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Calamità naturali e rappresentazione della sofferenza nella relazione tra pubblico e media

CAPITOLO TERZO I QUOTIDIANI ITALIANI TRA INFORMAZIONE E

3.2 Calamità naturali e rappresentazione della sofferenza nella relazione tra pubblico e media

Le calamità naturali, più di altri eventi, sono in grado di suscitare grande interesse nel lettore.

22

Carlo Sorrentino, Tutto fa notizia. Leggere i giornali, capire il giornalismo, Roma, Carocci, 2007, pp.85-86 23

Si fa riferimento ai danni sulle relazioni con il Giappone e la sua economia. 24

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Il soddisfacimento di questo interesse da parte dei media ha fatto però spesso parlare di speculazione mediatica sulla sofferenza e sulla devastazione derivante dai disastri naturali.

Questa riflessione può arrivare a considerare anche la deontologia dei media che vanno a soddisfare l'interesse del pubblico verso la sofferenza rendendola vicina all'intrattenimento.

Sulla rappresentazione del dolore si possono trovare ampie analisi che vanno a coprire svariati ambiti quali ad esempio la letteratura25. Per la presente ricerca risulta importante riflettere sulla relazione tra sofferenza umana nella rappresentazione mediatica e pubblico.

L'informazione mediatica non è un'attività a sé stante e in particolare quando presenta la sofferenza derivante dalle calamità naturali va messa in relazione con la percezione del pubblico e con la sua psicologia.

Come alla base delle notizie si trovano le scelte del giornalista, così anche nella rappresentazione della sofferenza il giornalista deve scegliere quali sofferenze presentare. Nel decidere di presentare ad esempio immagini di persone colpite da una tragedia che protestano, viene trasmesso un chiaro messaggio di denuncia verso un'istituzione, un'ingiustizia ecc. 26.

Gli elementi sui quali si vuole focalizzare l'analisi sono la qualità e le metodologie di rappresentazione della sofferenza, che per estensione di significato sono espressione della qualità e dei metodi d'informazione.

Un primo dubbio sorge in merito alla misura in cui, nella rappresentazione mediatica, la sofferenza sia reale.

Come si è visto brevemente nel Capitolo primo e come si vedrà nel dettaglio in seguito, nei quotidiani italiani sono state riscontrate delle incongruenze nelle identità delle persone e dei testimoni presentati dagli articoli.

Partendo da questa considerazione si vuole riflettere sulla misura in cui la sofferenza è legata all'identità, sul legame tra rappresentazione mediatica e individuazione dell'identità della persona che soffre.

Nella rappresentazione della sofferenza nei media è più importante l'identità della persona oggetto di attenzione o la sofferenza in quanto tale? E la sofferenza presentata in un articolo è proprio la sofferenza di quella persona reale o è un sentimento potenzialmente reale in relazione ai fatti ma non verificato in un soggetto specifico?

Tralasciando per il momento questo dubbio derivante dalle verifiche di vari errori nei quotidiani italiani, si trova un altro aspetto sul quale risulta interessante riflettere: lo stile nella rappresentazione della sofferenza reale.

25

Nell'intera analisi del sottocapitolo 3.2 si fa riferimento a Luc Boltanski, Lo spettacolo del dolore. Morale

umanitaria, media e politica Milano, Raffaello Cortina editore, 2000, Capitoli “L'infelicità è reale?”, pp. 235-270;

“Quale realismo dell'azione”, pp. 271-311 26

Si è riscontrato che molte rappresentazioni della sofferenza nei quotidiani italiani, in particolare attraverso le parole delle persone, vanno a evidenziare l'insoddisfazione dei giapponesi verso il governo e la gestione della crisi

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La rappresentazione del dolore umano, per quanto molto diffusa nei media, presenta diversi punti critici oggetto di dibattito nel settore.

Un primo problema di fondo riguarda la distinzione tra sofferenza reale e sofferenza interpretata. Se da un lato una rappresentazione cruda della sofferenza può sconvolgere il lettore e privare la persona interessata della dignità, dall'altro una rappresentazione della sofferenza enfatizzata e liberamente interpretata dal giornalista non rispecchia la realtà.

Una descrizione fattuale e cruda è generalmente considerata non adatta alla rappresentazione delle sofferenze umane27 in quanto può essere vista come una mancanza di rispetto verso gli infelici e come un'esibizione del dolore a fini commerciali, implicando problemi di tipo deontologico per il giornalista. Questo tipo di descrizione fattuale è però comunemente accettata nel caso delle descrizioni di paesaggi e natura.

Per comprendere meglio i dubbi sorti nell'analisi sulla rappresentazione della sofferenza, si consideri quanto riportato da la Repubblica:

“[...] Questo deserto coperto ora da gabbiani, da cui affiora una gamba piegata, si apre dall'oceano verso l'interno per nove chilometri [...] nessuno va a recuperare quell'arto, divenuto segnale della catastrofe [...]. In un angolo vengo riposte le salme irriconoscibili, i resti considerati umani [...] 28

Questo è solo uno dei tanti esempi delle possibili rappresentazioni della sofferenza e della morte. Il problema al quale è difficile dare una risposta, in quanto strettamente legato alla soggettività del lettore e al suo sentire, è fino a quale punto si può accettare una descrizione di dettagli pietosi nel rispetto delle persone e fino a quale punto può spingersi il giornalista29.

Nonostante i problemi riscontrati nella rappresentazione mediatica della sofferenza, le forti

27

Boltanski parla di “divieto del tale e quale”, Lo spettacolo del dolore, p. 36 28

Giampaolo Visetti, “Nella città che non c'è più. Acqua nera, sabbia e morte”, la Repubblica, 14 marzo, pp. 2-3 29

Alla rappresentazione oggettiva e cruda della sofferenza si pone come alternativa una rappresentazione che lascia intendere al lettore la drammaticità del fatto in modo indiretto, tecnica spesso utilizzata nei quotidiani giapponesi. Questi presentando come tendenza generale una maggiore attenzione ai fatti e, partendo dai dati, rappresentano la sofferenza. A sostegno di questo stile di presentazione si consideri come un giornalista possa vedere una persona piangere o non piangere e riportarne le esatte parole, possa cercare di rappresentarne i sentimenti più profondi con ampie descrizioni ed espedienti linguistici letterari o possa riportare semplicemente il numero di vittime per ogni paese, ma in ogni caso non sarà mai in grado di cogliere la sofferenza nella sua piena essenza. I quotidiani italiani prediligono una rappresentazione diretta della sofferenza attraverso l'uso di tinte forti, come nell'esempio considerato, o una narrazione interpretativa conferendo però con quest'ultima tecnica alla sofferenza sfumature non dimostrabili sulla base dei dati e dei fatti. Baltonski opera la distinzione tra sofferenze reali e fittizie: “[...] Partiremo dall'ipotesi che l'emozione mediatica occupi una posizione instabile tra l'emozione reale e l'emozione fittizia. Essa si ricollega alle emozioni reali nella misura in cui la sofferenza degli infelici offerta come spettacolo è presentata come reale, proposta a una modalità di adesione che rileva della credenza esistenziale, dato che la sua autenticità può essere oggetto di giudizio[...] Ma lo spettatore è al riparo. Non è immerso nella situazione in cui si trova l'infelice; non è al suo fianco durante la sua agonia o il suo supplizio. L'inaccessibilità dell'azione può avvicinare le emozioni mediatiche alle emozioni fittizie. [...]”, (Lo spettacolo del dolore. Morale umanitaria, media e politica, p.242). Sempre Boltanski, nella sua analisi, considera inoltre il ruolo dell'immaginazione sottolineando come drammatizzare un racconto possa riempire l'immaginazione della sofferenza a distanza del lettore presentando “situazioni compatibili con la vita reale” (Lo spettacolo del dolore. Morale umanitaria, media e politica, Milano, Raffaello Cortina editore, 2000, pp. 83-84)

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implicazioni morali e deontologiche e la critica mossa al sentimentalismo, i media continuano ad attribuire grande importanza alle emozioni.

Anche nell'analisi della copertura del terremoto del Tōhoku da parte dei media italiani si può riscontrare questa tendenza, arrivando al punto in cui si può ritenere che le rappresentazioni distorte della realtà date da una grande enfasi sugli aspetti drammatici e sul senso di allarme portano a un sistema di informazione in cui la realtà sembra lasciare il posto alla finzione.