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2. Pisa e il suo contado Pisa e il suo contado Pisa e il suo contado Pisa e il suo contado Il Monte Pisano

2.1 Buti Buti Buti But

2.1

2.1

2.1 ButiButiButiButi

“Da Buti non si vede altro mondo che la sua valle, e quello che si vede è tutto bosco…”.137

Buti, Buiti Castrum, è situato sulle pendici orientali del Monte Pisano, a 85 m. sul livello del mare, tra boschi di pini e castagni.

“Giace Buti nel fondo di un angusto burrone, che Valle di Buti si appella, solcato dal precipitoso torrente di Rio Magno, fra le scoscese pendici dei contrafforti che dal Monte Pisano vanno a tuffare la loro base nel vicino padule di Bientina. La terra di Buti è divisa in due porzioni: quella più alta dicesi il Castello, la più bassa è chiamata il Borgo. Da questo luogo, dove si fa notte innanzi sera, non si scopre altro mondo che il suo vallone: e quello che si vede è tutto orrido, tutto bosco, tutte rupi vestite di pini, o di castagni o di ulivi, se si eccettui l’angusto suo grembo coperto di vigneti”.138

137 G. Targioni Tozzetti, Relazioni, vol. III, op. cit., pag. 67. 138 E. Repetti, Dizionario, vol. I, ad vocem“Buti”, op. cit., pag. 376.

“La storia di Buti si perde nella notte dei tempi: sul suo suolo si sono succeduti popoli preistorici, liguri, etruschi, romani, goti, longobardi, per giungere al Medioevo carico di continui passaggi di pisani, lucchesi e fiorentini con i loro alleati e mercenari provenienti da mezza Europa ed arrivare tempi moderni…”.139

La prima attestazione scritta dell’esistenza del borgo, riguarda l’edificazione di due chiese nell’anno 841: la Badia di San Michele a Cintoia e la chiesa di San Marco. Il toponimo emerge anche nel 1068 come Buiti e deriva dal latino bucita, "pascolo di buoi".140 Il borgo si chiamò anche Buyti, poi Butri, Buiti, Buthi.

Nel testo del Valdiserra è esposta l’ipotesi che il nome del paese derivi dal nome di un triumviro (L. Fabio Buteo), che era stato mandato nella colonia romana di Pisa dopo le guerre contro il liguri (179 a.C.) “suppongo dunque che L. F. Buteo, o qualche famiglia da esso dipendente, o diramata, acquistato avendo nella sua dimora in Pisa qualche iugero, o latifondio, in queste pendici habbia poi lasciato il suo nome alla già acquistata possessione”.141

Oltre al già citato documento dell’841, vi sono vari atti in cui compare il nome di questo borgo; dell’XI secolo è un testamento in cui è nominato il castello; nel 1138 si trova che l'imperatore Corrado II dona a Baldovino, Arcivescovo di Pisa, vari territori, tra cui il borgo di Buti. “… sembra potersi credere che l'arcivescovo di Pisa fosse il principale padrone, come di tante altre terre, anche di Buti”. 142

Questi possedimenti furono riconfermati all'Arcivescovo di Pisa nel 1176, nel 1178 e ancora nel 1197.

Il paese viene descritto da un anonimo del luogo in questo modo: “egli (il paese) è irregolarmente distribuito parte in piano, chiamata adesso ancora come negli antichi tempi il borgo, e parte si vede posto su due rilevate collinette, chiamate l'una il Castel Tonini, e l'altra Castel di Nocco, così dalle principali famiglie, che forse ne possedevano il dominio addimandate”.143

I Tonini, infatti, modificarono l'aspetto di Buti, costruendo palazzi e abitazioni nel corso del XVII secolo.

Castel di Nocco fu invece eretto a sbarramento del valico, sulla strada detta “del Termine”, che supera monte Roncali e collega Buti con Vicopisano.

Nel secolo XI, il territorio era già stato dotato di un potente sistema difensivo, al punto che ben otto fortificazioni svettavano sulle cime dei monti della zona. Il centro era già nell’anno 1000 circondato da queste strutture difensive. Alcune di esse sono oggi scomparse o ridotte a ruderi, mentre di altre è rimasta la compattezza e la struttura dell’epoca medioevale. “I monti butesi sono ricchi di questi resti, ma dando per essi si incontrano mura di antiche fortificazioni, resti di chiese e romitori, pietre scolpite; tutte cose che dormono sepolte dalla ricca vegetazione del sottobosco o giacciono incorporate nelle terrazze degli oliveti dimenticate da tutti”.144

139 E. Valdiserra, Memorie di Buti. Da un manoscritto di un anonimo butese del 1800, Pisa, giardini editori, 1976,

pag. 11.

140 M. E. Martini, La storia di Calci, op. cit., pag. 9. 141 E. Valdiserra, Memorie di Buti, op. cit., pag. 23. 142 Ivi, pag. 26.

143 Ivi, pag. 20. 144 Ivi, pag. 11.

Attualmente, dei "Castelli" che circondavano e difendevano Buti: Castello di Panicale, Castello di Farneta, Castello di S. Lorenzo in Cintoia, Castellarso (incendiato da Castruccio Castracani), Castel di Nocco, Castel Tonini, Castel S. Giorgio, Castello di S. Agata sono rimaste solo poche rovine.

“…pervenni a San Giorgio, luogo così detto da una chiesa rovinata, di cui non resta in piedi altro che la tribuna. Intorno a questa chiesa si trovano molte rovine e fondamenti d’edifizj e i paesani dicono per tradizione che lì anticamente era il castello”.145

Solo di Castel Tonini sono rimaste le strutture principali anche se fortemente rimaneggiate. Esse sono costituite dalla porta di accesso, da un agglomerato adiacente ad essa e da altri palazzi del XVI e XVII secolo. “…è quello che negli antichi tempi si diceva propriamente il Castello. In questo castello adunque vi era l'antica rocca, o fortilizio, ove in alcuni tempi ha risieduto un Commissario, che riguardava gli affari di guerra. Di qual forma e di quale estensione si fosse questo forte non si può darne più certezza veruna, per esservi state fabbricate sopra le sue rovine delle nuove abitazioni”.146 Infatti, nel 1550, il castello, o quel che ne

rimaneva, era stato completamente ricostruito, divenendo una villa, ricco di sale dipinte dal Giarrè.

Sotto Castel Tonini si trova la strada “del Termine”, che attraversa il Rio Magno col ponte “a Colle” e che collega Buti con Vicopisano.

Nel XIII secolo, a Buti si potevano contare ben undici chiese; di queste le principali erano: la Pieve di San Giovanni Battista nel centro del paese, San Francesco nell’omonima piazza e la chiesa dell’Ascensione, chiamata anche Santa Maria delle Nevi, in stile romanico. Quest'ultima è raggiungibile salendo lungo la strada

145 G. Targioni Tozzetti, Relazioni vol. I, op. cit., pag. 319 146 E. Valdiserra, Memorie di Buti, op. cit., pag. 20.

Figura 10 ASPi, Buti catasto sez. C foglio 2.

In questa parte della mappa è possibile vedere i toponimi di Castel di Nocco, Castel Nuovo e la via che porta a Buti. Inoltre sono visibili le particelle che individuano i possedimenti registrati nel catasto.

che porta sul monte Serra (per il borgo di Panicale) che, nel tratto lungo il corso d’acqua, era chiamata "via dei molini", per la presenza di molti mulini ad acqua, le cui ruote a pale erano azionate dal Rio Magno; di queste strutture, però, il tempo e le guerre ne hanno lasciati intatti solo un numero limitato.

Figura 11

ASPi, Classe XV derivazione di acque n. 7.

Carta idrografica del Comune di Buti

In questa carta idrografica possiamo vedere il Rio Magno, con tutti i suoi affluenti, che passa vicino al centro di Buti. Gli altri rii minori che confluiscono nell’alveo del Rio Magno sono:

Torrente Tara, Rio di Sant’Antonio, Rio de Ceci, Rio Balgarione, Rio Ferrante e Vallicello. Lungo questi corsi d’acqua sorgevano numerosissimi mulini.

Anche il borgo di Panicale era dotato di un castello, i cui resti sono individuabili lungo la strada verso il Serra; questo piccolo agglomerato domina il corso del Rio Magno e tutta la successione di mulini che erano azionati dal Rio.

Quando ormai al volgere del XVI secolo, il 29 ottobre 1596, Carlo Antonio Dal Pozzo, arcivescovo di Pisa, per mezzo del suo vicario Giuseppe Bocca, compì la visita pastorale nella comunità di Buti, compresa nella sua diocesi già dall’anno 960, elencò nel territorio, oltre alla pieve, altre 5 chiese: San Cristofano, San Pietro in Farneti, San Donato in Pratale, San Lorenzo e San Martino entrambe in Cintoia, descritte come “solo equatas, et dirutas” e per le quali decretò l’immediata sconsacrazione.147

“È pure la terra di Buti decorata di una superba pieve fatta a volta col disegno del signor Zocchi e dipinta a fresco dal signor Giarrè abilissimo pennello d'architettura. Oltre poi a detta pieve vi sono pure altre quattro chiese o cappelle, fra queste merita che sia fatta menzione quella di San Francesco, che vuolsi anticamente destinata ad uso di monache senza clausura, ché poi furono trasferite al convento di Santa Marta in Pisa.”148

La pieve primaziale, benché di antica origine, ha una struttura complessa, dovuta ai vari rifacimenti che si sono susseguiti nel tempo. 149

147 R. Bonanni, Calci, profumo di storia, Navacchio Pisa, tipografia moderna, 1997, pag. 56. 148 E. Valdiserra, Memorie di Buti, op. cit., pag. 21.

149 La pieve di Buti è documentata fin dal 960 e deve il suo aspetto attuale al rifacimento dei primi del

Novecento che ha cancellato l’assetto medievale prolungando le navate verso oriente, ricostruendo la zona presbiteriale e innalzando la cupola. Unica testimonianza dell'aspetto medievale rimane l'alto campanile in conci di pietra. Intorno al 1607 risale la facciata, scandita da paraste e cornici e conclusa da un timpano

Anche Buti, come gli altri paesi del Monte Pisano, seguì le sorti della repubblica marinara durante le numerose guerre con Firenze e Lucca.

E infatti subì più volte la totale distruzione durante questi conflitti, ma fu sempre ricostruito.

“La vicinanza ché alla città di Pisa ha questo luogo, e la sua quasi che continua, almeno negli scaduti tempi, ossequiosa subordinazione a quella repubblica e le vicende che con essa naturalmente soffrire doveva…”.150

Ad esempio nel 1163 la fortezza di Sant'Agata fu recuperata dai pisani dopo una sanguinosa battaglia contro i lucchesi, i quali si erano precedentemente impossessati del detto castello.

Con la sconfitta alla Meloria del 1284, Pisa perse il suo prestigio ed allentò il controllo dei vari castelli posti sotto la sua egemonia. Nonostante questo, nel corso delle lotte tra Guelfi e Ghibellini, anche Buti subì incendi e saccheggi; è documentato che il 7 agosto del 1285 il conte Ugolino della Gherardesca, che aveva accresciuto il suo potere dopo la sconfitta subita dalla flotta della Repubblica, fece saccheggiare ed incendiare il castello. “In Buti poi, più che altrove, essendo già dalle fazioni diviso, si accese il fuoco della guerra. Una parte si fece fautrice del conte Ugolino, mentre l'altra al partito del Visconti si attenne. Ma vedendo quest'ultimo di non poter resistere alle forze, che gli opponeva il conte, chiese aiuto a Lucca, quali vi mandarono Jacopo Marlocchi con gran numero di cavalli e fanti; fu attaccata la zuffa, e la fazione Gherardesca dové ritirarsi, non essendo da Pisa venuto soccorso veruno; sìcche cederono da primo il castello (detto ora castel Tonini) e poscia il borgo, ed, esciti dalla terra, i lucchesi se ne resero padroni a nome della repubblica loro”.151

Nel 1288 i pisani ripresero poi il castello ed il borgo di Buti.

“Poi del mese di dicembre li pisani cavalconno a Buiti e i vicalesi menaron co’ loro avendo intendimento da alcuni butesi d’avere la valle, e la terra di Buiti, e funno al castello vecchio di Buiti, lo presono per forza ché v’erano sergenti per lo comune di Lucchi. E preso lo castello vecchio li sordati del comuno di Pisa intranno in della valle…”.152

“In del 1313 del mese predictio (settembre) Pisa dimandò pace a Lucca, dicendo che se lli rendeano il castello d’Avana, facto o disfacto, et Asciano et Buiti, li Pisani erano contenti di tucto l’altro che teneano del loro, et non voleano nulla. Allora rispuose Bonturo Dati che volea Pisa si specchiasse in Asciano, lo quale Asciano tenneno li Lucchesi vintiocto anni.

A seguito del rifiuto da parte lucchese di restituire Asciano, che i Lucchesi avevano conquistato nel 1287, Uguccione della Faggiola organizzò una spedizione contro i Lucchesi, depredò il contado e giunse fin sotto le mura di Lucca”.153

curvilineo, in cui si aprono i tre portali che riflettono la suddivisione interna in navate. Nell'interno, al centro del presbiterio sorge il seicentesco altare maggiore con ciborio, in marmo bianco, a destra del quale è il fonte battesimale. Oggetto di particolare devozione è la scultura lignea del Duecento raffigurante la Madonna col Bambino, che però riporta la data 1369; l'opera è venerata con l'appellativo di Madonna del Monte, perché pare sia stata rinvenuta tra le impervie grotte che sovrastano Panicale. All’interno i tre dipinti di Piero Confortini raffiguranti la Moltiplicazione dei pani e dei pesci (1609), la Vergine col Bambino e santi (1622) e l'Annunciazione (1606).

150 Ivi, pag. 22. 151 Ivi, pag. 32.

152 Tronci, annali pisani, tomo XIV collect. 265. 153 R. Sardo,Cronaca pisana - sec. XIV.

L’alternanza della presenza pisana e lucchese per questi monti andò avanti nei secoli; a questi scontri sono da aggiungere quelli, tra il 1400 ed il 1500, tra pisani e fiorentini, con alterne vicende di sopraffazione e conquiste.

Il 1406 segnò la disfatta di Pisa a favore delle milizie fiorentine; esse a Buti espugnarono il castello e si verificarono vari episodi di violenza.

Con la venuta in Pisa del re di Francia Carlo VIII, nel novembre 1494, anche castelli limitrofi appoggiarono la rivolta della repubblica marinara, che ottenne di nuovo la propria autonomia.

Firenze però reagì immediatamente, iniziando l'azione di riconquista; ma Pisa, aiutata dalle truppe veneziane, riprese il controllo della zona. Gli scontri continuarono negli anni successivi e nel 1497 la situazione fu ulteriormente aggravata da un’ epidemia di peste. L'anno successivo, infine, i fiorentini riuscirono ad espugnare il castello di Buti, uccidendone gli abitanti.154

Vista la grande importanza strategica della zona, i fiorentini vi costruirono subito un bastione e pochi anni dopo conquistarono, questa volta in maniera definitiva, Pisa.155

“La guerra infuriò sui monti nuovamente dal 1499 al 1500, li pisani ritornarono in Vico pisano, riconquistarono Cascina e la Verruca. Questo stato di cose perdurò diversi anni, fin quando, nel 1503, Firenze portò contro Pisa il grosso del suo esercito, giungendo ad espugnare nel mese di giugno sia Vicopisano che la Verruca e dando inizio così ad una lenta agonia che in sei anni doveva portare alla scomparsa della repubblica pisana.

La fine giunse infatti nel mese di giugno 1509, quando la città passò definitivamente sotto il dominio di Firenze. Anche per i gloriosi castelli del contado, per secoli fedeli e leali servitori della repubblica pisana, la caduta di Pisa segnò la fine e l'abbandono completo.

Di Buti, e in particolare, dei suoi castelli, ormai non restavano che rovine; il borgo vide morire il suo passato, mentre al suo interno subentravano i soldati della guarnigione fiorentina”.156

Le strutture dei castelli uscirono a pezzi da tutti questi anni di guerra, la popolazione era decimata e le campagne abbandonate.

Molti nobili fiorentini si impossessarono quindi di proprietà, che una volta appartenevano ai pisani; fu comunque grazie a loro che Buti ebbe la sua rinascita agricola.

Con il passare dei gli anni, furono così restaurati i vecchi castelli, adattandoli a ville di campagna, come fecero i Tonini nel 1628 con il loro castello ed anche gli Orsini ed i Pierotti.

Se “…nel 1551 la popolazione di Buti era ridotta a soli 962 abitanti, in massima parte poveri contadini che vivevano dei resti di quei pochi castagneti ed oliveti sopravvissuti a tanta furia distruttrice”,157 con la salita al potere di Cosimo I de’ Medici, la situazione per Buti migliorò; iniziò il lento cammino della ripresa economica e della riorganizzazione socio-amministrativa grazie, alla politica di risanamento e bonifica delle campagne toscane portata avanti dai Medici, che favorì lo sviluppo agricolo.

154 C. Caciagli, Pisa, op. cit., pag. 450.

155 A. Acinelli (a cura di), I comuni della provincia di Pisa, Pisa, edizioni carpe diem, 1993, pag. 9. 156 E. Valdiserra, Memorie di Buti, op. cit., pag. 63.

“Cosimo, conoscendo la desolazione del contado pisano, dopo i lunghissimi anni di lotte e di guerre, pose particolare attenzione al risanamento del territorio, eleggendo, nel gennaio 1541, otto cittadini di Pisa quali riformatori del contado”.158 Stabilì anche che venissero eseguiti lavori di assestamento, come la deviazione del corso dell'Arno e il risanamento delle paludi. Per la realizzazione di questi lavori, arrivarono molte persone, che ripopolarono queste zone. A Buti, dai 962 abitanti del 1551, si passò a i 5244 del 1881.

Una volta terminati i lavori granducali, la popolazione si dedicò alla montagna ed ai suoi prodotti; in Buti così si risvegliò l'agricoltura, si svilupparono le piantagioni di olivi e la coltivazione del castagno che, lavorato in strisce (le coschie) e serviva per la creazione di ceste. 159

Figura 14 Fase di lavorazione delle ceste. 158 G. Caciagli, Pisa, op. cit., pag. 467.

159 Un'antica lavorazione del castagno riguarda la costruzione di cesti di varie forme, che venivano utilizzati in passato

per diversi scopi. La tipologia dei recipienti in castagno intrecciato è in effetti assai varia. La prima distinzione da fare riguarda la forma del fondo, che può essere rotonda o quadrangolare. Al primo tipo appartiene il corbello, il contenitore più diffuso e da cui prende il nome il mestiere del corbellaio. A seconda del materiale che dovevano contenere, si distingueva fra corbelli da pasta, corbelli da zoccoli, ed altri. Poco diversa dal corbello è la canestra, mentre la cesta ha il fondo quadrangolare. Le ceste che venivano prodotte erano: la cesta da asparagi, la cesta da spinaci, la cestina da fichi secchi, la cesta bucata, nella cui intrecciatura venivano lasciati degli spazi vuoti per favorire l'areazione dei prodotti agricoli. Questa produzione artigianale è tipica del Monte Pisano ed è ancora oggi presente a Buti, dove si sono

continuate ad utilizzare antiche tecniche di intreccio. La materia prima per questa lavorazione sono i cosiddetti "pedoni" di castagno, cioè dei piccoli tronchi diritti prelevati dalla parte dell'albero più vicina alle radici. Questi pedoni, una volta tagliati, vengono tenuti in una vasca d'acqua piovana perché le fibre del castagno mantengano un'elasticità sufficiente per la particolare lavorazione a cui vengono in seguito sottoposti. Al momento opportuno, i pedoni vengono messi in un forno a legna dove, perdendo una parte di acqua, producono un vapore che rende facilmente lavorabile il legname, che è quindi pronto per la fase della "schiappatura". La schiappatura consiste nella suddivisione del pedone in tante lamine sottili e flessibili, in modo tale che possano essere agevolmente intrecciate. Le lamine ottenute possono essere lunghe, strette e flessibili; o larghe e spesse e corte. Queste ultime servono per costruire la base del cesto e formano anche la trama verticale dell'intreccio. Ad esse vengono intrecciate in senso orizzontale i vinchi, secondo varie tecniche. Quando il materiale è tutto pronto, si inizia a costruire il cesto a partire dal fondo, per proseguire con le fasi dell'intreccio del tronco ed infine della “bocca”.

Tale lavorazione si trasformò a poco a poco in industria e i butesi divennero famosi per questo nel territorio granducale.

Nel 1776 la comunità di Buti chiese di essere aggregata al comune di Vicopisano, per alleviare la gravità delle imposte. La richiesta fu accolta e l'unione durò fino al 1867, quando fu chiesto al Re Vittorio Emanuele II il distacco.

Attualmente Buti è un comune di circa 5.700 abitanti ed è composto da due centri abitati: Buti e Cascine di Buti, collegati da una via di comunicazione, che costeggia il Rio Magno e attraversa la località “La Croce”. Lungo questa via è posta la Villa di Badia, a ricordo di un antico monastero. Si tratta dell’abbazia di Cintoja, che raggiunse notevole prestigio nel XII secolo quando fu affidata ai frati Camaldolesi, ma che col tempo non poté evitare la decadenza.

“In un’amena vallicella si incontra il primo nucleo di questo Comune, Il mulino del rotone, così chiamato perché negli edifici oggi ammodernati aveva sede un mulino ad acqua, con una ruota a pale, la più grande di tutta la zona, azionata dalle acque di un rio, il Vallin di Ripa”.160

La particolare posizione geografica del Comune, il fatto cioè che sia quasi completamente circondato dai Monti, ha influenzato notevolmente l’economia locale. Un tempo borgo a carattere essenzialmente agricolo, basava la propria attività sulla produzione olearia, sulla raccolta di castagne e la lavorazione del legno; l’olivo e il castagno erano infatti le maggiori risorse della zona.