LO SVILUPPO DEI POTERI ISTITUZIONALI SU BASE LOCALE
3.1.3 Il ruolo dei castelli nello sviluppo del potere patriarcale.
Riassumendo le informazioni che abbiamo schematicamente riportato, possiamo dire che la situazione dell’incastellamento nell’area friulana si presta alla seguente schematizzazione. Esisteva, sin dai secoli VI e VII un sistema di fortezze pubbliche posizionate soprattutto nell’ambito nord orientale del Friuli, in corrispondenza del fiume Fella e del Canal del Ferro, da cui nell’VIII secolo è documentata la penetrazione avara contrastata dai Carolingi. Queste fortezze vennero ristrutturate già dai longobardi nel VII secolo, che le utilizzarono a loro volta per contrastare le incursioni avare tra i secoli VII e VIII. Alcune di queste fortezze nell’area prealpina furono a loro volta oggetto di ulteriori ripristini nel X secolo per renderle efficenti in occasione delle scorribande ungariche. In questo ambito, pertanto, possiamo collocare forme di incastellamento molto antico, a volte riconducibili agli stessi insediamenti di età repubblicana ed imperiale (v. i casi di Artegna e Zuglio Carnico), di volta in volta riattivati da Goti e Longobardi in una strategia di limes fortificato a contenimento delle incursioni provenienti da nord. Con l’avvento dei Carolingi, ed almeno fino al regno di Berengario, l’iniziativa sull’edificazione o la ristrutturazione dei castelli permane ancora nelle mani del potere pubblico. Vi sono alcune eccezioni nel Friuli occidentale, dove l’organizzazione del grande patrimonio dell’abbazia di Sesto prevede giù nel IX secolo una strutturazione mediante alcune cente e corti fortificate per la gestione delle derrate agricole. Ma, come detto, è una situazione abbastanza peculiare nel quadro regionale, così come analoga è per alcuni versi quella dell’episcopato di Concordia.
Alcuni segnali indicanti la rimodulazione dell’assetto tattico avviene proprio in concomitanza con gli spostamenti delle cavallerie ungariche attraverso i percorsi trasversali est-ovest del Friuli (la via ungarorum, la via Annia e due tratti paralleli della Postumia maior e minor). Questi eventi portarono, nei primi anni venti del X secolo, a puntuali interventi di fortificazione e riatto di castelli localizzati prevalentemente nella pianura friulana orientale, come dimostrano gli emblematici casi di Savorgano, Pozzuolo e la stessa Cividale. Nel caso di Cividale e Pozzuolo, Berengario delega al patriarca la ristrutturazione di fortezze che erano già di proprietà pubblica. Con questi diplomi egli entra in modo ufficiale nel contesto delle iniziative militari per la difesa del regno. Invece, nell’area occidentale, la diretta corrispondenza tra le irruzioni ungare e la fondazione di opere difensive è probabile, ma non documentata in modo puntuale. In particolare nel Concordiese, dove un reticolo di strade collegava questa zona al territorio sloveno, pur essendo dimostrata l’irruenza delle cavallerie magiare, è difficile definire con precisione la corrispondenza con le iniziative fortificatorie. In definitiva il nesso tra incastellamento e scorribande ungariche è un aspetto che pur indubbiamente presente nella storia del Friuli del X secolo va dimostrato caso per caso. Nei pochi casi documentabili, questo genere di incastellamento si verifica soprattutto su impulso del potere
centrale, il quale dispone in questo senso principalmente con destinatario il patriarca. Ciò, come si è visto, riguarda in particolare alcuni castelli più antichi, originariamente fiscali, che poi vennero muniti o restaurati in vista delle nuove ondate di invasioni. In questi termini possiamo univocamente leggere i pochi diplomi di Berengario in Friuli per i primi due decenni del X secolo. In conclusione, è evidente che le scorribande ungariche non bastino a sostenere l’ipotesi di un massiccio incastellamento su base regionale. Per questo motivo appare più che probabile che gli apparati venissero abbandonati nei periodi di pace, e poi oggetto di importanti opere di consolidamento e riattamento in occasione dei momenti di pericolo: del resto si trattava sempre e comunque di strutture militari.
Il ruolo attivo nella difesa del regno interpretato dai Patriarchi consente al nuovo sovrano Ugo di giustificare l’annessione ad Aquileia del debole episcopio di Concordia (928), stremato dalle incursioni ungare, ma anche l’inglobamento nel patrimonio patriarcale del castello di Muggia, sul litorale triestino, strettamente connesso al sistema dei collegamenti con la penisola istriana. La posizione centrale di Cividale, e con essa delle principali fortezze patriarcali, è l’implicita intelaiatura di questo quadro di potere. Castellum nomine Mugla, adiacens supra littus oceanis maris in comitatu Istriense, viene ceduto da re Ugo al patriarca il 17 ottobre 931 con un atto steso a Verona su proposta del vescovo Guido e del marchese Bosone definito dal re nostrum dilectissimum fratrem et gloriosissimum marchionem620. Il documento non fa menzione
all’importanza strategica dell’edificio, posto in una sede di passaggio obbligato tra le alpi carniche ed il mare, ma si prolunga sui diritti di natura giurisdizionale – placito, censi, distretto angarie e redditi - che erano connessi al castellum de iure regni nostri, come lo appella Ugo621. Ma più di ogni
altra cosa doveva valere l’importanza geografica della fortificazione, soprattutto in vista dell’ennesima incursione ungara del 933 che trovò ancora una volta il regno impreparato ed impotente per ragioni sia endogene che esogene622. Anche in questo caso dunque un castello
preesistente ed in origine demaniale, che viene donato ai patriarchi solo in seguito. Questo ulteriore documento chiarisce ancora una volta che nel territorio della nostra indagine le fortificazioni di una certa importanza, quelle cioè dotate di giurisdizione e di infrastrutture di difesa, erano una potestà almeno in origine all’apparato pubblico, e solo in seguito furono trasferite a chiese o privati. Del resto la costruzione di un castello, così come una dichiarazione di guerra, comportava sforzi
620 I diplomi di Ugo e di Lotario, di Berengario II e di Adalberto cit., n. 28, pp. 85-7. Sottolineiamo ancora una volta l’accordo tra il marchese e l’imperatore nellìindirizzo di beneficiare con questa importante potestà il patriarca.
621 Ibidem, p. 86.
622 MOR L’età feudale cit., I, pp. 136 e ss. Tra il 932 ed il 933 re Ugo si trova infatti a fronteggiare l’insurrezione romana seguita al suo matrimonio con Marozia e quindi, a seguito della cacciata e del fallito assedio su Roma, il governo di Alberico, unico dux, sulla città. Ben più gravi nel 933 le incursioni saracene sull’Italia centro occidentale che costringono il re a stazionare stabilmente nel territorio padano.
economici ingentissimi per l’epoca, investimenti con risvolti tecnologici e costruttivi impegnativi, e spese di manutenzione altrettanto smisurate, visto l’alto grado di usura e di deterioramento cui erano soggetti. Ed appare evidente che solo una amministrazione da cui si potessero trarre profitti materiali, corvèes, angariae e soprattutto la disponibilità di uomini da armi da alloggiare e stipendiare (anche attraverso le svariate forme beneficiali in uso nel medioevo) potesse sostenere un peso del genere.
Dopo questa fase di incastellamento caratterizzata dal trasferimento di fortezze pubbliche al patriarca, culminata con la donazione di cinque castelli a ridosso di Cividale avvenuta nel 983, mutano sensibilmente le dinamiche di formazione dei nuovi apparati militari. Le nuove opere di fortificazione si inseriscono sempre più chiaramente nei processi di gestione della grande signoria patriarcale nella pianura e nel pedemonte friulano. La lettura dei processi di formazione dei nuovi castelli dal XII secolo in avanti è abbanza univoca in questo senso. Si parte dalla necessità del signore feudale di controllare una porzione del prorpio territorio che viene affidata ad un ministeriale. Quindi, nell’ambito dell’attività di gestione del feudum, prende forma il castello che viene custodito per funzioni militari (ed ecco la diffusione dei feudi di abitanza, chiarita dal caso di Lorenzaga), oppure diviene un centro di controllo della popolazione e delle terre circostanti (come avviene nei programmi di popolamento nella pianura friulana ad Azzano e a Salvarolo e Settimo). In tutti i caso, comunque, le nuove edificazioni sono associabili a programmi più vasti di funzionamento della signoria territoriale.
§ 3.2. Gli Ottoni ed il rinnovamento delle dignità pubbliche: i «nuovi» conti di Treviso.
Un momento importante nella mutazione degli assetti pubblici di quella che era stata l’antica marca friulana avviene quando, nel 952, Ottone I di Sassonia afferma il suo dominio sull’Italia settentrionale conquistando la Lombardia, e successivamente, sposando Adelaide di Borgogna (la vedova del re d’Italia Lotario II, forse avvelenato dal successore Berengario II), assume il titolo e la corona regia623. Finisce in questo modo il periodo di instabilità caratterizzato dalla debolezza nel
controllo del Regnum che si prolungava con Berengario II ed il figlio Adalberto. Le basi del potere reale di Berengario II erano molto distanti dal territorio veneto e friulano. Egli apparteneva, come noto, al gruppo parentale Anscarico che esprimeva dall’898 i marchesi di Ivrea, con potere delegato su un amplissimo territorio che comprendeva tra l’altro Torino, Vercelli, Aqui ed Asti624. I
presupposti della rivendicazione e l’ottenimento del trono pervennero all’Anscarico dall’essere nipote di Berengario del Friuli: sua madre Gisla era infatti figlia dell’imperatore unrochingio che, in una strategia di gestione del potere basata sul coinvolgimento delle più eminenti famiglie del regnum, andò sposa al padre Adalberto I d’Ivrea. In realtà, stando a quanto trasmettono la ventina di diplomi che Berengario II emanò durante la sua reggenza, i rapporti tra Pavia e l’area del nord est del regnum non furono mai molto intensi, almeno al confronto con la politica del suo omonimo avo Berengario del Friuli, che per molteplici ragioni può essere definito un «sovrano regionale». Allo stesso modo i pochi interventi destinati a beneficiare fideles impegnati a sostenere la sua causa, che corrispondono a circa un quarto del numero complessivo di atti emanati, riguardano spesso «posizioni di potere» già ben stabilizzate quasi esclusivamente nell’Italia nord occidentale. L’unico caso geograficamente eccentrico concerne una famiglia di origini italiche (quindi di professione longobarda) che si consolida proprio in quegli anni nella zona pedemontana, a nord est di Treviso625. Sono i futuri conti di Treviso, dalla fine del XIII secolo noti come conti di Collalto e San
Salvatore.
Anche se il privilegio dell’imperatore anscarico è il primo documento che conosciamo sulla famiglia, non è possibile credere che tutte le fortune dei Collalto derivino da questo atto, che pure è un diploma molto significativo. Nel X secolo, in un panorama di generale frantumazione del potere centrale e di rafforzamento delle più significative isole periferiche, sono proprio le realtà locali più solide dal punto di vista patrimoniale ad ottenere riconoscimenti dai sovrani, non raramente interessati a conquistare il loro determinante appoggio per rinsaldare la tela delle alleanze. Questa politica di riconoscimenti consente in alcuni casi l’ulteriore sviluppo di famiglie già in fase di
623 Cfr. MOR, L’Età feudale cit., p. 179; FUMAGALLI, Il Regno italico cit., p. 199
624 Cfr. G. SERGI, La geografia del potere nel Piemonte romanico, in Il Piemonte Romanico, (a c. di) G. ROMANO, Torino 1996, pp. 14 e ss.
625 Il documento è edito in P. A. PASSOLUNGHI, I Collalto: linee, documenti, genealogie per una storia del casato, Treviso 1987, p. 113, doc. 1; sulla famiglia i brevi cenni anche di CAMMAROSANO, Nobili e re cit., p. 259.
dinastizzazione alla fine del IX secolo, la cui fortuna poteva esser legata all’esercizio di pubblici uffici o semplicemente essere vincolata ad un rapporto di tipo vassallatico con un dominus laico o ecclesiastico. Proprio a partire dalla prima metà del X secolo divengono sempre più frequenti gli iter di affrancamento e riposizionamento sociale che traggono origine dal servizio vassallatico nella familia di un potente dominus, spesso appartenente a sua volta alla familia imperiale o regia626. Ugo
e Lotario ed i successori Berengario II ed Adalberto rinunciano ad una politica di diretta gestione del patrimonio pubblico su vasta scala, portando all’estremo quella tendenza di riconoscimento locale delle clientele che abbiamo già visto nel contesto friulano sotto Berengario I. Ma a differenza degli atti operati dal nonno materno, che comunque rispondevano ad una logica di natura territoriale legata al consolidamento del proprio potere in Friuli ed in Veneto, con Berengario II mancano ora le condizioni oggettive per dar vita ad un regno unitario e stabile, anche se di dimensioni regionali. A questo contribuisce in primo luogo la formazione di una aristocrazia sempre più forte che si dota di poteri locali sempre più saldi e soprattutto svincolati dalle politiche regie, tanto da poter diventare interlocutrice non necessariamente passiva dello stesso potere centrale, mantenendo soprattutto le importanti posizioni acquisite anche in caso di decadimento dei sovrani627. E’ infatti da questo
novero di famiglie, legate tutte da rapporti di altissimo livello, che vengono espressi i re italici, o comunque tra le stesse che si contende il diritto alla sua elezione. Ma a questa aristocrazia di origine carolingia si affianca, come detto, quella delle famiglie nuove che in breve tempo salgono la scala sociale partendo dai ruoli più diversi. Spesso provengono dalle familiae episcopali, oppure partono da posizioni patrimoniali già salde, o ancora, più frequentemente, dal comune status di vassalli628. Il
caso dei successori di Rambaldo/Regimbaldo, beneficiato da Berengario II con un diploma datato 25 ottobre 958, risponde proprio a queste dinamiche interpretative629. Senza ripercorrere il profilo
documentario già illustrato dagli studi citati, intendiamo concentrarci su alcune questioni legate al processo di trasformazione della famiglia dallo status di semplici allodieri alla conquista di quello ben più significativo di conti di Treviso. Si tratta di un processo che Rambaldo ed il suo omonimo
626 PROVERO, Apparato funzionariale e reti vassallatiche nel regno italico, cit., p. 5. 627 Ibidem, p. 7, e CAMMAROSANO, Nobili e re cit., p. 269.
628 Sulle relazioni vassallatiche nell’Italia post carolingia intese come presupposto allo sviluppo signorile, KELLER,
Signori e vassalli nell’Italia delle città cit., pp. 270-281.
629 Pur essendo argomento ripreso in studi di carattere regionale, cfr. CASTAGNETTI, Il Veneto nell’altomedioevo, cit., p. 97, 98 e passim; GASPARRI, Dall’età longobarda al secolo X, cit., p. 33-35, la bibliografia specifica sui conti di Treviso –
conti di Collalto e S. Salvatore non dispone di un contributo di specifico approfondimento per il periodo medievale, anche se (con riferimento allo specifico periodo) restano valide – pur nella loro essenzialità - le sintesi di P. A. PASSOLUNGHI, I Collalto: linee, documenti, genealogie per una storia del casato, Treviso 1987, in part. pp 36-40 per le
vicende dell’altomedioevo; e ID., Il castello di San Salvatore dei conti di Collalto, Treviso 1990; cfr. pure per alcune
notizie sui rapporti con la famiglia da Camino il breve opuscolo AAVV, I Collalto. Conti di Treviso, patrizi veneti,
principi dell'impero, Vittorio Veneto 1998, e per completezza, O. BATTISTELLA, I conti di Collalto e la marca trevigiana,
Treviso 1928, pubblicazione quest’ultima fortemente influenzata dalla retorica fascista, messa in stampa per la celebrazione di un anniversario di casa Collalto.
figlio riescono a compiere in poco più di quarant’anni e che nello specifico rappresenta un iter assolutamente esclusivo nel territorio dell’antica marca carolingia del Friuli.
La vicenda documentaria di Rambaldo di Lovadina inizia dunque nell’anno 958, con la contestuale concessione della corte omonima posta in prossimità del guado tra il Montello e Nervesa, sul medio corso del Piave630. Questa comparsa non ci consente di mettere in relazione il donatario agli ultimi
conti di Treviso, documentati agli inizi del IX secolo631. E’ anzi molto probabile che il gruppo
parentale che prende origine da Rambaldo non abbia alcuna relazione con i titolari dell’ufficio regio trevigiano di epoca carolingia. La «novità» della famiglia trova un labile indizio anche nel modo in cui viene descritta l’intercessione operata a suo favore da un Lanzone, non meglio riconoscibile fidelis di re Berengario II, che raccomanda a sua volta il fidelis Rambaldo al re in una logica di «fedeltà subordinate» che danno vita ad un sistema di reclutamento ed allargamento delle clientele632. Il processo di ascesa sociale di Rambaldo e della sua famiglia è per alcuni aspetti ancor
più stupefacente di quello che negli stessi anni stava interessando i Canossa, perché nel caso trevigiano non sussistevano quei presupposti di legame vassallatico capaci di stabilire un vincolo di subalternità, così come accadeva per Adalberto-Atto con il vescovo di Reggio633. Oscure sono
dunque le condizioni sociali di Rambaldo-Regimbaldo, che ottiene la corte que noncupatur Luvadina adiacentem in comitatu Tervisiano non longe a flumine quod nominatur Plave con tutti i diritti ad essa correlati634. La corte, come si è visto, si trova in comitatu Tarvisiano, elemento che
denota ancor viva, nella cancelleria pavese, la conoscenza dell’organizzazione territoriale secondo formule geopolitiche che definivano in modo più chiaro la partizione del regno635.
630 Il documento trascritto dall’originale, oggi presso l’archivio Collalto del castello di Ungarschitz sta in PASSOLUNGHI, I
Collalto: linee, documenti, genealogie per una storia del casato cit., p. 113, doc. 1. Confrontando questo diploma con
successivi diplomi di conferma e donazione del 980, 994 e 996, di cui si parlerà nelle pagine seguenti, è ipotizzabile che la corte di Lovadina comprendesse già in origine un ampio settore territoriale che oltre al guado del Piave si estendeva alla foresta del Montello, coprendo tutto l’omonimo gruppo collinare che divide la pianura trevigiana dall’ambito montano sotto Asolo e Feltre. Si tratterebbe pertanto di un’entità molto più estesa del singolo villaggio di Lovadina, che richiama per analoghe caratteristiche la coeva corte di Naone (cfr. infra par. 4.2).
631 Per le notizie sui conti di Treviso in epoca carolingia, cfr. supra par. 1.2 e 1.4. Anche il genealogista di famiglia, Enrico di Collalto, corrispondente del Muratori, che ebbe la possibilità di attingere al notevole archivio familiare poi distrutto nel corso della prima guerra mondiale esclude la continuità tra la sua famiglia e i titolari dell’ufficio comitale di Treviso agli inizi del secolo IX: E. DI COLLALTO, Genealogia dell’antichissima e nobilissima famiglia de’ conti etc., in
PASSOLUNGHI, I Collalto: linee, documenti, genealogie per una storia del casato cit., p. 193.
632 Cfr. CAMMAROSANO, Nobili e re cit., p. 259, per il confronto del sistema delle intercessioni con quello di Ugo e Lotario.
633 Cfr. V. FUMAGALLI, Le origini di una grande dinastia feudale. Adalberto-Atto di Canossa, Tübingen 1971.
634 L’importanza del guado di Lovadina sul Piave, punto obbligato per guadagnare la pianura veneta giungendo dai percorsi montani, è esplicitata in PASSOLUNGHI, I Collalto: linee, documenti, genealogie per una storia del casato cit., p.
39.
635 Sull’uso del lemma comitatus con i medesimi significati, cfr. RAPETTI, L’organizzazione distrettuale in Lombardia tra
impero e città cit., pp. 20 e ss. Questo problema, con riferimento però al territorio del Vendôme, è stato oggetto di una
analisi di dettaglio da D. BARTHÉLEMY, La socieété dans le comté de Vandomois. De l’an mila u XIVe siècle, Paris 1993,
Il fatto che il fidelis Rambaldo-Reginaldo di Lovadina sopravvivesse alle disgrazie politiche del proprio dominus in capite Berengario II, ed anzi aumentasse il suo prestigio sino a essere nominato conte già sotto l’imperatore Ottone il Grande, ha fatto pensare ad un rovesciamento di posizioni (o quanto meno alla neutralità) dei futuri conti di Treviso in occasione della discesa in Italia di Ottone nella decisiva presa di San Leo che segnò la sconfitta del re Anscarico (963)636. La successiva
presenza di Regimbaldo comes comitato Tarvisianense in un placito veronese del 972 presieduto dal patriarca di Aquileia indica inoltre che, già sotto Ottone I, Rambaldo era riuscito a guadagnare i favori imperiali divenendo una figura di assoluto rilievo, tanto da essere reclutato nel gruppo degli amministratori del patrimonio pubblico. In questo modo l’imperatore sassone ristabiliva quindi una carica che negli ultimi decenni del IX secolo si stava sempre più «oscurando» anche in ragione del prestigio sempre maggiore degli Unrochingi in Friuli. La famiglia marchionale friulana, attraverso Everardo e Berengario, aveva infatti esteso il suo dominio politico oltre che sul Friuli anche su molte aree del vicino Veneto come si può arguire dal già documentato possesso di Everardo della corte di Musestre, sita per l’appunto nel comitato di Treviso, o dalle presenze patrimoniali di Berengario nel Bellunese e nel Cenedese637. Come si è già ricordato, poi, durante il regno di
Berengario scompaiono quasi completamente le menzioni riguardanti i conti638: anche per questo la
nomina ad ufficiale pubblico di Ottone I a favore di Rambaldo appare, a metà del X secolo, un fatto eccezionale. Essa è ancor più rilevante se messa in relazione all’attività politica di Ottone I in Italia,