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Le forme dell’insediamento Le forme dell’insediamento Le forme dell’insediamento Le forme dell’insediamento

Il sistema fiscale in ToscanaIl sistema fiscale in Toscana

Un’altra ipotesi è che il luogo era anticamente chiamato San Cassiano ed il

5. tabella Comune di Calci, stessa tabella della precedente ma con i dati tutti riportati in ettari.

7.2 Le forme dell’insediamento Le forme dell’insediamento Le forme dell’insediamento Le forme dell’insediamento

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7.2 Le forme dell’insediamentoLe forme dell’insediamentoLe forme dell’insediamentoLe forme dell’insediamento

Stretto è il legame tra agricoltura e presenza umana, che con la sua azione ha modificato notevolmente, nei secoli le caratteristiche dell’ambiente.

E’ importante quindi conoscere, attraverso le varie strutture rurali, quanto sia intimo il legame tra la conformazione dell’abitazione dell'agricoltore con i fattori di suolo e di clima, oltre con le forme sociali ed economiche del tempo e con gli eventi storici e politici che si susseguirono.

Nelle zone prese in esame, ebbero ampia diffusione sia l’abitato sparso sia i villaggi aperti. Sono ampiamente testimoniate abitazioni isolate di coltivatori corredate di cortile orto e vigna; ma il tessuto insediativi si faceva più denso intorno alle chiese, dove spesso si trovavano i gruppi abitativi più consistenti denominati villae, castello o borgo.

Spesso, dai documenti consultati, emergono, oltre alle abitazioni, i frantoi ed i molini, mentre poche volte vengono nominate le botteghe o altro che poteva servire alle necessità locali.

Nell’ambito di questo paesaggio, assume posizione centrale la casa. Essa ha uno sviluppo verticale, varie sono le soluzioni architettoniche: sono case a volume compatto e articolato su più piani, spesso costruite in pietra locale, con ripida scala spesso interna. Nei locali a pian terreno vi era la cucina, mentre nei piani superiori le camere per i componenti della famiglia.

Lo spazio esterno era caratterizzato dall’aja, dalla stalla e dalla presenza dell’orto. All’interno degli estimi e del catasto, sono state rilevate varie voci che possono aiutare a comprendere meglio lo sfruttamento delle risorse effettuato dalle popolazioni di Buti e Calci.

Negli estimi sono stati individuati, infatti, anche i metati, i frantoi, i mulini, i seccatoi, le colombaie, le botteghe, le stalle, i solai, le chiostre, i forni, i pollai, i fienili e le stanze “da castagne”.

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Bottegheottegheottegheotteghe ed i forni ed i forni ed i forni ed i forni

Non compaiono numerosi, ne sono registrati circa una decina di botteghe e forni negli estimi di Calci, mentre in quelli di Buti sono circa sette botteghe e una quindicina di forni. Esse sono comunque registrati tutte nei luoghi a maggiore densità abitativa. Sono infatti registrati negli estimi: “una bottega” e “una casa con bottega”.

Chiostre Chiostre Chiostre Chiostre

Questo spazio antistante la casa abitata era molto diffuso in questi due centri, all’interno degli estimi compare infatti molto spesso la registrazione di “una casa con chiostra”.

“Risalendo la strada che da Calci porta a Castelmaggiore, dopo il ponte dei Morti, si incontra quel ponte che noi conosciamo come il “ponte di Firmo”, ma che in antico era conosciuto come il “ponte della Chiostra”.

Al di la di questo ponte che scavalca il torrente Zambra, si apre un ampio spazio a fronte del quale sorge un bel palazzo che fu antica dimora della famiglia Della Chiostra”.474

Il nome della famiglia deriva proprio dal fatto che essi abitavano il quell’area che anticamente era chiamata “la chiostra”, i componenti di questa Casata erano infatti detti: “quelli della Chiostra” ed erano tra le più antiche famiglie calcesane.

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Colombaieolombaieolombaieolombaie e e e pollai e pollaipollai pollai

Le colombaie erano delle strutture unite all’abitazione, il più delle volte a pianta quadrata, con un lato variabile da quattro a sette metri, frequentissime in Toscana; talvolta anche a pianta circolare. Sotto ogni finestra stava una tavoletta, o una tegola, a uso di mensola, od una mensoletta vera e propria, per facilitare ai colombi lo spiccare il volo e il tornare al riparo. Molto spesso erano praticate nelle colombaie delle finestre circolari, assai più grandi delle altre, destinate ad areare l'ambiente. Si verificò poi un’evoluzione in questi elementi costruttivi; le tavolette si trasformarono ben presto in un vero e proprio cornicione, e la finestra circolare divenne un elemento della casa rurale acquisito dalla tradizione; le particolarità costruttive che erano proprie dello scopo utilitario, si trasformano ed acquisirono una vita propria di elementi decorativi, che saranno adoperati anche altrove. Seccatoj o Stanze da castagneStanze da castagneStanze da castagneStanze da castagne

Il castagno è una pianta conosciuta e apprezzata fin dalla antichità. In Italia ebbe grandissima diffusione, prevalentemente sull'Appennino, fra i 300 e i 1000 metri di altezza. Dal medioevo fin quasi ai nostri giorni la castagna ha costituito la base del nutrimento delle popolazioni della montagna, come dimostrano i numerosi interventi legislativi succedutisi nei secoli, relativi alla tutela e alla regolamentazione dello sfruttamento dei castagneti. Gli Statuti analizzati prevedevano i tempi di raccolta e la tutela delle piante. Le castagne, per essere macinate, dovevano però essere preventivamente seccate.

In Toscana e quindi anche a Buti e a Calci, ciò avveniva nel metato o seccatojo, una costruzione rustica eretta nel luogo di raccolta delle castagne, talvolta parzialmente interrate, composte da un solo ambiente con un solaio o graticciato, tuttavia, il metato, compare anche come parte integrante dell'abitazione, negli estimi è denominato come “stanza per castagne”.

“Le castagne raccolte nell’ottobre, affinché bastino, si possano macinare, e si fanno seccare a poche per volta nei seccatoj, cioè in stanzette fatte apposta in mezzo ai castagneti, quadrate con una piccola porta al pari del terreno, nel mezzo del quale si fa il fuoco. In vece di palco, vi è in alto a traverso una serie di pali di castagno, fitti nel muro, accosto uno all’altro, ma che non si toccano, anzi lasciano tramezzo delle fessure. Sopr’a questo piano di pali, resta uno spazio vuoto, in cima del quale è il tetto coperto di lastre, ma fra il tetto e la sommità delle muraglie, restano ampie aperture, per le quali si gettano le castagne fresche sul piano de pali, e per le quali

Figura 59 ASPi, Catasto sez. P foglio 1.

si cavano poi, doppo che il calore del fuoco acceso nel mezzo del pavimento, ha fatto esalare l’umidità che dentro racchiudevano. Il semplicissimo meccanismo de’ seccatoi da castagne, potrebbe servire per fare stufe di poco costo, per seccare e meglio conservare altri prodotti della terra”.475

Le castagne erano poste a seccare lì, sul canniccio o sulle cannaiole, cioè su una impalcatura costituita da assi di legno ravvicinate o da canne a cui il focolare della cucina assicurava un calore costante. Una volta seccate, le castagne venivano sgusciate con una energica battitura che triturava i gusci dentro robusti sacchi o in un apposito recipiente detto bigoncia. Oggi i metati sono quasi del tutto scomparsi, trasformati spesso in stanze di abitazione o in ripostigli per gli attrezzi.

Solaio

I solai erano i luoghi in cui venivano poste le olive raccolte giorno per giorno; erano dei terrazzamenti coperti, dei quali ciascuna fattoria o casa padronale era dotata. Si legge spesso negli estimi: “una casa ad un solaio”.

Le olive vi venivano stese per evitare che ammuffissero poiché era un luogo asciutto e ben ventilato. Dal solaio le olive passavano successivamente al frantoio. “…(le olive) Si pongono poi distese in terrazzo (che dicono Solaio e di cui tutte le case comode sono provviste) sino all’altezza di 4 dita, si rivoltano ogni giorno con una pala di legno perché non infradicino o muffino e si tengono in tal guisa per lo spazio di quasi un mese, di poi si mandano a frangere. Finita che è la prima infrantoiata riempiono il solaio di nuove ulive raccolte e fanno la seconda e così l’altre, finché vi sono ulive ”.

Stalle Stalle Stalle

Stalle e Fienili e Fienili e Fienili e Fienili

Le stalle erano i rifugi per gli animali e risultano essere piuttosto numerosi, vista anche l’ampia normativa relativa alle bestie analizzata precedentemente. Come si può capire dagli statuti, era usanza tenere gli animali nei pressi della propria casa, in generale le stalle erano collocate al piano inferiore delle abitazioni, essi quindi si trovavano concentrati nei luoghi maggiormente abitati. La normativa sia di Buti che di Calci, si preoccupa infatti della presenza di questi animali all’interno del borgo, cercando di limitarne la libertà di spostamento. Questa usanza di tenere gli animali all’interno del paese è ulteriormente confermata se analizziamo gli estimi.

Alcuni animali servivano come forza motore per far funzionare i molini ed i frantoi, altri servivano per le necessità alimentari della famiglia che li possedeva.

Sono infatti registrate così all’interno degli estimi: “una casa con stalla”, “una stanza ad uso di stalla”. In quelli di Buti risultano esserci una sessantina di stalle, registrate sempre insieme alle abitazioni in località “Al Castello”, “Alla Piazza”, “Alla Corte”, “Alla Pieve” e Via di Mezzo”.

La stessa cosa si può vedere anche negli estimi di Calci. Le stalle registrate sono infatti una cinquantina, anch’esse collocate nelle zone più densamente popolate di “Castelmaggiore”, “Sant’Andrea”, “Alla Pieve” ed “Alla Piazza”.

I fienili, di conseguenza, erano i luoghi dove veniva conservato il fieno che serviva da nutrimento per gli animali durante l’inverno e anch’essi sono registrati insieme alle abitazioni. Essi erano, generalmente, costruzioni in legno che venivano edificate nei fondi agricoli con lo scopo di garantire un adeguato essiccamento del foraggio in seguito al pre-appassimento che avveniva nel campo. Esso nasceva

dall'esigenza di sottrarre il più possibile il fieno all'azione degli agenti atmosferici e di ripartire maggiormente il lavoro tra estate e inverno.

Opifici idraulici

Un elemento importante è quello degli opifici idraulici, rappresentati, in questa zona, quasi esclusivamente da molini e frantoi. Sono molti i motivi per cui è necessario trattare più approfonditamente la loro presenza. Per prima cosa il loro impatto ambientale, spesso verificabile ancora oggi, per la derivazione di gore e canali usati per convogliare le acque. Notevole era la loro importanza economica. I mugnai, proprietari o anche solo affittuari del loro mulino, risultano spesso essere tra le persone più agiate delle loro comunità, con la possibilità anche di salire nella scala sociale.

I molini

Nei secoli XI e XII, parallelamente a quanto avveniva nel resto d’Europa occidentale con la diffusione del molino ad acqua già conosciuto nell’Oriente musulmano, anche le comunità poste in vicinanza dell’Arno e dei suoi affluenti, sfruttarono la corrente fluviale per l’azionamento di simili complessi.

Il Monte Pisano, in particolare, era caratterizzato da una grande abbondanza di corsi d’acqua e dalla presenza di vaste aree coltivate ad olivo e castagno.

Ciò permise, nei secoli, lo sviluppo di una fitta rete d’opifici mossi dalla forza idraulica “Subito dopo il Mille, i primi molini, azionati dalla ruota ad acqua, che da allora e per molti secoli, fu la principale macchina in uso per l’industria, cominciarono a sorgere nella Valle calcesana”.476

Originariamente le operazioni di frangitura e torchiatura delle olive, erano praticate dall’uomo o con l’aiuto degli animali (asini, muli e cavalli) messi ad azionare macine e torchi. La ruota idraulica permise indubbiamente un notevole balzo nel progresso delle arcaiche apparecchiature, facendo risparmiare molta fatica e tempo all’uomo. Inoltre, dando maggiore forza di pressione al torchio, rese possibile un più intenso sfruttamento della pasta d’oliva e quindi una più alta resa della produzione dell’olio.

Lungo un medesimo torrente si potevano dislocare moltissimi mulini; l’acqua, scendendo a valle, forniva la forza per muovere le ruote di queste strutture ed azionare i meccanismi.

Anche se la Repubblica fiorentina nel momento in cui ritenne necessario favorire la navigazione sull’Arno, fra i secoli XIV e XV, fece togliere gli sbarramenti, che nei secoli precedenti erano stati fatti per accelerare la corrente e dirigere l’acqua verso le pale dei mulini, numerosi, però, continuarono ad essere i mulini situati sugli affluenti e rii minori, di cui si conservano moltissime testimonianze: edifici, canalizzazioni (“gore”), resti di ruote idrauliche, ecc… .

476 M. E. Martini, La storia di Calci, op. cit., pag. 35. Figura 60 ASPi, Catasto Calci, sezione P

foglio 4.

Mappa in cui si vede il Molino dello Scorzi.

Nel passato, col termine Molino, s’indicavano sia le strutture per macinare il grano, sia quelle per pressare le olive o gli acini dell’uva, tanto che si parlava di molini da grano e di molini da olio; la differenza stava nel fatto che, nei frantoi, l’acqua non era necessaria solo come forza motrice, me era impiegata anche nel processo di lavorazione.

La precisazione del termine Molino è stata affrontata in vari studi, dove esso viene definito come edificio in cui si effettua la macinazione, o di granaglie (in prevalenza grano, granturco, orzo, avena, segale) o, più in generale, di altri materiali (sanza, zucchero, zolfi, cemento, ecc…).

“Molti vocabolari a fianco della voce "molino" risulta scritto “vedi mulino”. "MoIino” e "mulino" sono due cose essenzialmente diverse”.

“La parola Mulino viene accettata specialmente da coloro che, in merito a essa, accolgono con fiducia le specifiche indicazioni presenti in taluni vocabolari, forse considerandole uscite con successo da ogni esame critico e collimanti con la realtà descritta.

La parola Molino, invece, viene usata in Italia, dalla stragrande maggioranza di coloro che, veramente e quotidianamente, sono rimasti a contatto con il reale ambiente molitorio, ne conoscono le vetuste tradizioni e ne utilizzano le possibilità economiche”. 477

I molini sono strutture che sin dall’antichità hanno influenzato e trasformato la vita dell’uomo. Essi furono elementi rivoluzionari, i cui effetti si manifestarono rapidamente non solo in ambito economico, ma anche in ogni aspetto della

quotidianità.

Per prima cosa si velocizzarono enormemente i tempi di lavorazione; inoltre, la forza generata dai mulini ad acqua consentiva una frangitura più vigorosa e quindi un miglioramento della qualità del prodotto.

L’impianto dei mulini si rese necessario per l’approvvigionamento delle grandi città, che si preoccuparono di dotare le campagne circostanti, di una fitta rete di queste strutture, favorendo lo sviluppo di molti centri rurali, che ben presto si legarono fortemente all’economia cittadina.

A livello ambientale le trasformazioni dovute all’impianto ed alla diffusione di mulini ad acqua non furono trascurabili: furono costruiti canali e furono deviati i corsi d’acqua, vennero costruite nuove strade, che collegavano i mulini con i mercati e i centri di consumo.

In particolare, sul Monte Pisano, i mulini sfruttavano l’energia motrice dei corsi d’acqua di cui il monte è ricco. Il movimento impresso dall’acqua alla ruota era trasmesso alla macina, generalmente di pietra.

Le acque erano convogliate e raccolte da una rete capillare di canalizzazione manufatta che da ogni torrente faceva confluire le acque in un canale principale. Essendo, inoltre, questi ruscelli a regime torrentizio, si provvide alla costruzione di

477 A. Chini, Il molino Gangalandi, op. cit., pag. 148. Figura 61 ASPi, Catasto Calci, sezione P foglio 3.

bacini di contenimento che assicuravano anche grazie ad un sistema di chiuse, che ne regolavano il livello, la quantità necessaria d’acqua per la maggior parte dell’anno.

In ambito giuridico, la rapida diffusione dei mulini richiese l’emanazione di nuove leggi che disciplinassero l’uso delle acque. La costruzione e la gestione dei mulini erano regolate da precise leggi e furono oggetto di notevole attenzione da parte dei rappresentanti del potere politico.

Ad esempio negli statuti pisani del 1286, è esposta la regolamentazione circa la costruzione delle strutture necessarie al funzionamento dei mulini ed anche i “brevi dei molinari” con i quali il governo della Repubblica pisana stabiliva le modalità ed il prezzo per la macinazione del grano e la pesatura della farina.478 La presenza di mulini da grano, nella zona presa in esame, è documentata già in epoca medievale: la prima attestazione certa di un mulino a Calci è datata 13 dicembre 1057, quando i coniugi Ugo del fu Guido e Adaleita del fu Ranieri vendettero ad Umberto la quarta parte di un mulino detto di Sanctae Mariae e posto nei pressi della chiesa di S. Maria Willarada.

Nel XI secolo sul territorio calcesano sono documentati quattro mulini, mentre un secolo più tardi se ne attestano già 16. Tale numero crebbe vistosamente in epoca moderna, come sottolineano i documenti dell’Ufficio dei Fiumi e dei Fossi.

In queste carte medievali, compaiono di frequente i molini e la gran parte di questi risultano essere possesso di Enti religiosi come le Badie.

Con le bonifiche cinquecentesche, la coltura del frumento conobbe un decisivo impulso, al fine di soddisfare non solo la richiesta locale ma anche quella dello stato mediceo.

Figura 62 Molino non più in uso lungo il rio Magno a Buti.

A partire dal Seicento l’industria molitoria calcesana s’incrementò grazie allo sviluppo del porto di Livorno, che divenne il principale centro della Toscana per lo

stoccaggio dei cereali; la sua crescente importanza come scalo intermediario aumentò, poi anche, il consumo di farine.

I mulini del Monte Pisano, raggiungibili per via d’acqua anche da Livorno, crebbero di numero e di capacità produttiva. Il settore più importante fu sempre quello della macinazione del grano e Calci rappresentò il principale punto di riferimento sia per il grano pisano sia per quello livornese; numerosi erano dunque, i mulini che si dislocavano lungo i corsi dei torrenti principali: “…dai monti fino all’Arno, per oltre cinque chilometri, era tutto uno scrosciar ritmico d’acque delle ruote, che accompagnava il rumore quasi festoso delle macine, armonioso e modulato come un canto”.479

Spesso queste strutture erano concesse a livello dietro il pagamento di un censo, dall’analisi degli estimi conservati nell’Archivio di Stato di Pisa, compaiono frequentemente molini o parti di essi, dati a livello a contadini della zona.

Il Monte Pisano risultava particolarmente adatto all’impianto di questi opifici non solo, per i vari corsi d’acqua presenti, ma anche per l’esistenza di vaste aree di cava, dove veniva estratta la pietra verrucana, materia con cui si realizzavano le macine.

Il mulino poteva avere una macina o più macine, era quindi indicato nei documenti, come ad un “palmento” o a più palmenti, fino a quattro nei mulini più grandi.

In verità, il palmento è la zona del pavimento sulla quale si scarica e si raccoglie il prodotto della macinazione. Ogni macina ha, necessariamente, il proprio palmento.

Il termine indica però spesso nei registri, il numero delle macine.

La potenzialità di reddito di un molino era individuata dall’altezza della cascata dell’acqua e dal numero dei palmenti (cioè le macine).480

Secondo una relazione dei mugnai fiorentini, un palmento poteva macinare al massimo 144 staia nelle 24 ore.481

La ruota idraulica, oltre che alla macinazione del grano, fu d’aiuto anche alla frangitura delle olive, la cui produzione era di rilevante quantità in tutto il Monte Pisano; di conseguenza, sin dal XIII secolo, sorsero numerosi frantoi azionati dalla ruota idraulica.

479 Ivi, pag. 38.

480 A. Chini, Il Molino Gangalandi, op. cit., pag. 157. 481 ASFi, Miscellanea Medicea, n. 362, ins. 8.

Figura 63 Buti, frantoio sociale.

Infatti la massiva coltivazione dell’olivo vide svilupparsi, accanto all’industria molitoria, anche quella olearia. Nel territorio di Buti, il cui olio fu lodato sia dal Targioni Tozzetti sia dal Repetti, si contavano, all’inizio del 900, ben 42 frantoi, 22 dei quali erano dotati di frullino per la lavorazione delle sanse provenienti da gran parte dei paesi vicini.

“L’attività del popolo agricola di Buti ha saputo rendere un tale soggiorno dilettevole, salubre e produttivo. Le migliaia di piante di ulivi che barbicano fra i scogli; la diligente cura con cui si allevano e si riduce in liquore il loro prezioso frutto, hanno reso celebre Buti qual Nizza della Toscana per la squisitezza del suo olj”.482

I prodotti di quest’attività erano strettamente controllati dalle autorità civili. Esistevano magistrati ed uffici appositi come la magistratura medicea dell’Abbondanza, “a Pisa una tassa veniva prelevata sulla vendita del grano e