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LO SVILUPPO DEI POTERI ISTITUZIONALI SU BASE LOCALE

3.1.1 Berengario e il riconoscimento delle fortezze

La rilettura della nota diplomatistica friulana sulla questione degli Ungari integrata con la documentazione privata, e dalle risultanze di alcuni scavi archeologici, consente di individuare alcuni ulteriori elementi per comprendere il fenomeno dell’incastellamento regionale tra i secoli X e

500 P. C. BEGOTTI, La corte e la pieve. Sancta Maria de Naono nella storia antica di Cordenons, in Santa Maria di

Cordenons, (a c. di) P. GOI, Cordenons 2000, p. 20, che evidenzia, in parallelo alle incursioni dei barbari riguardanti la

prima parte del X secolo, una costante attività di popolamento operata dai patriarchi mediante l’inserimento dell’elemento slavo nel territorio friulano. Si tratta di ipotesi, come rileva l’A., su base toponomastica. Cfr. pure SETTIA, "Pagana", "Ungaresca", "Pelosa" cit., passim.

501 Tra i lavori più significativi sul tema della signoria rurale in epoca altomedievale, oltre ai termini teorici in G. TABACCO, La connessione tra potere e possesso nel regno franco e nel regno longobardo, in I problemi dell’occidente nel secolo VIII cit. p. 136 e ss., soprattutto G. SERGI, Lo sviluppo signorile e l’inquadramento feudale, in La Storia. Il Medioevo cit., II, pp. 369-93; Strutture e trasformazioni della signoria rurale nei secoli X-XIII (a c. di) G. DILCHERE C.

VIOLANTE cit.; La signoria rurale nel medioevo italiano, (a c. di) A. SPICCIANI e C. VIOLANTE (2 voll.), Pisa 1997-98 (Studi

medievali 3-4).

502 Non ci si riferisce in questo caso al programma di fortificazioni su vasta scala avviato da Ludovico II e di cui parla SETTIA, castelli e villaggi cit., p. 44 e ss, un programma che coinvolse gli stessi vescovi e conti italici, ma che non trova

corrispondenza documentaria in Friuli, dove invece il più organico sistema di difese risaliva ad epoca gota e longobarda.

XI. Due diplomi pavesi del 904503, stesi probabilmente nel corso della medesima riunione

assembleare, offrono la prima testimonianza sull’ancor recente ricordo delle incursioni pagane subite da Cividale, centro politico ed amministrativo del comitato friulano. Si tratta della donazione al patriarca di alcuni immobili posti in città, una decisione assunta quale ristoro al depauperamento e al progressivo spopolamento causato dalle incursioni degli Ungari (vastationibus depopulate videntur), constatato il quale Berengario, su richiesta della moglie Bertilla, interviene direttamente confermando nella stessa sede

multa cartarum instrumenta casu quondam incendii et perfidorum persecutionibus Paganorum abolita noscuntur et perdita, ne damnum aliquod eadem eclesia aut per plebes aut per interiores ac esteriores eclesias sua petiatur si quidam et si famiglie domus vel fides eiusdem ecclesie adquesitam de publicis rebus aut fiscis seu de scusatis aliis proprietatem habent504.

A questo riconoscimento, Berengario ne associa uno in stretta correlazione, ma ancor più significativo per l’esito che potrebbe contenere: l’inquisitio, ovvero la delega alla ricostruzione documentale del patrimonio che non era più possibile dimostrare per la mancanza dei necessari titoli di proprietà (inquisitio quod ipsa eclesia cum suis eisdem rebus investita fuisset, ut eas in antea vindicet, teneat, possideat etc.). Evidentemente si tratta di una facoltà dai connotati spiccatamente arbitrari che venne concessa in pochissimi casi dagli imperatori505, e che comunque

consente al beneficiario di raggiungere amplissimi margini di discrezionalità nella ricostruzione del poprio patrimonio506. Tra i donativi di Berengario contenuti in questo diploma vi è anche la porta

della città, posta sotto la protezione di San Giovanni, il che ci consente di datare le opere di fortificazione di Cividale certamente ante 904, e quindi anteriormente alla prima fase delle scorrerie ungariche. Sappiamo che la città, fondata da Giulio Cesare, poi profondamente mutata con l’avvento dei duchi longobardi, possedeva un corpo di fortificazioni già a partire dal VII secolo, ma è difficile dire con sicurezza quanto di questo impianto fosse sopravvissuto507.

Il caso di Cividale quindi non consente di ipotizzare uno specifico processo di incastellamento legato agli Ungari, ciononostante rende manifesta la volontà del sovrano di riorganizzare le politiche di difesa della città mediante l’affidamento della porta di San Giovanni al patriarca,

503 I diplomi di Berengario, n. 49, p. 142 e n. 50, p. 143. 504 I diplomi di Berengario, n. 50, p. 144.

505 Altri casi simili si riferiscono al monastero di Bobbio e alla chiesa di Vercelli; cfr. MOR, L’età feudale cit., I, p. 61, da integrare con le considerazioni generali di TABACCO, Il volto ecclesiastico del potere in età carolingia in Sperimentazioni del potere cit., pp. 165-208.

506 In realtà il diploma non chiarisce nemmeno se l’incendio in cui erano periti i documenti fosse legato alle devastazioni degli Ungari o a cause ancora diverse.

ricompensandolo attraverso i diritti pubblici ad essa connessi508. La decisione assunta a riguardo di

Cividale è, per così dire, un caso notevole legato al ruolo strategico della città verso il territorio slavo, ma non è l’unico. Come detto infatti i «diplomi ungareschi» documentano per il Friuli il momento delle maggiori scorrerie tra gli anni 899-904, fino cioè al momento in cui, forse anche grazie alla mediazione del patriarca di Aquileia, si giunse ad un accordo tra Berengario e gli Ungari. Questi ultimi, dietro l’esborso di ingenti quantitativi d’oro, si impegnarono a non invadere i confini italici per quindici anni, e cioè fino al 919509. Nello stesso tempo, con questo accordo si

concretizzarono nuove forme di collaborazione tra il re italico e le popolazioni nomadi. Già in precedenza, del resto, Berengario si era servito di gruppi mercenari magiari per rafforzare i quadri del suo esercito: decisivi risultarono questi inserimenti nel 902 per la vittoriosa campagna contro Ludovico di Provenza, che gli consentì di mantenere il titolo regale e di ricacciare l’avversario nella Francia meridionale510. Come dimostrano però le successive irruzioni a partire dagli anni venti del

X secolo, questo non significò mai che l’imperatore potesse contare sul reale controllo dei cavalieri magiari511. Le razzie infatti continuarono, seppur in modo sporadico, anche durante il valere della

tregua quindicinale, e questo alimentò negli italici, ben coscienti di vivere in una condizione di generale insicurezza, l’immagine di un potere centrale molto debole che non consentiva la garanzia delle minime attività di protezione512.

Il diploma friulano può essere letto meglio alla luce di una successiva donazione di beni a favore del vescovo di Padova. Il 25 marzo 912, Berengario confermava da Verona i privilegi anteriormente emessi a favore della chiesa padovana distrutti sempre negli incendi degli Ungari, senza però riconoscere l’importante (ed ambiguo) diritto dell’inquisitio in precedenza concesso al patriarca di Aquileia513. Ciononostante è parimenti significativo il privilegio emesso nella stessa sede a favore

del vescovo Sibicone, illi eiusque successoribus infra suum episcopatum ubicumque […] sua adquirere potuerint terram, castella edificare, il potere cioè di edificare castelli e di mantenerli poi con titolo di proprietà. Tuttavia, anche in questo caso la facoltà non è correlata nel documento alle necessità di difesa determinate dal passaggio degli Ungari nel territorio padovano. Anzi, proprio gli

508 Sottolineiamo ancora una volta l’importanza sia simbolica che reale della concessione della porta della città. Cfr. sull’argomento le analogie con il diploma del 904 emanato a favore del vescovo di Bergamo, dove Berengario acconsente alla ricostruzione delle parti delle mura cittadine e delle porte ad opera della popolazione sotto la guida del vescovo, sottoponendo le nuove strutture alla gestione di quest’ultimo: Quorum devotis precibus libentissime adsensum

prebentes, […] statuimus, ut pro imminentis necessitate et Paganorum incursu civitas ipsa Bergamensis reedificetur ubicumque predictus episcopus et concives necessarium duxerint. turres quoque et muri seu portae i urbis labore et studio ipsius episcopi et concivium ibidemque confugientium sub potestate et defensione prenominati episcopi suorumque successorum perpetuis consistant temporibus; cfr. I diplomi di Berengario cit., n. 47.

509 LIUTPRANDUS CREMONENSIS Antapodosis cit., II, 41. 510 G. FASOLI, I re d’Italia, Firenze 1949, pp. 57 e ss. 511 ARNALDI, Berengario cit., p. 20 e ss.

512 Cfr. per questo aspetto nel particolare della situazione friulana, SETTIA, Chiese e fortezze nel popolamento delle

diocesi friulane cit., pp. 220-7.

importanti diritti di natura commerciale e le ampie proprietà che in quegli stessi anni stavano garantendo nuove fonti di sostentamento al vescovo potrebbero essere, più che la difesa dalle incursioni, la ragione alla base della concessione a costruire nuovi castelli legati alla gestione del potere oltre che alla sua concreta rappresentazione514. Il castello è qui un elemento che completa il

processo di potenziamento territoriale del signore ecclesiastico e gli consente di essere proprietario ma soprattutto dominus, e quindi gestore di diritti pubblici e di potere sugli uomini515.

Da questi esempi appare insomma con sufficiente chiarezza che l’incastellamento nel territorio non nasce con gli Ungari, ma è un carattere ambientale che si era consolidato col tempo. Il castello di Suburniano (Savorgnano) esisteva ad esempio già prima del 921, quando Berengario ne permette al prete Pietro, che lo possiede, il restauro ed il rafforzamento delle strutture murarie516. Il diploma si

esprime chiaramente: su intercessione del marchese Grimaldo, Berengario concede la licenza, suum castellum proprium Saburniano dictum in sua vedilicet proprietate constructum [del prete Pietro] confirmare et muniri merulis et propugnaculis, bertistis atque fossatis517. Autorizzati i lavori,

Berengario concede inoltre al religioso l’immunità dal placito pubblico escludendolo dalle interferenze dei ministeriali del re, e ponendolo pertanto direttamente sotto la giurisdizione personale del marchese. Il castello, sorto su terreno di proprietà del prete Pietro, era probabilmente uno dei frutti del quindicennio di pace negoziata con gli Ungari che laici ed ecclesiastici utilizzarono per rendere più sicure le proprie residenze, ma come si vede preesisteva anche in questo caso al periodo delle scorribande magiare. E’ tuttavia innegabile che il suo restauro e la sua munizione siano correlati all’incipiente crisi che segnò il riaprirsi delle depredazioni.

Come detto, la continua minaccia delle rappresaglie magiare sia durante che, ovviamente, dopo la scadenza dell’accordo di pace negoziato da Berengario (919), rendeva particolarmente instabili le condizioni dell’Italia nord orientale della penisola. Pur trattandosi però di una insicurezza endemica, va sottolineata la preferenza accordata dal potere centrale verso le concessioni di incastellamento con beneficiari esponenti del clero. Sul fatto che tali autorizzazioni fossero concesse agli ecclasiastici che figurano anche possessori del castello stesso, vale la pena tener presente gli spogli della documentazione diplomatica operati dal Settia, da cui emerge che la proprietà dei castelli nel periodo del regno di Berengario era divisa quasi equamente tra ecclesiastici e laici: non stupisce quindi trovare in veste di proprietario del castello un ignoto prete friulano, come Pietro, che edifica opere di difesa a Suburniano518. La clientela su cui Berengario interviene in Friuli è essenzialmente

514 Ibidem, ma sul diploma del 912 cfr. pure l’esame del RIPPE, Padoue et son contade cit., p. 104. 515 TOUBERT, Dalle terre ai castelli cit., pp. 67-74, ma con riferimento all’area laziale.

516 CDI, doc. n. 67, p. 151.

517 Ibidem. Su questi argomenti cfr. SETTIA, Castelli e villaggi cit., p. 81. 518 Ibidem, pp. 101 e ss.

composta da ecclesiastici, mentre rimane del tutto assente la componente laica, il che conferma di fatto l’assenza di una organizzata rete vassallatica attorno al sovrano519. E’ rilevante l’attenzione che

i diplomi del periodo dimostrano alle autorizzazioni di incastellamento, visto che molte iniziative operate da singoli possessori erano nate senza il beneplacito regio; in altri casi Berengario si limitava a sancire iniziative già in essere, magari sorte spontaneamente in epoca imprecisata. E pur in presenza di autorizzazioni, il Settia ha messo in luce come si trattasse spesso di documenti che non avevano alcun rapporto con il contesto locale, dato che molte volte ricalcavano formulari e modelli di cancelleria senza grandi approfondimenti520. Possediamo una ventina di diplomi

riguardanti le conseguenze del passaggio degli Ungari nel suo regno tra il 904 ed il 919, la maggior parte dei quali hanno come beneficiari privati e chiese che erano certamente già proprietari di castelli. Ma in nessuno di questi casi possediamo l’atto pubblico che contenga l’autorizzazione alla costruzione di una fortezza. Bisogna però ammettere che questo «spontaneismo» nella costruzione dei castelli è del resto incentivato dalla stessa strategia dell’imperatore che, come nel caso del vescovo di Padova di cui si è detto, concede autorizzazioni cumulative alla costruzione dei castelli senza preoccuparsi della loro localizzazione o della necessità di dar vita ad un apparato difensivo che operi secondo una logica militare unitaria: un problema, quest’ultimo, che sembra il re non voglia nemmeno porsi, autorizzando i sudditi alle singole iniziative e favorendo una politica pregna di particolarismo e senza una strategia d’insieme521. Inoltre queste donazioni multiple sottolineano

la funzione signorile del donatario, e proprio per questo sono allo stesso tempo una sorta di dichiarazione di resa da parte dell’autorità pubblica rispetto al suo ruolo di coordinamento nel campo della difesa del regnum. Eppure non era sempre stato così.

Una fortezza pubblica di una certa importanza in territorio friulano era il castello di Puziolum, sorto in data imprecisata prima del 921 nei pressi di Udine, non molto lungi dalle tre strade romane per Vironum, Postumia ed Annia (Figura n. 8)522. Nel medioevo queste arterie non avevano perso la

loro originaria importanza militare e commerciale, e continuavano ad essere percorsi di transito

519 A. BEDINA, Signori e territori nel regno italico, Milano 1997, p. 163, dove viene rilevato questo fenomeno come una caratteristica del potere pubblico in Italia nel X secolo.

520 SETTIA, Castelli e villaggi cit., pp. 82 e ss.

521 Casi simili (ma non però quello patavino) sono studiati in G. ROSSETTI, Formazione e caratteri delle signorie di

castello e dei poteri territoriali dei vescovi sulle città della “Lombardia” del secolo X, in «Aevum», XLIX (1975), p.

243-309, dove l’A. dimostra come fosse abbastanza frequente la prassi dei sovrani di concedere ai vescovi in diritto di proprietà le strutture che avevano ottenuto di restaurare (a prorpie spese) e costruire ex novo. Un inquadramento generale del tema anche in A. AMBROSONI e P. ZERBI, Problemi di storia medievale, Milano 1988, pp. 83 e ss.

522 Su questa localizzazione del castello di Puziolum non concorda lo ŠTIH, Villa quae Sclavorum lingua vocatur Goriza cit., p. 122, propenso per la sua identificazione con il castello di Duino. Non così, prima di lui, il PASCHINI, Le vicende politiche cit., p. 53 e BOSIO, Le strade romane, p. 218, e nel dettaglio della sua identificazione con quest’ultimo, cfr. infra par. 3.1.2. c).

molto utilizzati per gli spostamenti delle cavallerie nemiche523. La fortezza di Pozzuolo venne

ceduta da Berengario il 3 ottobre del 921 al patriarca di Aquileia che vi esercita pure il districuts sul consueto miglio perimetrale:

castellum iuris imperii nostri quod dicitur Puziolum pertinens et adiacens in comitatu Foroiuliano cum omnibus sui apendiciis et pertinentiis simul cum iudiciariis et districtionibus atque proprietatibus ad ipsum castellum pertinentibus in circuitu ipsius castelli ex omni parte quantum extenditur ad spatium unius miliarii legitimi524.

Il che non fa altro che ribadire il sempre più massiccio coinvolgimento dei patriarchi di Aquileia nelle principali emergenze legate alla sicurezza del territorio, soprattutto all’approssimarsi della scadenza della tregua quindicinale che Berengario aveva concluso con gli Ungari nel 904525. Si

spiega in questo modo il rinnovato fermento che si viveva in Friuli dopo il 919, quando ci si apprestava ad una diffusa attività di restauro delle antiche fortezze. Non si tratterebbe però di un incastellamento di nuova generazione visto che ogni fortezza citata nei documenti ufficiali del X secolo appare già esistente al momento dell’autorizzazione imperiale526. La mancanza poi di

riferimenti al presidio territoriale operato dalle fortificazioni e allo sbarramento delle principali vie di comunicazione (incidere vias), molto presenti invece nei diplomi di area veneta e lombarda527,

evidenzia ancora una volta come l’attività di iniziativa militare fosse strutturata senza una visione organica, e anzi lasciata alla difesa dei singoli, i quali erano evidentemente interessati in primo luogo alla tutela dei propri possedimenti.