica della lingua scritta, è stato proposto per la prima volta da Coltheart (Coltheart, 1978) ed è oggi chiamato “modello standard”, questo termine per- mette di confermare il generale accordo tra i ricercatori sulla validità di questo modello nello spiegare il processo di lettura. Questo modello nasce da ricerche sia sui processi di lettura di normo-lettori, in cui le prestazioni si differenziano in

base al tipo di materiale da decodificare, che dall’esame clinico dei casi di dislessia acquisita, in cui la natura del disturbo varia in funzione della localizzazione del- la lesione cerebrale e del danno a specifiche sottocomponenti cognitive (Sartori, 1984).

Il modello, che descrive le strategie di decodifica di un lettore abile adulto, è stato ripreso e modificato dalla scienzata comtemporanea Uta Frith (1985) in ottica evolutiva; questa autrice ha, infatti, descritto le fasi con cui il bambino acquisisce progressivamente le strategie proprie delle due vie di lettura descritte da Coltheart (1978). Di questo parleremo in dettaglio nel paragrafo 3.4 quando analizzeremo i modelli evolutivi di acquisizione delle capacità di lettura decifra- tiva.

Nel modello a due vie (Fig. 3.1) si vede un primo stadio comune ad entram- be le vie: la presenza dell’analisi visiva di uno stimolo scritto, ovvero la capacità di riconoscere la struttura alfabetica/idiografica del simbolo scritto e poi il rico- noscimento delle lettere e la comprensione degli elementi costitutivi dello stimolo. Poi da questo momento le due vie si separano e si individuano una "via lessicale diretta" e una "via sub-lessicale fonologica". Quest’ultima via è un processo indi- retto, che non arriva alla coscienza e che permette di leggere le parole non familiari e le non parole attraverso varie operazioni; richiede la partecipazione di una vasta circuitazione cerebrale. Rappresenta un processo complicato che parte dall’iden- tificazione astratta delle lettere per passare alla conversione grafema-fonema, allo spelling, alla lettura lenta per poi arrivare a mettere insieme i suoni decodificati e trattenuti nella memoria a breve termine uditivo-verbale. A questo punto si riconnettono le singole lettere e si riesce a formare una parola. È la via che viene utilizzata dai bambini per imparare a leggere (Vallar & Papagno, 2007).

La via lessicale, invece, è un processo cosciente che consente di leggere diret- tamente le parole in quanto permette il recupero della pronuncia delle parole attraverso un lessico mentale, passa direttamente dal riconoscimento delle lettere al sistema di riconoscimento delle parole senza bisogno di convertire i segni in suoni. Mentre attraverso la via fonologica si differenziano e identificano le lettere e poi la working memory (memoria a breve termine uditivo-verbale) assembla le lettere in un’unica parola, nella via lessicale si accede direttamente alla parola intera. Questa via è suddivisa ulteriormente in due vie: la via lessicale semantica e la via lessicale non semantica (Vallar & Papagno, 2007).

La via lessicale semantica prima di attivare il sistema di produzione della pa- rola passa attraverso il sistema semantico e quindi determina la comprensione della parola stessa. La via lessicale non semantica collega direttamente il sistema di riconoscimento visivo delle parole con il loro sistema di produzione. L’utilizzo di questa via spiega l’esistenza di una lettura accurata in assenza di comprensione (Vallar & Papagno, 2007). In relazione a diversi danni cerebrali i pazienti possono perdere l’uso di una via o dell’altra o di entrambe e sviluppare una dislessia su- perficiale, fonologica o profonda. Nella dislessia di tipo superficiale si verifica un malfunzionamento della via diretta e viene lesa la capacità di riconoscere l’entità scritta nel suo insieme; i pazienti, non smettono di leggere ma inconsciamente iniziano ad utilizzare la via sub-lessicale. L’utilizzo di questa via comporta una lettura molto lenta e la lettura di suoni e non delle parole in quanto non si accede al concetto che si trova dietro il suono, ma la parola viene identificata solo come un insieme di suoni. Le caratteristiche principali che si riscontrano in questo di- sturbo sono l’impossibilità di discriminazione tra parole omofone e l’impossibilità della lettura di parole che presentano accenti irregolari (Vallar & Papagno, 2007). Invece, nella dislessia fonologica si presenta una rottura della via sublessicale e una difficoltà nell’identificazione delle singole lettere (infatti i pazienti presentano un deficit nello spelling e nella divisione sillabica e tendono a leggere direttamen- te la parola intera) e nella conversione grafema-fonema; l’uso esclusivo della via diretta, permette di leggere solo le parole già conosciute mentre rende impossibile leggere le non-parole o le parole sconosciute (Vallar & Papagno, 2007).

Figura 3.1: Rappresentazione grafica del modello a due vie della lettura (Sartori, 1984)

Una buona competenza di lettura richiede un efficiente utilizzo delle due vie, il cui ruolo tuttavia varia in funzione della struttura ortografica della lingua: ad esempio in Inglese, lingua opaca, caratterizzata da molte parole irregolari, in cui la pronuncia non riflette la struttura sillabica, nella lettura è maggiormente impli- cata la via lessicale mentre in una lingua ad ortografia trasparente come l’Italiano, in cui c’è una diretta corrispondenza fra grafema e fonema, può essere maggior- mente utilizzata la via fonologica, salvo la decodifica delle rare parole “omografe non omofone” (per lo più caratterizzate dall’uso dell’apostrofo o dell’h, per cui se non si usa la via lessicale non si può distinguere, ad esempio, “l’ago” da “lago” o “anno” da “hanno”).