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sua cuïque dextra: questa è la lezione tradita da BT e adottata da C UNNINGHAM , il quale ha esaminato tutte le cinque ricorrenze di cuique nel corpus prudenziano 339 : tre volte nel CS e due

Prima confutazione (II 5-66)

35. sua cuïque dextra: questa è la lezione tradita da BT e adottata da C UNNINGHAM , il quale ha esaminato tutte le cinque ricorrenze di cuique nel corpus prudenziano 339 : tre volte nel CS e due

nell’Hamartigenia (105, dove è scandito come dattilo, e 888, dove è scandito come un trocheo classico). Lì la tradizione manoscritta si presenta uniforme e non lascia margini di dubbio sulla duplicità prosodica del termine340. Se dunque per l’Hamartigenia la scansione dattilica di cuïque è

concordemente accettata, qualche problema in più è costituito dalla tradizione manoscritta del CS. In I 236 omnibus ante pedes posita est sua cuique vetusta il pronome è scandito alla maniera classica; in II 89 imus ad occultum: suus est mos cuique genti tutti gli editori concordano nel leggere cuique come un dattilo. Poiché una tale scansione prosodica sembrava ‘stupefacente’341,

l’edizione di BERGMAN tentò di sanarla ove possibile, ammettendo come uniche eccezioni ham. 105 e CS II 89. Nel nostro verso egli sceglie di pubblicare sua dextera cuique est, contaminando la

336 È tipico dello stile di Prudenzio riassumere il pensiero concettuale in sententiae semplici e incisive, con un valore quasi

paremiologico, in grado di fissarsi nella mente del lettore per la loro forza icastica. LAVARENNE 1933, § 1617 ne riporta diversi esempi (per. X 388; X 515; psych. 396 e 763; ham. 257), fra cui nel solo CS, II 315-316 tardis semper processibus aucta / crescit vita

hominis et longo proficit usu; II 471 nemo nocens, si fata regunt quod vivitur ac fit; II 807 vivere commune est, sed non commune mereri. 337 GARUTI 1996, ad loc., p. 167. GARUTI pone attenzione anche allo sdoppiamento dei due elementi garanti di vittoria, operato

dallo stesso Virgilio in Aen. XI 118 cui vitam deus aut sua dextra dedisset, dove il pius Enea dichiara che a decidere le sorti del suo combattimento con Turno saranno in alternativa la volontà degli dei o la virtus individuale.

338 Cfr. Polyb. I 4, 1; VIII 2, 3-4; Plut., fort. Rom. 317 b-c; Curt. X 5, 35; Flor., praef. 2; Amm. XIV 6, 3; paneg. XII 40. 339 ID. 1966, pp. XXXVII-XXXVIII.

340 Ham. 105 adsignare deos proprios, sua cuique iura; ham. 888 aeris, ut cuique est meritorum summa, sinistri. L’unica difficoltà è

data proprio nella forma classicamente corretta, in quanto si trova all’interno di una sezione di versi (vv. 887-891) frutto di una successiva interpolazione. Cfr. PALLA 1981, pp. 302-304, ad 887-891.

lezione dextera di E con l’ordo verborum di S sua dextra cuique est342. In questo modo egli restituisce

a cuique la sua scansione classica. Poiché per ham. 105 e CS II 89 i manoscritti non presentano varianti significative, forse per Prudenzio non era così insolito scandire cuique come un dattilo. Se accettiamo la lezione di BERGMAN, occorre notare che la posizione di cuique nell’ultimo piede compare solo in tre casi in tutta la poesia latina (Prop. II 25, 31; Manil. III 71; Stat., Theb. XII 107) e mai con est; più frequente invece nel penultimo piede, in particolare dopo l’aggettivo sua. Tutte queste considerazioni ci spingono perciò ad accettare con CUNNIGHAM la lezione tradita dai manoscritti BTQ, piuttosto che emendare necessariamente il testo.

36-38.: i tre versi, costruiti sull’anafora della negazione che fa da contrasto speculare all’elenco

di virtutes su cui deve fondarsi la vittoria bellica (II 24-26), ripropongono l’iconografia della statua della dea. I versi risentono abbondantemente della descrizione di Arianna sulla riva dell’isola di Nasso, simile a una statua di baccante, in Catull. 64, 63-65. Evidenti i parallelismi: Catull. 64, 65 strophio… vincta/II 37 strophio recincta; Catull. 64, 65 papillas in clausola/II 38 papillas in clausola; si notino ancora l’attenzione sul particolare del pes delle donne e l’iterazione della negazione a inizio verso (in Catullo non… non; in Prudenzio nec… nec). La rappresentazione tenue e delicata della Minoide catulliana è trasformata da Prudenzio nella descrizione di una donna energica e bellicosa343: il levis amictus (Catull. 64, 64) o il fluitans amictus (64, 68) divengono

un fluitans sinus in II 38 e le lactentes papillae diventano tumidae, con una chiara punta canzonatoria e un effetto stridente fra l’immagine descritta e il modello evocato. La Vittoria di Prudenzio è una virago, una vergine guerriera, vigorosa344; virago riprende e rovescia polemicamente il dea virgo

impiegato da Simmaco in II 13 e da Claud., Stil. III 206 custos imperii virgo. Lo strophium, conosciuto anche come mamillare, era la fascia avvolta (στρέφω; στροφή) intorno al corpo che girava in mezzo al seno (Non. P. 863, 7 L.). La Vittoria qui raffigurata assomiglia al tipo della statua di bronzo dorato della Victoria nel Museo di Kassel, modellata sulla Nike foggiata a Pergamo da Nikeratos per celebrare la vittoria di Eumene I su Antioco345. Attraverso questa

trama allusiva, Prudenzio sovrappone all’Arianna divinizzata da Dioniso la Vittoria divinizzata dai Romani. Queste divinizzazioni riducono la virtus bellica a illusorie rappresentazioni artistiche (e i versi di Catullo dimostrano quale sia stato il ruolo della poesia nella creazione dell’iconografia della Vittoria)346. La descrizione della Vittoria con i tratti di una baccante

342 BT leggono sua cuïque dextra est (dattilo), così anche Q, che omette soltanto est finale; S scandisce cuique come trocheo: sua dextra cuique est; solo E legge sua dextera forti est.

343 Sul confronto di questi due passi, SALVATORE 1958, pp. 28-29, il quale mette in evidenza sia i numerosi parallelismi e le

differenze rappresentative, come la «diafana levità di tocco» (p. 28) e il maggiore «dinamismo plastico» (p. 29) nella raffigurazione dell’Arianna catulliana rispetto alla Vittoria di Prudenzio.

344 La letteratura classica riferiva il termine a Minerva (Enn., ann. 510 V2; Ov., met. II 765; VI 130; Stat., silv. IV 5, 23; Theb. XI

414), a Diana (Sen., Phaed. 54) o a Giuturna (Verg., Aen. XII 468); la letteratura cristiana lo associava spesso a un’immagine femminile non molto positiva: in Vulg., Gen 2, 23 virago è Eva; in Lact., inst. I 9, 2 è l’Amazzone e in Arn. V 37 Proserpina.

345 La dea è raffigurata con le ali spiegate mentre sovrasta un globo con un solo piede. Questo motivo ebbe particolare fortuna

nelle raffigurazioni romane. Cfr. GRAILLOT 1911, pp. 845-54.

346 Pacato (paneg. XII 39, 1) esaltava i pittori e i poeti per avere raffigurato alata la Vittoria quale emblema della rapidità delle

dionisiaca evoca al contempo l’estraneità del suo culto dal mos maiorum romano347. Sulla Vittoria

raffigurata alla maniera di Arianna, pesa lo stesso sguardo inquisitorio riservato all’eroina in I 135-138, dove il poeta, pur riconoscendo la bellezza della donna descritta da Catullo, non esita a definirla esempio di immoralità (I 137 corporis egregii scortum).

39-60.: la seconda parte dell’oratio verte sul tema dell’arte e della sua colpevolezza nella

raffigurazione fantastica degli dei: proprio dall’origine umana delle raffigurazioni artistiche si può cogliere l’inesistenza degli dei pagani348. Il poeta si chiede se a inventarsi le divinità pagane

siano state pittura e poesia (II 39-40) o se sia stata la religione pagana da cui pittura e poesia hanno attinto le immagini (II 41-44). Evidente l’influenza di Tertulliano che, mentre lamentava in Numa l’inventore della curiositas superstitiosa (apol. 25, 12), incolpava i Greci e gli Etruschi di aver inquinato con le loro immagini la religiosità romana (25, 13).

L’equiparazione fra pittura e poesia era di matrice classica: il primo a delinearne la polarità fu Simonide di Ceo, definendo la pittura poesia silente e la poesia pittura parlante349. In Prudenzio

le due arti sono oggetto di polemica anche in per. X 216-280, contro i poeti che hanno creato le favole sugli dei (X 216-218) e contro gli scultori che ne hanno fabbricato le statue (X 266-295). Non vengono attaccate perciò né la poesia né la pittura in se stesse, ma l’uso errato che di esse è stato fatto dal paganesimo350: pittura e poesia hanno infatti alimentato false credenze religiose

(per. X 271 ars seminandis efficax erroribus). L’idea dei poeti mentitori, propagandatori di favole, risale già a Hes., Theog. 27; nella letteratura latina si ritrova ancora in Ov., am. III 6, 17. L’opposizione alle loro menzogne divenne peculiare nella letteratura cristiana351.

Tornando al nostro passo, è interessante analizzare non tanto lo sviluppo concettuale dell’autore, sostanzialmente in linea con gli argomenti della polemica classica e cristiana, ma la scelta degli exempla con cui i due imperatori dimostrano la loro tesi. Al centro della polemica

347 Il richiamo all’Arianna catulliana evoca l’isola di Nasso in cui era stata abbandonata: l’isola era menzionata in I 188 in

riferimento ai riti dionisiaci ivi celebrati e accolti anche a Roma insieme a quelli frigi di Cibele. Non a caso i due imperatori, dopo aver presentato una Vittoria che è in realtà una Nike greca, richiamano più avanti altri due riti esotici, di Cibele e di Artemide Tauropolos (vv. 51-55), a maggior sostegno della tesi per cui non può essere stata la religio a far grande Roma. Ambr., epist. 73, 30 definisce peregrini ritus i nuovi culti lontani dal mos con cui Roma ha giustificato le proprie vittorie. Un attacco più esplicito in questo senso viene rivolto a Simmaco in CS II 369 non est mos patrius quem diligis.

348 Ricordiamo l’accusa di Ambrogio a Simmaco: i pagani adorano ciò che fabbricano con le loro mani, ma è offensivo ritenere

Dio un simile manufatto: vos manuum vestrarum adoratis opera, nos iniuriam ducimus omne quod fieri potest deum putari. Non vult

se deus in lapidibus coli; denique etiam ipsi philosophi vestri ista riserunt (epist. 73, 8). All’opposto, in Sen., mem. I 4, 2-3 partiva

proprio dalla grandezza delle opere d’arte per dimostrare la necessità di un artista che l’avesse concepita; similmente anche la perfezione del mondo richiedeva l’esistenza di una provvidenza che lo avesse così fondato.

349 Plut., gl. Athen. 346F 5 - 347A 5; Plut., Quomodo adulator ab amico internoscatur 58B, 8. Quest’idea si fece presto strada anche a

Roma: Rhet. ad Her. IV 39 poema loquens pictura, pictura tacitum poema debet esse. Orazio ricorda come alla poesia e alla pittura sia sempre stata accordata una libertà di espressione (ars 9-10; 361 ut pictura poesis). Per una visione sui paralleli oraziani con il

ius poetarum di Prudenzio, GNILKA 1991 (p. 17, nn. 57-60).

350 Non potrebbe essere diversamente, dato lo stretto connubio che il cristianesimo seppe stringere fin da subito con

l’apparato grafico per veicolare il proprio messaggio. Cfr. al riguardo BISCONTI 1989 e VAN DAEL 1999. Lo stesso vale per la poesia: Prudenzio non poteva bollare tout court la poesia come menzognera, giacché egli stesso si definisce poeta rusticus in

per. II 574 e pronto a donare a Dio i suoi versi (cfr. Praefatio e Epilogus).

351 Già nel mondo classico, Cicerone (nat. deor. I 77) e Seneca (brev. vit. XVI 5) accusavano l’arte di aver alimentato false

credenze e sciocche superstizioni. Tertulliano (apol. 24) si scaglia contro le storie dei poeti sui pagani; Minucio dedica ai

ludibria et dedecora deorum (XXII 5) nelle rappresentazioni figurative e nei racconti, ricordando la responsabilità dei poeti nella

sono due culti scaturiti dalle passioni sconsiderate degli dei pagani352. Ma l’allusione polemica

sottesa ai due exempla è ancor più profonda. Ambrogio menzionava il culto di Cibele non solo per il suo legame con le vittorie romane, ma anche per la contraddizione dei pagani che, mentre si arroccano sui ritus veteres, si aprono ad accogliere peregrini ritus, perfino dèi invisi a Roma (epist. 73, 30). Anche il culto della Vittoria rappresenta una novità rispetto agli antichi riti di Roma. Prudenzio, che già aveva descritto la Vittoria con i tratti di una Nike greca, accosta ora due culti orientali e ben lontani dal mos maiorum353, quello della Magna Mater e quello di Diana Trivia354:

nei culti stranieri, che Roma ha accolto congiungendoli alle proprie vittorie355, c’è veramente

ben poco di romano secondo Prudenzio. Roma perciò deve smettere di attribuire a divinità inesistenti (per giunta straniere) quanto è frutto del proprio valore. Se poi identifichiamo nella Trivia qui nominata la Diana aricciana, nella quale si era fuso sincreticamente anche il culto dell’Artemide efesia o di Ecate, possiamo supporre che Prudenzio stia attaccando due ritus peregrini connotati da una dimensione misterica356.

I due exempla intendono così attaccare due pratiche cultuali ancora vive357. La statua della

Vittoria è il simbolo più emblematico di come l’arte possa alimentare assurde pratiche cultuali. È il segno che il conflitto fra cristiani e pagani non riguardava la legittimità degli dèi olimpici, a cui gli stessi pagani del IV secolo sembrano non credere più. La vera polemica cristiana si riversa contro i culti idolatrici, in particolare misterici, che condividono con il cristianesimo una simile concezione del divino, in grado di porre l’uomo in contatto diretto con la divinità.

42-44. variis imitata notis ceraque liquenti… coloratis… ludere fucis: probabilmente qui

Prudenzio fa riferimento alla tecnica pittorica a encausto, cioè ‘bruciata’, di cui parla Plin., nat. XXXV 122 ceris pingere ac picturam inurere quis primus excogitaverit, non constat. Egli distingue due fasi di lavorazione: una prima, il ceris pingere, prevede l’applicazione a freddo con un pennello di cere temporaneamente ridotte allo stato liquido (II 42 cera liquenti). In XXI 85 Plinio, dopo aver descritto tutto il processo di liquefazione della cera, segnala che essa viene trattata per farle ottenere diversi colori. La cera poteva essere usata come collante nella pittura con tecnica ad

352 In Prudenzio la critica ai comportamenti voluttuosi degli dei pagani si ritrova in per. X 176-185 (in particolare di Apollo,

Cibele e Giove). Le storie di Cibele e Diana, ricordate dai pueri principes nel CS, avrebbero quindi lo stesso valore.

353 Lo dimostra il fatto che i romani inizialmente rifiutavano certe derive cruente del culto, che furono invece aperte a tutti in

età imperiale. Lo storico Dionigi di Alicarnasso testimonia che i romani ancora nel I sec. a.C. non avevano ufficialmente adottato riti stranieri a Roma (ant. Rom. II 19, 2) e che quei pochi che erano stati introdotti su invito dei Libri Sibillini (quello della Magna Mater) erano privati di ogni elemento fantastico e insensato (II 19, 5).

354 Per quanto il culto di Diana fosse di origine italica, col tempo iniziò a mutuare elementi del culto di Artemis Taurica;

secondo il mito (Serv., in Aen. II 116; VI 136; Hyg. Fab. 261), Oreste avrebbe portato dalla Crimea una copia del simulacro della Diana Taurica, nascosto in una fascina di legna. Giunto ad Ariccia-Nemi, istituì il culto della dea. Strabone (V 12) riferisce che a Nemi si trovava un tempio di Artemide Aricina, copia di Artemide Tauropolos.

355 Sull’introduzione del culto di Cibele a Roma nel contesto tragico della seconda guerra punica, siamo ben informati da Liv.

XXIX 10, 4-5; XI 6-8; XIV 5-14. In CS I 187 il culto di Cibele era sapientemente menzionato all’interno della critica agli dei genitori di Roma (cfr. CACITTI 1972, pp. 416-17). Più dibattuto è il legame fra le vittorie romane e il culto di Diana: esso fu introdotto a Roma in seguito alla battaglia di Ariccia contro Porsenna (VINCENTI 2010) o alla vittoria romana sul lago Regillo (cfr. SCHILLING 1964, pp. 656-57). Il collegamento fra le due divinità e le vittorie romane era oggetto di critica in Min. XXV 9.

356 Come quello della Magna Mater, anche il culto di Artemide efesina aveva i suoi misteri (cfr. OSTER 1990 e ROGERS 1999). I

culti misterici di Ecate sono attestati a Legina (cfr. LAUMONIER 1958, pp. 344-425) e a Stratonicea, dove il culto era legato a quello locale di Apollo e Artemide (cfr. ID. 1958, pp, 193-220).

357 Non è da escludere la possibilità che la menzione di Diana Trivia presupponesse l’implicita condanna dei giochi gladiatori,

encausto, dove i colori venivano miscelati con la cera e poi fissati a fuoco358. La prima fase della

pittura a encausto sembra espressa in II 42 variis imitata notis ceraque liquenti, in cui il pittore traccia variae notae con cera liquenti. La seconda fase, il picturam inurere, prevede l’applicazione di tinte dopo che queste sono state riscaldate359 (II 44 coloratis… ludere fucis).