• Non ci sono risultati.

1.3

1.3

1.3 Pisa e i LorenaPisa e i LorenaPisa e i LorenaPisa e i Lorena

Il XVIII fu un secolo di forti cambiamenti e di importanti trasformazioni di assetti governativi per molti paesi europei, fra cui anche la Toscana. Dopo la morte senza eredi di Giangastone il titolo di Granduca fu assegnato alla casata dei Lorena con un accordo firmato il 18 novembre del 1738.

Sotto l’autorità del primo Granduca lorenese, Francesco Stefano, e, in particolare, sotto l’organo della Reggenza, da lui demandata a governare la Toscana, la vita poté scorrere tranquilla, nonostante i problemi economici e di gestione del territorio, che si presentarono agli occhi dei nuovi governanti al momento dell’insediamento a Firenze.

Per quanto riguarda specificatamente la questione pisana, c’è da evidenziare che i granduchi tesero a dar vita a Pisa, ad una sorta di “seconda capitale”, soggiornandovi per lunghi periodi dell’anno ed in occasioni particolari, come accadde per la malattia della Granduchessa Anna Maria, malattia che la condusse alla morte nel marzo del 1832.

A Pisa, inoltre, la corte dava un forte appoggio all’Ordine di S. Stefano; Leopoldo II volle una profonda ‘pisanizzazione’ dell’Ordine, composto da piccoli e medi proprietari, da docenti universitari e soprattutto da funzionari che, attraverso lo

91 AA.VV., Livorno e Pisa, op. cit., pag. 16.

strumento della commenda di grazia (in pratica una pensione annua concessa dal Granduca), apparivano come un vero e proprio ceto di corte, senza però vivere presso il principe.

Questa nobilitazione coinvolgeva in particolare i funzionari di governo locale e i governatori di livello e provenienza familiare di medio rango.

Si determinò così un meccanismo di legittimazione sociale che, attraverso il legame personale e diretto con il principe, rafforzava l’identità di figure secondarie. Per venire alle questioni generali, con il dominio lorenese, la struttura costituzionale del Granducato non fu modificata, ma vi furono notevoli cambiamenti riguardo all'organizzazione interna, mediante l'adozione di nuovi ed aggiornati criteri amministrativi e sociali.

Si verificò così una crescente centralizzazione delle funzioni di governo del territorio, dall’abolizione della carica di soprasindaco generale della Comunità a vantaggio della Segreteria di finanze, alla sostanziale cancellazione delle Camere di soprintendenza comunitativa, fino alla creazione del Corpo degli ingegneri, da cui dipendevano i lavori pubblici, che furono sottratti ai provveditori delle strade comunali, accrescendo il ruolo del funzionariato.

A partire da Francesco II, si ebbe anche un rifiorire dell'agricoltura, insieme a vari interventi di ammodernamento legislativo; il Granduca inoltre provvide ad estinguere il debito pubblico, grazie anche al contributo del clero di cui, per primo, censì le rendite.

In particolare per Pisa promosse una serie di lavori per migliorare la città, come il prolungamento del Lungarno che dal Ponte di Mezzo portava al Ponte della Fortezza, la sistemazione della strada che da San Giuliano andava direttamente a Pisa e provvide alla sistemazione delle terme.

Promosse inoltre un’indagine approfondita sulle varie province del Granducato, con la nomina di deputazioni e commissioni d’inchiesta formate da autorevoli funzionari di governo e da esperti ingegneri, incaricati di ispezionare il territorio e le varie località, per cercar di trovare le soluzioni migliori alle necessità che emergevano nelle varie zone.

Questo studio attento e diretto del territorio permise una rilevazione più esatta delle sue caratteristiche e quindi più concrete possibilità di intervento, insieme a una ricca ed accurata documentazione cartografica.

“Il risanamento delle terre paludose, l’espansione delle aree a coltura e la valorizzazione delle campagne divennero motivi dominanti della politica territoriale lorenese”.93

Richecourt, nominato da Francesco di Lorena a governare la Toscana, dirigendo la Reggenza, inviò il 18 aprile 1740 una deputazione composta da Pompeo Neri, segretario di essa, Tommaso Perelli, Giovanni Veraci e Pietro Warynge nel Pisano a compiere la famosa ispezione.

Seguendo la descrizione che ne fece Pompeo Neri nella sua relazione, ne possiamo ricavare confini: “…il territorio pisano aveva inizio dalla parte della maremma all'imboccatura del fiume Cecina e seguendo questo fiume andava fino a Riparbella poi seguiva i confini del Vicariato di Lari e di quello di Palaia seguiva ancora confini della terra di Montopoli e giungeva all'Arno, seguendo il corso del fiume verso valle perveniva al confine della comunità di Vico Pisano piegando verso il lago di Bientina. Continuando ancora verso il Monte Pisano, e più precisamente verso quelli di Buti, giungeva al termine di confine del territorio

pisano verso Lucca, protraendosi ancora per lo spartiacque del Monte Pisano sotto la comunità di Vico pisano, San Giovanni alla Vena, Cucigliana, Lugnano, Noce, Verruca, Monte Magno, Calci, Agnano, Asciano, Pugnano, Ripafratta e, scendendo da questo monte, giungeva al Serchio al confine di Lucca; seguendo il corso del Serchio arrivava ai monti della comunità di Filettole e Avane, dov'era un altro termine di confine col territorio di Lucca; quindi scendeva ancora verso il lago di Massaciuccoli raggiungendo la macchia di Viareggio e quella di Migliarino”.94 Il bilancio che questa deputazione stilò fu disastroso: gli avvenimenti politici verificatisi sulla fine del XVIII secolo avevano creato un rallentamento delle vicende urbane di Pisa, alto era lo stato di degrado in cui si trovavano le strutture realizzate negli anni precedenti dai Medici, inoltre la situazione idrica della pianura pisana era in costante stato di allarme: le acque non riuscivano a defluire sino al mare, creando varie situazioni di allagamento e impaludamento: “…riconosciuto l’urgente bisogno di provvedere per la sanità di quella campagna, e riguardando con particolare affetto il popolo pisano, che vi ha il principale interesse…”.95

Dal diario delle visite effettuate, è possibile verificare l’accurata ispezione che la commissione fece ai corsi d’acqua e fossi della pianura e al Monte Pisano, con la conseguente richiesta di interventi immediati che la difficile situazione richiedeva. Fu inoltre criticato, il lavoro dell’Ufficio dei Fossi e la sua attività, con lo scopo di restituire alla struttura amministrativa la funzionalità ormai perduta: “…il territorio pisano ha bisogno di una più speciale vigilanza di quella che possa prestarli un collegio di persone che non hanno altra voce che collegiale e non possono restare sempre adunate per esaminare e risolvere le cose occorrenti”;96 la proposta di riunire sotto la figura del Soprintendente i compiti di direzione delle acque e di gestione del patrimonio delle comunità del territorio pisano, anticipò le soluzioni che verranno poi adottate anche per il territorio fiorentino.

In modo particolare fu criticato il metodo d’imposizione fiscale, basato sull’antico sistema dell’estimo e biasimata la lentezza burocratica di detto Ufficio: “…ogni possessore di beni nelle Comunità pagava il suo contingente d’estimo per le spese locali e universali, in mano al Camerlengo della Comunità, mentre la parte d’estimo che s’imponeva per l’Uffizio de Fossi lo dovevano pagare i pisani alla Cassa dell’Ufizio stesso. Questo metodo fu trovato incomodo…”.97

Divenne inevitabile la richiesta di una totale riforma dell’Ufficio e delle sue competenze. Per facilitarne le funzioni, fu proposto di sopprimere il “Magistrato di Coltivazione”, aggregando tutta la sua giurisdizione e autorità al Magistrato de Fossi; inoltre si propose di ristabilire tutta l’autorità nella carica di Provveditore e di consegnare tutti i corsi d’acqua, argini e strade alla manutenzione delle comunità interessate assieme ai lastricati e alla pulizia urbana, mentre rimaneva all’Ufficio la competenza sul fonti, acquedotti e fiumi.

Furono proposti alcuni lavori urgenti, agevolata la costruzione di case, fu chiesto a S.A.R. di porre un Ministro fisso a soprintendere il Magistrato pisano.

Col rescritto del 26 ottobre 1746, il Granduca approvò le richieste esposte dalla relazione di Neri sulla costruzione delle opere più urgenti, e le sue proposte per accrescere il numero delle case nella campagna e per migliorare la condizione

94 P. Neri, Relazione della visita fatta all’Ufficio dei Fossi di Pisa l’anno 1740, ASPi., Ufficio Fiumi e Fossi, filza 3681,

c. 165.

95 R. Fiaschi, Le Magistrature pisane, op. cit., pag. 280. 96 P. Neri, Relazione, op. cit., c. 165.

finanziaria dell’Ufficio de Fossi “…ordinò che non fosse più lecito ai Direttori delle Fortificazioni di fare eseguire alcun taglio nelle pinete, e che il legname dovesse essere comprato altrove, stabilendo uno speciale regolamento per il fabbisogno dell’Arsenale. Approvò inoltre le proposte per le piantagioni degli alberi lungo le strade e le altre parti della relazione riguardanti le concessioni per la pesca e l’uso dei carri”.98

Insieme alle operazioni idrauliche di maggiore urgenza, furono adottati molti altri provvedimenti, con l’intervento di rivitalizzare le comunità; si soppressero le bandite di caccia e i pascoli riservati, si concessero sovvenzioni a chi fabbricava case, fu restaurato l’acquedotto di Asciano, ampliate le terme di San Giuliano, piantate pinete domestiche, allargate e migliorate le strade.99

In pratica sotto Pietro Leopoldo nel Pisano, come nel resto del Granducato, si posero le premesse per un moderno sviluppo del territorio che, partendo dalla sistemazione fisica ed ambientale e dal recupero produttivo permesso dalla bonifica idraulica,100 cercava di sfruttare le sue più specifiche caratteristiche e potenzialità, in stretta relazione con i contemporanei processi socioeconomici in atto nel resto dello stato.101

“Tra il 1774 ed il 1775 una serie progressiva d’incarichi condusse Francesco Maria Gianni ad occuparsi, prima, della riforma dell’Ufficio dei Fossi di Pisa e parallelamente del regolamento delle comunità del Pisano…”.102

A capo di ogni comunità fu posto un Gonfaloniere, scelto tra i possidenti, che si avvaleva della collaborazione dei Priori e di un consiglio Generale. Furono diminuite le gabelle a vantaggio del popolo; per facilitare il commercio, furono soppresse le dogane interne e furono realizzate molte strade di collegamento, “… distrusse la legge del pascolo pubblico, per la quale era impedito di cingere i terreni di stabili difese, sicché restavano in preda al bestiame inselvatichito, con grandissimo danno delle raccolte, ed in questa guisa i raccolti miglioravano e il bestiame si addomesticò.

Le terre che per infelicità di suolo si trovavano incolte, egli le rese coltivabili. La pianura pisana, con tagli appositamente fatti, con colmate, argini e canali, fu per opera di lui (Pietro Leopoldo) liberata dall'acque, ridotta a sanità, e restituita alla più felice coltivazione ”.103

Così infatti descrisse Pisa, il Granduca Pietro Leopoldo nelle sue Relazioni: “La città di Pisa nei tempi antichi era una repubblica rispettabile per le sue spedizioni marittime e faceva circa 70 mila anime. Persa che ebbe la sua forza colle diverse guerre coi fiorentini e colla sua presa e sottomissione alla repubblica fiorentina, perse anche i suoi privilegi; si spopolarono le sue campagne e colla perdita del commercio che faceva in Levante e colla creazione della città di Livorno, che tirava a sé la popolazione ed i guadagni, andò sempre decadendo ai tempi della

98 Ivi, pag. 269.

99 A. Salvestrini (a cura di), Pietro Leopoldo, Relazione, vol. II, op. cit., pag. 71.

100 La “bonifica idraulica” è l’insieme delle operazioni e dei lavori necessari per prosciugare e risanare i terreni

sottoposti alla temporanea o permanente sommersione delle acque stagnanti. Comprende inoltre, tutte quelle operazioni che servono per mettere a coltura un terreno fino ad allora non utilizzato per questo scopo. Oltre a prosciugare gli acquitrini e recuperare le terre a coltura, si promuove la costruzione di infrastrutture viarie, insediative e sociali per un recupero totale della zona, anche a livello civile e sociale. Vd. D. Barsanti, L. Rombai, La guerra delle acque, op. cit., pag. 13.

101 D. Barsanti, Documenti geocartografici, op. cit., pag. 37.

102 B. Sordi, L’amministrazione illuminata. Riforma delle comunità e progetti di costituzione nella Toscana leopoldina,

Milano, Giuffrè, 1991, pag. 240.

casa Medici. Furono fatti vari tentativi ai tempi dell’imperatore Francesco per farla risorgere: cioè con fabbricare i bagni, ecc…, ma nessuna poté riuscirvi. S.A.R. la trovò alla venuta in questo stato languido e povero, coll’aria malsana e i paduli cresciuti all’intorno ed una gran miseria e scoraggiamento provenuto dalla proibizione dell’esportazione del grano, olio e grasce che aveva formato la rovina di quel paese”.104

Ogni comune fu reso libero di governare i propri beni e vennero abolite le “compagnie” religiose.

“Pisa, dove il Granduca trascorreva ogni anno la stagione invernale con la sua famiglia, risentì il profitto di speciali e benefiche cure sia in un riordinamento dell'organico universitario, sia nella istituzione di un laboratorio chimico in via Santa Maria, sia nell'incremento che venne dato al canale de Navicelli”.105

Anche durante la pausa francese (1799 e poi ancora 1807), vi furono numerosi benefici per la Toscana, soprattutto per quanto riguarda l'evoluzione tecnica ed organizzativa degli enti amministrativi e burocratici. Considerevoli furono anche allora le riforme apportate all'ordinamento amministrativo.

Nel 1807 la Toscana fu divisa in tre dipartimenti: Ombrone, Mediterraneo, Arno. La provincia di Pisa venne a far parte del dipartimento Mediterraneo, e a sua volta suddivisa in varie Sottoprefetture. Al posto delle Cancellerie e delle Comunità, vennero stabilite le Mairie (comune) con a capo il sindaco (maire), che aveva il compito di amministrare i beni e le rendite del Comune, provvedere alla sicurezza e controllare l'esazione delle imposte.

Con la restaurazione lorenese, a Pisa, fu restaurato anche l’Ufficio de Fossi (1814) che si occupava dell’Arno e del Serchio, mentre alla nuova Deputazione Generale Amministrativa dei Fiumi e Fossi e Canali fu affidata l’amministrazione e direzione dei lavori degli altri corsi d’acqua.

Con la legge del 20 gennaio 1817 la carica del Gonfaloniere subì ulteriori modifiche: egli divenne funzionario governativo, alle dipendenze del Presidente del Buon Governo.

“Fra le istituzioni che interessarono la nostra provincia e che si devono all'iniziativa di Ferdinando III, vanno ricordate: l'istituzione delle imposte dirette e quindi di una più valida organizzazione del catasto (24 novembre 1817), l’interessante rilevamento topografico della regione, la costituzione degli uffici di stato civile (1817), e infine la fondazione del corpo dei pompieri (1819).106

Nel 1825, insieme alla formazione del catasto, Leopoldo II, successo al padre Ferdinando III, creò il Corpo degli Ingegneri d’acque e strade e la Camera di Soprintendenza Comunicativa del dipartimento pisano che, prendendo il posto dell’Ufficio de Fossi, fu incaricata di sovrintendere molti lavori pubblici e di curare e sorvegliare i principali corsi d’acqua.

A capo dell’ufficio venne posto un Soprintendente con duplice funzione: controllare e dirigere il censimento dei fondi urbani edificati dopo la compilazione del Catasto e soprintendere al Corpo degli ingegneri, costituendo un apposito Consiglio.107

Tale Corpo era costituito da ingegneri ispettori e sotto ispettori di compartimento del territorio del Granducato (suddiviso in 5 compartimenti e 37 circondari). Gli

104 A. Salvestrini (a cura di), Pietro Leopoldo, Relazione, vol. II, op. cit., pag. 63. 105 G. Caciagli, Pisa, op. cit., pag. 509.

106 Ivi, pag. 515.

107 R. Amico, L’Archivio del corpo degli ingegneri d’acque e strade del compartimento di Pisa, in Rassegna degli

ingegneri ispettori avevano il compito di predisporre i progetti per i lavori delle strade regie e provinciali e di curare il regime idraulico del territorio, compiti questi che erano prerogativa dell’Ufficio Fiumi e Fossi.

Con il Motu Proprio del 1825 fu stabilito che il Provveditore alla Camera di Soprintendenza Comunitativa, che già esisteva con il precedente ufficio, avrebbe conservato la funzione di gestione economica dei lavori riguardanti l’Arno e il Serchio e la sorveglianza sul Canale Imperiale e i canali di Ripafratta e dei Navicelli.

I progetti di nuovi lavori relativi a questi corsi d’acqua furono, invece, da allora in poi, competenza dell’ingegnere ispettore di compartimento, il quale doveva però sottoporre tali progetti al Consiglio degli ingegneri.

La parte tecnica dei lavori relativi ai due grandi fiumi veniva perciò, ad essere tolta agli organismi locali, per essere affidata agli ingegneri statali.

Per gli altri corsi d’acqua del compartimento pisano, fu stabilito che la Deputazione generale di fiumi e fossi dovesse essere assistita dagli ingegneri del circondario, anziché da esperti o ingegneri da essa dipendenti.

Nel successivo regolamento del 1826, gli ingegneri ispettori vennero dichiarati consulenti dei provveditori delle Camere di soprintendenza comunitativa per tutti i lavori pubblici.

Nel 1834, alla conclusione dei lavori del Catasto, fu deciso di separare il Compartimento del Corpo degli Ingegneri e, a Firenze, furono creati due uffici: l’Ufficio per la conservazione del catasto e la direzione del corpo degli ingegneri di acque e strade, mentre il Consiglio degli ingegneri venne mantenuto con le stesse competenze.

Nel 1840 fu deciso di separare il servizio idraulico da quello stradale e, con Motu Proprio del 26 settembre di quell’anno, venne soppresso il posto di ingegnere addetto alla Deputazione Generale dei fiumi e fossi della provincia pisana ed istituito un posto di ingegnere ispettore addetto esclusivamente al servizio idraulico del compartimento.

Furono poi soppressi i circondari e il territorio del Granducato fu divisa in venti distretti, in ciascuno dei quali era istituito un posto di ingegnere distrettuale. Nel 1848 le competenze delle Camere di Soprintendenza Comunicativa passarono alle Prefetture. Nel 1861 il Corpo degli ingegneri di acque e strade confluì nel Corpo reale del Genio Civile.108

La città, nonostante la politica di aiuto ed agevolazione promossa dai Lorena, non riuscì immediatamente a risollevarsi dallo stato di decadenza in cui si trovava a seguito dei decenni di abbandono a cui era stata soggetta.

“Caduta sotto la dominazione Medicea, aveva perduto il lustro connesso con gli uffici, con la burocrazia e con una propria classe dirigente. A Pisa ormai risedevano solo i rappresentanti periferici del potere centrale, fortemente dipendenti dall’autorità granducale”.109

Sotto i Lorena non vi furono grandi cambiamenti urbani, ma la migliore situazione igienico-sanitaria e la ripresa economica settecentesca portarono a un aumento della popolazione e quindi ad una conseguente crescita urbanistica.

Nella seconda metà del Settecento, gli unici interventi registrabili furono la sistemazione dei lungarni, i restauri di alcuni edifici, la sistemazione del porto delle

108 L. Rombai, (Nanni Giancarlo-Pieroulivo Monica-Regoli Ivo acura di), L’Arno, Pisa, comune di San Miniato,

1996, pag. 17.

gondole e l’apertura del cimitero suburbano e anche gli interventi di inizio Ottocento furono limitati e discontinui e le trasformazioni urbane modeste: fu sistemata piazza Santa Caterina nel 1815, gli arsenali furono ristrutturati ad uso di scuderie, i lungarni arricchiti e migliorati (1838) e furono restaurate le mura (1820), solo con l’inaugurazione della ferrovia Firenze-Pisa-Livorno nel 1844 e con la stazione Leopolda e poi con la linea del 1846 Pisa-Lucca, si verificarono i più considerevoli cambiamenti urbani.

Il territorio pisano era costellato poi da centri minori e nuclei rurali, che gravitavano sulla città.

Nel Settecento questi nuclei abitati erano ancora molto piccoli e piuttosto arretrati, dediti principalmente all’agricoltura, la cui direzione era nelle mani di poche famiglie benestanti.

“Il regime di proprietà fondiaria era forse la prova più lampante delle profonde difficoltà economiche attraversate dai pisani. A metà Settecento, i 4/5 del territorio pisano erano di proprietà di famiglie forestiere, per lo più fiorentine”.110

Sin dal 1400, infatti, si erano formati nelle campagne molti complessi fondiari di proprietà del patriziato fiorentino che, insieme alle grandi proprietà della chiesa e del comune, andarono, nel corso dei secoli, espandendosi in tutto il territorio. Andarono così diffondendosi il contratto mezzadrile, il livello e la conduzione diretta della proprietà.

Con la crisi del Seicento ed il rallentamento dei processi di bonifica, si era verificata un’avanzata delle paludi e, soprattutto dopo le due grandi pestilenze del 1630 e del 1633, la popolazione era diminuita enormemente.

Con la generale ripresa economica del XVIII secolo, anche il contado pisano, pur molto lentamente, conobbe una ripresa delle coltivazioni, la produzione aumentò, in modo particolare quella di olio, vino e legname, le campagne si ripopolarono e la situazione generale migliorò, grazie all’ampliamento della rete stradale e ai numerosi interventi di sistemazione delle acque.

“I buoni risultati della politica economica lorenese sembrarono trovare già una prima e promettente conferma nei documenti catastali. Al momento dell’attivazione del catasto leopoldino-ferdinandeo negli anni trenta dell’Ottocento, la provincia pisana appariva la più coltivata fra quelle della Toscana, con quasi il 60% dei seminativi ormai arborati, vitati e olivati soprattutto nella piana dell’Arno e nelle zone collinari interne”.111

110 Ivi, pag. 41.

2

2

2

2. Pisa e il suo contado. Pisa e il suo contado. Pisa e il suo contado. Pisa e il suo contado