• Non ci sono risultati.

bus usque ad desperationem civibus, superati sunt (2)

Presa in possesso la città, vi si preposero sei Capitani e Difensori della Libertà, ben presto portati ad otto (3). Tomaso di Promontorio e Battista Giustiniani, capitani, furono mandati a debellare la bastìa di Reste, presa nella notte fra il 28 e 29 dicembre, donde dovevano portarsi ad espu­

gnare non solo Fiaccone, ma anche Voltaggio e Gavi (4).

Savona aveva seguito l'esempio di Genova, cacciando i presidii viscon­

tei dai suoi castelli e ne ricevette lode il 30, quando si inviarono colà com- missarii Zaccaria Spinola e Gregorio d’Oria (5). Stella, Sassello e Varazze avevano avuto Ingone Grimaldi e Luciano d’Oria (6). Ad Albenga fu desti­

nato Tomaso Spinola (7).

Si era cercato anche di sorprendere a Lerici il Re d’Aragona per averlo nuovamente nelle mani. Se ne era scritto il giorno stesso della rivolta vit­

toriosa ad Antonio Manganello, Domenico di Bozolo e Masonino Buzenga, dandosene loro la notizia. Si voleva che tentassero quel colpo insieme ad alcuni uomini di Portovenere. Questi non se ne sarebbero pentiti, ma avreb­

bero avuto pel loro paese privilegi singolari (8). In realtà il tentativo non riuscì; ed Alfonso, venutone a cognizione, proibì che navi genovesi toccas­

sero più il porto di Lerici (9).

Intanto il Visconti si preparava alla riconquista o alla vendetta.

Il suo intervento era richiesto, oltre il resto, dal fatto che la fortezza di Castelletto resisteva ancora. Ma il Piccinino, cui fu dato il non facile

(1) l.ittcramm, Reg. 7, nn. 480 e 81.

(2) LitUrarum, Reg. 7, n. 482.

(3) Giu s t i n i a n i, Op. e Voi. citt, pag. 351 (4) LitUrarum, Reg. 7, n. 484.

(5) LitUrarum, Reg. 7, n. 487.

(6) LitUrarum, Reg. 7, n. 485.

(7) LitUrarum, Reg. 7, n. 488.

(8) LitUramm, Reg. 7, n. 478.

(9) Pesce, Op. ci»., pagg. 32 e 33,

— 84 —

compito, tardò troppo a venire. Genova così ebbe tempo di assalire quelli che con Erasmo Trivulzio vi si erano rifugiati. Su di loro potè, più che altro, la paura, che li fece scendere a patti: la fortezza sarebbe resa, se non avesse ricevuto soccorso entro un tempo determinato; una delle sue torri sarebbe data in pegno ai cittadini per l’osservanza della convenzione. Ma, quando il Piccinino fu visto avvicinarsi, dopo di aver raccolto I esercito che conduceva seco, cioè alla fine dell’inverno, un nuovo assalto diede la for­

tezza in mano dei rivoltosi, non curanti delle proteste del castellano, che li accusava di tradimento. Tutto il presidio fu fatto prigioniero per rappresa­

glia di quelli, che Filippo Maria deteneva a Milano, sia sudditi del Re d Ara­

gona, presi alla battaglia di Ponza, sia Genovesi: commercianti, studenti, viaggiatori, uomini di ogni condizione, trovati nei suoi Stati, incarcerati nei primi giorni della rivolta (1). In modo che, venuto il Piccinino per la valle di Polcevera, mise in fuga quanti gli erano andati contro, ma trovò difficile attaccare la città. Non gli rimaneva che correre la Riviera, vendicando con incendii e rapine l’onore del Duca.

La devastazione cominciò da San Pier d’Arena, per passare a Voltri e fermarsi nella pianura di Albenga (2).

Genova, conoscendo l’influenza che poteva avere Galeotto del Car­

retto nella guerra, che necessariamente doveva intraprendere contro le forze viscontee, mandò a lui Raffaele Squarciafico, per accordarsi sulla posizione, che gli conveniva prendere nel conflitto; e questi, il primo marzo, stipulò un contratto,

in Burgo Finarii, videlicet in viridario prefetti domini Galeoti,

nei termini seguenti: Genova si sarebbe contentata della sua neutralità, an­

che se i belligeranti fossero passati sul suo territorio, promettendogliene, come premio, la ratifica delle immunità e privilegi fino allora goduti e il rinnovo della investitura, come già si era fatto altre volte a lui ed a Gior­

gino del Carretto, compreso questa volta Castelfranco. Di più, in caso di attacco da parte del Piccinino, gli assicurava il Marchesato al di qua del giogo, difendendoglielo con 500 balestrieri pagati in proprio e con altri, se neces­

sarii, a spese di Galeotto. In caso di pace si impegnava a nominarlo nei trattati, tutelandone i diritti (3).

Come è chiaro, questo accadeva quando il Piccinino era lontano da Finale e forse si trovava in Polcevera.

Subito dopo, cioè il 4 marzo si mette a Noli come podestà Antonio

(1) Giu s t in ia n i, Op. e Voi. citt., pagg. 354 e 55; e per i prigionieri anche: PESCE O p . cit., p agg. 34 e 35.

(2) Giu s t in ia n i, Op. e Voi. citt., pag. 355.

(3) Finale, Reg. 73.

85

Curio (l), c il 6 vi si mandano 30 uomini a difesa con la barca di Antonio de Picello (2).

Innanzi al pericolo si prendevano i provvedimenti. Il Piccinino aveva cominciato la sua strage. Infatti una lettera dello stesso 7 marzo ai Fiorentini parla di una gran moltitudine di nuovo popolo » che si era rinchiusa fra le mura di Genova, certo per fuggire dinanzi al terribile Capitano; e la fame si faceva ivi sentire (3).

Anche ad Albenga si era pensato. Tomaso d’Oria vi aveva fatti provvedimenti, di cui ne riceve lode l’8 marzo, con l’avviso di mandare cento fanti a Pieve (di Teco): ma alla sua richiesta di aver cavalli non si potè soddisfare (4).

Noli intanto è timorosa assai. Manda il suo podestà con Avundino Baricante, per lamentarsi della partenza delle navi, che credeva dovessero rima­

nere a difesa nella sua rada, e del diniego ricevuto da Varazze di prestarle alcuni suoi fanti. Ed i Capitani della Libertà annunziano a Zaccaria Spinola e Gregorio d Oria, commissari!' a Savona, di aver inviato ai richiedenti 50 fanti forastieri;

e raccomandano ad essi, se quella città fosse premuta dall’esercito nemico, di portarle aiuto (5).

Ma oltre che ai provvedimenti militari, Genova era ricorsa alle trattative diplomatiche.

Riuscita vana la minaccia, fatta il 4 gennaio dai Veneziani a Filippo Maria, di muovergli guerra, se non restituisse tutte le terre della Repubblica che ancora teneva occupate e non ne richiamasse tutte le sue genti (6), si erano proseguite le pratiche con Venezia e Firenze per formare una lega contro il Visconti; ma si era pure tentato di avvicinare lo stesso Duca.

Già il 27 febbraio era per questo a Milano Andrea Bartolomeo Imperiale con alcuni colleglli (7). Il 3 marzo vi tornava Benedetto Labaino (8). Ma questi dovevano trattare solo della liberazione dei prigionieri.

Ora Galeotto si fa intermediario di pace e presenta, certo a nome del Piccinino, il simbolico ramoscello di ulivo.

Sono destinati ad appoggiare i suoi sforzi Raffaele Squarciafico e Toma­

so Oiudice. Essi non si sarebbero spinti oltre Finale, dove era il Piccinino col suo esercito; di II farebbero sapere che si accettava di procedere a trattare

(1) Litterarum, Reg, 7, n. 501.

(2) Magistrorum Rationalium Apodixiae, n. 115.

(3) Litterarum, Reg. 7, n. 509.

(4) Litterarum, Reg. 7, n. 512.

(5) Litterarum, Reg. 7, n. 513.

(6) Ro m a n i s, Op. e Vol. citt, pag. 180.

(7) Diversorum, Reg. 24, c. 6 v.

(8) Instructiones et Relationes, Filza 2707 A, n. 39.

di pace, perchè essa era offerta dal Capitano, che amava Genova e ne era riamato; se l’invito fosse venuto da altri, sarebbe sembrato solo un mezzo a distogliere la Repubblica dalle trattative istituite con Venezia e Firenze per averne aiuto. Andando per conoscere le iniezioni sue, gli facessero sapere contemporaneamente che di pace non si poteva parlare, finché l’esercito nemico si trovasse nel territorio di Genova. Ad ogni modo, se di pace si dovesse parlare, dicessero esser giusto che essa avesse per base la restituzione reciproca e generale di terre, prigionieri, beni e cose del Comune e dei privati. Se oltre la pace si voleva una lega, rispondessero esser uso prima fare la pace (1).

Il 9 marzo i Capitani della Libertà avevano ricevuto una lettera da codesti Commissaiii e la lode, che loro si rivolge nella risposta, fa pensare

che gli inizii delle trattative avessero a v u t o u n p i i m o e f f e t t o . Quale? lo credo quello della sospensione delle ostilità. Comunque si permette loro adesso di andare dal Piccinino, se lo credessero conveniente, e si raccomanda che, fra le terre da restituirsi, siano comprese Fiaccone, Voltaggio, Gavi, Novi, Parodi, Capriata, Ovada, Lerma e generalmente tutte le terre, castelli, luoghi e diritti già appartenuti al Comune e i castelli, le terre ed i luoghi degli Spinola, Fieschi, D’Oria e altri cittadini genovesi. A queste condizioni si poteva firmare il trattato di pace; se fossero sopravvenute altre difficoltà, scrivessero di nuovo. Se, oltre la pace, si voleva la lega, il Piccinino ne stendesse i capitoli e li mandasse a Genova. La quale non li avrebbe respinti, trovandoli equi (2).

Mentre questa lettera era portata a Finale da un corriere di nome Martino (3), arrivava a Genova Melchione di Diano, speditovi dai Commis*

sarii. I Capitani della Libertà lo ascoltarono e poi riscrissero, in data 10 mar zo, ripetendo che essi volevano la pace e, se la loro buona volontà fosse stata condivisa dal Visconti, si sarebbe già venuti ad un accordo. Ma questi seguitavano — avendo l’esercito minaccioso nei nostri confini, vuole una pace di terrore, non di amore; difatti non ne ha proposto ancora le condizioni, solo insiste che essa debba andar congiunta con una lega da contrarsi fra lui e la Repubblica. Non si vuole ora perdere più tempo: il Capitano stesso ven- ga pregato a stendere i capitoli di codesta pace per vedere cosa si pretende da noi. Ingone Grimaldi e Pellegro Promontorio saranno costì per accelerare la pratica (4).

Questi pensieri tornano anche in un’altra lettera scritta a Galeotto lo (1) /structiones et Relationes, Filza 2707 A, n. 38.

(2) Litterarum, Reg. 7, n. 517.

(3) Litterarum, Reg. 7, n. 518.

(4) Litterarum, Reg. 7, n. 520.

— 86

-87

stesso giorno: Noi si ha cura del vostro, come del nostro onore; non si du­

bita della rettitudine del vostro animo in questa pratica, che ebbe origine da voi, ma non si capisce come si possa trattar di pace, mentre l’esercito è sul nostro territorio. Non si vuole pace senza lega e sta bene, ma è necessario sempre di esaminare le condizioni di pace, per vedere dove ci si accorda e dove no. Quarr si conchiude —laborate v o s a latere vestro in hac re prout cognoscetis honori vestro convenire (1).

In quel giorno era tornato da Milano Andrea Bartolomeo Imperiale.

Stanco del lungo viaggio, solo Ire giorni dopo parlò con i Capitani della Libertà. I quali, siccome si trattava della pace desiderata, per venire più facil­

mente ad una conclusione, non vollero più servirsi di lettere, ma invitarono

Galeotto a venire a Genova. Comunicando la cosa ai Commissarii, che dove­

vano restare, ciò non ostante, a Finale, essi dicono che l’affare li toccava usque

ad ipsa precordio

(2).

Durante queste trattative, come abbiam detto, fra l’esercito invasore e i Genovesi si era stabilita una tregua. Ma il Piccinino, vedendo che la pra­

tica non accennava a dare un frutto qualunque, intimò che pel 14 avrebbe ripreso per conto suo le offese (3). Contemporaneamente una lettera dei Commissari Raffaele e Tomaso, del 12 marzo, faceva sapere che il Capitano rimproverava a Genova di aver voluto prendere tempo, tirando a lungo le cose.

All'accusa ingiusta si risponde che ciò era accaduto solo per colpa della parte avversa, che, anche ultimamente, nelle sue richieste aveva preteso cose contrarie ad ogni diritto e ragione. E la pratica sarebbe stata interrotta, se non si fossero interposti Raffaele Adorno e Isnardo Guarco. Questi decisero di mandare un loro rappresentante al Piccinino, per vedere se le sue ultime richie­

ste potessero ancora essere mitigate.

L’intervento di questi personaggi era stato predisposto a Milano, ove poco prima essi si trovavano prigionieri. La deduzione è tanto naturale, in quanto sappiamo ch e il Piccinino aveva ripreso l’offensiva. Il 16, oltre l’eser­

cito che si trovava nella Riviera Occidentale, un altro, nella Riviera Orientale, era arrivato a Brugnato e Genova deliberava che il Governo potesse agire senza consultare, per maggior speditezza, l’Ufficio di Moneta (4).

Si voleva forse col proseguimento delle trattative distogliere i Capitani della Libertà dal preparare una forte resistenza, affinchè le truppe viscontee avessero il vantaggio della iniziativa? In questo caso il tranello non era riuscito. Il Doge il 17 marzo fa capilano della Liguria oltre Savona Galeotto

(1) LitUrarum, Reg. 7, n. 521.

(2) LitUrarum, Reg. 7, nn. 523 c 24.

(3) Litterarum, Reg. 7, n. 527.

(4) Diversorum, Reg. 23, c. 5.

88

-Lomellini, non solo per svuotare ma anche per infrangere gli sforzi nemici;

permette a Gregorio d’Oria, commissario a Savona, di prendere a Noli la galeotta, che ivi si trovava, di armarla a spese della città con uomini di Quiliano e dei paesi vicini, della Laigueglia e d’altri luoghi, e gli soggiunge: se sarete forti nella guerra, i nostri nemici non troveranno la strada per tornare in Lombardia. E la stessa cosa si fa sapere ai Nolesi (1). Sebbene si dica, rinunziandosi ad alcune offerte di Francesco Sforza, di non avere deciso ancora come condurre la guerra (2), pure credendosi ad una voce certo insussi­

stente che anche Finale avesse preso le armi contro il Piccinino, si erano mandati, il 18 marzo, Francesco Spinola, Andreolo d’Oria e Nicola Giusti­

niani, appartenenti al numero dei Capitani della Libertà, con Andrea Serra ed altri esperti nell’arte militare, nella Riviera Occidentale.

Questi, scrivendo da Savona, avevano daio larghe speranze di felice successo e domandavano nel contempo una galea. Genova ne restò soddisfatta e promise il 20 la galea Giustiniana, che nella notte doveva arrivare da La Spezia (3).

Ma il Piccinino non era rimasto inoperoso. Si era accampato intorno a Giustenice ed aveva intavolato pratiche con i suoi abitanti per determinarli ad arrendersi. Il capitano Tomaso d’Oria aveva annunziato ciò ai Capitani della Libertà, che, rispondendo, gli comunicavano l’elezione del Lomellini a capitano della Riviera Occidentale, la sua andata colà sulla galea di Luca delia Rocca, ed, affinchè non venisse tocca la sua suscettibilità, gli soggiun­

gevano che questo non pregiudicava al decoro del suo ufficio, perchè quanto più fossero stati in quella guerra, tanto maggiore vittoria si sarebbe potuto sperare. Gli si fa sapere inoltre che la galea di Noli veniva armata a Savona con altre barche, che si trovavano in quel porto (4).

Tra il fragore delle armi si agitavano ancora le trattative di pace, senza che Genova potesse ottenere quanto sperava. Il 18 marzo Ingone Grimaldi e colleghi, commissarii a Finale, avevano riferito che Nicolò Piccinino era irremovibile nelle sue pretese. Il 20 si risponde ad essi:... nec nobis mUun videtur quod Nicolaus Picininus, quum res sibi feliciter cedent, altam cervi­

cem gerat, nec ad ea que viderentur equa deflecti non possit et ob id in te Ili- gtrnus dignitati nostre minime conducere ab hoste armato et nostra ferro igne- que vastante suppliciter pacem petere. Pure non si voleva sospendere quella pratica, per un motivo accennato misteriosamente, riguardante la possibilità di conchiudere una lega con Firenze e Venezia, come si è visto. Si sperava

1) Litterarum, Reg, 7, n. 535; e Reg. 4, nn. 781 e 82.

(2) Litterarum, Reg. 7, n. 537.

(3) Litterarum, Reg. 7, nn. 538 e 39.

(4) Litterarum, Reg. 4, n. 783.

- 89

infanto che i colleglli che presiedevano a quella guerra, riunile le proprie forze, avrebbero ridotto al silenzio il superbo Capitano (I).

Lo sforzo è tutto teso verso questo scopo. Non si tralascia di inviare il 20 marzo al Podestà ed Ufficio di Guerra di Levanto 40 fanti, sotto il comando diOirolarno d’Anghiari (2), ma il 22 da Chiavari son chiamati dei fanti esterni e Stampino con essi per essere inviati ad Albenga (3), mentre si ordina di proclamare a Genova che chiunque avesse voluto prender parte alla guerra che si combatteva contro Nicolò Piccinino, si presentasse al palazzo del Comune innanzi a Nicolò Giudice, Pietro de Franchi lula, Damiano di Negro e Gaspare Gentile per averne il soldo e l’occorrente a la vita: per il resto provvederebbe Iddio, vindice di ogni ingiustizia. Il banditore Giovanni Bel- lagamba sparse il 23 quel bando con voce sonora (4).

Ma Francesco Spinola, Andreolo d’Oria e Nicola Giustiniani, arrivati a Finale han parlato lungamente con Galeotto del Carretto. Argomento del discorso era stata la pace da conchiudersi col Visconti, a quali condizioni non sappiamo. Riferita a Genova la cosa, si rinnovò ad essi il 21 la facoltà di sottoscriverla, ma si raccomandò anche di stare attenti, parlando con gli agenti ducali, agli obblighi, che si erano assunti con Venezia e Firenze, don­

de si aspettava ora una risposta, che avrebbe dato ai Capitani della Libertà la scelta di accordarsi col Visconti o di stringere la lega con queste città.

Intanto si era stabilito quel giorno di assalire la bastìa di Reste (5).

La risposta da Firenze arrivò appena partita la lettera precedente. Quel­

la Repubblica era rimasta male al comando, dato ai legati genovesi colà resi­

denti, di soprassedere a sottoscrivere la lega già trattata, e insisteva che si conchiudesse la pratica. Cosi Genova era arbitra della situazione e po­

teva scegliere il partito migliore. Molti, e fra questi gli stessi Capitani della Libertà, erano per la pace col Duca; desideravano quindi che se ne determi­

nassero una buona volta le condizioni (6).

Ma Galeotto Lomellini, capitano della Riviera Occidentale e genero del Marchese di Finale (7), aveva lavorato presso quest'ultimo per attrarlo nel­

l’orbita degli interessi genovesi. Era riuscito a convincerlo, ma doveva far­

gli conoscere a quale prezzo si comperava il nuovo contributo da ap­

portare alla guerra. Egli quindi fu a Genova con domande concrete da

(1) LitUrarum, Reg. 7, n. 540.

(2) LitUrarum, Reg. 7, n. 341.

(3) LitUrarum, Reg. 7, n. 545.

(4) Diversorum Communis lanuar, Filza. 9, n. 13.

(5) LitUrarum, Reg. 7, n. 542.

(6) LitUrarum, Reg. 7, n. 543.

(1) Pesce Op. cit., pag. 170, erroneamente lo dice suo suocero.

90

rivolgersi ai Capitani della Libertà a nome di Galeotto del Carretto e

certo

non esenti da molte pretese. Voleva sapere se si era già sottoscritta la

lega

con Firenze e Venezia; e Genova rispose senza ambagi che tutto dipendeva dalla sua volontà, mentre dall’altra parte era stato già preparato il proto collo e si desiderava che venisse firmato. Domandava inoltre se si era prQtrf|

a mandare maggiori forze sui monti del Savonese per chiudere quei passi al nemico; a far leva nella Riviera Orientale di 2000 balestrieri, a immagazzi­

nare a Noli 2000 mine di frumento: Genova rispose di sì. Come ricompensa proponeva per Galeotto del Carretto l’amministrazione del vescovado di benga, vita naturale durante: gli veniva concesso, con riserva di più matura riflessione per il tempo richiesto; per i suoi sudditi im m u n ità dai gravami

nei

loro traffici: gli veniva respinta, p e r c h è a v r e b b e segnato la rovina di enova;

per le spese fatte e da farsi un rimborso computato in aurei 25.000. po a o solo ad aurei 10.000, creduti più che sufficienti; una cauzione sui denari prò messi: si sarebbe assegnata a lui sul banco di S. Giorgio, altra

per i danni che per caso avrebbero sofferto le sue terre: se ne sare e a j scrittura; la cittadinanza genovese: gli sarebbe stata concessa, una pa^ e . delle spoglie, qualora fossero presi gli accampamenti ducali: come era gl J sto, ma anche la Repubblica voleva sapere qual parte le spettasse e sp | cialmente quali condottieri le sarebbero stati consegnati, non rintmzian in verum modo a Biagio {Assereto]. In tutto questo Galeotto del arre agiva anche a nome dei nipoti di Pirro del Carretto. .

Al prudente atteggiamento del Marchese corrispose quel o | Capitani della Libertà, che, a cauzione degli impegni da assumersi ^ | domandarono, così per avanzare una proposta, che Castelfranco fosse |

in mano degli stessi Capitani o di persone ben vise dalle parti c0,, Stabilito questo si dava facoltà ai capitani, Francesco Spinola, An d’Oria e Nicola Giustiniani, il 22 marzo, di conchiudere I affare (0*

Intanto, mentre il 24 si mandano sulla barca di Pietro Preve muniz | ni, due torni da balestre, quattro bombarde: due col ceppo e due senza, Giovanni da Osiglia

bombarderius et ingenierius

per servire ad esse, s| e • una manovra per impedire il rifornimento del campo nemico. Era stata, ques , suggerita da Francesco, Andreolo e Nicola e si sarebbe attuata prima, se pn ma fosse stata consigliata. Si trattava di munire i gioghi, a chiudere le v,e»

per cui passavano le vettovaglie (2). Il 25 una lettera a Gregorio d’Oria, commissario a Savona, gli promette per questo scopo molti fanti e specia mente balestrieri, cui dovevano congiungersi le truppe preparate in q ue

(1) Litterarum, Reg. 7, n. 544.

(2) Litterarum, Reg. 7, n. 549.

91

città (1). Anche Antonio Curio, commissario a Noli, è invitato a salire con i suoi uomini sui monti del Fìnalese (2). Francesco, Andreolo e Nicola avevano offerto 200 fanti per la medesima impresa, che sono accettati. C om an­

derà tutta queste forze Benedetto Pallavicini.

Due sono gli effetti sperati dalla nuova tattica; uno militare per iso­

lare il Piccinino; l’altro diplomatico per ottenere da lui più eque condizioni

lare il Piccinino; l’altro diplomatico per ottenere da lui più eque condizioni