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L’organizzazione regia ed imperiale in Italia prevedeva che conte e marchese esercitassero le principali funzioni pubbliche, e tra esse c’era la difesa del popolo, quale risultato di un programma di coordinamento395. Tutto questo si esplicitava sostanzialmente nell’esercizio delle armi in stretta

aderenza alle strategie imperiali, nelle funzioni «esecutive» legate alle attività giurisdizionali (si pensi al potere di distringere nel territorio delegato), nel ruolo di riscossione dei tributi pubblici, e più in generale nelle funzioni amministrative anche legate alla tutela del patrimonio pubblico396. A

partire dal X secolo alcune di queste prerogative vengono esercitate anche dai vescovi all’interno delle città ed in alcuni casi delle diocesi397: i casi friulani e veneti offrono al riguardo alcuni

elementi di comprensione.

L’esercizio delle armi, in quanto prerogativa più rappresentativa del funzionario regio nel suo territorio, non sembra essere stato stabilmente esercitato dai vescovi398. Le poche notizie offrono

invece l’immagine di un impegno degli ecclesiastici in servizi accessori o di supporto. Il più rappresentativo riguarda il patriarca di Aquileia che sicuramente, nei secoli X e XI, rivestì tra i diversi obblighi (pur non compresi in alcun rapporto sinallagmatico con il proprio dominus) anche quello di affiancare l’imperatore in alcune imprese militari399. Sotto Carlo Magno, l’obbligo agli

ecclesiastici di seguire il re nelle campagne militari alla guida del proprio gruppo di armati viene contestato proprio dal patriarca aquileiese Paolino, che intorno al 790 scrisse a Carlo per fargli

394 Cfr. G. CUSCITO, Paolino d’Aquileia nelle sinodi di Francoforte e di Cividale ,in Atti del convegno internazionale di

studio su Paolino d’Aquileia nel XII centenaio dell’episcopato cit., pp. 115 e ss.

395 Sul ruolo «fondante» dell’esercito nella stessa ideologia di governo dei sovrani carolingi e post carolingi in Italia, cfr. G. TABACCO, Gli orientamenti feudali dell’impero in Italia, citato da ID. Dai re ai signori. Forme di trasmissione del potere nel medioevo, Torino 2000, p. 89 e ss.

396 Cfr. nella sterminata bibliografia le sintesi di riferimento di PROVERO, L’Italia dei poteri locali cit., pp. 21-30 e G. ALBERTONI - L. PROVERO, Il feudalesimo in Italia, Roma 2003, pp. 33 e ss.

397 FUMAGALLI, Il potere civile dei vescovi cit. p. 77 e ss.

398 Sembrano escludere un preciso ruolo o una forma di attribuzione militare del clero dal X secolo in poi (anche per l’inserimento del territorio friulano in una circoscrizione affidata ad un funzionario pubblico quale il conte o il duca di Carinzia): PASCHINI, Storia del Friuli cit., I, 195; SCHMIDLINGER, Il patriarcato cit. p. 161; SETTIA, Chiese e fortezze in

Friuli cit., p. 221.

399 Un accenno alla partecipazione del patriarca alla campagna di Pipino re d’Italia contro gli Avari, sul finire del VIII secolo e l’inizio del IX in MOR, S. Paolino e Carlo Magno in Atti del convegno di studio su Paolino d’Aquileia cit., p.

33 (senza tuttavia citare la fonte), ma l’esercizio delle armi doveva essere abbastanza consolidato anche al di fuori dell’obbligo di auxilium, come attestano gli agguati armata manu alla chiesa di Grado portati dai patriarchi nel corso dei secoli IX e X, cfr. HÄRTEL, I patti con il patriarcato Aquileia cit., pp. 18-22.

comprendere l’impossibilità degli ecclesiastici di portare armi400. La politica del re franco si

dimostrava fortemente contraddittoria sull’argomento, avendo egli stesso nel 793 sancito l’inconciliabilità del ruolo di pastore e guerriero. Del resto il divieto ai chierici di portare armi era cosa antica, essendo il precetto enunciato per la prima volta nel concilio di Calcedonia del 451401.

Queste disposizioni non riguardarono però l’alto clero, quello titolare di importanti patrimoni e con esso pure di clientele armate, al quale fu nella sostanza sempre fatto obbligo di seguire l’imperatore nei campi di battaglia; il Contamine ha valutato solo dalle fonti letterarie ben dieci vescovi morti nel corso di battaglie in Germania nel corso del primo decennio del X secolo402. Il patriarca di Aquileia

che nel corso del X secolo era già in fieri un grande principe territoriale, risultava certamente inquadrato nel contesto delle strategie imperiali, e come tale doveva assumersi alcuni precisi oneri tra i quali l’ assistenza in caso di guerra del proprio signore. Tali impegni divennero comunque più sistematici dopo l’investitura del comitato avvenuta nel 1077, anche se la militarizzazione dell’apparato ha i suoi vertici in precedenza con l’elezione del patriarca Poppone degli Ottocari di Stiria (metà del X secolo)403. Di poco successiva è la notizia di un servizio armato non meglio

precisato che il vescovo di Treviso svolgeva a Verona, probabilmente in occasione della discesa dell’imperatore o in occasione dei placiti. Il privilegio veniva emanato da Enrico IV, in un diploma probabilmente perduto, e confermato nel 1114 dal figlio Enrico V al vescovo Gumboldo404.

Detto questo, le fonti non giungono a determinare’impegno patriarcale a favore degli imperatori in questo periodo mediante, per esempio, l’esplicito giuramento di fedeltà personale o quello dei secundi ordinis milites vescovili, come accade in modo più esplicito con il vescovo di Como Valdone in vista della chiamata militare405. Il potenziamento del patriarcato in chiave militare

avviene con compiutezza solo con l’investitura al prelato dell’intero comitato friulano, seguendo da vicino il ridimensionamento del ruolo militare della figura dei conti-marchesi del Friuli. Allo stesso momento non è dimostrabile invece che le istituzioni ecclesiastiche territorialmente più antiche, ovvero i vescovadi di Concordia e Ceneda ed il monastero di Sesto, esercitassero funzioni militari in quest’epoca: le prime notizie utili a comprendere l’esistenza di un piccolo numero di armigeri per contribuire alla leva patriarcale risalgono nei casi di Sesto e Concordia agli inizi del XIV secolo406.

400 Paolino riesumava l’argomentazione evangelica dell’impossibilità di servire a due padroni: una ricostruzione della vicenda in P. CONTAMINE, La guerre au Moyen Age, Paris 1980 (qui considerato nella trad. it. La guerra nel medioevo,

Bologna 1986), p. 365. 401 Ibidem., p. 364. 402 Ibid., p. 365.

403 cfr. H. DOPSCH, Il patriarca Poppone di Aquileia (1019-1042). L’origine, la famiglia e la posizione di principe della

Chiesa, in Poppone. L’età d’oro del patriarcato di Aquileia, Aquileia 1997, pp. 21 e ss.

404 Cfr. copia trecentesca del documento in ADT, Diplomatico, Diplomi regi ed imperiali, n. 16. Cfr. l’edizione del VERCI, Storia della marca trevigiana veronese cit., VI, doc. alla data 1114, e A. SARTORETTO, Antichi documenti della diocesi di Treviso, Treviso 1979.

405 MIGNE, PL, 134, col.101.

406 U. MERANGHINI, Nozione del combattente nelle antiche istituzioni della Patria del Friuli, in «MSF» XLIX, Udine 1970, p. 23; esauriente con i necessari rimandi alla documentazione, P. S. LEICHT, Il parlamento della Patria del Friuli.