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Con il diploma citato, i monaci di Sesto entrano chiaramente in competizione con il vescovado di Concordia, che proprio sul dominio temporale dell’area compresa tra i fiumi Livenza e Tagliamento pone una sorta di «punto fermo» della sua rivendicazione verso il potere pubblico. Entrambe le iniziative si inquadrano in uno scenario molto più ampio di riconoscimento dei poteri temporali dei vescovi nel territorio veneto e friulano che matura mano a mano che gli imperatori emanano diplomi di concessioni e donazioni a loro favore. Il che comporta, almeno fino alla restaurazione ottoniana, l’oscuramento del ruolo comitale249 a beneficio del potere temporale dei vescovi250. Le

stesse dinamiche di assestamento territoriale si notano anche nei vicini territori di Feltre, Belluno e Ceneda, ma se in questi altri casi non vi sono «concorrenze» di natura territoriale come quella rappresentata dal monastero di Sesto, la situazione di Concordia, colonia romana fondata intorno al 42 a. C., appare controversa già dal periodo tardo antico.

248 MGH, DD O I, n. 213 p. 294.

249 Cfr. sull’argomento l’analisi per l’Emilia di V. FUMAGALLI, Vescovi e conti nell’Emilia occidentale da Berengario I a Ottone I, in «Studi medievali», s. III, XIV, 1973.

250 V. FUMAGALLI, Il potere civile dei vescovi al tempo di Ottone I, in I poteri temporali dei Vescovi in Italia e in

Germania (a c. di C.G. MOR ED H. SCHMIDINGER), Bologna 1979, pp. 77-87; il territorio meglio studiato a questo

proposito è l’area trentina, cfr. D. RANDO, Vescovo e istituzioni ecclesiastiche a Trento nei secoli XI-XII, in «Atti

dell’Accademia Roveretana degli Agiati», IV (1986), pp. 5-28; A. STELLA, I Principati vescovili di Trento e Bressanone,

Se infatti è documentata la continuità nel permanere della cattedra vescovile concordiese dal IV secolo, data in cui secondo le fonti letterarie il vescovo di Aquileia Cromazio consacrò la cattedrale dedicata al diacono Stefano251, poco sappiamo di una influenza territoriale del vescovo concordiese

al di fuori della città. Le notizie rimangono scarse per il periodo tardo antico, almeno fino al primo presule, Chiarissimo, citato nel 579, col quale si apre la cronotassi episcopale che rimarrà frammentaria fino al XII secolo252.

L’elemento che consente il coagulo dei primi cristiani nella città di Concordia pare essere il culto dei corpi di un gruppo di martiri uccisi in quei luoghi durante la persecuzione di Diocleziano253. Ma

non è possibile stabilire a quale data risalga precisamente il loro culto, che ebbe uno sviluppo considerevole solo a partire dalla seconda metà del sec. XV. Durante il periodo delle grandi migrazioni (secc. V-VII) non è certo che il vescovo abbia abbandonato Concordia; è sicuro invece che non si verificò uno stabile trasferimento del presule verso Caorle, come a lungo è stato sostenuto vagheggiando analogie con il trasferimento del presule da Aquileia a Grado e da Oderzo a Eraclea254. La continuità della residenza del vescovo a Concordia nel periodo che va dalla fine del

VIII secolo agli inizi del X sarebbe confermata dall’evoluzione dell’abitato e della sua cattedrale, anche se non vi sono fonti scritte che sostengano chiaramente l’ipotesi255. Non trovano riscontro nei

documenti invece notizie da cui desumere l’espansione del patrimonio del vescovo o dell’episcopio nell’ambito periurbano.

Il primo diploma emanato a favore del vescovo di Concordia è molto antico: risale secondo l’editore al 794256. Difficilmente a parer nostro può essere accettato in toto, ma nello stesso tempo

non ci sentiamo di considerarlo integralmente falso come hanno fatto altri studiosi. A nostro avviso, l’ampia concessione del 794 da parte di Carlo Magno a favore del vescovo Pietro deve essere più obiettivamente valutata rispetto a quanto è stato fatto sino ad oggi da quanti hanno affrontato il problema. Il Degani ritiene il diploma mundeburdiale senz’altro falso, seguito in questa valutazione

251 Cfr. in particolare per il discorso dedicatorio proclamato in quella circostanza, CROMATIUS AQUILEIENSIS Catechesi al

popolo: sermoni, (a c. di G. CUSCITO), Roma 1979 (cfr. il s. 26, 1-8). Nel dettaglio della questione, F. PLACIDA, Aspetti catechistico- liturgici dell’opera di Cromazio di Aquileia, Catanzaro 2005, p. 43; C.G. MENIS, Le giurisdizioni di Aquileia e Milano nell’antichità, in AAVV, Aquileia e Milano, Udine 1973, pp. 271 – 294.

252 Per la bibliografia sul vescovado concordiese: E. DEGANI, La diocesi di Concordia, 2. ediz. (a c. di G. VALE), Udine 1924; M. PERESSIN, La diocesi di Concordia nella Patria del Friuli, Vicenza 1980; AAVV, La chiesa concordiese, 389- 1989, Fiume Veneto 1989; A. SCOTTÀ, La diocesi di Concordia e le temporalita vescovili nel secolo XIV secolo,

Portogruaro 1999; A. SCOTTÀ (a c. di), Diocesi di Concordia : 388-1974, Padova 2004.

253 La tradizione e i monumenti sacri ricordano i nomi di Donato, Secondiano, Romolo e compagni. Le reliquie si conservano in una cappella della cattedrale .

254 R. CESSI, L’età medievale, in B. SCARPA BONAZZA BUORA VERONESE B. FORLATI TAMARO G. DEI FOGOLARI L. COLETTI R. CESSI G. ZILLE, Iulia Concordia dall’età romana all’età medievale, Treviso 1978, pp. 266-7.

255 Cfr.gli articoli di L. VILLA, Le vicende di Concordia nell’altomedioevo alla luce delle evidenze emerse presso la

Cattedrale di Santo Stefano e di C. LA ROCCA, Un vescovo e la sua città, entrambi nel volume Concordia, tremila anni di storia cit., rispettivamente a p. 301 e p. 287.

256 MGH, DD K I, n. 177. L’editore non pone dubbi sulla sua veridicità, così pure il KEHR, Italia pontificia, V, col. n. 326, doc. IV.

dal Cammarosano, mentre il Peressin non lo considera nemmeno nella sua analisi dell’evoluzione giurisdizionale257. Tutti questi autori, individuando l’area di potestà vescovile con quella tra i fiumi

Livenza e Tagliamento, vedono nel diploma diritti troppo estesi per essere accordati ad un presule nell’VIII secolo. Oltre a questo, sembra in particolare al Degani altamente improbabile che Carlo Magno trasferisse il fodrum ad un vescovo in una fase così precoce.

Pur condividendo alcune di queste considerazioni, a noi pare di poter distinguere almeno tre parti del documento, tutte particolarmente concise e didascaliche, ma che risultano, ad una lettuera complessiva, profondamente scollegate tra di loro.

In primo luogo Carlo riconosce tutami[ne] mundiburdi cum tota integritate ipsius episcopatus, oratoriis, domibus castris villis servis et ancillis et omnibus rebus mobilibus et immobilibus, que dici et nominari possunt, ad prefatum Concordiensem episcopum pertinentibus vel aspicientibus258,

riconoscendo in questo modo quella speciale predilezione per le chiese e gli enti ecclesiastici costituita dal mundio regio, che si esplicitava nei confronti di coloro che erano senza difesa, e che veniva accordata tramite una carta. Questo consentiva, nel caso di eventuali danni arrecati al soggetto tutelato, che la competenza a giudicare fosse riservata al tribunale del re, e la pena applicata divenisse doppia o addirittura tripla di quella ordinaria. Tale privilegio, come si capisce chiaramente dal documento, non tocca però in questa fase veri e propri ambiti giurisdizionali (e nemmeno l’intero territorio tra i due fiumi Livenza e Tagliamento), ma sembra essere limitato alle proprietà dell’episcopio. Al riguardo della collocazione istituzionale, bisogna inoltre sottolineare che il diploma non contempla riferimenti giurisdizionali, nemmeno il consueto rinvio generale alla localizzazione dei beni al territorium Foroiulense sempre presente nella documentazione riguardante Sesto. Quali fossero queste proprietà è ovviamente difficile da dire, ma senza dubbio è da ritenerle concentrate nell’area urbana di Concordia, che già nell’altomedioevo era stata munita di mura difensive259. Va tenuto presente infatti che Concordia, come del resto la stessa Aquileia, erano

colonie romane sorte ai margini della laguna per intercettare i traffici navali del nord Adriatico, e per fornire da base logistica al successivo trasferimento delle merci nell’entroterra. In quest’ottica, le due città erano fortemente proiettate verso una dimensione commerciale, e nonostante i tentativi di centuriazione dell’argro effettuati dal I sec. a. C., era molto scarso l’irradiamento svolto dalla città nell’area circostante, del resto per gran parte occupata da paludi impraticabili260.

257 DEGANI, La Diocesi di Concordia cit., p. 71; PERESSIN, La Diocesi di Concordia cit., p. 53; CAMMAROSANO,

L’Altomedioevo cit., p. 50.

258 MGH, DD K I, n. 250, p. 354.

259 T. MIOTTI, Castelli del Friuli. Feudi e gastaldie del Friuli Occidentale, IV, Udine 1981, pp. 93-95. 260 CESSI, L’età medievale cit., p. 260.

Il secondo punto della questione riguarda l’attribuzione di quei diritti di decima che le chiese potevano percepire dai propri fedeli proprio a partire dal periodo carolingio261. L’episcopato di

Concordia, certamente non ricco, poteva intravedere nella riscossione della decima dalle proprietà dei laici una fonte importante per il suo futuro sviluppo, e gli imperatori carolingi preoccupati della necessaria vestizione delle chiese non meno che della divina remuneratione connessa all’esercizio del loro potere, si dimostrarono attenti anche in questa pratica. A Concordia Carlo Magno concede tramite il vescovo Pietro e i suoi successori parochiam cum omnibus plebibus et decimationibus illorum locorum, que in infrascriptis clauduntur finibus vel eorum determinazione, ubi oritur fluvius qui dicitur Taliamentum et defluit in mare et sicut oritur fluvius Liquencie et defluit in mare262. Si tratta cioè del riconoscimento in spiritualibus di un ambito ben circoscritto che

comprende tutto il territorio abitato posto tra i due fiumi che racchiudono la parte pianeggiante del territorio friulano occidentale. Proprio alla luce di questa precisazione, il testo del diploma non sembra contraddire le concessioni all’abate di Sesto, visto che all’abate venivano concesse non pievi, ma piuttosto solo alcune ville, e connessi diritti signorili, all’interno del medesimo territorio.

Terzo punto è quello che a noi pare invece interpolato successivamente, e che appare incomprensibile sia per ampiezza dei termini che per la natura stessa della concessione. Nel prosieguo del diploma viene infatti sancita l’assegnazione di fodrum et dacionem [atque] angariam et omnem publicam functionem predicto Petro episcopo suisque successoribus, ovvero di quel complesso di diritti regali che a partire dall’epoca carolingia stanno ad indicare nella più ampia accezione il servizio pubblico reso a beneficio del re o dei suoi rappresentanti (si parla in questo secondo caso di fodro privato). Il fodro (fotrum, fodrum), era originariamente un tributo in natura fornito dai paesi occupati per il sostentamento dei cavalli dell’esercito regio, ma la sua accezione fu ben presto considerata comunemente nel Regnum Italiae in forma più generica quale imposta per l’ospitalità del re, o, in altre parole, la collecta impiegata per nutrire i soldati del suo esercito nel caso di passaggio stazionamenti prolungati263. La formulazione in questo senso si assesta

chiaramente a partire dal XII secolo, come attesta pure il noto diploma di Federico I del 1169 a

261 F. D

E VITT, La pieve medievale: lineamenti e problemi storici, in AAVV, La pieve in Friuli: aspetti e problemi storici, Camino al T. 1984, p. 25. Sulla questione, più in generale, PROVERO, L’Italia dei poteri locali cit., p. 133 e

soprattutto A. CASTAGNETTI, Le decime e i laici, in La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all'età contemporanea

(Storia d'Italia, Annali IX), Torino 1986, pp. 507-530. Il risvolto giuridico della decima nel territorio dell’indagine trova approfondimento in E. PERINOTTO, Le decime nella Marca Trevigiana. Dottrina e giurisprudenza, Treviso 1958, in part.

pp. 20 e ss.

262 MGH, cit., n. 250.

263 C. BRÜHL, Fodrum, gistum, servitium regis: Studien zu den wirtschaftlichen Grundlagen des Königtums im Frankenreich und in den fränkischen Nachfolgestaaten Deutschland, Frankreich und Italien vom 6. bis zur Mitte des 14. Jahrhunderts, I, Köln-Graz, 1968, pp. 452 e ss.

favore del popolo di Asti in cui sono esplicitate la natura e i contenuti dei privilegi pubblici264. Al

fodro, il discusso privilegio di Carlo Magno aggiunge poi l’angaria, che sottende il servizio a favore del vescovo da parte dei manentes, e ogni funzione pubblica – va ben sottolineato – de toto ipso episcopato, vale a dire di tutta l’area della diocesi che è posta tra i fiumi Livenza e Tagliamento, dove il vescovo amministra parrocchie e pievi. Indubbiamente si tratterebbe di una concessione molto importante se fosse vera, ma così non pare.

Anche senza considerare la presenza di altri poteri «concorrenti» all’interno della diocesi concordiese (e ci si riferisce anzitutto all’abate di Sesto), è la stessa natura della concessione ad apparire azzardata, se la mettiamo in relazione ad esempio con le dinamiche che portarono all’assegnazione delle medesime prerogative sul territorio al patriarca di Aquileia, che Ottone III sancisce solo nel 1001. Fodrum ed angariae sono pertanto diritti signorili che vengono trasferiti in anni molto più tardi rispetto a quelli della supposta concessione carolina al vescovo di Concordia265.

Inoltre i diritti signorili vengono allora trasferiti ad una figura, il patriarca aquileiese, che in questo periodo ha già assunto una rilevanza politica a livello sovraregionale, ben altra cosa del vescovo di Concordia. Va ricordato poi che la concessione del fodro al primate di Aquileia avviene nel contesto di un suo progressivo potenziamento sia fondiario che giurisdizionale, di cui, per l’appunto, questo diploma è una tappa fondamentale266. D’altro canto, una concessione di simile

entità nel 794 a favore di un vescovo di Concordia, appare audace soprattutto in considerazione del contesto politico ancora emergenziale con cui i franchi avevano a che fare in Friuli: siamo nel pieno della guerra contro gli Avari, poi sconfitti definitivamente solo nel 796, e alle prese con la stabilizzazione dell’equilibrio sovraregionale ad opera del conte del Friuli Erich (morto nel 799), uomo di punta del governo franco nell’Italia nord orientale267. La cessione di un così importante

diritto regale, soprattutto in un contesto di grande instabilità politica, avrebbe significato la diminuzione di un potere di sovranità regionale che Carlo Magno voleva concentrare, come si è visto, il più possibile nelle mani di persone di sua fiducia. Ed è un dato certo che anche nel vicino e potente episcopato di Ceneda, dove pure risiedeva un duca longobardo prima del 776, il sovrano concedesse negli stessi anni un privilegio comprendente alcuni diritti giurisdizionali ma non facesse alcuna menzione della cessione del fodro268.

264 Il diploma è citato dal Brühl. Si legge anche in F. UGHELLI, Italia Sacra, IV, coll. 345-6.

265 MGH, DD O II/1, n. 402. Non consideriamo il falso diploma al patriarca di Aquileia del 792 (MGH, DD K, I, n.

174) in cui viene accordata al patriarca di Aquileia l’esenzione dal pagamento del fodro con unica eccezione quella di contribuirvi nel caso di operazioni militari contro i trevigiani e i friulani. Quest’ultimo diploma è accettato solo dal Mor (cfr. CG. MOR, S. Paolino e Carlo Magno, in Atti del convegno internazionale di studio su Paolino d’Aquileia nel XII

centenaio dell’episcopato (a c. di) G. FORNASIR, Udine 1988, p. 32) ma senza alcuna giustificazione.

266 PASCHINI, Storia dei Friuli cit., I, pp. 202 e ss. 267 Cfr. supra par. 1.2.

E’ possibile che la parte del diploma riguardante il fodro sia stata aggiunta al documento tra l’XI ed il XII secolo, periodo in cui diventano frequenti le interpolazioni sui precedenti diplomi assieme alla creazione di falsi integrali, molti dei quali traggono origine da concezioni ideologiche del potere certamente posteriori al XII secolo269. E’ in questa fase che, anche all’interno dell’episcopato

concordiese, matura la volontà di far coincidere l’ambito del potere temporale vescovile con quello diocesano. In particolare tale sovrapposizione avviene dopo che un diploma di Ottone III emesso nel 996270, ribadisce che il potere spirituale del vescovo si estendeva al territorio compreso tra i

fiumi Livenza e Tagliamento, definendo entro tali limiti il territorio diocesano. Questa azione di stampo sia spirituale che politica avviene in un momento di crisi interna del monastero di Sesto, quando le lotte tra le fazioni dei monaci e la dissoluzione del patrimonio favorito dalla sempre maggiore autonomia dei ministeriali271 aveva fatto venir meno il ruolo «concorrente» della più

importante fondazione religiosa situata a cavallo tra i due fiumi. Eppure il piano di egemonia temporale dei vescovi non si concretizza soprattutto a causa di un altro fattore, vale a dire il potere patriarcale oramai sempre più sovraordinato rispetto alle chiese locali. A questo si aggiungono inoltre le presenze signorili, che nel XII secolo sono ormai pienamente sviluppate (i signori di Prata e Porcia, i di Polcenigo, gli Ottocari di Naone) e che si attestano su ambiti molto articolati dando vita a nuove e ben più bellicose forme di «concorrenza» al potere vescovile. E’ anche per questi motivi che la situazione documentaria dell’episcopio concordiese non consente di delineare un profilo di progressivo rafforzamento su base territoriale, ma continua a poggiarsi su alcune isole di potere poco organiche rispetto al progetto di signoria territoriale che i vescvovi avrebbero voluto porre in campo (figura n. 5). Queste dinamiche patrimoniali non trovano dunque riscontro nei secoli VIII e IX, quando dal punto di vista politico è già venuto meno l’interesse specifico da parte degli imperatori carolingi, e poi di Berengario, a beneficiare i vescovi concordiesi con consistenti donazioni. La situazione consente per contro l’inserimento nel territorio del più potente patriarca di Aquileia. Il punto di maggiore interesse era indubbiamente costituito dalla gestione della grande foresta pubblica, citata da Plinio come silva lupanica, che si estendeva a nord di Concordia ed era solcata da una moltitudine di corsi d’acqua.

269 Sull’argomento in generale cfr. G. TABACCO, Le ideologie politiche del medioevo, Torino 2000, p. 51-60. Cfr. pure per l’analisi di di un analogo falso privilegio alla chiesa di Grado, RANDO, Una chiesa di frontiera cit., pp. 148 e ss.

270 MGH, DD O III, n. 226, p. 640, per l’analisi del diploma cfr. infra.

271 A. TILATTI, Gli abati e l’abbazia di Sesto nei secoli XIII-XIV, in GC. MENIS – A. TILATTI, L’abbazia di Santa Maria di

Figura 5: I confini della giurisdizione spirituale della diocesi di Concordia tra i secoli X e XI. Al centro sono indicate le

Questa selva, ancora nel IX secolo, continuava ad essere di proprietà pubblica, fatta eccezione per poche centinaia di ettari posti a sud del monastero di Sesto che erano stati ceduti dall’imperatore al medesimo monastero272. Su questa grande risorsa economica ed ambientale che attraversava l’intera

pianura friulana e parte di quella veneta, gli imperatori agirono con estrema prudenza consentendone l’alienazione solo a partire dalla fine del X secolo ed esclusivamente a beneficio delle chiese vescovili. Nel periodo che va dalla fine dell’VIII secolo a quella del X, le uniche concessioni di natura silvo-pastorale riguardano infatti l’Istria e i territori contermini alle lagune che sono oggetto dei più volte rinnovati accordi tra l’impero e Venezia273. Anche Berengario se ne

riservò la gestione diretta, e mai la fece oggetto di concessione o donazione come invece accadeva per l’altra parte del patrimonio pubblico friulano da lui stesso amministrato274. Circondato dalle

paludi e dal mare a sud e dal banno regio a nord, il vescovo concordiese scontava quindi l’impossibilità di attuare, senza il benestare dei sovrani carolingi, organiche strategie di sviluppo territoriale, limitandosi dunque a gestire le prerogative spirituali (con i privilegi economici ad esse connesse) su alcune pievi dell’area circostante la città. Troppo poco, nel complesso, per sostenere militarmente minacce esterne come le scorribande ungare, che - come si vedrà più diffusamente in seguito - per tutto il X secolo furono un fattore decisivo di indebolimento del vescovado che, nel quadro complessivo delle fonti, è una delle poche zone dove sicuramente si accanirono le cavallerie magiare. A questi ultimi episodi sono probabilmente da aggiungersi gli influssi esercitati dai mali cristiani, predoni o signori territoriali che compaiono frequentemente nei diplomi del X secolo, E spesso si dimostrano particolarmente accaniti contro i vescovadi. Concordia pagava inoltre dal VII secolo in poi la decadenza di quel ruolo commerciale che l’antica colonia romana di Iulia Concordia aveva avuto nell’estuario del portum Reatinum, e che consentì un certo periodo di sviluppo del settore manifatturiero con la costruzione di una celebrata fabbrica di frecce (da qui Concordia Sagittaria)275.

In questo contesto di ragionamenti non può quindi essere considerato come completamente imprevedibile l'esito della riunione tra i marchesi ed i metropoliti veneti convocata a Verona il 12

272 Si tratta di una porzione di bosco posta nei pressi della corte di Villa, cfr. I diplomi di Berengario, n. 18, p. 36. 273 Per la prima concessione, CDI, doc. n. 63 concernente l’esenzione del patriarca dall’erbatico per i pascoli sulle terre istriane e sulle sue proprietà friulane. Sui rapporti tra Venezia e l’Impero, nello specifico del Pactum Lotharii, CESSI, Documenti relativi alla storia di Venezia anteriori al Mille cit., pp. 101-108; approfondimento concernente la facoltà

dei caorlesi e degli abitanti del litorale a raccogliere legna in fines Foroiulianos in I patti con il patriarcato di Aquileia

(880-1255), (a c. di) R. HÄRTEL, Roma 2005, p. 20.

274 Non vi sono notizie dirette al riguardo, ma considerando la produzione diplomatica dell’imperatore riguardante il