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Brevi riflessioni di sintesi sulla giurisprudenza esaminata

3. Il fondamento costituzionale delle Carte dei diritti

4.3. Brevi riflessioni di sintesi sulla giurisprudenza esaminata

A questo punto dell’indagine, è possibile trarre le fila del discorso appena svolto, fermando l’attenzione unicamente su alcuni punti di particolare interesse.

Riassumendo, dunque, emergono i seguenti tratti caratterizzanti i rapporti tra diritto interno e diritto convenzionale: 1) l’interpretazione delle disposizioni CEDU è riconosciuta

dalla Corte costituzionale senza alcuna esitazione alla Corte di Strasburgo; 2) i giudici a quibus devono tentare un’interpretazione conforme a Convenzione (appunto così come interpretata dalla Corte a ciò preposta) delle disposizioni interne; 3) i giudici a quibus non possono applicare le norme convenzionali e disapplicare quelle interne con le prime contrastanti522; 4) se l’interpretazione della Corte EDU induce a ritenere la norma convenzionale conforme a tutta la Costituzione, ma il conflitto con le norme legislative interne rimane insanabile, occorre sollevare una q.l.c. avente ad oggetto le norme stesse; 5) il parametro costituzionale suscettibile di essere evocato in campo rimane il solo art. 117, I comma (… e, a certe condizioni, anche l’art. 10, I comma); 6) le norme CEDU si pongono quali norme interposte in grado di integrare il parametro suddetto; 7) una volta immesse nel nostro ordinamento, esse si collocano su un piano sovra-legislativo, ma sub- costituzionale523; 8) tuttavia, se l’interpretazione datane a Strasburgo non rende le norme convenzionali in questione conformi a tutta la Costituzione524, esse risultano inidonee ad integrare il parametro e, quindi, a fungere da fonti interposte ed il contrasto verrà sanato “alla radice” con la prevalenza del dettato costituzionale su quello CEDU525; 9) l’attività ermeneutica compiuta dal giudice di Strasburgo non è dalla Consulta in alcun modo sindacabile, ma è da “prendere o lasciare”: prendere, se – come detto – il precetto convenzionale non urta con la Costituzione; lasciare, in caso inverso, privilegiando la Carta fondamentale; 10) infine, l’obiettivo che deve costantemente essere tenuto presente dagli

522 M.L. PADELLETTI, L’esecuzione delle sentenze, cit., 357, osserva che, pure a fronte del carattere self-

executing delle norme convenzionali, i giudici comuni non possono non applicare le norme interne successive; a tal

proposito – come ricorda l’A. – si è sempre fatto ricorso ai criteri di specialità e di presunzione di conformità (di cui si è già parlato), ma nelle decisioni del 2007 (ed anche in quelle successive) la Consulta non fa richiamo a tali criteri interpretativi e non si sofferma sui problemi che potrebbero insorgere in caso di incompatibilità, appunto, con norme successive.

523 … per quanto – com’è stato fatto notare da una sensibile dottrina (L. MONTANARI, La difficile definizione

dei rapporti, cit., 207) – il fatto che la Corte abbia riconosciuto alle norme CEDU valore subcostituzionale non significa

che ad essa si debba dare un rango superlegislativo.

524 A tal proposito, N.PIGNATELLI,La dilatazione della tecnica della “interposizione”, cit., 3 s. del paper, osserva che si tratta di “una sorta di potenziamento della teoria dei ‘contro-limiti’”; gli obblighi internazionali devono, a loro volta, essere conformi a Costituzione, se non si vuole arrivare al “paradosso” che una norma interna sia conforme alla Convenzione, ma questa contrasti con la Carta costituzionale (per questa ragione, ad avviso dell’A., occorre in ogni caso interrogare la Consulta circa la conformità a Costituzione degli obblighi internazionali).

525 M.L.PADELLETTI,L’esecuzione delle sentenze, cit., 360 s., osserva che la Corte, in questi casi, può “solo non utilizzare la norma [convenzionale] in questione” contrastante (appunto nell’interpretazione della Corte EDU) con il dettato costituzionale.

operatori è quello della massima tutela possibile dei diritti fondamentali, quale dovrebbe potersi apprezzare dall’integrazione, ad opera già del singolo giudice (prima ancora di arrivare innanzi la Corte), dei regimi di protezione dei diritti contenuti nelle due Carte di riferimento, la CEDU da un lato e la Costituzione dall’altro.

Se quelli appena riferiti appaiono i principali “punti fermi” della giurisprudenza, non vi è chi non veda come alcuni di essi sembrino in grado di avere significative ricadute nell’ordinamento interno.

Per prima cosa, l’insistenza mostrata dalla Corte nel riconoscere al giudice di Strasburgo la funzione nomofilattica del diritto convenzionale, pure accompagnata dalla sottolineatura dall’intangibilità della Carta costituzionale, sembra testimoniare la volontà di un dialogo proficuo con il giudice europeo526. A tal proposito, però, occorre constatare che se, da un lato, un passo significativo in tal senso è stato fatto, dall’altro lato non è affatto celata una forma di resistenza da parte della Corte italiana che non parrebbe disposta a porsi in rapporto col giudice europeo in condizioni di assoluta parità o, peggio, a riconoscere se stessa quale giudice subordinato ogni qual volta ciò sia necessario ad una ottimale protezione dei diritti umani; un atteggiamento, quest’ultimo, che, qualora pure dovesse aversi, apparirebbe non già come una resa delle armi davanti al nemico, ma solo il frutto di una scelta di buon senso, in vista del raggiungimento di un bene superiore. L’impressione che si ha, dalla lettura delle decisioni richiamate, è che la Corte italiana non si sia voluta sbilanciare, abbia – come si diceva prima – voluto concedere, ma… non troppo, ponendo dei paletti che – almeno per il momento – non sembra intenzionata a rimuovere.

Non è senza rilievo, inoltre, la seppur piccola possibilità che la Corte, nel 2009, ha riconosciuto all’art. 10, I comma, di offrire copertura alle norme della Convenzione; è vero che si tratta solo di una timida apertura verso questa opzione, che però, oltre a sembrare assai opportuna (e si è già avuto modo di manifestare esplicitamente favore in merito), potrebbe rivelarsi promettente di interessanti sviluppi, sempre che sarà anche in seguito ripresa e sostenuta con vigore.

526 Per C. NAPOLI, La nuova collocazione della CEDU, cit., § 1, l’utilizzo della CEDU quale parametro interposto, unito al valore riconosciuto alla Corte EDU, sembrerebbe manifestare “il riconoscimento di una condivisa cultura europea, attraverso la quale dar corso a forme più o meno stabili di collaborazione tra le Corti in tema di diritti dell’uomo”; infatti, da un lato, l’aver collocato la Convenzione in parola su un gradino sovraordinato a quello primario dovrebbe “favorire la collaborazione” con il giudice europeo, dall’altro lato, l’aver riconosciuto alla CEDU il valore di fonte interposta potrebbe dare modo alla Consulta di “inserirsi nel dialogo tra giudici comuni e Corte di Strasburgo” (§ 3).

Infine, occorre rilevare che l’impostazione sostanzialistica che sta al centro della motivazione della sent. n. 317/09 sembra davvero la strada da intraprendere se si vuole stare dalla parte dei diritti527 (e, in definitiva, della persona umana), se si vuole stare cioè al passo coi tempi, restando fedeli alla (ed anzi ulteriormente valorizzando la) anima stessa del costituzionalismo moderno.

Se la linea da seguire è, dunque, quella della tutela più “intensa”, la CEDU (ma il discorso sembra potersi estendere anche ad altre Carte), potrebbe essere ancora di più e meglio sfruttata nella pratica giuridica, pur se ciò debba quindi comportare il costo di riconoscere che la stessa offre una tutela ancora più adeguata ai bisogni dell’uomo di quella offerta dalla Carta costituzionale. Un’operazione siffatta, però, presenta almeno due aspetti problematici: per un verso, ci si chiede quali siano i parametri o gli strumenti in grado di apprezzare il livello e la qualità della tutela, in modo da individuare quella migliore, nonché quale sia il soggetto deputato a compiere siffatte operazioni di bilanciamento; per un altro verso, ci si troverebbe forse costretti a rivedere l’impostazione che, stando dalla giurisprudenza esaminata, impedisce al giudice di disapplicare la norma interna (sia essa di rango costituzionale o ordinario) messa a confronto con quella convenzionale528. Quanto da ultimo detto, però, non può certamente prescindere dal riconoscimento di un fondamento costituzionale della CEDU (o, in generale, delle Carte dei diritti), in grado di “legittimare” un’operazione come quella descritta, un fondamento che – come dovrebbe ormai risultare chiaro dall’analisi condotta – parrebbe doversi rinvenire in principi fondamentali dell’ordinamento (e, in particolare, nell’“insieme” composto dagli artt. 2, 3 , 10 e 11).

Da quanto detto, si constata facilmente che, perché si mettano in moto meccanismi come quelli accennati, la strada da percorrere è ancora lunga; qualche passo si potrà fare solo se la stessa Corte costituzionale, proseguendo lungo la direzione di marcia tracciata con la sent. n. 317 del 2009, si adoperi maggiormente (rispetto a quanto fatto finora) a rendere

527 V. ONIDA, Adottare il “punto di vista” dei diritti fondamentali, in AA.VV., All’incrocio tra Costituzione e CEDU, cit., 221 ss.

528 C. SALAZAR, Corte costituzionale, Corte europea dei diritti dell’uomo, giudici, cit., 74 s., nel commentare le sentt. nn. 348 e 349 del 2007, osserva che i giudici comuni possono impugnare la legge di esecuzione della CEDU se la norma interna risulta maggiormente garantista di quella convenzionale; in caso inverso (ossia, qualora la norma della CEDU o anche gli orientamenti della Corte di Strasburgo appaiono offrire maggiore tutela ai diritti fondamentali), essi possono impugnare le leggi interne. Come si nota, in entrambi i casi, però, la tutela dei diritti “passa” dal necessario intervento risolutore della Corte costituzionale. A. RAUTI, La “cerchia dei custodi”, cit., 282, non manca di osservare che, lasciando ai giudici la possibilità di disapplicare le norme interne confliggenti con la CEDU, si rischierebbe di avere un’applicazione della Convenzione a “macchia di leopardo”.

fertile il terreno sul quale possa quindi fiorire la pianta di una reale ed appagante salvaguardia dei diritti fondamentali.

Infine, viene spontaneo l’accostamento di quanto è accaduto per via giurisprudenziale in merito ai rapporti tra CEDU e diritto interno con il processo che per molti anni ha interessato i rapporti del nostro ordinamento con il diritto comunitario529. Viene da chiedersi allora se assisteremo (ed in parte ciò è già accaduto) ad un “percorso a tappe” (simile a quello che si è avuto dagli anni ’60 agli anni ’80), nonché ad uno scambio di “botta e risposta” tra Corte costituzionale e giudice di Strasburgo; quello che però già da ora significativamente differenzia i due cammini giurisprudenziali è che le “tappe” di quello convenzionale sono assai più ravvicinate rispetto a quello comunitario; il che porta a credere che i rapporti tra diritto interno e sistema CEDU possano assestarsi in un arco temporale più breve. Che poi la nostra Corte costituzionale (e, in generale, il nostro ordinamento) finirà per fare, nei riguardi delle fonti esterne e della realtà sovranazionale in discorso, le non poche concessioni che in passato sono state elargite a favore del sistema comunitario questo non è dato al momento di sapere; certo è però che le premesse (anche considerate quali condizioni “ambientali” di contorno) parrebbero esserci tutte quante.

Se si guarda il percorso di questi anni, non si può invero fare a meno di constatare che alle prime aperture del 2007 hanno fatto seguito quelle, ancora più consistenti, del 2009, significativamente innovative rispetto alle prime pronunzie “gemelle”, per quanto cautela consiglia a riconoscere che anche quelle più recenti presentano un mix di elementi “vecchi” e “nuovi”530, i secondi poi particolarmente meritevoli di considerazione specie in vista della maturazione di quella prospettiva sostanziale d’inquadramento sistematico che è dalle decisioni stesse messa in evidenza531. Solo il tempo, tuttavia, potrà dare una più chiara, seppur non definitiva, risposta agli interrogativi lasciati aperti anche dagli ultimi, interessanti sviluppi della giurisprudenza costituzionale.