(20 febbraio 1432 — 16 giugno 1436)
Trattative di pace da un pezzo si protraevano a Ferrara.
11 Marchese d’Este, ufficiato da Venezia che si interponesse fra i contendenti, aveva spedito una lettera al Duca di Milano, pregandolo d ’inviare dei suoi rappresentanti in quella città, per abboccarsi con i legati dei Veneziani e dei Fiorentini; e il 20 febbraio 1432 lo stesso Duca ne scriveva al Re dei Romani, dicendosi moralmente obbligato a far ciò, per evitare di essere incol
pato di aver voluto la guerra (1).
Sigismondo approvò il progetto e il 24 fu informato che i legati milanesi, andando a Ferrara, sarebbero passati per Piacenza, ove egli si trovava, per ricevere un indirizzo alle trattative e per dirgli che nulla si sarebbe conchiuso senza il suo beneplacito (2).
Nello stesso tempo i Veneziani si erano decisi a m andare anche essi dei legati a Reggio, per trattare della stessa pace con l’intervento di Sigismondo.
Ma quello, che forse nella loro mente era uno sforzo nuovo per riuscire nell intento, da Filippo Maria fu creduto astuzia meschina, atta a m etter divi
sione fra lui e Sigismondo. Ciò non ostante egli non si mostrò contrario alla nuova pratica (3); ma, pentendosene ben presto, il 27 marzo volle che Nicolò Guerrieri facesse in modo presso il Re, che questi, rifiutando ogni relazione con i Veneziani, si avviasse senz’altro in Toscana (4).
Vero è che il Guerrieri non riuscì ad ottener ciò e gli ambasciatori regi s’incontrarono con quelli veneziani a Reggio; ma questi, come si vide,
(1) Osio, Op. e Voi. citt., pagg. 59 e 60.
(2) Osio, Op. e Voi. citt., pagg. 60 e 61.
(3) Osio, Op. e Voi. citt., pagg. 62 e 63.
(4) Osio. Op. e Voi. citt., pag. 69,
davan buone parole senza decidersi di venire a conclusioni d efin itiv e (1).
Il 22 aprile intanto a Ferrara i legati del Duca erano stesi a queste concessioni: rilasciare ai Veneziani il territorio ad essi preso, liberare quello occupato oltre la Magra, in modo che nè i Milanesi nè i Fiorentini più se ne im pacciassero. 1 federati non accettarono queste proposte, nè i delegati del D uca avrebbero potuto conchiudere a quelle condizioni, senza prima^
averne riferito a Sigismondo. Ciò sarebbe stato sufficiente a fare interrompere ogni pratica, ma quelli, che d irig ev a n o le operazioni di guerra, sostene\ano che era impossibile resistere oltre ai nemici molto più n u m ero si e meglio equi paggiati; se si fossero mandati soldati in Toscana, la Lombardia sarebbe rimasta indifesa; inoltre non si avevano più denari e si d o v e v a n o pagare 6 0 .0 0 0
fiorini al mese per l’esercito (2). Bisognava quindi proseguire le trattative, se non che i nemici le avevano già interrotte. Che fare? Non rimaneva che j rivolgersi ad una persona di autorità e ben visa alle parti e riprendere la pratica mediante l’opera sua. Fu s c e lto il Cardinale di Piacenza il 23 aprile dal Duca a rappresentarlo in un nuovo convegno e, siccome il Re, fermandosi in Italia, costituiva un impedimento per conchiudere, mentre nulla poteva farsi senza aver prima richiesto il suo parere, il Cardinale avrebbe dovuto anche ottenere che Sigism ondo, invece di recarsi a Roma, si portasse a Basilea, dove il concilio reclamava la sua presenza (3).
Se non che, lo stesso 23, un’altra lettera indirizzata al Cardinale ci m ostra che il Duca, cambiando parere, aveva richiamato anche lui da Ferrara i suoi legati e voleva che la notizia fosse data al Re dei Romani (4).
11 popolo di ciò non era rimasto contento, desioso, come era, di veder finiti gli orrori d’una guerra, che si protraeva da troppo tempo, e cominciava a lesinare i proprii contributi. Allora il Duca pensò di vincerlo con un inganno e il 4 giugno, ricordando a Sigismondo il suo desiderio che la guerra fosse proseguita, gli domandò aiuti per l’ennesima volta e, per trovar soldi, credette necessario si perseverasse
in aliquali pacis practica cum hostibus
, sempre pero con l’intenzione di nulla conchiudere senza l’approvazione reale 15).Di quei giorni Sigismondo era in Toscana; PII si portò a Siena e non fa meraviglia che si interessasse della pace presso i belligeranti (6).
Fatto sta che ai 3 di novembre le speranze erano sfumate una seconda volta, sebbene i legati della lega e del Visconti fossero tornati a trattare
(1) Osjo, Op, e Voi. citL, pag 70.
(2) O sio, Op. e Voi. citt, pagg. 77 e 78.
(3) O sio, Op. e Vol. citt, pagg. 7S e 79.
(4) O sio, Op. e Voi. citt, pagg. 80 e 81 (5) O sio, Op. e Voi. citt., pagg. 87 e 88.
(6) M u r a t o r i , Annali citt., pagg. 2S5 e 86.
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sulle condizioni di pace a Ferrara. È passato molto tempo — si scrive da Genova al Signor di Piombino forse non se ne farà più nulla; ma com e noi abbiamo eletti i legati da mandarsi colà, così anche voi potete fare altret
tanto per nulla trascurare di ciò che riguarda e la pace e la guerra (1).
Chi dava questa esortazione, la metteva in pratica per suo conto e, non chiamato a Ferrara, il 21 gennaio riuniva un Consiglio per discutere del come proseguire la guerra. Otto persone furono elette, che, unite all’Ufficio di Balìa, trovassero i fondi necessari. Si decise anche di togliere ogni spesa superflua; anche il presidio cittadino si sarebbe voluto assottigliare, contro il parere dei luogotenenti e si mandarono, per ottener questo, Nicola Cattaneo, Raffaele de Fornari, Lazzaro Vivaidie Giovanni Antonio Spinola dal Duca (2).
Il Duca dal canto suo voleva che la flotta non fosse disarmata, ma infestasse Pisa ed i mari vicini; così la pace si sarebbe potuto ottenere a migliori condizioni. Ma come uscire al largo con una flotta logora e ridottis
sima? Pietro Spinola quando era tornato dall’Oriente, aveva riportato dieci navi, lasciandone quattro malconce a Chio. Per la tempesta una era stata costretta a tornare nell'isola; un’altra, rotto l’albero, era riuscita appena a salvarsi a Siracusa; in una collisione nello Stretto di Messina, altre due si erano affondate; un’altra ancora, facendo acqua, aveva dovuto essere abbando
nata. Solo cinque ne restavano, ma bisognose di non lievi riparazioni. Alle
stire una nuova flotta con le navi allora nel porto era affare di non breve tempo. Ma poi nessun frutto si poteva sperare, con il blocco di quei mari, perchè a Pisa i Catalani avevano già introdotto 25.000 mine di frumento (3).
Comunque, il desiderio del Duca, avendo forza di legge, costrinse Genova a radunare una nuova armata. Si decide di prendere a nolo le navi di Tomaso Squarciafico, di Filippo Giustiniani, di Luca Ardimento, di Nicolò Cattaneo, di Leonardo Ceagia per servizio di guerra ed utilità della Repubblica, richiamandole in porto (4).
Son ripresi anche i movimenti per le operazioni terrestri. Leone da Tagliacozzo aveva domandato 25 cerne e guastatori (5) per espugnare Fosdi- novo (6). Il 26 febbraio si destina Damiano Pallavicini a Siena (7), a cui
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-(1) LitUrarum, Reg. 5, n. 913.
(2) Litterarum, Reg. 5, nn. 994 e 95.
(3) LitUrarum, Reg. 5, n. 1009.
(4) LitUrarum, Reg. 5, n. 1013.
(5) « Ciascuno di quei soldati, che sono impiegati specialmente a distruggere gli osta
coli, ad aprire passaggi, a spianare le strade, ad aprire le trincee, a colmare i fossi, e ad ogni altro lavoro di simil genere ». Cfr. Qu o l i e l m o t t i, Dizionario cit., col. 844.
(6) LitUrarum, Reg. 5, n. 1016.
(7) LitUrarum, Reg. 5, n. 1017.
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-davan buone parole senza decidersi di venire a conclusioni definitive (1).
Il 22 aprile intanto a Ferrara i legati del Duca erano scesi a queste concessioni: rilasciare ai Veneziani il territorio ad essi preso, liberare quello occupato oltre la Magra, in modo che nè i Milanesi nè i Fiorentini più se ne impacciassero. 1 federati non accettarono queste proposti., nè i eegati del Duca avrebbero potuto conchiudere a quelle condizioni, senza prima averne riferito a Sigismondo. Ciò sarebbe stato sufficiente a fart interromper ogni pratica, ma quelli, che dirigevano le operazioni ili guerra, sostenevano che era impossibile resistere oltre ai nemici molto più numerosi e meglio equi „ paggiati; se si fossero mandati soldati in Toscana, la Lombardia sarebbe rimasto indifesa; inoltre non si avevano più denari e si d o v e v a n o pagare 60.0 fiorini al mese per l’esercito (2). Bisognava quindi proseguire le trattative,.
se non che i nemici le avevano già interrotte. Che fare? Non rimaneva c e rivolgersi ad una persona di autorità e ben visa alle parti e riprendere la pratica j mediante l’opera sua. Fu scelto il Cardinale di Piacenza il 23 aprile dal Duca a rappresentarlo in un nuovo convegno e, siccome il Re, fermandosi in Italia, costituiva un impedimento per conchiudere, mentre nulla poteva farsi senza aver prima richiesto il suo parere, il Cardinale avrebbe dovuto anche ottenere che Sigismondo, invece di recarsi a Roma, si portasse a Basilea, dove i concilio reclamava la sua presenza (3).
Se non che, lo stesso 23, un’altra lettera indirizzata al Cardinale ci mostra che il Duca, cambiando parere, aveva richiamato anche lui da Ferrara i suoi legati e voleva che la notizia fosse data al Re dei Romani (-1).
Il popolo di ciò non era rimasto contento, desioso, come era, di ve er finiti gli orrori d’una guerra, che si protraeva da troppo tempo, e com inciava
a lesinare i proprii contributi. Allora il Duca pensò di vincerlo con un inganno e il 4 giugno, ricordando a Sigismondo il suo desiderio che la guerra fosse proseguita, gli domandò aiuti per l’ennesima volta e, per trovar soldi, credette ; necessario si perseverasse
in aliquali pacis practica cum hostibus
, sempre però con l’intenzione di nulla conchiudere senza l’approvazione reale 15).Di quei giorni Sigismondo era in Toscana; l’II si portò a Siena e non fa meraviglia che si interessasse della pace presso i belligeranti (6).
Fatto sta che ai 3 di novembre le speranze erano sfumate una secon d a
volta, sebbene i legati della lega e del Visconti fossero tornati a trattare
(1) O sio, Op, e Voi. citt., pag. 70.
(2) O sio, Op. e Voi. citt., pagg. 77 e 78.
(3) Osio, Op. e Voi. citt., pagg. 78 e 79.
(4) O sio, Op. e Voi. citt., pagg. 80 e 81 (5) O sio, Op. e Voi. citt., pagg. 87 e 88.
(6) M u r a t o r i , Annali citt., pagg. 285 e 86.
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sulle condizioni di pace a Ferrara. È passato molto tempo — si scrive da Genova al Signor di Piombino forse non se ne farà più nulla; ma come noi abbiamo eletti i legati da mandarsi colà, così anche voi potete fare altret
tanto per nulla trascurare di ciò che riguarda e la pace e la guerra (1).
Chi dava questa esortazione, la metteva in pratica per suo conto e, non chiamato a Ferrara, il 21 gennaio riuniva un Consiglio per discutere del come proseguire la guerra. Otto persone furono elette, che, unite all’Ufficio di Balìa, trovassero i fondi necessari. Si decise anche di togliere ogni spesa superflua; anche il presidio cittadino si sarebbe voluto assottigliare, contro il parere dei luogotenenti e si mandarono, per ottener questo, Nicola Cattaneo, Raffaele de Fornari, Lazzaro Vivaldi e Giovanni Antonio Spinola dal Duca (2).
Il Duca dal canto suo voleva che la flotta non fosse disarmata, ma infestasse Pisa ed i mari vicini; così la pace si sarebbe potuto ottenere a migliori condizioni. Ma come uscire al largo con una flotta logora e ridottis
sima? Pietro Spinola quando era tornato dalPOriente, aveva riportato dieci navi, lasciandone quattro malconce a Chio. Per la tempesta una era sfata costretta a tornare nell’isola; un’altra, rotto l'albero, era riuscita appena a salvarsi a Siracusa; in una collisione nello Stretto di Messina, altre due si erano affondate; un’altra ancora, facendo acqua, aveva dovuto essere abbando
nata. Solo cinque ne restavano, ma bisognose di non lievi riparazioni. Alle
stire una nuova flotta con le navi allora nel porto era affare di non breve tempo. Ma poi nessun frutto si poteva sperare, con il blocco di quei mari, perchè a Pisa i Catalani avevano già introdotto 25.000 mine di frumento (3).
Comunque, il desiderio del Duca, avendo forza di legge, costrinse Genova a radunare una nuova armata. Si decide di prendere a nolo le navi di Tomaso Squarciafico, di Filippo Giustiniani, di Luca Ardimento, di Nicolò Cattaneo, di Leonardo Ceagia per servizio di guerra ed utilità della Repubblica, richiamandole in porto (4).
Son ripresi anche i movimenti per le operazioni terrestri. Leone da Tagliacozzo aveva domandato 25 cerne e guastatori (5) per espugnare Fosdi- novo (6). Il 26 febbraio si destina Damiano Pallavicini a Siena (7), a cui
(1) LitUrarum, Reg. 5, n. 913.
(2) LitUrarum, Reg. 5, nn. 994 e 95.
(3) LitUrarum, Reg. 5, n. 1009.
(4) LitUrarum, Reg. 5, n. 1013.
(5) « Ciascuno di quei soldati, che sono impiegati specialmente a distruggere gli osta
coli, ad aprire passaggi, a spianare le strade, ad aprire le trincee, a colmare i fossi, e ad ogni altro lavoro di simil genere •. Cfr. Ou o l i e l m o t t i, Dizionario cit., col. 844.
(6) LitUrarum, Reg. 5, n. 1016.
(7) LitUrarum, Reg. 5, n. 1017.
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il 27 si dà per meta anche Piombino (1). Ottobono Imperiale deve andare a Lucca (2).
11 7 marzo si domandano 100 balestrieri e fanti ad Urbano di San- t’Aloisio e 50 al marchese Isnardo di Malaspina Culmorino (3). Si invita a Genova da Voltaggio Michele Verro con 100 uomini (4). E scoppia violenta la zuffa a Torriglia ed a Roccatagliata (5). Per Siena il 26 si assoldano An
tonio di Bertinoro con 150 paghe, Lazzaro Spaerio e Massacano con 50 balestrieri (6).
Arriva a questo punto una notizia da Ischia: che il Re d’Aragona abbia fatto pace con la Regina di Napoli. Genova, che teneva presso di lui dei legati per vedere di conchiudere una lega, come il suo Signore desiderava, prende occasione per far vedere a quest’ultimo la doppia politica dell Aragonese, dominato sempre dal pensiero egoistico del suo tornaconto. Ad ogni modo
— soggiunge — c’è nulla da perdere: egli ha poche galee, in gran parte disarmate; due naufragarono; una fu portata via dai condannati al remo, altre avevan fatto rotta per regioni lontane; altre avevan la ciurma ridotta a metà, perchè alcuni erano fuggiti, altri morti per malattie contratte a causa del freddo e della fame: per tutto questo era inutile seguitare a tener dei legati presso di lui; meglio sospendere pel momento ogni pratica ed attendere alla pace con i Veneziani, donde si caverebbe maggiore utilità, perchè era rovi
nosa la situazione creatasi dalla guerra, e, mentre altri popoli, godendo il bene
ficio della pace, prosperavano e si sviluppavano, la Repubblica doveva impo
verirsi con le armate e con le spese. Si temesse in modo particolare di re Alfonso, che, se fosse riuscito ad occupare il regno di Napoli, ricco di denaro e di uomini, presto o tardi si sarebbe rivolto contro gli altri Stali italiani, distruggendoli (7).
II Genovese dalPocchio lungimirante vedeva i pericoli e li ad
ditava, affermando che la pace era necessaria per la Repubblica e per il Duca.
Nuovo argomento per consigliare la pace l’offriva Siena, che si consu
mava nella guerra contro Firenze e si ostinava a pretendere e implorare un aiuto che nessuno poteva più darle e Genova tanto meno, la quale, avendo speso 600.000 lire in un anno, avendo sopportato naufragi in Oriente ed in
(1) Litterarum, Reg. 5, n. 1020.
(2) Litterarum, Reg. 5, n. 1019.
(3) Litterarum, Reg. 5, nn. 1027 e 1029.
(4) Litterarum, Reg. 5, n. 1028.
(5) Litterarum, Reg. 5, nn. 1031-34.
(6) Litterarum, Reg. 5, n. 1047.
(7) Litterarum, Reg. 5, n. 1053.
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Occidente, ora stava assediando Roccatagliata e, senza aver pagato le spese della flotta messa insieme nel 1432, si vedeva costretta a prepararne un’altra pel 1433 (1).
In realtà tutti gli sforzi convergevano ora nelPapparecchio della nuova armata e il 23 aprile anche a Galeotto si raccomanda di invitare i suoi uomini a salirvi sopra (2).
Però, quando meno la si aspettava, la pace fu sottoscritta. Era il 26 aprile. Nicolò d’Este, signore di Ferrara, aiutato da Luigi, marchese di Saluzzo, suo suocero, dopo molte fatiche aveva ottenuto il suo intento.
E le condizioni della pace erano: « Bergamo e il suo territorio fossero della Repubblica [di Venezia]; il Duca restituirebbe le terre tolte al Marchese di Monferrato e si adopererebbe ad ottenere che il Duca di Savoia facesse altrettanto; Orlando Pallavicini resterebbe ligio al Duca e non alla Lega e sarebbe assolto di tutti i danni recati ai Veneziani durante la guerra. Sarebbe restituita a Firenze la contea di Pisa, eccetto Pontremoli e le sue adiacenze che resterebbero al Duca, il quale si sarebbe ritirato da tutte le altre terre da lui occupate in Toscana. Succederebbe scambievole restituzione di territorii tra Siena e Firenze, e tra questa e Lucca, la quale sarebbe compresa nella pace e resterebbe nella sua libertà. Il Duca non s’impaccerebbe sotto nessun pretesto delle cose di Toscana e ne ritirerebbe le sue truppe, come Firenze non s’impaccerebbe delle cose di Lombardia e di Genova. Reste
rebbero liberi il Signor di Piombino e il conte Tommaso di Campofregoso.
Sarebbe concessa un'amnistia generale agli abitanti, libererebbonsi i prigionieri, cesserebbe ogni ostilità e vessazione o molestia. Insorgendo dubbii circa il presente trattato, sarebbero rimessi nella decisione degli arbitri mediatori • (3).
La lieta notizia fu data dal Duca a Milano il 29 aprile coll’aggiunta che sarebbe stata pubblicata ufficialmente il 10 maggio (4); da Genova ai Vicarii e Podestà delle due Riviere il 2 maggio. Sarebbe stata poi divulgata a voce di banditore e le offese dovevan cessare (5).
Le sue modalità, non ancora conosciute, furono richieste al Duca il 5 maggio, quando gli si comunica che una nave era stata spedita per incon
trarsi con la piccola flotta, operante neH’alto Adriatico, e per comandarle di astenersi da ogni ulteriore offesa (6). Solo il 15 giugno si parla di
resti-fi) LitUrarum, Reg. 5, n. 1054.
(2) LitUrarum, Reg. 5, n. 1069.
(3) Ro m a n i n, Op. e Voi. citt, pag. 165.
(4) Osio, Op. e Voi. citt, pag. 103.
(5) LitUrarum, Reg. 5, n. 1084.
(6) LitUrarum, Reg. 5, n. 1066.
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tuzione di prigionieri (1); e fu rimandato fino al 29 febbraio del 1434 latto con cui al Marchese di Monferrato si consegnarono le sue terre (2).
Tornata la calma dopo la lunga tempesta, Genova compiese che non era stata niente fortunata nella detta spedizione.
In seguito ai movimenti nemici nelle sue colonie, aveva perduto Cem
balo, dato ad un tale Alessio, signor del Teodoro, luogo ivi vicino, da alcuni Greci, contro il quale Chio, Pera e Caffa avevan mandato truppe per riaverlo. Il 30 luglio non conosceva ancora l’esito di questa impresa, ma aveva già deciso di mandare colà la propria armata (3).
Il 26 agosto ne domandò il permesso al Duca, mentre seguitava a sentire gli effetti della guerra disastrosa. Perchè il Visconti, cui si era rivolta per essere esonerata dalla grave spesa di mantenere tuttavia in città dei sol
dati, le aveva risposto che ne conservasse soli 600, il qual numero sai ebbe stato diminuito, quando si fossero gettate le fondamenta del castello di Bolza neto, da lui voluto. Ma i 600 in realtà erano 800, comprendendovi le 130 paghe (4) volute da Opicino di Alzate in luogo dei 75 cavalli, per cui si spendevano 675 lire al mese, e le 40 destinate a formare la sua sbirraglia, cioè eran tanti, quanti se ne erano assoldati durante la guerra (5).
Venivano poi i pagamenti da sborsarsi ancora, come diceva il Duca, a Diotisalvi e Nardo pel tempo che avevan servito sulle navi, a Prevostino Priore, a Nicolò Guerrieri de’ Terzi.
Per i primi si sosteneva che nemmeno le ricchezze di Papa Martino V sarebbero bastate a soddisfarli; perchè da Chio a Genova, quando vi avreb
bero potuto impiegare un mese, essi ve ne misero cinque; ad ogni modo, se si dovevano pagare i debiti passati, come pensare alla nuova armata? D altronde i conestabili erano già abituati (e qui si adduce una ragione disonesta) a tali disavventure: essi non avrebbero insistito (6).
A riguardo di Prevostino Priore le cose andavano più bene p e r Genova.
Egli aveva fatto la rassegna a Borgo San Donnino; fu prima a Pietra Santa, poi a Siena, ma andò vagando qua e là, a suo talento e senza disciplina- Gli si scrisse il 24 luglio che restasse a Siena e gli si rimproverò il su0 1110 do di procedere; ma lui se ne fuggì, perdendo armi e cavalli. Venuto a Ge nova, domandò un prestito a formare di nuovo la sua compagnia. Oli furon
(1) Litterarum, Reg. 5, n. 1150.
(2) O sio, Op. e Voi. citt., pagg. 114-118.
(3) Litterarum, Reg. 5, n. 1231
(4) « Paga: Nome generico di ogni soldato pagato: onde Togliere a soldo due mila
paghe era assoldare due mila uomini ». G u g l i e l m o t t i , Vocabolario cit., col. 1211.
(5) Litterarum, Reg. 5, n. 1248.
(6) Litterarum, Reg. 5, n. 1266,
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dati 170 aurei, ricevuti i quali,.se ne andò in Lombardia e non tornò più in Toscana (1).
A riguardo di Nicolò Guerrieri si poteva dire altrettanto. Due volte fu a Genova. Destinato a Siena coi suoi 500 cavalieri, che si era obbligato a fornire, non vi andò mai e, a detta dello stesso Visconti, fu supplito dalla compagnia di Ludovico Colonna (2).
Ma, se per non pagare questi conestabili Genova ebbe o scuse o ragioni, per altro dovette soddisfare a denari sonanti e fu costretta il 15 settembre ad imporre avarie (3) e pretendere da diversi luoghi il contributo per l’armata (4).
Smunta dalle continue spese e tenuta a freno dal Visconti con la forza quel presidio, che si vuol diminuito da una parte e conservato in effi
Smunta dalle continue spese e tenuta a freno dal Visconti con la forza quel presidio, che si vuol diminuito da una parte e conservato in effi