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Galeotto ai servigi del Visconti Signore di Genova

(12 dicembre 1429

-

24 settembre 1432)

Il Giustiniani narra nel 1428 d’un colpo di mano fatto da Barnaba Adorno per occupare il Castelletto e impossessarsi di Genova; il ribelle, non essendo riuscito nel suo intento, si accampò — sempre secondo il detto autore — prima in Polcevera e poi a Voltri con 500 uomini, contro i quali si mosse Isnardo Guarco (1). 1 documenti scritti portano il fatto al 1429.

Infatti è del 12 dicembre di quest’anno una lettera indirizzata agli abitanti delle valli della Polcevera e del Bisagno e di Voltri, in cui si dice che il Governatore e il Consiglio degli Anziani,

volentes pacem atque iusticiam... tueri et sicubi concussa videretur stabilire... quam vir perditus Barnabas Adurnus hostis patrie sue et sui ipsius parum amicus cum paucis latrunculis turbare nixus est consiliis inimicorum etiam suorum inclinatus querentium non tam novare res quam evertere,

han posto a capo di un esercito il Guarco,

ad persequendum, effugandum ac perdendum eundem Barnabam cum sequacibus

suis

(2).

Segue l’annalista a dirci che Isnardo Guarco aspettava il Piccinino e soggiunge che nel 1429 lo stesso Barnaba Adorno, perseverando nei suoi propositi, aveva fatto costruire « alquante defensioni o sia bastite (3) in le montagne vicine alla città », da cui si partì, quando gli andò contro il Picci­

nino (4). In realtà la cosa avvenne nell’ottobre del 1430, perchè in data 7

(1) Gi u s t i n i a n i, Op. e Voi. citt., pagg. 310 e 11.

(2) Litterarum, Reg. 3, n. 470.

(3) Bastita o Bastia: nome speciale di piccola fortificazione chiusa da fossi, munita talvolta di torri agli angoli, di forma quadrata, messa per difesa o per offesa specialmente negli assedi.

G u g l i e l m o t t i , Vocabolario cit., col. 216.

(4) Gi u s t i n i a n i, Op. e Voi. citt., pagg. 311 e 12

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-di questo mese, scrivendosi al Piccinino, si ringrazia Id-dio che

hostiles arces circumvicine tanta celeritate expugnate sunt... castella enim illa, homicidis et latronibus sernper plena, quietem huius civitatis diuturnam esse non patieban­

tur

(1).

Questa vittoria sui fuorusciti ribelli poteva avere il suo sviluppo. Già Francesco Spinola aveva rioccupati i paesi tenuti fino allora da essi: Sestri Levante, Moneglia, il castello di Portofino (2). Il 7 settembre si domandava al Duca di Milano l’invio di alcuni capitani,

flos equitatus italici,

per riavere altre terre da tempo occupate da altri (3); ed è certo che il Piccinino in questo stesso mese andò contro le terre dei Fieschi e prese Carrega, Toi riglia, Montoggio, Pontremoli e Varese e il mese seguente tutte le terre che i Marchesi Malaspina possedevano in Lunigiana (4). La guerra di Lucca venne a distogliere il Capitano da nuove conquiste.

Già fin dal dicembre del 1429 Firenze aveva cominciato a rivolgere le sue armi contro questa città, governata da Paolo Guinigi, mal visto dai sudditi. 1 Lucchesi avevan domandato aiuto ai Senesi, che lo diedero loro generosamente, perchè gelosi della potenza crescente dei Fiorentini, e man­

darono ad essi Antonio Petrucci con buona mano di soldatesca (5).

11 Duca di Milano, saputo che i primi scontri avevano dato ai Fiorentini

« la valle della Garfagnana », se ne impensierisce e il 29 gennaio del 1430, lo fa sapere al Re dei Romani, descrivendo la situazione a fosche tinte, prospettando la possibilità dell’occupazione non solo della Lucchesia, ma anche del Senese, e, soggiunto che anche i Veneziani tendevano a Bologna, conchiude domandando l’intervento di Sigismondo (6).

Le cose si complicano poco dopo, quando oratori senesi e fiorentini, arrivati a Milano, rimproverano al Duca di aver osato chiamare gli stranieri in Italia (7).

Intanto i Lucchesi ricorrono a Venezia ed a Filippo Maria Visconti per avere un aiuto. La prima credette di non potere intervenire per i patti che la legavano alla Repubblica fiorentina; il secondo, non volendo aiutare

(1) Litterarum, Reg. 3, n. 637.

(2) G iu s tin ia n i, Op. e Voi. citt., pag. 313. Vedi anche Litterarum, Reg. 3, n. 612, ove si dice che Bartolomeo Capra, ducale governatore, e il Consiglio degli Anziani assolvono gli uomini di S. Margherita, il 3 agosto, da delitti, colpe, disobbedienze ed eccessi anche di lesa maestà; e n. 622, ove si accenna, il 2 settembre, alla già avvenuta occupazione di Portofino.

(3) Litterarum, Reg. 3, n. 638.

(4) G iu s tin ia n i, Op. e Voi. citt., pag. 313.

(5) R o m a n in , Op. e Voi. citt., pag 136.

(6) Inventari e regesti citt., Vol. II Parte II, n. 328.

(7) Inventari e regesti citt., Vol. II, Parte II, n. 347.

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apertamente i Lucchesi, per non andare contro l’ultimo trattato di pace, che gli proibiva di occuparsi delle terre poste nella Toscana e nella Romagna, cedette ad essi Francesco Sforza, il quale doveva agire come per proprio conto. Ciò accadeva prima del 19 maggio, giorno in cui lo Sforza ancora a Milano- nella Porta Vercellina, promette ai procuratori del Duca di tornare ai suoi stipendi ad ogni sua richiesta, non ostante la ferma con Paolo Ouinigi, contrattata da Antonio Petrucci di Siena fu Francesco detto Chicco Rosso, da Bonfiglio de’ Bonfigli fu Giorgio di Fermo e da Gregorio de’ Arrigi fu Arrigo (1).

Il Capitano nel luglio successivo con 3000 cavalli ed altrettanti pedoni entrò in Toscana per la strada della Lunigiana e, rotte le resistenze dei Fiorentini, andò oltre Lucca. Ma qui entra l’intrigo. Tornato indietro, dopo di avere bruciate alcune castella nella Valdinievole, Io Sforza, « o già guada­

gnato dall’oro dei Fiorentini o avuto sentore delle pratiche tenute da Paolo Guinigi con questi, per dare ad essi Lucca in possessione al prezzo di dugento mila fiorini d’oro », d’accordo col Petrucci, pigliò il Guinigi e suo figlio Ladislao e li mandò nella fortezza di Pavia (2). Ciò fatio se ne andò nelle sue terre di Puglia o, come altri dicono, in Lombardia.

Nell’intervento dello Sforza alla guerra di Lucca riconobbero i Fioren­

tini una mossa ostile del Duca e si accordarono con i Veneziani per vendicarla.

Veramente si erano fatte delle trattative a Genova, a Cremona ed a Lodi alle prime avvisaglie del pericolo, per scongiurarlo; ma non vi si era riuscito; anzi ultimamente a Cremona ed a Piacenza si erano intavolate pratiche per assol­

dare armigeri, che erano ancora al servizio del Visconti; e Venezia aveva offerto al Re dei Romani una forte somma per distoglierlo dal venire in Italia, come ne lo pregava la parte avversa il 17 settembre. D’altronde Lucca senza Fran­

cesco Sforza non poteva resistere alle minacce dei Fiorentini (3).

Nuova istanza con maggiore insistenza fu rivolta al Re, agli Elettori, ai Baroni dell’impero, per mezzo di Giacomino di Iseo, chesi trovava presso quella corte, il 26 settembre, quando cioè Venezia e Firenze — almeno così si diceva — forti di 12000 cavalli e 5000 fanti e di una flotta di 60 galee stavano per muovere guerra al Duca per mare e per terra, mentre nell’interno dei suoi stati i sudditi fremevano per le gravezze e per i cattivi trattamenti, cui erano sottopposti (4).

Intanto a Lucca la guerra riprendeva. Avevano ben cercato quei cittadini,

(1) Inventari e regesti citt., Vol. II, Parte II, ri. 837.

(2) Oin o Ca p p o n i, Op. e Voi. citt., pagg. 498 e 99. Altri dicono che fosse condotto a Milano.

(3) Inventari e regesti citt., Vol. II, Parte II, n. 370.

(4) Inventari e regesti citt., Vol. II, Parte II, n. 371,

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-di convincere Firenze dal desistere dall’impresa che avevano tolta contro il tiranno Paolo Guinigi, ma, udito che per ottener questo, dovevano cedere Monte Carlo e Camaiore in pegno, ruppero ogni pratica, tanto più che anche Siena era irritata del modo di procedere dei Fiorentini. Non rimaneva, adunque, che dare istruzioni al Pietrucci, che allora si trovava in Lombardia e conduceva ogni cosa, di persuadere il Duca di Milano ad intervenire o direttamente o indirettamente nella contesa.

Filippo Maria, signore di Genova, spinse questa a far sapere ai Fioren­

tini di sospendere ogni offesa contro i Lucchesi. Non essendosi tenuto conto di questa intimazione, si mandò in campo, come licenziato dal Duca e come soldato di Genova, Nicolò Piccinino, che fu costretto a lasciare l’impresa, così bene avviata, contro dei Fieschi (1).

Durante questi incresciosi incidenti, che preoccupavano Genova grande­

mente, Galeotto del Carretto, con una condotta assai discutibile, che sem­

brava volesse distinguere gli interessi del Duca da quelli di Genova, prende sussiego e si atteggia ad indipendente.

Già da qualche anno erano corse delle convenzioni fra Savona e Filippo Maria Visconti che vietavano alla Metropoli di imporre in quella città delle nuove gabelle. La cosa, se giovava ai commerci dell’una, per ripercussione nuoceva a quelli dell’altra ed avemmo una accalorata controversia (2).

Ora dovendosi decidere su di essa (3) e temendosi che Galeotto non vi influisse, schierandosi contro la Repubblica, il 9 aprile gli si scrisse dal Consiglio degli Anziani, dandoglisi spiegazione dello stato delle cose. 1 Savo­

nesi — si dice in quella lettera — sono in lite con Genova:

nihil unquam tentatum est quod hanc urbem everteret quam via hec qua fieret ut lanua, annuis sumptibus... et gravibus preterea vectigalibus pressa, exhauriretur

,

Savona horum tributorum immunis id fieret quod nunc lanua est.

II vostro giuramento di fedeltà si soggiunge — vi deve spingere a diportarvi come si conviene al vostro onore. Chi ci favorisce, ci fa il più gradito atto di ossequio; chi ci si oppone, non ci può fare atto più ostile (4).

Come si diportasse Galeotto dopo questa ammonizione noi non sappia­

mo, ma l’animo suo ci è rivelato dalla natura stessa del documento.

Un altro episodio è più preciso al riguardo.

Il Marchese di Finale, da non molto, aveva proibito che da Noli si

(1) G in o C a p p o n i, Op. e Voi. citt., pagg. 499 e 500.

(2) I. S c o v a z z i — F. N oberasco, Storia di Savona, Vol. II, Savona Tipografia Ita­

liana, 1927, pagg. 235 e segg.

(3) Il Piccinino era stato eletto a decidere la quistione. Vedi a proposito: Litterarum,

Reg. 3, nn. 518, 637, 698, ove lo si prega a non frapporre più indugio a dare la sentenza, (4) Litterarum, Reg. 3; n. 526.

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portasse del sale a Mallare ed a Cengio, se non si pagava a lui un qualche pedaggio. Genova gli aveva scritto l’il luglio del 1429, dietro ricorso delle Autorità nolesi, raccomandandogli o di astenersi dalPimporre il nuovo aggravio o di mandare un suo fiduciario per sostenere quel suo diritto, perchè quelle strade erano state dichiarate libere fin dal secolo XIII dal marchese Enrico II del Carretto ed ultimamente il 31 gennaio 1416 dai sapienti del Comune quella dichiarazione era stata confermata (1). Non si fece vedere nessuna risposta; e per questo il 16 marzo del 1430 gli si rinnovava l’invito o di smetterla dall’ingiusta pretesa o di mandare un uomo bene istruito a trattare a Genova la cosa (2). Anche questa volta si attese invano una risposta e, come se la divergenza non fosse bastata ad agitare gli animi, un ordine di Galeotto proibì che da Mallare ed altre terre dell’Oltregiogo non avesse più legna Noli e da Vezzi non venisse più rifornita di viveri. Una terza lettera allora fu spedita a lui in data 30 maggio, portata questa volta da Cristoforo da Milano, messo pubblico. 11 quale, però, non venne introdotto a Castel Govone; dovette quindi consegnarla ad uno dei servi del Marchese il 3 giu­

gno, dicendogli che aspettava risposta. Dopo alcune ore, non essendosi alcuno fatto vivo, fu costretto a tornare a Genova a mani vuote (3).

Contemporanea alla lettera ultima scritta a Galeotto, altra ne fu spe­

dita al Duca di Milano per fargli sapere la cosa e dirgli che al Marchese si era minacciato di privarlo del feudo

e,

se questo non lo moveva a resipi­

scenza, si sarebbero usati con lui altri rimedii (4).

Solo poco prima del 21 giugno arrivarono due risposte di Galeotto, ma così vaghe che difficilmente poteva capirsene il senso. Questo sol­

tanto era chiaro che non riconosceva a Genova alcun diritto di istruire processo contro di lui. Che fare? Una orribile pestilenza sviluppatasi nella Liguria non permetteva di imporre al feudatario riottoso di venire a Genova;

gli si ingiunse, quindi, di non richiedere nè dai Nolesi, nè da altri che traf­

ficavano con Cengio e con Mallare verun pedaggio sotto pena della perdita del feudo, rimettendosi a dopo il primo di ottobre una conclusione definitiva, quando un sindaco di Galeotto sarebbe potuto recarsi a Genova per difen­

dere i diritti del Marchese (5).

Il 3 luglio si scrisse anche a Filippo Maria ed a Bartolomeo Bosco, che si trovava a Milano frai suoi consiglieri, anche perchè si era saputo che il Marchese si sarebbe recato colà per trattare la quistione.

(1) Litterarum, Reg. 3, n. 424.

(2) Litterarum, Reg. 3, n. 505.

(3) Litterarum, Reg. 3, nn. 549 e 50 a.

(4) Litterarum, Reg. 3, n. 551 (5) Litterarum, Reg. 3, ti. 559,

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Al primo si fece sapere che, oltre le vessazioni dei Nolesi, si do­

veva lamentare il fatto che l’irrequieto Signore di Finale aveva allettato molti uomini di Spotorno a prestar giuramento nelle sue mani, quindi a farsi suoi sudditi, nulla temendo da Genova, cui negava il diritto di esseie suo giu­

dice ed appellandosi al Visconti non come a colui che ne aveva il dominio, ma come a Duca di Milano. E la lettera segue a descrivere l’atteggiamento di Galeotto con le conseguenze che ne potevano derivare:

iuvenis , secundis