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Improvvisamente però questo equilibrio pare interrompersi. L’impero perde nel giro di pochi anni, sotto Ottone III, l’esclusivo controllo di queste rilevanti postazioni di controllo del traffico commerciale terrestre esercitato attraverso il ruolo dei vescovi. Al suo posto subentra con maggiore determinazione, tra la fine del X secolo e l’inizio dell’XI, il Dogado veneziano. Il «passaggio di mano» relativo alla gestione dei porti di Settimo (Ceneda) e Mestre (Treviso) è ben espresso da due contratti di locazione stipulati tra il vescovo di Ceneda ed il doge veneziano nel 997, e tra il vescovo di Treviso ed il Dogado nel 1000348. Dietro a queste obbligazioni, si intravedono però le dure

ragioni della forza dei lagunari fatte valere sul potere dei vescovi nel corso di un lungo contrasto che, come testimonia la cronaca di Giovanni Diacono, conobbe anche momenti di inusitata violenza349. I protocolli ottoniani, sempre attenti alle forme di garanzia istituzionale dell’impero e al

mantenimento del suo ruolo sovraordinato rispetto agli altri soggetti, non rendono giustizia della reale tensione esistente in quel periodo nei rapporti tra il Dogato e l’entroterra. Dal pactum Lotarii dell’840 in avanti, gli accordi tra l’imperium e Venezia avevano sempre assunto la forma della concessione a garanzia del primo, ma negli effetti si trattava solo di un riconoscimento formale essendo i contenuti degli accordi nella maggior parte dei casi molto sbilanciati a favore delle pretese degli abitanti delle lagune. Anche nelle locazioni dei porti di Ceneda e Treviso viene rimarcato questo principio. In questi contratti non figura mai la presenza dell’imperatore: in effetti i negozi e le obbligazioni sancite riguardavano la sfera dei diritti vescovili, ma nella sostanza si regolavano comunque questioni concernenti il fisco, anche se la sua amministrazione era delegata agli ecclesiastici. Quando queste locazioni vengono stabilite, la parte imperiale rappresentata dai vescovi è chiaramente soccombente, come appare evidente dal tenore degli accordi stessi. A questo riguardo Gerard Rösch tende a distinguere l’azione politica dell’impero da quella dei vescovi. Egli in sostanza, sulla scorta essenzialmente delle notizie rese dal Chronicon di Giovanni Diacono, definisce una fase in cui lo scontro dell’impero contro i venetici avveniva con il concorso dei vescovi di Treviso, Belluno e Ceneda, datando tali iniziative al regno di Ottone II. Al contrario con la reggenza del figlio Ottone III sarebbe avvenuto un mutamento di strategia di parte imperiale, anche se alcuni vescovi (in particolare quello di Belluno), restii ad un allineamento, avrebbero continuato la loro battaglia contro il Dogado350. Da parte nostra proporremo una ricostruzione che,

basandosi oltre che sulla cronaca di Giovanni Diacono anche sui documenti episcopali, precisa

348 Anche per l’esame di questi documenti, come per le precedenti concessioni commerciali a favore dei vescovi, si rinvia al paragrafo 2.3.3.

349 G. D

IACONO, Chronicon venetum, in Cronache veneziane antichissime (Ed. G. Monticolo), Roma 1969, «Fonti per la

Storia d'Italia», IX, pp. 57-161. Per l’inquadramento generale: ORTALLI, Il ducatus e la «civitas Rivolti», cit., pp. 770-1;

RÖSCH, Venezia e l’impero cit., p. 228; R. CESSI, Venezia ducale. Duca e popolo, I, Venezia 1963, p. 350 e ss.

350 Nuovamente RÖSCH, Venezia e l’impero cit., p. 228; R. CESSI, Venezia ducale. Duca e popolo, I, Venezia 1963, p. 350 e ss.

ulteriormente alcuni tratti della questione, facendoci ritenere che l’ambito del contrasto tra i vescovi e i Venetici si fosse mantenuto quasi esclusivamente nell’organizzazione di iniziative di blocco commerciale avviato dai primi a danno dei secondi. Le azioni belliche, o più propriamente le scorribande, sarebbero invece sostanzialmente da ridimensionare in un solo intervento operato dai Venetici ai danni di alcune proprietà del vescovo di Belluno. Uno scenario entro il quale Ottone III, al contrario del padre, mantenne la sua sostanziale neutralità frenando le iniziative di alcuni prelati, e cercando fino in fondo di mantenere rapporti pacifici con il Dogado, come dimostra l’attenzione al rinnovo degli accordi bilaterali351.

Non è per nulla semplice definire i passaggi che nel giro di pochi anni portarono al pieno inserimento veneziano nel territorio dell’antico municipium opitergii; resta in particolare difficile assumere come un dato certo l’esistenza di una resistenza armata contro i Venetici organizzata dai vescovi di Treviso, Belluno e Ceneda352. L’idea più in generale è che una vera e propria svolta nei

rapporti maturi con la morte di Ottone I, quando si determina il mutamento delle condizioni di forza a sostanziale favore per i Venetici. A questo segue un periodo di generale tensione che coincide con il regno di Ottone II, dove l’impero oppone al Dogado un lungo e reiterato blocco commerciale, cui fa seguito un sostanziale riavvicinamento dei rapporti durante la reggenza di Ottone III, manifestato prima con l’anzidetto rinnovo dei patti, e quindi con la visita segreta dell’imperatore in laguna353.

Queste fasi si possono leggere anche attraverso gli orientamenti superiori relativi al territorio di Ceneda, che è quello maggiormente esposto nella parte meridionale ai rapporti con i Venetici. Già nel 963 Ottone I confermava i precedenti diritti goduti sul territorio dal vescovo di Belluno Aimone in seguito alla concessione di Berengario del 923. Essi comprendono la valle Lapacinense, le montagne che la circondano e tutti i diritti connessi, con in più il castello di Polcenigo, nel territorio friulano, e quindi con maggiore pertinenza ai nostri ragionamenti, aliquantam terram iuris nostri coniacentem in comitatu Cenetense in loco Obederzo, duas massaricias regales de saxora firmante in Plave sicut currit Plavesela inter Liquentiam et de firmante in fossato354. La chiesa bellunese

possedeva nel comitato di Ceneda già la corte di Docale355, ma con questo diploma il vescovo si

vedeva riconoscere un vero e proprio ambito territoriale posto tra i fiumi Livenza, Piave, Piavesella (forse a nord ovest di Oderzo) fino all’incerto confine con le lagune356. Proprio il controllo del suolo

ai margini della laguna veneta diventa il principale motivo di contrasto con la Civitas. Mentre il

351 Cfr. La novellazione degli accordi in MGH, DD OIII, n. 100, p. 512.

352 Questo assunto è riportato senza ulteriori precisazioni documentarie da CESSI, Venezia ducale cit., p. 357 e ss.

353 S. GASPARRI, Venezia fra l’impero bizantino ed il regnum italico, in Venezia. Itinerari per la scoperta della città (a c. d.) S. GASPARRI, P. A. MORO, Bologna 1977, p. 97.

354 MGH, DD O I, n. 259, p. 369. Cfr. per l’interpretazione del documento FUMAGALLI, Il potere civile dei vescovi al

tempo di Ottone I cit., p. 85 che sottolinea la corrispondenza tra il diploma e le circostanze della presa di San Leo in cui

l’imperatore era occupato; e CANZIAN, Vescovi, signori, vassalli, cit., pp. 26-7.

vescovo di Belluno cerca di far valere i suoi diritti temporali su tale territorio, i cui esatti confini evidentemente non erano sempre precisabili con sicurezza, i Venetici continuano ad insistere con l’imperatore affinché venisse loro garantito lo status quo che i suoi predecessori avevano approvato con il rinnovo dei pacta bilaterali. Fino alla donazione al vescovo di Belluno del 963, queste norme consentivano il pieno godimento delle medesime lagune tra la Piave ed il Livenza a favore degli abitanti delle lagune. Nonostante le resistenze di natura politica ed ideologica (intuibile dalla difficoltà dei rapporti legati alle pretese autonomistiche dei Lagunari), nel 967 Ottone approva una rinnovellazione dell’accordo con gli ambasciatori del doge Candiano nel quale, nonostante l’abolizione di alcuni precedenti privilegi, ne vengono «concessi» di nuovi, tra i quali il riconoscimento degli antichi confini di Cittanova così come stabilito, al tempo di re Liutprando, tra il duca Paulicio ed il magister militum Marcellus357. E’ possibile che proprio la determinazione di

questi confini fosse al centro del contendere tra il vescovo bellunese ed il Dogado. Quest’ultimo, proprio in forza degli accordi risalenti all’epoca longobarda, non intense mai riconoscere al presule il dominio esclusivo sull’estesa fascia della conterminazione lagunare, vitale retroterra dei Venetici per la raccolta di legname e la pastorizia. Questo territorio si trovava non molto a sud di Oderzo358, e

quindi era rivendicato dal vescovo di Belluno in forza della concessione ottoniana del 963359. Forse

non è un caso che questo momento di tensione si verifichi in corrispondenza del mutamento generale nei rapporti tra Venezia e l’impero di cui ci da conto il cronista Giovanni Diacono. Nel 973 salì sul soglio imperiale Ottone II che, come accennato, aveva tra i suoi obiettivi proprio la completa sottomissione del Dogado360, proposito che nel suo breve regno tenterà di concretizzare

organizzando un fermo commerciale che doveva isolare le isole rivoaltine dai collegamenti con le città della terraferma. Questo blocco, nonostante gli ottimi risultati che aveva portato alla parte imperiale, tanto da far presagire una imminente capitolazione della civitas Rivoalti, fu interrotto a causa del concomitante impegno militare che Ottone II si trovò a condurre sul fronte antisaraceno. Anche se il 7 giugno 983 l’imperatore si decise a rinnovare i tradizionali patti con Venezia361, non

mutò nella sostanza la sua politica essenzialmente avversa al Dogato, mantenendo anzi la massima attenzione verso tutte le possibili occasioni di intervento per domare la nascente potenza commerciale362. L’occasione di intervenire nuovamente gli venne offerta dalla famiglia veneziana

356 CANZIAN, Oderzo medievale cit., p. 5, e BISCARO, I falsi documenti del vescovo di Ceneda Francesco Ramponi cit., p. 111.

357 MGH, DD O I, n. 350, p. 478.

358 Certamente Oderzo era più prossima alle lagune di quanto lo sia oggi a causa delle trasformazioni del territorio operato dalle bonifiche del XX secolo che hanno consentito di arretrare di diversi chilometri il limite della battigia. E’ indicativa la presenza, pochi chilometri a sud di Oderzo, del villaggio di Ceggia (cilium maris), dove fino al periodo delle bonifiche arrivava il mare.

359 Cfr. sulla questione la n. 31 e testo corrispondente. 360 CESSI, Venezia ducale cit., p. 356 e ss.

361 MGH, DD O II, n. 300, p. 354.

Coloprino, vicina alla parte imperiale e desiderosa di riaffermare il proprio dominio in città sulla fazione avversa del doge Tribuno Memmo. Secondo quanto riporta Giovanni Diacono, fonte privilegiata per la trasmissione di questi eventi, i Colprino offrirono all’imperatore un tributo per ottenere il suo approccio ad un nuovo blocco commerciale contro Venezia363. Anche questo

tentativo, a dispetto dell’ampiezza del progetto non ebbe tuttavia seguito, stavolta per l’improvvisa morte dell’imperatore, avvenuta nel dicembre del 983364. In questo decennio di contrasti, pur tra fasi

alterne, ebbero comunque modo di segnalarsi per la parte imperiale i vescovi di Belluno e di Treviso. I primi soprattutto, sempre secondo Giovanni Diacono, ebbero modo di far notare il proprio accanimeno contro il Dogado, cercando di far valere i privilegi imperiali sui territori di confine con Venezia, ma soprattutto danneggiando l’espansione commerciale degli avversari nell’entroterra. In particolare il primate bellunese Aimone/Almone cercò negli anni della reggenza materna del minore Ottene III di espandersi stabilmente verso Cittanova (l’attuale Eraclea), sbocco naturale del fiume Piave e quindi scalo essenziale per i traffici tra la laguna ed il suo retroterra365.

Nel concreto sembra però che il vescovo di Belluno non fosse riuscito a cogliere l’evoluzione dei rapporti istituzionali che stava emergendo in seno alla corte imperiale nel periodo della reggenza da parte della madre dell’imperatore Teofano, poi continuata sotto la tutela di Adelaide di Borgogna. Sotto il regno delle due donne maturano le condizioni per un miglioramento dei rapporti bilaterali destinati a sfociare - una volta insediato al ruolo imperiale - nelle chiare aperture di Ottone III del 996366. I pochi documenti di questi anni riguardanti gli episcopati sembrano avvallare le

informazioni di Giovanni Diacono relative alla resistenza del vescovo Aimone di Belluno perseguita anche con la ricerca dell’appoggio politico del duca Enrico di Baviera, in quegli anni riammesso al governo del ducato dopo essere stato bandito come traditore dal cugino Ottone II ed essersi poi macchiato del rapimento del piccolo Ottone al fine di esercitarne la potestà367. Purtroppo

ci rimangono pochissimi indizi utili a ricostruire questo intervallo temporale, ma il placito che si tenne nel 998 a Staffolo per risolvere una contesa tra Venezia ed il vescovo di Belluno, così come le locazioni degli anni 997 (Ceneda) e 1000 (Belluno), sono i chiari effetti della conclusione delle annose vertenze tra le due parti in modo sfavorevole per il primate bellunese. A quanto risulta dalle premesse del documento giudiziario del 998, il nuovo vescovo bellunese Giovanni (rappresentato dall’avvocato Magilelmo) aveva cercato di trarre profitto dalle precedenti contese tra l’impero e Venezia per occupare una serie di territori a sud di Oderzo. Questo avveniva dopo che lo stesso imperatore, come segnala il Rösch, aveva deciso di rinnovare l’accordo con il Dogado nel 992,

363 GIOVANNI DIACONO, Chronicon cit., p. 150.

364 Cfr. per gli eventi generali, ORTALLI, Il ducatus e la «civitas Rivolti», cit., pp. 770-1. 365 GIOVANNI DIACONO, Chronicon cit., p. 150.

366 Cfr. su questi aspetti M. UHLIRZ, Venezia nella politica di Ottone III, in La Venezia del mille. Storia della civiltà

veneziana, Firenze 1965, pp. 31-3.

abbandonando quindi a loro stesse le iniziative dei vescovi locali368. La capitolazione delle chiese

avvenne quindi tra il 985 ed il 995, periodo in cui, ancora secondo notizie ufficiali, il presule bellunese aveva continuato il blocco commerciale contro Venezia cercando l’aiuto del duca di Baviera disatteso dopo la morte di Ottone II369. Il blocco viene prima forzato dal doge Pietro

Orseolo, e quindi ricambiato a sua volta dai Veneziani contro i vescovi con l’azzeramento delle esportazioni del sale che provocarono gravi conseguenze, sempre secondo la versione di Giovanni Diacono, per il gli allevamenti e i pascoli bovini370. Purtroppo sono molto scarse notizie sul

concreto svolgimento di questo contrasto che nelle sue fasi più acute interessò proprio la parte meridionale della diocesi di Ceneda. Tra i scarsi riscontri documentari bisogna comunque ascrivere il picco di violenza dell’incendio del castello di Oderzo operato dai Veneziani, che probabilmente fu l’atto decisivo condotto nelle strategie per contrastare l’espansione territoriale del vescovo371. E’

possibile, al riguardo, che le condotte di disturbo messe in azione dai vescovi, più che azioni militari vere e proprie (come vorrebbero il Rösch ed il Cessi) si concretizzassero invece nella continuazione dei blocchi commerciali ai danno della civitas Rivolti. Era probabilmente questa la strategia che nel complesso avrebbe potuto provocare i danni maggiori agli interessi della città. Di certo il contrasto si protrasse anche dopo la restituzione dei possessi veneziani sancito da Ottone III intorno al 995, quando era oramai evidente che Pietro Orseolo aveva stretto col nuovo imperatore un patto che andava ben al di là degli ambigui rapporti intrapresi dai suoi predecessori. Nonostante gli interventi dello stesso imperatore372, infatti, il vescovo Giovanni di Belluno continuò a rinserrarsi

in una sorta di sprezzante isolazionismo rinunciando a partecipare ad un placito promosso per comporre con Venezia la questione dei territori lagunari373. Il mutamento dei rapporti era nell’aria:

dopo l’invito di Ottone III rivolto ai suoi sudditi (i vescovi di Treviso, Ceneda e Belluno) per la restituzione dei territori occupati a danno di Venezia374, nella Pasqua del 996 con un’abilissima

mossa, Pietro Orseolo riusciva ad ottenere dall’imperatore la protezione sul suo terzogenito, anche lui di nome Ottone, nel corso della cerimonia del battesimo375. Con questa ulteriore mossa, il doge si

ingraziava ancor più i favori dell’imperatore in vista del grande successo diplomatico ottenuto pochi anni dopo durante la visita segreta dell’imperatore a Venezia376.

368 MGH, DD OIII, n. 100, p. 511; ROSCH, Venezia e l’impero cit., p. 36. 369 GIOVANNI DIACONO, Chronicon cit., p. 151.

370 Ibidem.

371 Ibidem: «Opiterginum quidam castrum igne concrematur devastari iussit». Cfr. su questa notizia pure CANZIAN,

Vescovi, signori, vassalli, cit., p. 27.

372 UHLIRZ, Venezia nella politica di Ottone III cit., pp. 34 e ss.

373 GIOVANNI DIACONO, Chronicon cit., p. 151: «adire nec conloquio videre voluisset». 374 Ibidem.

375 Cfr. la collocazione di questi eventi nelle linee della politica di Ottone III in Italia in N. D’ACUNTO, Nostrum italicum regnum. Aspetti della politica italiana di Ottone III, Milano 2002, in part. pp. 42-44.

376 Oltre a UHLIRZ, Venezia nella politica di Ottone III cit., pp. 33 e ss., GASPARRI, Venezia fra l’impero bizantino ed il regnum italico cit., p. 97.

Maturatesi dunque le condizioni per il pieno riconoscimento del ruolo di Venezia da parte imperiale, si avviavano verso l’inevitabile chiusura anche le questioni aperte con il bellicoso vescovo di Belluno. L’iniziativa militare contro Oderzo da parte di Pietro Orseolo col tacito accordo di Ottone ed il blocco del sale cui si è accennato, sfociarono nell’accordo del placito di Staffolo (998), documento col quale Venezia ottenne un successo completo, sia con il riconfermato controllo dei territori lagunari contesi, che attraverso l’inserimento dei suoi mercanti nel cuore delle vie commerciali dell’entroterra, realizzando autonome basi nel Cenedese e nel territorio del vescovo di Treviso377. E’ quindi significativo che la sentenza del placito sia emanata dal messo imperiale

Vuagerio e dal conte di Ceneda Adalberto-Azeli, due figure legate all’entourage imperiale, e quindi autorizzate ad una decisione che, almeno in parte, contrastava i termini politici del diploma del 963 teso a riconoscere un dominio territoriale dei vescovi di Belluno nella parte meridionale del comitato di Ceneda. Ancora una volta il bellicoso vescovo Giovanni non è presente a questo importante momento: al suo posto compare il suo avvocato, Magilelmo, al quale spetta il compito di riconoscere come validi gli antichi confini tra gli ambiti della laguna e quelli dell’entroterra stabiliti secoli prima dal re longobardo Liutprando. Ma con questo riconoscimento, il delegato vescovile prende pure atto anche che i labili equilibri sorti quarant’anni prima erano profondamente mutati, e i Veneziani erano riusciti ad imporre ovunque la propria pace, stabilendo rapporti di interesse e quindi di forza molto diversi da quelli imposti quarant’anni prima da Ottone I.

Tra la fine del X secolo e l’inizio del successivo diventa pertanto palese l’egemonia di ordine commerciale, ed in parte territoriale, dei Venetici sul territorio dell’antico comitato Cenedese. Come ha sottolineato Dario Canzian, questo ambito territoriale è tra i pù esposti e permeabili ai poteri esterni378; ma rispetto a queste forze centripete è necessario mettere in luce, fra tutte,

l’importanza del ruolo assunto dalla nascente potenza veneziana tra gli anni settanta e la fine del X secolo. Vi sono infatti notevoli differenze tra le presenze patrimoniali dei vescovi Bellunesi, Trevigiani e Cenedesi, o degli stessi conti di Ceneda o di Treviso, tra i quali non si ravvisa alcuna preminenza di un signore sugli altri, e il progetto di gestione del “retroterra” alle lagune che i Venetici riescono a mettere in campo negli ultimi decenni del X secolo. Questo ruolo, che si traduce nel progressivo depotenziamento degli episcopati ed in particolare delle loro pretese di egemonia territoriale, consente la creazione del sostrato necessario alla formazione di nuovi poteri locali che traggono origine proprio dal dissolvimento delle pretese territoriali del vescovi. Questo aspetto si precisa ancor meglio se confrontiamo quel che accade a Ceneda, Belluno e Concordia col coevo

377 I placiti, n. 238, p. 378.

programma di sviluppo del patriarcato di Aquileia ottenuto, come abbiamo detto, principalmente attraverso la concessione di consistenti investiture di beni e diritti379. Gli assalti all’isola di Grado

con conseguente razzia del tesoro (1024), pur se non supportati direttamente, certamente non osteggiati dall’imperatore Corrado II, evidenziano come le condizioni militari friulane potessero consentire una difesa ben diversa della propria autonomia in terraferma rispetto alle pressioni esterne380. Infatti, anche se l’impresa poponiana non produsse alcun effetto a lungo termine nel

controllo della laguna, è significativo che nel frangente essa non venne rintuzzata dalla reazione venetiaca, anche per la momentanea debolezza causata dal momentaneo esilio del doge381. Un

piccolo ma significativo esempio che rende manifesto il differente rapporto di forza tra Venezia ed il Patriarcato rispetto a quello con i vescovi veneti, esplicitato pure dal fatto che fino alla metà del XI secolo non si assiste alla nascita nel territorio friulano di iniziative commerciali veneziane che abbiano la stessa importanza di quelle che nel frattempo erano nate nelle diocesi di Ceneda, Belluno e Treviso.

§2.3. Episcopato e comitato, due poteri concorrenti? L’attribuzione dei diritti pubblici ai