LO SVILUPPO DEI POTERI ISTITUZIONALI SU BASE LOCALE
3.2.1. Uno strumento per il controllo del territorio: l’abbazia «familiare» di Sant’Eustachio di Nervesa
L’esercizio delle pubbliche potestà dei conti di Treviso per il secolo X come detto è quasi esclusivamente circoscritto alla presenza nei placiti, con una certa preponderanza – quasi esclusività - per quelli che si tengono in area trevigiana e vicentina. Si nota tuttavia che anche nella veste di giurisdicenti essi occupano un ruolo di secondo piano rispetto agli altri domini territoriali, laici ed ecclesiastici. Infatti la presidenza delle assembleee giudiziali resta comunque appannaggio di alte personalità dell’impero, nella fattispecie del patriarca di Aquileia e dei duchi di Carinzia, specie a partire dalla seconda metà del X secolo, quando la marca friulana entra a far parte del ducato carinziano. Nel corso di questo secolo non emergono particolari aspetti tali da caratterizzare un peculiare utilizzo delle dignità comitali. Questo non vuol dire però che gli esponenti della famiglia rinunciassero alle prerogative che caratterizzavano la gestione dei grandi patrimoni fondiari in quest’epoca, quali ad esempio la fondazione di una chiesa o di un’abbazia «familiare», ovvero una nuova istituzione ecclesiastica edificata in un fondo di proprietà della famiglia669. La fondazione del
monastero di Sant’Eustachio, sul colle sopra Nervesa (dove dal 994 la famiglia disponeva di un cospicuo patrimonio) risponde proprio alle consolidate linee di azione caratteristiche delle grandi dinastie signorili altomedievali. Queste ultime si possono riassumere in particolare nella necessità di porre sotto la protezione di un ente ecclesiastico strettamente controllato dalla famiglia una parte del patrimonio per sottrarlo alla fiscalità ordinaria, nella volontà di creare isole immunitarie (presidio ancora maggiore del territorio), nella creazione di una istituzione in cui possano confluire i figli non avviati alla gestione del patrimonio, e naturalmente – posti ad ultimo, ma certamente non ultimi – negli aneliti spirituali dei fondatori che riguardano sia la volontà di acquisire i meriti della vita eterna come quelli della garanzia di un servizio religioso più efficiente nel territorio670. Fondare una
chiesa significava certamente tutto questo, ma anche, come hanno messo in luce Aldo Settia e Cinzio Violante partendo da punti di vista diversi tra loro, calare sul territorio uno strumento di inquadramento, un «centro di orientamento e controllo», per ampie fascie della società locale671.
669 TABACCO, Egemonie cit., p. 208.
670 Per l’inquadramento delle questioni cfr. in generale G. MICCOLI, La storia religiosa, (Storia d'Italia), II Torino 1974, pp. 460-80; La Chiesa e il potere politico dal medioevo all'età contemporanea, (a c. di) G. CHITTOLINI E G. MICCOLI,
Torino 1986 (Storia d'Italia, Annali, 9) e nello stesso volume il contributo di SERGI, Vescovi, monasteri, aristocrazia militare cit., pp. 75-98. Casi di studio specifico sono esaminati dal SERGI, L’aristocrazia della preghiera cit., p. 6 e ss.,
ma in part. p. 10, cui si rinvia anche per i riferimenti alla bibliografia regionale, e W. KURZE, Monasteri e nobiltà nella Tuscia altomedievale, in Lucca e la Tuscia nell’altomedioevo (Atti del V congresso del Cisam), pp. 295-316, con gli
approfondimenti però riguardanti soprattutto l’abbazia di Monte Amiata. Per lo specifico di Nervesa, cfr. B. FRATE, P.
AMADIO, L’abbazia di Nervesa, Treviso 1994, in part. pp. 20-23; P. PASSOLUNGHI, Il monachesimo benedettino nella marca trevigiana, Treviso 1980.
671 SETTIA, Chiese strade e fortezze cit., pp. 43 e ss.; C. VIOLANTE, La società milanese in età precomunale, Bari 1974 (2. ed), p. 116.
L’abbazia di Sant’Eustachio viene fondata prima del 1062 da Rambaldo III, terzo esponente noto della famiglia, assieme alla madre Gisla nei pressi di un castello già esistente su quel colle. Il documento di fondazione della chiesa e la donazione del patrimonio non ci è pervenuto, mentre nel 1791 Filippo Avanzini ha trascritto la bolla – la cui versione originale si perse negli incendi dell’archivio familiare e nei saccheggi dell’abbazia del 1918 – con la quale papa Alessandro II accoglie sotto la tutela della Sede Apostolica il monastero672. La prima parte del documento datato
al 1062 riguarda la donazione e la pensionem:
[…] Unde quia tu, Gidulphe abbas, postulasti a Nobis, ut Monasterium sancti Eustachii, cui preesse
dignosceris, quod videlicet Rambaldus comes et ejus mater Gisla, zelo religionis fervente, spe future remunerationis, in possessione sua, prope castellum, quod nominatur Narvisia, in Comitatu tarvisino, construxerunt atque Apostolice Sedi donaverunt, ac pro eo pensionem sex soldorum denariorum venetorum annuatim eidem Sedi esse redenta constituerunt, inclinati precibus tuis ipsum monasterium sub tutela et defensione sancte Sedis apostolice suscipimus, et quid quid nunc juste providet vel deinceps providebitur, apostolica auctoritate confirmamus.
La bolla continua con il riconoscimento ai monaci del diritto di eleggere l’abate senza alcuna interferenza esterna, e le stesse indipendenze ed autonomie sono rimarcate nei confronti del vescovo di Treviso, cui viene prescritto l’obbligo di astenersi dall’esercizio di qualsiasi potestà sui monaci e sulle chiese battesimali che da essi dipendono (interdicentes omnio Episcopo Tarvisiensi, in cuis parochia videlicet esse sopradictum monasterium constructum etc.)673. La pensio di sei soldi di
denari venetici che viene stabilita tra il monastero e la Sede Apostolica non è molto rilevante, equivale più o meno al livello di un manso di medie dimensioni (rapportato agli stessi anni). Nel 1055, quindi pochi anni prima del documento, a Padova, un censo dovuto al vescovo dagli arimanni della pieve di Sacco viene stabilito in 7 lire di denari veneziani, cioè 1640 denari veneti: è fuor di dubbio che le dimensioni della grossa corte di Sacco, oggetto in quegli stessi anni di contesa tra il vescovo di Padova e lo stesso patriarca di Aquileia, siano ben più ragguardevoli rispetto alle pertinenze dell’abbazia di Nervesa674. E’ probabilmente in considerazione dell’aumento delle
672 Biblioteca Capitolare di Treviso (da ora BCP), F. AVANZINI, Series documentorum in haec volumina etc., I, Treviso 1791, ms., doc. 1.
673 Ibidem. Il rapporto vescovi – monasteri in è tema che si relaziona a partire da questo periodo con il tema più
generale della riforma, cfr. SERGI, L’aristocrazia della preghiera cit., p. 20 e ss. Oltre a quanto si può trarre dal profilo
generale sul ruolo e le figure episcopali nel medioevo italiano in G.G. MERLO (a c. di), Vescovi medievali, Milano 2003
(Biblioteca francescana 2003), è stato approfondito un caso regionale con riferimento alla rivendicazione dei diritti giurisdizionali da S. TIBERINI, Situazioni di conflittualità tre vescovi e monasteri in materia di esenzione (Umbria
settentrionale, sec. XIII) in «In Bollettino della Deputazione di Storia patria per l'Umbria» XCIX (2002), pp. 379-421, mentre in area veronese si rinvia ad A. CASTAGNETTI, Aspetti politici, economici e sociali di chiese e monasteri dall’epoca carolingia alle soglie dell’età moderna, in Chiese e monasteri a Verona, Verona 1981, pp. 43-110.
674 Sul dato si rinvia ad A. CASTAGNETTI, Signoria vescovile e vassalli rurali a Piove di Sacco (Padova), in La signoria
rurale nel Medioevo italiano, (a c. di) A. SPICCIANI - C. VIOLANTE, Pisa 1998, II, pp. 157-205. Il rapporto di cambio in
proprietà monastiche che, già nel 1092, il censo annuale che viene registrato nel Liber censuum della Santa Sede in relazione al monastero aumenta considerevolmente sino a giungere ai 3 soldi veronesi675.
La speciale protezione romana all’abbazia consente, assieme alla munificenza dei conti di Treviso, una immediata espansione delle pertinenze della chiesa. Tra la fine dell’XI secolo e gli inizi del XII prende infatti sempre più forma la riorganizzazione del patrimonio familiare. Attorno al patrimonio originario, la corte di Lovadina ed il Montello, si struttura la parte più organica della futura signoria territoriale: probabilmente agli inizi del XII viene costruito anche il castello di Collalto676, il primo
dei due importanti manufatti da cui nel corso del Trecento la famiglia, oramai decaduto il titolo comitale, prenderà nome. Ai margini di questo nucleo particolarmente compatto prende progressivamente forma anche quello dell’abbazia di Sant’Eustachio. Nel 1091 è Rambaldo IV a dimostrare di essere il titolare dell’ufficio di conte di Treviso (singolare il processo di trasmissione agnatizia del titolo ai maschi che portano lo stesso nome: probabilmente si tratta dei primogeniti). Egli dona in questa veste, assieme alla moglie Magtilda/Matilda, ulteriori beni, massaritias, cappella seu ecclesias, posti oltre che nelle vicinanze di Nervesa anche nei più distanti villaggi di Arcade, Spresiano, Maserada, Spercenigo, Mestre e Vedelago677.
Questa dislocazione consente alla chiesa di Sant’Eustachio di allargare l’ambito della sua organizzazione ecclesiastica in modo organico oltre ai luoghi tradizionali del potere dei conti di Treviso, e di estendersi in particolare, come evidenziato dalla figura n. 14, anche nell’area meridionale del comitato trevigiano, fin quasi a sovrapporsi all’organizzazione diocesana del vescovo. Viene a porsi in pratica, in questo modo, la strategia che consente al monastero di famiglia di diventare un vero e proprio centro di coordinamento territoriale678. Grazie a questo ruolo, il
monastero controlla le parrocchie ed estende l’influenza dei suoi protettori anche in ambiti territoriali molto distanti dal centro del potere personale dei conti di Treviso utilizzando strumenti del tutto nuovi e certamente efficaci per la famiglia. Il monastero domestico, attraverso la rete dei suoi funzionari e gastaldi, si trova infatti a gestire una parte del patrimonio familiare, dando forma a modalità capaci di incidere sia in termini patrimoniali che sulla stessa sfera spirituale, vista
CIPOLLA, Le avventure della lira, Bologna 2001, pp. 50-2. L’utilizzo in questo documento del denaro veneto in luogo del
veronese è un altro segno dell’espansione dei mercanti veneziani in questi anni di cui si è detto sopra.
675 Le Liber Censuum de l’Eglise Romaine, (a c. di) P. FABRE, «Bibliotèque des écoles francaises d’Athènes et de Rome», Paris 1889, I, p. 133: In Episcopatu Tervisino. Monasterium Sancti Eustachii III solidos veronensium. La ripetizione poche righe sotto di un censo di XII lucenses, riferito ad un Monasterium Nervesii potrebbe invece essere riferito alla certosa di Santa Maria del Montello (oggi scomparsa) sorta presso Colfosco, posta nelle immediate vicinanze del precedente.
676 Così BATTISTELLA, I conti di Collalto e la marca trevigiana cit., p. 20, ma non abbiamo rinvenuto la fonte della notizia riferita all’anno 1110, né alcun diploma imperiale a beneficio di Ensedisio e Guidone di Treviso nelle edizioni MGH ove si parli, tra le conferme patrimoniali, anche di un castello.
677 Per il documento, BCP, R. DEGLI AZZONI AVOGADRO, Documenti trevigiani, ms. I, doc. n. 371. 678 V. TABACCO, Egemonie cit., p. 209 per l’interpretazione della chiesa come base del potere locale.
l’autonomia di cui gode il monastero in questo campo. Si rafforza mediante questo duplice percorso anche il ruolo istituzionale della famiglia all’interno del comitato, ma questo significa entrare in una prospettiva di scontro con la sfera delle potestà vescovili679. In altri termini, l’estensione della chiesa
privata su territori così distanti dal centro del potere privato della famiglia (ma pur sempre all’interno dell’ufficio) può essere stata concepita come una strategia precisa volta al riassetto del potere familiare, estendendolo, mediante più efficaci forme gestione, ad aree molto distanti dal castello.
L’istromento del 1091 ha però anche una rilevanza dal punto di vista prosopografico, in quanto dalle professioni di legge apprendiamo che l’italico Rambaldo (ex professum lege longobarda) aveva sposato Matilda (la quale dice di sé ex natione mea lege vivere videor salica), figlia di un marchese di nome Burgundo, probabilmente di provenienza oltralpina. Si tratta di una notizia indicativa dei vincoli matrimoniali tra nobiltà, o ceto di possessori italici in generale, con immigrati nordici (teutisci)680. Purtroppo non è possibile identificare con precisione il marchese Burgundo,
non contemplato dal repertorio dello Hlawitscka681, tanto più che i beni donati, trovandosi tutti nel
territorio trevigiano, sono poco utili a farci risalire all’origine del donatario. Nella maggior parte dei casi, è infatti proprio attraverso i numerosi documenti di dotazione dei monasteri e degli enti ecclesiastici in generale che riusciamo ad intravvedere gli stretti legami di affinità tra i membri più importanti del territorio trevigiano e friulano di questi anni. L’ospitale di Santa Maria presso il Piave, fondato in loco Talponus in precedente epoca imprecisata, è beneficato nel 1120 da una donazione congiunta di tre aristocratici, i conti Rambaldo di Treviso, Valfredo di Colfosco ed Ermanno di Ceneda, e da una figura di crescente – ma ancora non completamente palesata – influenza: Gabriele di Guecello da Montanara, che di lì a poco troveremo come Gabriele da Camino682. I donatari sono tutti italici (professimus ex natione nostra lege vivere Longobarda), e
questo, assieme alla comunanza nel possesso dei beni in Talpone, ha spinto soprattutto gli autori antichi ad ipotizzare che i da Camino, i conti di Treviso e quelli di Ceneda appartenessero ad una unica famiglia. Questo può valere probabilmente per il rapporto tra Rambaldo di Treviso e Valfredo
679 Cfr. supra la bibliografia indicata in n. 673.
680 In realtà non sempre la professione di legge in questo periodo è interpretabile nel senso della riconoscibilità geografica, come dimostra per primo L. A. MURATORI, Dissertazioni sopra le antichità italiane, Milano 1753, II, Diss.
XXII, citando il nostro documento ed un regesto reggiano del 1091 dove una figlia di Rambaldo III, un’altra Matilda, muta l’ordinamento giuridico di provenienza in quello alemanno dopo aver sposato l’alemanno Uchone. Sui teutisci, ancora A. CASTAGNETTI, Immigrati nordici, potere politico e rapporti con la società longobarda, in Kommunikation und Mobilität im Mittelalter. Begegnungen zwischen dem Süden und der Mitte Europas (11.-14. Jahrhundert), (a c. di) S. DE
RACHEWILTZ - J. RIEDMANN, Sigmaringen 1995, pp. 27-60 (trad. it. ID. Comunicazione e mobilità fra il Sud e il Centro dell'Europa [secoli XI-XV], pp. 49-107),
681 HLAWITSCKA, Franken cit.
682 VERCI, Storia della marca Trevigiana cit., doc. XII, p. 15, ma cfr. pure il contributo di G. CAGNIN, Assistenza e ospedalità nel Veneto medioevale, in Il monachesimo nel Veneto medioevale, Atti del Convegno di studi in occasione
del Millenario di fondazione dell’Abbazia di S. Maria di Mogliano Veneto (Treviso), 30 novembre 1996, (a cura di) F.G.B. TROLESE, Cesena 1998 (Italia benedettina, 17), p. 136-146.
di Colfosco. Essi compaiono in coppia (ideoque nos Rambaldus et Valfredus […] donamus et offerimus a presenti die in eadem ecclesia et hospitali per animarum nostrarum mercede nominatim omnes res et proprietates, seu et pertinentias illas juris nostri), e documenti posteriori di un decennio hanno indotto alcuni storici a confermare la loro stretta parentela in virtù di una clausola ereditaria che garantisce la trasmissione di proprietà tra le due famiglie683. La prima ipotesi
(formulata sulla scorta di un esame scientifico) sul rapporto tra queste famiglie risale agli inizi del secolo scorso: ne fu propugnatore Luigi Bailo684. Ma già prima di lui questa profonda suggestione
influenzava cronisti e storici da alcuni secoli.
§ 3.3. L’utilizzo di titoli e potestà pubbliche presso conti di Ceneda
Il problema delle origini ha fortemente influenzato gli storici trevigiani e cenedesi antichi, specie per quel che concerne l’analisi degli accadimenti dei secoli X e XI. Particolarmente interessati alla genesi delle più illustri famiglie comitali, i cronisti trevigiani più antichi, quali l’Anonimo Foscariniano e Bartolomeo Zuccato685, si sono dimostrati spesso sensibili alla retorica genealogista
dei secoli in cui scrissero (XVI-XVII). Il ricorrente processo di reductio ad unum, secondo cui tutti i personaggi di rango comitale o marchionale documentati nel XII secolo sarebbero discesi da una unica, illustrissima progenie, non ha risparmiato nemmeno agli inizi del secolo scorso Giovanbattista Picotti, storico di riconosciuto valore, autore di un datato ma ancor oggi insuperato studio organico sulla famiglia dei signori da Camino686. Molte energie sono state spese a questo
riguardo, e soprattutto in questa comune prospettiva, anche in altre opere del periodo che va dagli inizi del Seicento agli inizi del Settecento. I lavori degli eruditi Giorgio Piloni e quello ancora inedito di Giovan Battista Mondini si sono rivelati spesso benemeriti per la trascrizione di documenti altomedievali altrimenti irrimediabilmente persi, ma riportano a loro completamento un arbitrario intreccio di interpretazioni che ha come leit motiv la ricostruzione di un «ordine
683 Per la parentela tra i conti di Treviso e quelli di Colfosco secondo le indicazioni di cronisti antichi rinviamo alle considerazioni preliminari del paragrafo successivo. Riguardo ai documenti, in una donazione del 1128 (GLORIA, Codice diplomatico padovano cit., I, doc. 121, p. 157) compare un Albertus q. Valfredo che lascia la curia di Colfosco a
Rambaldo di Treviso. Ma questa ipotesi viene contestata da GB. PICOTTI, I Caminesi e la loro signoria in Treviso dal 1283 al 1312, Livorno 1905 = Treviso 1975 (ediz. anast. con aggiornamento a c. di G. NETTO), p. 20, n. 1, secondo il
quale Alberto risulterebbe in quest’epoca un esponente della famiglia comitale trevigiana, in quanto in questo documento non compare Sofia di Colfosco, co-titolare dei diritti comitali. Ma il documentato possesso di Sofia di beni nel Cenedese e nel Bellunese nel 1162 (PICOTTI, Ibid., doc. I in appendice al testo), potrebbe essere il frutto di una
divisione ereditaria seguita alla morte di Valfredo. Questo spiegherebbe il motivo per cui dopo il suo decesso (avvenuto tra il 1120 ed il 1128) una parte dei beni sarebbe riconfluita nella famiglia dei conti di Treviso, mentre un’altra corrispondente ai beni ereditati per via materna (quelli posti in ambito bellunese e cenesede) sarebbe invece confluita per via femminile nei da Camino con lo sposalizio tra Gabriele da Camino e Sofia di Colfosco. Cfr. infra n. 551 e ss. col testo corr.
684 L. BAILO, Il comune di Treviso fino alla perdita della sua indipendenza, in «Nuovo Archivio Veneto», IX, pp. 361-2, ripreso pure dal PICOTTI, I Caminesi e la loro signoria in Treviso dal 1283 al 1312 cit., pp. 18-20.
685 ANONIMO FOSCARINIANO, Cronaca Trevigiana, ms. in BCT, Fondo principale, bb. 1392, 1397b; B. ZUCCATO, Cronica
trivisana, Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia, mss. it., classe VI, 337 (5991), c. 204v.