Il sistema fiscale in ToscanaIl sistema fiscale in Toscana
NUMERO DELLE CARTE DEL CAMPIONE
6. IIIIl territorio storico l territorio storico l territorio storico l territorio storico
6.2 Utilizzazione del suolo Utilizzazione del suolo Utilizzazione del suolo Utilizzazione del suolo
6.2
6.2
6.2 Utilizzazione del suolo Utilizzazione del suolo Utilizzazione del suolo Utilizzazione del suolo
Per lo studio dell’uso del suolo nei territori presi in esame, sono stati utilizzati i documenti catastali riportati nelle tabelle precedentemente analizzate. Essi ci offrono un quadro d’insieme circa la distribuzione delle colture, cioè la ripartizione della superficie dei comuni presi in esame, in base alle varie qualità di colture. L’analisi, prima degli estimi e poi del catasto, ha permesso di avere uno spettro temporale molto ampio: dalla seconda metà del 1500 fino al 1800.
Trecento anni di storia del territorio che ci permettono di capire l’evoluzione delle due comunità di Buti e Calci.
302 ASPi, Servitù dei Pini n. 457. Piante de terreni posti nel comune di Calci nei quali sono stati trovati pini
salvatici in quest’anno 1776. c. sparse. (Appendice pag. 31).
ASPi, Fiumi e Fossi n. 7 bando n. 57 c. 42r., 42v. (Appendice pag. 6).
303 ASFi, Statuti comunità autonome e soggette Calci n. 109. c. 15r. (Appendice pag. 25). 304 ASPi, Fiumi e Fossi n. 7. bando n. 14 c. 15r., 15v. (Appendice pag. 6).
305 ASPi, Fiumi e Fossi n. 7. bando n. 141 c. 94v. (Appendice pag. 7).
306 ASFi, Statuti comunità autonome e soggette Calci n. 109. c. 15r. (Appendice pag. 25). 307 ASPi, Fiumi e Fossi n. 7. bando n. 7, c. 6r., 6v. (Appendice pag. 5).
308 ASPi, Fiumi e Fossi n. 7. bando n. 62, c. 45r. (Appendice pag. 6); bando n. 204 c. 131r. (Appendice pag. 10). 309 ASFi, Segreteria di finanze affari prima del 1788 n. 1062. c. sparse. (Appendice pag. 30).
310 ASFi, Segreteria di finanze affari prima del 1788 n. 1062. c. sparse. (Appendice pag. 30).
E’ possibile quindi comprendere l’utilizzazione del suolo della zona studiata.
Queste due comunità collocate sul Monte Pisano, risentono enormemente della loro posizione geografica in quanto, il dislivello del monte, condiziona notevolmente l’agricoltura e l’economia, permettendo la coltivazione solo di alcune specie di piante.
Questo è l’elemento fondamentale, da tener presente, per comprendere come l’uomo, abitante in quelle zone, è riuscito a sfruttare le risorse naturali che gli venivano offerte dall’habitat.
La popolazione di questi territori, misurandosi con l’ambiente naturale, costituì una propria cultura materiale, di cui si possono privilegiare alcuni aspetti che si riflettono nella sistemazione del suolo, nelle colture, nell’abitazione e nelle metodologie di lavoro.
Essi riuscirono ingegnosamente a sfruttare le risorse offerte dal Monte, sia per la propria alimentazione, sia per il loro sviluppo commerciale e su queste attività si crearono le basi per un equilibrato sistema di sussistenza.
L’agricoltura rappresentava l’attività più importante della popolazione; organizzati in appezzamenti terrazzati, le principali piantagioni risultano essere di olivo, vite e castagno, destinati al sostentamento locale e l’esportazione dei prodotti finiti. Dall’analisi dei documenti d’archivio, l’immagine che ne deriva è quella di una società che basava la sua economia e la sua sussistenza mettendo a frutto le risorse locali.
Pietro Leopoldo nelle sue relazioni racconta: “Gita di Calci.
A dì 8 novembre la mattina mi portai a Calci (luogo distante 4 miglia di Pisa nel Monte Pisano, per una strada piana e buona) e di lì nella valle detta di Calci, ove osservai il Monte Pisano tutti rivestiti di alberi: qui sono ulivi, a mezzo castagni e in cima pini. Gli ulivi vi sono selvatici ma innestati, di tronco grosso ed alto, non si segano e non si potano mai, solo vi si fa i bastioni ove bisogna per tenere il terreno ed i muri. Sotto gli ulivi vi sono le pasture del bestiame coi suoi scoli molto ben tenuti. La valle di Calci é in salita ripida ed é molto ristretta fra due monti alti in mezzo dei quali scorre il fiume Zambra, il quale fa andare 105 ruote di mulini l’uno sopra all’altro, i quali macinano tutto il grano per Livorno (tanto a grano che a olio e altre fabriche: il male e che l'estate nei gran caldori delle volte mancano d’acqua) e la provincia pisana, eccettuato 200 sacca che se ne macina il giorno per il Livorno alle mulina della porta alle Roggie in Pisa. Questo é un oggetto di guadagno considerabile al popolo di Calci, che mi pare piuttosto commodo, essendo tutti mugnai, oltre il profitto che il trasporto dà ai navicelli e vetturali, che portano e riportano il grano e le farine da Livorno a Calci. La valle é stretta ma piena d’ulivi e questo luogo é rinomato per fare il miglior olio del paese. La veduta di Calci è bella e merita d’esser vista”.312
La grande frammentazione dei terreni a conduzione diretta o a livello, le restrizioni notevoli sulla possibilità di sfruttamento del terreno a causa della “Servitù dei Pini” e comunque le rigide regole relative alla gestione dei terreni boschivi erano i segni più evidenti di una società piuttosto chiusa e di un’economia molto essenziale. L’immagine che emerge è quella di una società strettamente condizionata dalle limitazioni date dal governo centrale e dalla condizione morfologiche della zona, la cui economia si basava quasi esclusivamente sulla coltivazione e sulle industrie di
trasformazione dei principali prodotti agricoli, numerosi erano infatti i frantoi e i mulini che erano disseminati lungo i corsi d’acqua della zona.
Gli statuti di Calci, come quelli di Buti, riportano rigidissime regole e severe punizioni riguardo alla gestione dei terreni boschivi. Sin dalla preistoria, infatti, il Monte Pisanoera ricoperto da fitte boscaglie costituite da piante di alto fusto quali: il leccio, la quercia, il pino silvestre ed il faggio.
Dagli antichi Statuti della città, si rileva che il Governo della Repubblica, con particolari disposizioni, proteggeva severamente le pinete, che per la città erano un bene prezioso, ed in genere tutti gli alberi da cima.
Queste piante furono infatti soggette a tutele e attenzioni particolari nel corso dei secoli: “pero si comanda a ciascuno dell'uno et dell'altro et di qualsi voglia stato, grado, qualità o conditione che non ardisca in modo alcuno tagliare o fare tagliare di essi lontani et legnami ne pigliare o toccare per portare via legni o tagliature ne fascine ne stipe o legne di quasi voglia sorte di detto bosco…”.313
I divieti erano spesso specifici per i vari tipi di pianta esempio per i pioppi possiamo leggere: “…chi havessi di grazia ottenuto lordine di tagliare alberi da cima si intenda per il presente bando esserli revocata per quelli alberi gaticci et fussino in essa licentia compreso di maniera che non si taglino ma si conservino come se per sotto la medesima pena”. 314
Fin dai tempi più antichi, gli alberi di pino erano ritenuti proprietà della Repubblica la quale si serviva di questi, come legname per le costruzioni navali e per altre pubbliche necessità. Fu quindi ritenuto gravissimo reato tagliare i pini anche da parte di proprietari. Era facoltà dell’Opera della Reparatione, del Magistrato dei Fossi e in seguito del Magistrato delle Fabbriche e Coltivazioni piantare pini e dare licenze per il taglio di essi. I proventi provenienti dal pagamento per il taglio dei pini costituivano uno fra i principali introiti dell’Ufficio dei Fossi e per questo i provvedimenti contro i tagliatori non autorizzati, furono sempre mantenute, con esemplare e rigida continuità; riguardo all’origine di tali disposizioni: "si pensa che gli antichi Consoli del Mare, che tanto interesse avevano nel commercio marittimo abbiano sollecitato legge tanto severe, ed è quasi certo, che arrivati al Governo della Repubblica, abbiano essi stessi ottenuta la giurisdizione di poter controllare la produzione dei boschi delle foreste.
Con questa provvisione, emanata per la salubrità dell'aria tutto ciò che formava oggetto di disposizione legislative in fatto di obbligare i proprietari a nuove piantagioni di alberi da cima e al mantenimento delle esistenti o delle nuove, passava all'Opera della Reparatione e da questa, al Magistrato, e dall'Uffitio dei Fiumi e Fossi; e sempre con forte rigore ne fu imposta l'osservanza a tutti proprietari, usufruttuari e possessori, considerando come gravissimo reato non solo tagliare ma intaccare pini di sorte alcuna”.315
“Questa politica forestale, non solo trovava la sua fondamentale giustificazione nel fine economico e militare, ma era anche culturalmente fondata ed usando un termine oggi tanto in uso, ecologicamente sapiente, quando a giustificazione di quelle disposizioni, dichiarava di voler perseguire la migliore regimazione delle acque e la salubrità dell’aria”.316
Si deve a questa politica forestale, sempre conseguita con consapevole fermezza, tanta abbondanza di legname che dava la possibilità ai cantieri navali di costruire
313 ASPi Fiumi e Fossi n. 7. Bando n. 14, c. 15r., 15v. (Appendice pag. 6). 314 ASPi, Fiumi e Fossi n. 7. Bando n. 146, c. 99 v. (Appendice pag. 8). 315 R. Fiaschi, Magistratura pisana delle acque, op. cit., pag. 66. 316 M. M. E., La storia di Calci, op. cit., pag. 137.
le galere che servivano alla sua flotta: “per ogni volta che nel territorio del comune si troveranno pini alcuni tagliati al predi in qualsivoglia modo et luogho et così grossi come piccoli ancora che fussino secchi sarà condannato et multato il suddetto comune”. 317
La servitù vincolò sempre le proprietà private ed in modo particolare, quelle sui monti e sulle colline, togliendo agli stessi proprietari dei fondi, con severe sanzioni penali, la facoltà di tagliare pini: “volsino et statuiscano li suddetti statuarij che per l’advenire no si ardisca di tagliar pini senza licentia del provveditore della dogana di Pisa et licenza da padroni di detti pini, sotto pena se furono pini grossi da far tavoli o travicelli di scudi 2 per li ciascun pino et se saranno piccholi di B 1 et fiorini 2 se attaccassi fuoco ne monti di pini o castagni”. 318
Questo stato di cose durò fino al tempo di Pietro Leopoldo il quale con una serie di provvedimenti legislativi agevolò l'affrancazione dei beni rustici da questa servitù caratterizzante il nostro contado.
Negli Statuti si può vedere il divieto assoluto di danneggiare le piante di pino: “…a chi ardisse o presumesse ardire, anche se proprietario, usufruttuario pienamente possessore di terre, tagliare ed intaccare pini di sorta alcuna esistenti in qualsivoglia luogo del territorio di Pisa…”.319
Il trasgressore era soggetto, oltre a multe in denaro, a severe punizioni corporali: “…alle donne la scopa ed alli fanciulli delle staffilate in pubblico…”;320 oppure poteva
essere messo in galera: “…sotto pena allo stare nella galera a beneplacito di S.A.S.”.321
Le restrizioni notevoli sulla possibilità di sfruttamento del terreno a causa della Servitù dei Pini, che servivano per i cantieri navali, e le rigide regole relative alla gestione dei terreni boschivi sono l’immagine della stasi economica della zona. “... si consolidò il principio che tutti pini erano ritenuti proprietà dello stato per beneficio e servizio del popolo. Quella servitù svincolò sempre le proprietà private ed in modo particolare, quelle sui monti e sulle colline, togliendo agli stessi proprietari dei fondi, con severe sanzioni penali, la facoltà di tagliare pini”.322
Queste rigide regole e proibizioni, prolungatesi molto nel tempo, influenzarono notevolmente l’organizzazione agricola e l’economia dei territori presi in esame. Addirittura era proibito persino raccogliere legne di pino già morte: “…si revoca ogni facoltà per li adretro edcessa di pigliare e servirsi delle legne di pino morte in terra per il nettamelo di esse pinete rinovando la proibitione di prima e comandando per l’avvenire nessuna persona o comunità pigli e si serva di alcuna di detta legna di pino morte in terra ancorché in minima quantità sotto le pene…”.323
Altri bandi sono relativi alla tutela delle foreste, quindi al divieto di appiccare fuoco ad esse o anche di solo avvicinarsi con del fuoco a boschie pinete. “…non ardisca o presuma in modo alcuno ne di giorno ne di notte portare attorno acciarino o fucile da fonte di fuoco, ne fuoco ne far vicino per mezzo miglio a i boschi di detti pini…”.324
Nessuno avrebbe potuto far fuoco per il carbone, anche se pastore o guardiano di bestiame, nei boschi e nelle pinete, rischiando “…buoni tratti di fune o cinquanta staffilate in pubblico.
317 ASPi, Bandi Fiumi e Fossi n. 7. bando n. 149 c. 101v. (Appendice pag. 8), bando n. 57, c. 42 (Appendice pag.
6), bando n. 184 c. 121 r. (Appendice pag. 9).
318 ASFi, Statuti comunità autonome e soggette n. 109. c. sparse. (Appendice pag. 25). 319 ASPi, Bandi Fiumi e Fossi n. 7, bando n. 193, c. 126v. (Appendice pag. 9). 320 ASPi, Bandi Fiumi e Fossi n. 7, bando n. 193 c. 126v. (Appendice pag. 9). 321 ASPi, Bandi Fiumi e Fossi n. 7, bando n. 193, c. 126v. (Appendice pag. 9). 322 E. Valdiserra, Memorie di Buti, op. cit., pag. 137.
323 ASPi, Bandi Fiumi e Fossi n. 7. bando n. 154, c. 105 v. (Appendice pag. 8).
Archivio di Buti, c. 64r. (Appendice pag. 14).
E quando fossi donna in luogo della fune e staffilate, si tenga in gogna nella piazza de' Cavoli in giorno di mercato almeno per un’ora…”.325
Le disposizioni previste, in caso d’incendio, obbligavano tutti gli uomini validi del Comune, nel cui territorio si verificava l'incendio, a correre “per spengere e riparare”,
al suono della campana della chiesa, e “…che nessuna persona ardisca di far fuoco carboni o brace ancor che fusse pastore o guardiano di bestiame nelli boschi et luoghi delle pinete existenti in qualsi voglia parte del territorio di Pisa sotto pena di fiorini 25 et tratti dua di fune alli maggiori di 16 anni et alli minori in luogo della fune 50 staffilate in pubblico et essendo donna in cambio di staffilate un hora di berlina nella piazza de cavoli in giorno di mercato”. 326
Inoltre era vietato far pascolare il bestiame nei luoghi in cui erano state bruciate le pinete: “…indi che nessuna persona di qualsivoglia stato, grado o conditione ardisca o presuma portare il suo bestiame così grosso, come minuto ne luoghi abbruciati di dette pinete et si vieti sin d’hoggi come in quelli che seguiranno per l’avvenire se non doppo tre anni passati dal dì di abbruciamento sotto pena della perdita di tal bestiame…”.327
Queste disposizioni vennero sempre mantenute con esemplare rigida continuità. Molte di queste erano state proclamate dagli antichi Consoli del Mare, che avevano molto interesse dai traffici marittimi e sollecitarono queste severe disposizioni ottenendo, successivamente anche il controllo dei boschi e delle foreste.
Caduta la Repubblica, sotto il Governo fiorentino, tale competenza passò all’Opera della Reparatione (1510) e da questa al Magistrato dei Fossi (1547) ed infine, con la riforma del 1587, disposta da Ferdinando I, la competenza forestale passò all’Ufficio dei Fiumi e Fossi.
In tutti questi passaggi, i principi generali di questa legislazione forestale, vennero sempre riconfermati e talvolta le disposizioni si fecero anche più rigide,328 come si può osservare dai bandi sopra riportati. In modo particolare gli statuti del 1587 vi si riscontra una più pesante severità della pena anche con punizioni corporali.
Solo a Sua Altezza Reale spettava la facoltà di autorizzare il taglio dei pini o degli alberi e particolarmente erano protetti quelli della valle di Calci e Buti.
Le richieste di affrancazione venivano fatte dai proprietari, le cui terre, localizzate sui versanti del Monte Pisano, erano ricoperte da pini.329 “che li terreni suddetti si dichiarino rimanere a i padroni di essi rispettivamente liberi dalla servitù dei pini fatta prima la stima della valuta di essi terreni d’ordine di nostro Magistrato e pagatane da essi la settima parte che sarà di una lira per staio nelle mani di dato Camerlengo”. 330
“Li Magistrati et Commissari della coltivazione e paese di Pisa deputati da S.A.S. sopra la nuova coltivazione de monti delle pinete nella parte perciò terminata in virtù della loro autorità e ufficio e benignità resa da S.A.S. registrati e ottenuto il solito partito con ogni miglior modo decretano e decretando liberano dalla servitù dei pini presente e futura alli infrascritti huomini e persone a ciascuno di essi rispettivamente gli infrascritti pezzi di terra montuosi in parte boscata in parte di essi pini et in parte incolta e soda posti confinati consegnati estimati come nella partita di ciascuno sopra espressamente dichiarato si et in tal modo che ciascuno delli infranominati rispettivamente possa la detta terra a lui liberata custodire et ridurre a ogni sorte di coltivazione…”.331
325 ASPi, Bandi Fiumi e Fossi n. 7, bando n. 140, c. 94 r. (Appendice pag. 7).
326 ASPi, Bandi Fiumi e Fossi n. 7, bando n. 140, c. 94 r. (Appendice pag. 7), bando n. 4 c. 3r. (Appendice pag. 5),
bando n. 141, c. 94v. (Appendice pag. 7).
327 ASPi, Fiumi e Fossi 7, bando n. 193, c. 126v. (Appendice pag. 9). 328 M. M. E., La storia di Calci, op. cit., pag. 138.
329ASPi, Campione Servitù dei Pini n. 454. c. sparse. (Appendice pag. 32). 330 ASPi, Campione Servitù dei Pini n. 454. c. sparse. (Appendice pag. 32). 331 ASPi, Campione Servitù dei Pini n. 454. c. sparse. (Appendice pag. 32).
Una serie di disposizioni legislative di Pietro Leopoldo (la prima delle quali fu un Motuproprio del 3 Marzo 1769 seguito dalla legge del 1774 e del 1781) agevolò la liberazione e l’affrancazione dei beni rustici da questa servitù. Fu autorizzato il Magistrato di Fabbriche e Coltivazioni, come emergere documenti d'archivio, a concedere a quei possessori che avessero fatto istanza, la possibilità di liberare i loro terreni dalla servitù dei pini per coltivarli a piacimento eccettuando coloro che possedevano pinete nei comuni di Buti, Vicopisano e di alcune zone di Asciano, allo scopo di conservare questo a utilità dell’Ufficio dei Fossi.
Le piante che erano affrancate venivano abbattute e vendute dall’Ufficio dei Fossi e il ricavato veniva devoluto a colmare le ingenti spese dello stesso ufficio.
Oltre a questo, i proventi del taglio dei pini, vennero utilizzati anche per poter finanziare le opere che il governo promosse con lo scopo di migliorare la situazione della campagna pisana, come ad esempio la costruzione dell’acquedotto di Asciano e la bonifica del padule di Bientina.
Nel 1774 la possibilità di affrancazione fu concessa anche a quei comuni che con il Motuproprio del 1769 ne erano stati esclusi.
Questo provvedimento dette il via ad un progressivo degrado ecologico del Monte Pisano; e solo nel 1929 furono iniziati i lavori di rimboschimento
Le richieste di affrancazione, sono correlate da documentazione cartografica eseguita, a seguito di sopralluoghi e rilievi, da degli incaricati che, stendendo un rapporto appropriato, formulavano la richiesta ufficiale all'ufficio competente. Le numerose carte conservate nell'Archivio di Stato di Pisa rappresentano i terreni in questione con su scritto il nome del proprietario, le misure ed i confini: “ho formate le piante regolari che mi do l’onore di presentarle in questi sei fogli , nei quali sono descritti ancora quei pini della specie suddetta che ho trovati sparsi nei beni coltivati e boschivi di diversi possessori…”.332
Ad esempio il signor Marco Bonfiglio di Buti, chiede la stima di alcuni lotti di terreno liberati dalla servitù:
“Comunità di Buti c. 129v
Bonfiglio di Marco
di detto comune deve per la seconda stima delli infra beni liberatili dalla servitù de Pini come app° cioè
Un pezzo di terra in detto comune luogo detto il Colletto di Santa Giulia sotto castello di stiora 2 e panora 27 ½.
Un altro simile luogo detto In Carboncello di staiora 2. Un altro simile luogo detto Beresso di stiora 6 e panora 18.
Un pezzo di terra luogo detto à Carboncelli staiora 8 panora 32 et per liberatione il suo uliveto in detto comune luogo detto à Ombaco dalla servitù di 3 pini e vendutoli valutato come alletro deliberatione”. 333
Le richieste, da parte dei proprietari dei terreni, venivano fatte ai “Illustrissimi signori commissarij e ufficiali di fabbriche e coltivazioni della città di Pisa” 334 a cui
veniva fatta la richiesta di liberare dalla servitù dei pini dei pezzi di terreno in loro possesso e di “…poter procedere alla liberazione predetta, e reduzione a cultura di detti beni”. 335
Il proprietario, in questo caso il signor Andrea Pacini di Buti: “…espone alle signorie illustrissime di poter liberare dalla servitù dei pini selvatici due pezzi di terra che sono di sua proprietà nel comune di Buti unito a un suo podere in detto comune luogo detto
332 ASPi, Campione Servitù dei Pini n. 457. c. sparse. (Appendice pag. 32). 333 ASPi, Campione Servitù dei Pini n. 454. c. sparse. (Appendice pp. 32 – 34). 334 ASPi, Campione Servitù dei Pini, registro n. 450. c. sparse. (Appendice pp. 35 – 40). 335 ASPi, Campione Servitù dei Pini, registro n. 450. c. sparse. (Appendice pag. 35).
Tanali che misura di statore 12 e l’altro di staiora 2 in circa per poter ridurre a coltivazione e sotto dì 23 ottobre 1772 ne ottenne i seguente B. R.= concedossi nella forma che si propone come il tutto chiaramente rilevassi dal rito d’accettazione di grazia, quindi coll’atto presente produsse e produce in parte”.336
La richiesta viene accolta e: “il predetto signor Pacini in ordine alla grazia speciale ottenuta da sua altezza reale come dalli attij con sua istanza ha domandato alle signorie illustrissime di liberare dalla servitù dei pini salvatici i suddetti due pezzi di terra pinata in conformità alla legge vagliante sopra le pinete all’ufficio de fossi a tal effetto avendo io considerato ed esaminato i luoghi e la qualità di terreno e avendo giusta la prestazione che deve pagare il detto Pacini alla cassa dell’ufficio suddetto valutare si paga soldi 7 per ogni stioro l’anno per non esser comunicativi e così in tutto e per tutto ogni anno lire 11 . 14. 6 per statore 33 e panore 33 che danno insieme le suddette due piante. Ed avendo io