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a) La tesi separatista

10. Bilancio conclusivo

L’annoso problema di una composizione separata o unitaria del CS pare destinato a rappresentare una vexata quaestio fra gli studiosi di Prudenzio. Proprio per questo, crediamo sia necessario impostare diversamente il problema: andare alla ricerca delle incongruenze storiche presenti nel CS o scandagliare tutte le contraddizioni interne al poema per rintracciarne le possibili stratificazioni compositive, non giova alla reale comprensione dell’opera ed esula dall’intento stesso dell’autore. Lo sforzo che pertanto conviene compiere sarà quello di capire perché Prudenzio abbia scelto di dare al suo CS la forma in cui noi ora lo leggiamo. Anche ammettendo che egli abbia assemblato materiali già composti negli anni precedenti, è indubbio che fra il 402 e il 403 il poeta pubblicò insieme i suoi 1944 versi, strutturati fra un I libro di impronta teodosiana e un II libro ambientato nell’attualità.

La ricerca di indizi storici che permettano di datare con precisione il poema ha condotto a credere che Prudenzio scrivesse del suo tempo con il rigore di uno storiografo. In realtà la materia storica, neppure quella più recente e quella che avrebbe potuto rappresentare il fomite della celebrazione di Roma cristiana, non costituisce la preoccupazione principale del poeta: lo si nota nella descrizione succinta e tutto sommato convenzionale della guerra di Pollenzo, molto vicina alla narrazione di Claudiano. Anche le figure storiche rappresentate nel poema non sono persone, ma «personaggi con valore ideale, simbolico»154. Se nella poesia di Prudenzio la

storia entra sempre trasfigurata dal filtro poetico, è inutile ricercarvi le incongruenze storiche. Stando alle intenzioni dell’autore, il poema è costruito per respingere ad verba le accuse di Simmaco155. Ciononostante il poema non appare una semplice trasposizione poetica delle

battute scambiatesi fra Simmaco e Ambrogio diciotto anni prima, ma un messaggio attuale rivolto dal poeta ai suoi contemporanei. Egli colloca la vicenda nel tempo di Onorio e Arcadio, tratteggiato secondo i caratteri propagandistici della renovatio saeculi teodosiana. La figura di Teodosio campeggia nel CS, attraversandolo dall’inizio alla fine come un Leitmotiv. Pur scrivendo sotto i duces fratres, Prudenzio si rende conto che i nova tempora cristiani erano stati inaugurati da Teodosio. È lui il princeps religiosus che ha dato vita alla nuova Roma cristiana, è lui che ha guarito l’Urbe con la medicina del cristianesimo dall’antiquus morbus del paganesimo. La medicina è rappresentata dall’oratio che egli pronuncia in I 415-505, al termine della quale Roma recupera una nuova giovinezza. Tale discorso pertanto non ha una corrispondenza storica, ma costituisce una lettura compiuta a posteriori dal poeta dell’intero operato teodosiano.

In questo contesto, in cui il cristianesimo gode di un periodo di tranquillità e Roma purificata rinasce alla nuova vita cristiana, si inserisce l’intervento di Simmaco che, politicamente cresciuto

153 A simile conclusione pervengono in tempi più recenti GNILKA 2001 (p. 265) e BROWN 2003. 154 GUALANDRI 1998 A, p. 385; cfr. anche FONTAINE 1984, p. 169; BALDINI 1987-1988, p. 141.

sotto il regno cristiano di Teodosio, rialza inaspettatamente la testa per scagliarsi contro la fede del princeps che l’aveva avvantaggiato (I 622-625). L’attacco di Simmaco, sferrato non contro Teodosio, ma contro il cristianesimo, verrà poi esposto nel II libro.

In questo modo il I libro viene a costituire una lunga introduzione storico-culturale alla vicenda vera e propria narrata nel II libro156. Questa interpretazione trova conferma anche nel valore

introduttivo della I praefatio all’intero poema e non al solo I libro. Essa si enuclea intorno a due grandi quadri tematici: nel primo si ha il naufragio di Paolo dopo una terribile tempesta sulle coste dell’isola di Malta. La nave di Paolo rappresenta la catholica puppis che sconvolta nel turbo saeculi dalle persecuzioni giunge al porto sicuro. Nel secondo quadro la scena si concentra su Paolo che, mentre raccoglie la legna per accendere un fuoco, è morso da una vipera nascosta fra i cumuli di legni. La comparatio chiarisce l’interpretazione: mentre l’Apostolo raccoglie le virgae steriles et superfluae staccatesi dalla vite della fede (I praef. 69-70), Simmaco come una vipera nascosta colpisce subdolamente la mano di Paolo (I praef. 57).

Come vediamo, sono gli stessi due quadri che caratterizzano la struttura del CS: il I libro ripercorre le difficoltà incontrate dal cristianesimo nella navigazione del turbo saeculi, nell’affrontare mostruose divinità di ogni genere immaginate nel corso del tempo dall’antiquus morbus pagano prima di giungere all’approdo sicuro garantito da Teodosio, medico dell’Urbe. Quando sembrava che Roma avesse definitivamente scacciato l’antiquus morbus pagano, ecco che una renovata lues (I 5) torna a compromettere la salute della città ormai cristiana. Questa peste è Simmaco, che sotto i fratres duces prova a colpire il cristianesimo e a minare la salute dello stato. Di fronte a questo nuovo attacco, Prudenzio sente l’esigenza di richiamare alla memoria degli ascoltatori la medicina di Teodosio (I 6 patris imploranda medella est), che già una volta aveva guarito l’Urbe, per questa renovata lues occorre implorare di nuovo la cura del pater Teodosio157,

padre della patria e pater di Onorio, l’imperatore attualmente regnante, a cui il poeta si rivolge spesso nel corso del poema (II 730-731; 756-759; 1114-1123). Teodosio non è ricordato solo come l’inauguratore dei nova tempora cristiani, ma come l’autore di una più generale renovatio saeculi, che coinvolge Roma nella sua totalità (pagana e cristiana), in quanto porta a compimento l’ideale classico di un imperium sine fine fondandolo sulla nuova fides cristiana.

La medicina del princeps religiosus Teodosio, evocata nel I libro, rivive nella figura dei fratres duces (II 17-18) e in particolare di Onorio, a cui il padre Teodosio rivolge l’invito a continuare l’opera di cristianizzazione (II 1117-1121). In questa luce il I libro non costituisce solo un’introduzione storica alla disputa narrata nel II libro, ma intende proporre al nuovo princeps e a tutto l’uditorio romano la figura di Teodosio come modello di quella pietas che assicura un imperium sine fine. È ovvio chiedersi quale contingenza storica possa aver risvegliato l’esigenza del poeta di raccontare lo scontro fra pagani e cristiani sotto il velo di una disputa datata diciotto anni prima. È da escludere l’ipotesi che Simmaco reclamasse di nuovo nel 402 l’ara Victoriae.

156 BARNES 1976.

157 A differenza di LAVARENNE 1948 e GARUTI 1996 che lo identificano con Dio Padre, preferiamo interpretare il pater di I 6 con

Piuttosto crediamo che anche la figura di Simmaco, al pari di quella di Teodosio, trascenda a una dimensione più alta: se il princeps religiosus è immagine della pietas, l’altro è immagine dell’inpietas (I praef. 56), rappresentante simbolico del paganesimo. Prudenzio fa del proprio avversario il rovescio esatto di quanto lui stesso invocava: colui che per il bene di Roma reclamava la Vittoria in nome di fides e concordia diviene l’attentatore del nuovo stato di fides e concordia generato dal Cristianesimo. Simmaco appare come un falso amico della patria: nell’attaccare la Roma cristiana, egli minaccia anche l’esistenza politica dell’impero.

L’attacco inaspettato della vipera del paganesimo (praef. I 25-30) ricorda il colpo subdolamente sferrato da Discordia a Concordia dopo che le Virtù avevano sconfitto la saeva barbaries del vizio (psych. 753). Tale guerra si è scatenata a causa della discordia interna alla città (psych. 755-761): solo la concordia interna può garantire sicurezza all’esterno e la pace al mondo158. Dietro il velo

allegorico della Psychomachia, sembra possibile leggere la realtà storica cui si riferisce il CS: la guerra contro la barbaries dei Goti, che trova nella battaglia pollentina il suo punto culminante, è figlia della discordia all’interno dell’impero. Poco importa se la discordia prenda i connotati dell’eresia (nella Psychomachia) o quelli del paganesimo (nel CS) poiché entrambi costituiscono deviazioni dall’unica retta via cristiana (II 847-857; apoth., praef. II 5-16; 37-40)159.

In un periodo storico tanto delicato, la discordia, che da sempre il pensiero romano identificava come la principale causa di ogni tracollo politico160, costituiva una delle più serie minacce alla

stabilità dell’impero. Anche Claudiano additava nello stato di discordia dentro l’impero la causa delle incursioni barbariche. Alla corte che si chiedeva come avessero fatto i Goti a penetrare in Italia attraverso le Alpi, Stilicone rispondeva che solo le discordie interne all’impero e le guerre civili contro gli usurpatori avevano insegnato ai barbari la strada per giungere in Italia: per solitas venere vias aditusque sequendos / barbarico Romana dedit discordia bello (Goth. 287-288).

Già con Costantino161 e più ancora dopo il 380, la concordia politica interna all’impero

coincideva ormai con quella religiosa. L’editto teodosiano, imponendo il cristianesimo romano come religione di stato, sanciva di fatto una sorta di uguaglianza fra l’ecumene imperiale e la cristianità, che diveniva a pieno titolo “cattolica”. I confini religiosi andavano a coincidere con i confini politici. Gli abitanti dell’impero diventavano cristiani romani, mentre tutto ciò che era fuori dell’impero diventava eterodosso. La romanitas subiva come una translatio dalla dimensione

158 Psych. 755-757 publica sed requies privatis rure foroque / constat amicitiis. Scissura domestica turbat / rem populi titubatque foris quod dissidet intus.

159 INGLEBERT 1996, p. 320: «les destins de l’Empire et du christianisme orthodoxe étant liés, les hérésies peuvent être

considérées comme des facteurs de discorde politique».

160 Il rapporto concordia-discordia era avvertito fin da Sall., Iugh. X 6 nam concordia parvae res crescunt, discordia maxumae dilabuntur; Seneca (epist. 94, 46) ci informa che Agrippa ribadiva spesso questa sententia per motivare le proprie vittorie. Ma

già per Polibio e Cicerone era la concordia ordinum a garantire la stabilità dell’Urbe. I Romani erano profondamente consapevoli che solo dalla concordia interna sarebbe derivata la pace al mondo. La contrapposizione fra le due permea il pensiero prudenziano: (psych. 756-757; in psych. 670-719 Discordia è la nemica che colpisce a tradimento Concordia).

161 In una lettera del 330 alla comunità antidonatista di Cirta, Costantino dichiara l’intenzione di Dio di condurre tutto il

genere umano alla concordia e bolla ogni tendenza ereticale (Lettera di Costantino sulla basilica sottratta ai cattolici, in Optat. Milev., append. X). «Il principe era talmente convinto di quella stretta solidarietà che legava insieme l’unità imperiale con quella della Chiesa, che ogni minaccia contro quest’ultima era percepita come un attentato alla prima» (PERRIN 2010, p. 720).

meramente politica a quella religiosa: essere Romano significava essere cristiano162.

L’opposizione culturale classica fra romanitas e barbaries, fra civilitas e rusticitas, viene riproposta come un’opposizione fra cristiani e non cristiani. Poiché l’impero dopo Teodosio si identifica inscindibilmente con la cristianità, egli non distingue fra gli attacchi derivati dalle insorgenze ereticali e quelli conseguenti ai rigurgiti di un antico paganesimo. Pagani ed eretici sono tutti accomunati nell’unica etichetta di hostes contro l’unità della fede (e per riflesso contro la stabilità politica). Di conseguenza il CS assume all’interno dell’opus prudenziano un valore analogo ad altri suoi scritti apologetici della fede cristiana, come l’Apotheosis o l’Hamartigenia. Anche per questi bisognerebbe chiedersi allora quali contingenze attuali abbiano spinto Prudenzio a scriverli, ma non si avrebbe una risposta sicura neppure per questi poemi. La conclusione raggiunta per l’Hamartigenia, per cui Prudenzio «scrive contro le dottrine dualistiche del suo tempo, più come poeta che come teologo, prendendo Marcione ed alcuni dei punti principali della dottrina marcionita come punto di partenza»163 per innestare spunti polemici «diretti

contro eresie ben più recenti»164, ci sembra valida anche per il CS. La riesumazione della

polemica contro Simmaco offre al poeta l’abbrivio per inserirsi nell’acceso dibattito politico e culturale del suo tempo, animato da una coesistenza fra pagani e cristiani, in cui ognuno concorreva a un ruolo di superiorità sulla parte avversa165, minando la concordia politica. Il

Simmaco del poema dà voce a quelle accuse che i pagani ancora rivolgevano alla fazione avversa166. Proprio il continuo gioco dialettico fra le parti rischiava di compromettere la stabilità

dell’impero aprendo la strada al barbaro invasore.

Nel 402 usciva anche la traduzione dell’Historia ecclesiastica di Rufino di Aquileia167. La prefazione

di Rufino presenta l’opera come un medicamentum indirizzato ai cristiani preoccupati per il dilagare del pestifer morbus, rappresentato dalle invasioni di Alarico. Di fronte a simile impresa segue il rifiuto (topico) dello scrittore di affrontare un’impresa così impervia; egli però si corrobora con l’immagine evangelica dell’apostolo Filippo che, fidando nella potenza divina, porta a Cristo i cinque pani e i due pesci per sfamare un’intera folla.

Anche il CS fu scritto per una lues che tornava ad affliggere l’Urbe, per cui bisognava ricorrere di nuovo alla medicina di Teodosio. L’espressione renovata lues, così vicina al pestifer morbus con cui Rufino indicava Alarico, sembra suggerire l’idea che i rigurgiti pagani siano stati suscitati

162 Non poteva esserci alcun iato fra l’antica romanitas e la christianitas, perché la seconda porta a compimento la prima,

trasformando la realtà politica dell’imperium Romanum in una realtà spirituale, nel regnum Christi. Di conseguenza anche la

pax Romana non ha più solo un carattere politico, ma assume un rilievo anche morale, come evidenziato da TORTI 1970, p. 345.

163 STAM 1940, p. 10 (nella traduzione proposta da PALLA 1981, p. 17). 164 PALLA 1981, p. 17.

165 Non ci fu quindi nessuna reazione pagana, nessun “pagan revival” in campo artistico (CAMERON 2011), quindi nessuna

seria minaccia da fronteggiare per Prudenzio.

166 La facile violabilità dei limina imperiali consentiva certo il proliferare di critiche da parte pagana. Basti pensare al carme

contro il magister equitum Iacopo (Claud., carm. min. 50), un cristiano che invocava il potere di tutti i santi contro le incursioni di Alarico. L’accostamento fra questo carme e il CS fu proposto già da CHARLET 1986 B. Che il testo rifletta il clima politico e letterario del tempo è evidente dalla menzione dei santi, gli stessi che compaiono in buona parte dei testi cristiani del tempo, nonché dai comuni rimandi intertestuali nella raffigurazione del barbaro. BIRT 1892, p. LXII data il componimento al 401, quando Alarico fece irruzione dall’Illirico (vv. 7-9); CAMERON 1970, p. 218 data il componimento al 402-403. Sull’ideologia pagana di Claudiano alla corte cristiana di Onorio, cfr. MORESCHINI 2004.

proprio dall’invasione gotica. Contro la minaccia pagana si scaglia il poeta: anch’egli inadeguato nell’affrontare i pericoli dell’eloquenza di Simmaco, si fa forte dell’esempio evangelico di Pietro. I due testi, pur nella loro diversità letteraria, risentono chiaramente della medesima temperie culturale, in cui «ancora potevano apparire spunti di ripresa (in polemica e recriminazione) del paganesimo»168; un paganesimo che, nonostante i colpi inferti dalla legislazione imperiale,

resisteva a morire e conviveva accanto a una maggioranza cristiana. Evidentemente in momenti di pericolo la cicatrice pagana era destinata a sanguinare di nostalgia e le istanze pagane riaffioravano con nuovo vigore a minacciare la stabilità della fede cristiana169. Per i due autori la

medicina è sempre la fede cristiana, che ha trovato in Teodosio il suo massimo campione. Il CS, partendo proprio da dove si era interrotto Rufino, mostra che la storia ecclesiastica non si ferma a Teodosio, anzi è partita da lui e continua ancora nei suoi figli.