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tubam inflat: l’immagine della tuba, riferita al linguaggio elevato di Simmaco, riprende la

Seconda confutazione (II 67-269)

68. tubam inflat: l’immagine della tuba, riferita al linguaggio elevato di Simmaco, riprende la

stessa immagine metaforica della guerra suscitata da Simmaco in II 10-11. L’applicazione di tuba allo stile elevato ritorna ancora in Sid., epist. IV 3. In età imperiale indicava il linguaggio altisonante della poesia epica: Claud., Ol. 198 nec Latiae cecinere tubae.

69-71.: la rivendicazione di un ritorno al mos maiorum è alla base della querelle fra Simmaco e

Ambrogio. Prudenzio segue fedelmente i passaggi logici della Relatio: dopo la richiesta iniziale di mantenere il religionum status che fece grande Roma con il ripristino della Vittoria (rel. III 3), Simmaco si appellava proprio alla consuetudo, cioè al mos maiorum (rel. III 4). Parimenti nel CS, dopo la richiesta di mantenere il culto della Vittoria (II 12-16), Simmaco reclama la fedeltà al mos vetus (II 69). Alla novitas cristiana, che accusava di vetustà tutto ciò che la precedeva, i pagani contrapponevano con forza la fedeltà all’antiquitas e l’importanza della sua trasmissione alle generazioni future423. È da questa concezione che prende le mosse la Relatio: III 2 cui enim magis

commodat, quod instituta maiorum, quod patriae iura et fata defendimus, quam temporum gloriae? Quae tunc maior est, cum vobis contra morem parentum intellegitis nil licere; una convinzione simile è ribadita a conclusione della richiesta di restaurare l’altare: III 4 praestate, oro vos, ut ea quae pueri suscepimus senes posteris relinquamus. Consuetudinis amor magnus est.

422 Anche in per. X 366-380 la religio pagana rappresentava uno svilimento dell’anelito spirituale nell’uomo. Per Prudenzio la

grave colpa del paganesimo è stata quella di aver ricercato lo spirito fra le cose terrene (per. X 376-380), elevando a divinità gli elementi naturali (CS I 10-13). Gli dei pagani appartengono al mondo materiale, concedono benefici solo terreni (CS II 216- 217), sono invocati da Roma per dominare sui popoli. La senectus della Roma simmachiana è l’emblema del suo esser mortale. Solo con il cristianesimo l’uomo è tornato a cercare il vero Dio (CS II 269), a sollevare l’anima da terra (per. X 368-369). La lunga sezione teologica di Prudenzio ripropone in sostanza e approfondisce quanto lo stesso Teodosio aveva raccomandato a Roma personificata in CS I 415-454: Roma deve cessare di elevare a divinità elementi terrestri e sollevare lo sguardo verso l’alto (I 430-432). Il nuovo culto cristiano nasce dunque dall’aver ricondotto l’uomo ai beni celesti spirituali, che è ciò per cui l’uomo era stato creato da Dio (II 260-269) e ciò che pertiene alla sua struttura fisica (II 260-264).

423 VERA 1981, p. 32: «di fronte all’aggressività della nuova religione, una parte dell’intellettualità pagana ritenne che l’unico

mezzo valido a impedire la sovversione dei valori traditi consistesse nella difesa a oltranza dell’eredità del passato, di cui bisognava tutelare l’integrità in tutti i suoi aspetti». Per questo i pagani rinfacciavano ai cristiani la novità delle loro pratiche cultuali. Tale atteggiamento si riscontra piuttosto diffusamente negli ultimi pagani: Symm., rel. IV 3 illud maluimus, cuius usus

antiquior; Macr., Sat. III 14, 2; Aug., epist. 136 (si riporta il pensiero del pagano Volusiano); Aug., epist. 224, 2 (di Longiniano ad

71-74.: il discorso attribuito a Simmaco parafrasa rel. III 8 varios custodes urbibus cultus mens divina

distribuit, ut animae nascentibus ita populis fatales genii dividuntur. Il genius era uno spirito guardiano posto a difesa di ciascun uomo e di ogni città alla loro nascita424: Serv., in georg. I 302 genium

dicebant antiqui naturalem deum uniuscuisque loci vel rei aut hominis; Macr., Sat. III 9, 2 constat enim omnes urbes in alicuius dei esse tutela. In età imperiale il genius del princeps era venerato come il protettore di tutto l’impero: Hor., epist. II 2, 187-189425; Claud., VI Hon. 611-612 o quantum populo secreti

numinis addit / imperii praesens genius (in un passo che segue la celebrazione della dea Vittoria).

71-72. sicut variae nascentibus… contingunt pueris animae: si fa riferimento alla

concezione del genius posto a tutela del singolo uomo426. Il genius rappresenta il corrispettivo

latino del δαίμων427, come dimostra Apul., deo Socr. XV 1-10. Ammiano Marcellino, trattando dei presagi che precedettero la morte di Costanzo, dedica un ampio excursus sul genius di ogni uomo collegandolo anch’egli al δαίμων (XXI 14, 2-4). Così ancora in Tert., apol. 32, 3 ceterum

daemonas, id est genios. L’idea di un demone a guida dell’uomo viene sviluppata in modo chiaro nel mito di Er da Platone (rep. X 614b-621d), il quale lo identifica con la parte più alta dell’anima umana (Tim. 90a), quel semidio che solleva l’uomo verso la divinità: i successivi sviluppi filosofici lo identificheranno con la ragione, il carattere costitutivo proprio di ogni uomo (Marc. Aur. V 27). La stessa conclusione è raggiunta da Prudenzio in II 385-386 vivida mens, quam tu ficto componere temptas / murorum genio. In II 889 è ancora un daemon a guidare l’uomo sulla via sbagliata del peccato: lì non si identifica più con il genius, ma con il demonio stesso428.

72-74. sic urbibus affert… regnent: si fa riferimento alla concezione del Genius urbis, guida di

ogni città429: Serv., in Aen. II 351 inde est, quod Romani celatum esse voluerunt, in cuius dei tutela urbs

Roma sit. […] et in Capitolio fuit clipeus consecratus, cui inscriptum erat 'genio urbis Romae, sive mas sive femina'. L’idea che i moenia di Roma fossero sorti sotto la tutela di un destino eterno emerge ancora all’inizio della supplica di Roma a Giove in Claud., Gild. 28 si mea mansuris meruerunt moenia nasci. Cfr. anche Verg., Aen. VIII 245 advenisse diem, quo debita moenia condant; Tib. II 5, 23 Romulus aeternae nondum formaverat urbis / moenia.

424 Per una panoramica sul genius in età antica e medievale, vedasi lo studio di NITZSCHE 1975.

425 BRINK 1982, pp. 55-56 dubita che Orazio alluda realmente al Genius Augusti in carm. IV 5, 33-35; epist. II 1, 15-16.

426 Censor., die nat. 3, 1 genius est deus, cuius in tutela quicumque natus est, vivit; Sen., epist. 110, 1 sepone in praesentia quae quibusdam placent, unicuique nostrum paedagogum dari deum […] hoc seponas volo ut memineris maiores nostros qui crediderunt Stoicos fuisse; singulis enim et Genium et Iunonem dederunt. Secondo Serv., in Aen. VI 743, i genii dell’uomo sono due perché uno

suscita le buone azioni, l’altro quelle cattive.

427 La credenza nel δαίμων che guida e accompagna la vita di ciascuno è molto antica e di matrice popolare, attestata già in

Hes., op. 122-126; Pind., Pyth. 164; Theogn., v. 122.

428 Sulla visione del daemon in Prudenzio, cfr. CERRI 1964, pp. 340-41.