• Non ci sono risultati.

et fugiintts exercitus in fugam se converti et, abiit et, versus Toiranum iter capiens, montana petiit, transiturus in Lombardiam (4)

(1) LiUerarum, Reg. 7, n. 759.

(2) Litterarum, Reg. 7, n. 763.

(3) Litterarum, Reg. 7, n. 768.

(4) Litterarum, Reg. 7, n. 769.

J* J* j t

CAPO IV.

In un più a m p io in cen d io di guerra.

(17 giugno 1436

3 settembre 1437).

La ritirata del Capitano aveva tutto l’aspetto di una fuga; pure i G eno­

vesi temevano sempre una finta e non sospesero l’ordine dato per rafforzare il loro esercito (1). Il Piccinino d’altronde non troncò le relazioni che aveva col Doge per venire ad una pace; ma la risposta a lui inviala il 17 giugno, con cui si diceva che ormai, costituita la lega con Firenze e Venezia, non si poteva più pensare ad una pace particolare, ma doveva prevalere quella di tutta l’Italia (2), necessariamente pose fine a questi tentativi.

Intanto si svolgevano altre operazioni guerresche nella Riviera Orientale.

Oltre l’esercito condotto dal Piccinino, che, sceso per la Polcevera, era andato a porre l’assedio ad Albenga, un altro era stato m andato verso La Spezia, ove il 26 marzo incuteva terrore (3). Ad esso si erano uniti i Marchesi Malaspina ed altri seguaci del Visconti. Fu opposto alla loro marcia il 5 aprile Giovan Ludovico Fieschi, il quale non potè impedire che venissero occupati a tradimento tutti i paesi fino ad Arcola e Vezzano (4).

L 11 giugno i nemici per la pianura di Ceparana si volgevano a Pietra Santa, lasciando da parte La Spezia (5), ed ivi ponevano l’assedio. Una

lettera

del 18 di Giovan Ludovico Fieschi mostra la resistenza di quella città, la quale con una sortita vittoriosa aveva dato al Doge molte speranze, tanto da fargli rigettare una tregua domandata dai suoi emuli (6); ma in realtà la mossa

(1) Litterarum, Reg. 7, n. 791.

(2) Litterarum, Reg. 7, n. 773.

(3) Litterarum, Reg. 7, nn. 554 e 55.

(4) U b a l d o M a z z in i, Un episodio della guerra fra Genova e il duca di Milano, in Giornale storico e letterario della Liguria, anno 1903, pagg. 127 e sezg.

(5) Litterarum, Reg. 4, n. 931.

(6) Litterarum, Reg. 4, n. 956.

105

-disperata era stato un fuoco di paglia. Firenze, impressionata del pericolo che correvano le sue terre, cui Pietra Santa faceva da baluardo estremo, aveva mandato Nero di Qino Capponi con cavalli e fanti. Egli era già per passare il Sercliio; ma avrebbe potuto opporre una barriera efficace alle truppe viscon­

tee.' Fu invitata quindi Genova a mandare aiuti. Essa il 22 scrisse a Battista Fregoso di recarsi colà con tutte le truppe disponibili, dopo di aver munito fortemente Albenga. Anche a Tomaso di Promontorio, commissario a Chiavari, diede 01 dine d’inviare a quella volta parte delle forze ivi preparate per opporle al Piccinino nella Riviera Occidentale (1). Giovan Ludovico Fieschi a La Spezia doveva fare altrettanto (2).

Mala fortuna non è certo per i Genovesi. Il mare tempestoso impedisce il tiasporto di quelli che erano nella Riviera Occidentale. Si dispone allora il 24 giugno per fare leva di uomini da Sarzana a Recco; a Giovan Ludovico si manderanno con Scarioto e Bernardo Dutto 500 fanti esteri e i balestrieri ordinati a Chiavari, mentre si comanda ad Antonio Fregoso e Marco da Rapallo di adunare balestrieri eletti, in gran numero, nel territorio di Sarzana (3).

A Teodoro Fieschi per altre operazioni si destinano, il 30 giugno, Zanino de Borgunzino con 50 paghe e Bartolaccio con altrettante; ma gli si racco­

manda di non offendere i Polceveraschi e gli uomini della Valle Scrivia e altri assogettatisi al Duca per forza: suo compito doveva essere di offendere quelli che si eran dichiarati nemici del Doge (4).

Mentre la guerra così si preparava, ecco il Visconti scrivere a Battista Fregoso con proposte di pace. Naturalmente Battista, che aveva ricevuto la lettera a Savona, venendo a Genova, ne parlò col Doge e con altri; e rispon- dendogli il 29 giugno, non gli nascondeva che la pace bisognava trattarla con la Lega, ponendo come principio che ogni Stato rientrasse nel possesso delle terre, che gli erano state tolte (5).

Ma Battista Fregoso non è l’unica persona interessata dal Duca per la P-ice. Anche Francesco Foscari, doge di Venezia, che fino allora non si era mosso a fargli guerra, era stato pregato di interporsi ad ottenere ciò e, dietro questo invito, aveva scritto al Doge di mandare un suo rappresentante a Milano Per intervenire alle trattative, mentre un suo delegato ed un altro delegato di Fiienze nella stessa città il 2 di luglio avevano stabilito una sospensione di ostilità su tutti i fronti (6).

(1) Litterarum, Reg. 7, n. 794 e Reg. 4, n. 964.

(2) Litterarum, Reg. 4, n. 963.

(3) Litterarum, Reg. 4, nn. 971, 72 e 73.

(4) Litterarum, Reg. 4, n. 980.

(5) Litterarum, Reg. 7, n. 801.

(6) Litterarum, Reg. 4, n. 987.

106

Il 4 luglio fu disegnalo oralore a Milano Damiano Pallavicini, come il maggiormente informato delle cose da trattare, e il giorno dopo si fece noto alle Autorità di tutta la Riviera di sospendere ogni atto ostile non solo contro i sudditi del Duca ma anche contro i suoi collegati (I). Siccome poi si era già fissata tra Firenze, Venezia e Genova la data in cui si doveva romperla definitivamente col Visconti, si diede autorità all’inviato, prima che partisse, il 9 luglio, di trasportare più in là la data stabilita, per poter venire più facilmente alla conclusione di una « pace italica » (2).

La tregua permise al Doge di richiamare da Sarzana alcuni fanti di fresco spediti colà, per metter ordine nella città rimasta quasi vuota di abitanti a cagione della peste, che infieriva e mieteva da 25 a 40 persone al giorno (3).

Ma le notizie che sopravvengono non sono rassicuranti. Damiano Pallavicini scriveva, mostrandosi scettico nel poter conchiudere un accordo. Le previsioni del Doge erano giuste e non si era ecceduto in prudenza, prendendo al soldo quattro galee per tre mesi. In previsione di una rottura si era pronti non solo alla difesa ma anche all’offesa. Il Visconti, quando si fosse trovato

in

cattive acque, avrebbe acconsentilo a scendere a patii. Così si scriveva il 21 luglio ad Ingone Grimaldi, Damiano di Negro e Gaspare Gentile, ufficiali di provvisione a Chiavari (4); e il 2 agosto si comunicano i nomi dei confederati di Genova a Francesco Foscari, come richiedevano i capitoli della lega (5).

Se Genova si preparava a combattere lealmente il nemico, visti vani gli sforzi di venire ad una pace, il Duca di Milano usava le sue arti subdole per mettere imbarazzo nel campo avversario. Barnaba Adorno si presla alle sue mene, scrivendo all’albergo D’Oria ed all’albergo Fieschi per volgerli contro il Doge. La lettera mandata a Genova dai destinatarii spinge Tomaso

Fregoso

il 16 giugno a determinarne la portata, affermando che essa procedeva

non a viro prudenti nec a persona discretionis mature, verum pocius a puero et insolenti iuvene pariter ac effrenate

e si mostra convinto che gli interessati gli risponderan­

no per le rime (6).

Ma il Doge di Venezia insiste ancora per la pace. Egli pensa che, rotte le trattative a Milano, altre se ne potevano aprire a Bologna sotto l’occhio vigile del Papa e il 23 luglio invita Genova a spedirvi un suo oratore. La risposta a lui data il 18 agosto ci fa noto che si era già provvisto a contentare il Foscari — e di fatti un altro documento ci dice che fin dal 6 agosto più

(1) Litterarum, Reg. 4, nn. 985 e 86.

(2) Litterarum, Reg. 4, nn. 989 e 90.

(3) Litterarum, Reg. 4, nn. 992 e 93.

(4) Litterarum, Reg. 4, n. 1025.

(5) Litterarum, Reg. 4, n. 1029.

(6) Litterarum, Reg. 4, n. 1049.

— 1 0 7 —

oratori genovesi erano a Bologna (1); — ma non si aveva fiducia nella riuscita delle trattive e la lungaggine della pratica iniziata si credeva dannosa per la Repubblica:

quamquam pacem desideramus

,

omnis mora nobis est nociva, presertim quia dux Mediolani et per tractatus et dissentiones civium

— si allude alla lettera scritta ai D’Oria ed ai Fieschi —

omnem querit viam, contra pro­

missa, que hanc evertat civitatem vel eam sub servitutis sue iugo reponat.

Per questo il Doge, avendo rimandata la maggior parte degli stipendiati della Serenissima, che avevan combattuto ad Albenga, prega a lasciargli i restanti, necessarii a lui e per il morbo e per le scorrerie nemiche (2).

Queste prudenti riserve non erano fuor di luogo. Tomaso Fregoso conosceva l’indole del Visconti e nel suo insistere a trattar di pace vedeva una manovra per guadagnar tempo e prepararsi alla guerra.

Pietra Santa non era più sotto la pressione dell’esercito visconteo.

Luigi dal Venne e Cristoforo di Lavello, che lo comandavano, si erano accorti di non poter durare a lungo nel sostenere gli sforzi degli assediati e I uito delle truppe spedite in loro aiuto da Firenze, cui presto si sarebbero aggiunti i fanti preparati da Genova. Quando poi il Lavello, colpito a morte da un dardo scagliato dagli assediati, vi aveva lasciato la vita, un timor panico impossessatosi dell’altro Capitano lo aveva spinto a ritornare frettolosamente in Lombardia (3).

Bisognava adunque che il Visconti mandasse un altro esercito colà.

Il Piccinino sarebbe stato posto a capo di esso. Il tem po delle trattative veniva in acconcio a preparare la spedizione.

Ma il Duca contava anche su un altro fattore per assicurare la sua vittoria. Sebbene avesse sottoscritto ad un trattato di lega offensiva e difensiva, durevole 60 anni, con Renato d ’Angiò il 21 settembre 1435 (4), pure, quando liberò Alfonso d’Aragona, che a Renato contendeva il Regno di Napoli, fece convenzione con lui ed i suoi fratelli di essere aiutato da loro ad ogni richiesta l'8 ottobre successivo (5). Questo l’abbiamo già visto.

Or dopo la rottura con i Genovesi, nella probabilità di dover combattere ad un tempo con gli eserciti delle tre città confederate, le sue speranze si rivolsero ai nuovi alleati. Renato era prigioniero di Filippo, duca di Borgogna;

a Napoli si trovava la moglie Isabella, regina di grande saviezza, ma sempre donna e bisognosa di tutti. Don Pietro, fratello di Alfonso, aveva già tentato

(1) Litterarum, Reg. 4, n. 1057.

(2) Litterarum, Reg. 4, n. 1056.

(3) Istorie Fiorentine scritte daGio v a n n i Ca v a l c a n t i, con illustrazioni, Vol. II, Firenze, Tipografia all’insegna di Dante, 1839, pagg. 15 e 16.

(4) J. Du Mo n t, Corps universel diplomatique du droit des gens etc., Tom. II, Par. Il, Amsterdam, 1726, pag. 304.

(5) J. Du Mo n t, Op. e Vol. citt., pag. 318.

— 108 —

un colpo su quel reame; nel Natale del 1435 si era impadronito di Gaeta, ove il 2 febbraio successivo giungeva anche il Re, ed entrambi si disponevano a far guerra contro le forze del rivale assente (l).

Nei desiderii del Visconti, per far dispetto al Papa, ai Genovesi, ai Fiorentini, ai Veneziani, l’impresa doveva continuarsi e nei medesimo tempo

gli Aragonesi dovevano mandare navi nel Mar Ligure.

L’11 aprile Genova temeva per questo e stabiliva di inviare Pietro Grimaldi al Reale Consiglio di Renato ad Aix per avere aiuto e presto (2).

Il 15 luglio si aspettavano due galee promesse, che si sai ebbero destinate a Napoli, se il Doge non ne avesse avuto bisogno (3), di rimando il 24 agosto 10 triremi catalane, apparse a Villafranca, spingono a daie avviso ai paesi della Riviera Occidentale di far buona guardia (4).

Ma il Visconti aveva adoperato ancora le sue arti subdole per incitare i sudditi genovesi alla rivolta. Il 22 agosto si scrive a Giovanni Fregoso, andato nella Riviera Orientale, di non fermarsi molto a Chiavari con le sue due galee, ma di recarsi a Levanto e vedere il da farsi per la pace di detta Riviera (5).

Si era forse essa ribellata? non sappiamo; ma è sicuro che sulla nave Giuliano Corso alcuni di Spotorno avevano complottato e corso a vie di fatto contro la Repubblica; e il Doge ai 3 di settembre comanda ad Andreolo d Oria di prenderli e tenerli, finché non gli si fosse scritto che farne (6).

In questo stato erano le cose, quando alcuni uomini di Logorara e i Castiglione furono dal Doge, per avvisarlo che il Piccinino scendeva in fretta verso le loro terre. Contro di lui fu mandato il conestabile Sparapane con i suoi 160 uomini. Essendo poi apparse a Portovenere 9 triremi e 2 biremi catalane, fecero sorgere il sospetto che non volessero sostenere dal mare le operazioni del Capitano visconteo e contro di esse si pensava già di spedire il 28 set tembre le navi di Lamba d’Oria e di Carlo Italiano (7). Ma subito dopo cioè il 5 ottobre si venne a conoscere che la flotta catalana sarebbe presto partita dalle acque liguri e si richiamava da La Spezia la galea di Girolamo Giustiniani. Non così era del Piccinino che si indirizzava già alla volta di Lucca (8) e, pel timore che incuteva, obbligava il Doge a munire La Spezia

(1) M u r a t o r i , Annali, citt., Vol. X, pagg. 304, 307 e 308.

(2) Instructiones et Relationes, Filza 2707 A, n. 37.

(3) Litterarum. Reg. 4, n. 1083.

(4) Litterarum, Reg. 4, n. 1070.

(5) Litterarum, Reg. 4, n. 1065.

(6) Litterarum, Reg. 4, n. 1083.

(7) Litterarum, Reg. 4, n. 1101.

(8) /storie Fiorentine di Scipione Ammirato, Parte Seconda, con una tavola in fine delle cose più notabili. In Firenze, nella Stamperia Nuova d’Amador Massi e Lorenzo Landi,

1641, pag. 7.

*

e in generale la Riviera Orientale di fanti forestieri (1), ove il 3 ottobre si era mandato anche Scarioto (2).

Il 10 novembre cresce il timore. Sono dati ordini per chiamare da Albenga Stampino di Arezzo, Pietro da Como, Giovan Cristoforo d’Anghiari (se era lì), Mariotto e Antonello di Arezzo. Il 12 si cambia parere e si vogliono solo i fanti condotti da Venezia, mentre da Rapallo si richiama Gaspare da Reggio, pur lui stipendiato di Venezia. Il 14 si scrive a Tomaso d’Oria, capi­

tano, e ad Ambrogio di Serra, podestà di Albenga, e loro si ripete il comando dato il 12 novembre (3). Ma questi, non credendosi ancora sicuri colà, lo espongono al Doge, che il 20 cambia nuovamente parere e si contenta di aver solo Pietro da Como con 20 o 25 fanti (4).

11 26 novembre si confermano Scarioto con fanti 300

et equis novem seu lanceis tribus pro carreag'ds principaliter ipsius Scarioti

e Bernardo Dutto con fanti 200 (5).

Si vuole però far sentire al Duca di Milano un po’ di disagio econo­

mico e si proibisce il 21 novembre a Varazze ed a Noli di portar sale in Lombardia e si obbligano il Podestà e il Commissario dei due paesi a farsi dare una cauzione impegnativa da tutti gli esportatori (6).

Con questo si inasprivano le relazioni, già molto tese, col Visconti, fino a rompere le trattative di pace che si protraevano a Bologna alla presenza del Papa. Infatti il 2 dicembre furono richiamati a Genova Giovanni Lercari ed altri colleghi, che ivi si trovavano, e solo vi si lasciò Battista Cicala, che doveva simulare di starvi come oratore imperiale e intanto conoscere, parlando col Papa, quali erano le intenzioni del Duca circa la pace (7). Il che ci convince che Genova non vi si mostrava contraria per partito preso.

Ma una notizia ben presto arriva a rialzare gli animi smarriti dei G eno­

vesi: Renato d’Angiò è liberato dalla sua prigionia; potrà concorrere a pacifi­

care Napoli e l’Italia (8).

Vane speranze! Passerà ancora del tempo prima che egli possa fare qualcosa. Ma il Doge non aveva aspettato questo per incominciare gli atti di ostilità contro l’Aragonese. Per sorprendere la nave di un tal Coniliano, catalano, che con 300 uomini e strumenti bellici aveva fatto vela verso l’Egitto e la Siria aveva pensato di mandare due navi da Genova, quando seppe

(1) Litterarum, Reg. 4, n. 1111.

(2) Litterarum, Reg. 4, nn. 1107 e 08.

(3) Litterarum, Reg. 7, nn. 810, 11, 12 e 13.

(4) Litterarum, Reg. 7, nn. 815 e 16.

(5) Diversorum Reg. 24, c. 44.

(6) Litterarum, Reg. 7, nn. 817 e 18.

(7) Litterarum, Reg. 7, nn. 824 e 25.

(8) Litterarum, Reg. 7, n. 827.

109 —

%

che essa era stata presa dai Genovesi di Chio, perdendo molti marinai nella breve pugna; e proprio di quei dì gli oratori della Repubblica a Venezia tratta­

vano sul modo di portare aiuto al Re-Angioino, favorito anche dal Papa (1).

Sembra anzi che contro di Alfonso si indirizzassero gli sfoizi del Doge, perchè, messosi di accordo con gli abitanti di Portovenere, ancora sotto di lui, li anima alla rivolta; che, scoppiata il 7 dicembre, presi o fugati ì Catalani trovati per le strade al grido fatidico di S. Giorgio, obbligò gli altri a chiudersi nelle due fortezze (2).

L’insurrezione poteva chiamare da quelle parti il Piccinino a restituire il paese al dominio del Re; e la prudenza consigliò di invitare i Fiorentini a mandare nelle terre genovesi parte dei fanti, con cui il conte Francesco Sforza, loro capitano, teneva fronte all’esercito visconteo, mentre si prepara­

vano uomini per espugnare le due fortezze (3). Giovanni Fregoso, fratello del Doge, il 20 dicembre è destinato al loro comando, cui dovevano prestare aiuto il capitano Giovanni Antonio Fieschi ed i consiglieri Ottobono Impe­

riale e Girolamo Giustiniani (4).

Egli partiva da Genova il 23, quando da tre giorni era stato preso il piccolo castello sul mare che si era assalito per il primo, ad evitare che con l’aiuto della flotta aragonese resistesse più lungamente; non gli rimaneva che vincere la resistenza del castello più grande, che non aveva contatto col mare e che era già circondato di assedio (5). Anche questo in breve dovette cedere ed il paese intiero tornò ad essere incorporato alla Republica dopo la domi­

nazione degli Aragonesi (6).

Ma i Fiorentini, cui Genova aveva fatto appello per aiuto in caso di un intervento da parte del Piccinino a Portovenere, sentivano essi la pressione di quel Comandante e si lamentavano di essere lasciati soli contro di lui. Ne scrissero per conseguenza al Doge invitandolo o a far guerra o a decidersi per la conclusione di una pace. La risposta che questi gli diede il 29 dicem­

bre giustifica ampiamente la sua condotta. Per la guerra si era fatto il possibile, mandandosi, non richiesti, milizie in Toscana; d’altronde a Venezia si era deciso di attaccare il Duca il primo di aprile: se la data era considerata ora non con­

veniente, si era anche pronti ad anticiparla. La pace si era ben cercato di con­

chiuderla ed anche allora si era pronti ad acccettarla, purché equa; ma il Duca

(1) Litterarum, Reg. 7, n. 828.

(2) Nel Diversorum, Reg. 24, cc. 64, 65 v. e 65 bis, e Diversorum Communis lanuae,

Filza 11, nn. 16, 143, 154 e 184, abbiamo i nomi dei capi della rivolta e il premio che ne conseguirono.

(3) Litterarum, Reg. 7, nn. 829 e 30.

(4) Litterarum, Reg. 7, nn. 847 e 48.

(5) Litterarum, Reg. 7, nn. 852 e 854.

(6) Po g g i, Op. e Voi. citt., pagg. 242 e 43.

- 1 1 0 —

- Ili —

non ne voleva sapere; ciò non ostante si sarebbe detto al proprio rappresentante a Bologna di tornarci su, ancorché la convinzione di tutti fosse che essa si

sarebbe ottenuta solo imponendola con la forza.

Ma vi ha di più: si fa sapere a Firenze che Genova, oltre il resto, era impegnata anche a recare aiuto alla Regina di Napoli (1). Che era dunque accaduto?

11 Re d Aragona aveva ricevuto nuove forze per attaccare le città fedeli ancora agli Angioini. Saputasi la cosa a Genova, si costituisce subito un ma-gistiato affidandogli quel negozio; se ne informano il Papa, Firenze, Venezia, il Re di Fi ancia e lo stesso Renato; alla Regina si scrive il 31 dicembre e si fa sapere che si preparavano aiuti, nei quali doveva riporre ogni fiducia (2);

e le stesse cose si ripetono in una lettera indirizzata ai mercanti genovesi residenti a Napoli (3).

Un altra lettera, indirizzata quel 31 dicembre a Battista Cicala, tornato a Venezia a Bologna, tocca con maggiore passione l’argomento: si ha no­

tizia che Napoli sia in pericolo; il Papa, Venezia, Firenze e il conte Sforza non ci fan troppo caso; eppure Alfonso, impadronendosi di quel regno opu­

lentissimo, che dispone di cavalli, fanti, flotta, non dovrebbe far vivere tran­

quillo nessuno Stato; il Duca collegato con lui mette ora sossopra tutta l’Italia;

che farà quando l’Aragonese porrà a sua disposizione il regno conquistato?

Per questo egli si è mosso contro Firenze, per non permettere a Francesco Sforza di recare aiuto al reame pericolante. All’armata di Alfonso — segue 'a lettera — noi, col nemico alle porte, non possiamo recar favore per terra e per mare contemporaneamente; ma se il Papa, diretto signore di quel regno, volesse spedirvi dei fanti e dei cavalli, saremmo al suo fianco con una flotta che verremmo preparando. E conclude: Svegliate i dormienti; il Piccinino da Lucca si portò a Pietra Santa e sulla Magra ove si accampò il 29 corrente;

lo Sforza così libero potrebbe essere inviato contro il Re Alfonso (4).

Ad ottenere l’intento si mandò a Nero di Gino Capponi ed a Nicolò Valori, come pure a Francesco Sforza, il nobile Battista Leccavela (5).

L’11 gennaio 1437 si scrive di nuovo alla Regina per dirle che si stava allestendo una forte armata in suo aiuto; il 17 con l’armata si promettono sa'e, grano e balestrieri, mentre la si invita a ricorrere a Firenze, a Venezia, a Francesco Sforza gd al Papa per ottenere invio di fanti (6).

(1) Litterarum, Reg. 7, n. 854.

(1) Litterarum, Reg. 7, n. 854.