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3.1 Apparato da vuoto

3.1.2 Camera di ionizzazione

Questa camera è stata montata per la prima volta durante questo lavoro di tesi, ed è dedicata alla ionizzazione del fascio atomico e alla raccolta e rivelazione delle

cariche. Essa ha la forma di una croce a sei vie ed è dotata di quattro flange, dispo- ste orizzontalmente rispetto al piano del tavolo e ortogonalmente fra loro: due di esse, perpendicolari fra loro, assicurano il collegamento con la camera di MOT e collimazione e con la camera di carico (non usata in questo esperimento), mentre le altre due sono dotate di finestre trattate antiriflesso che permettono l’accesso ottico ai laser coinvolti nel processo di ionizzazione. Sono presenti inoltre due ul- teriori flange, orientate verticalmente: quella in basso è inutilizzata, mentre quella in alto collega la camera con un tubo contenente un rivelatore di particelle cariche. Di fronte alla bocca del rivelatore è presente poi una placca metallica di diametro 1 cm, a cui è possibile applicare un potenziale elettrico opportuno, generalmente positivo, in modo da creare una differenza di potenziale tra questa e la bocca del rivelatore e permettere l’accelerazione e la raccolta degli ioni prodotti. La parte superiore della flangia verticale è dotata di una serie di feedthroughs (BNC) che consentono di applicare tensioni opportune ai vari elementi del rivelatore e alla placca metallica (per maggiore chiarezza si osservi la figura 3.2). La distanza tra placca metallica e bocca del rivelatore è di 12.5 cm mentre la distanza tra fascio atomico e placca è tipicamente di circa 3.5 cm.

Figura 3.2: Rappresentazione schematica della camera di ionizzazione: una se- rie di feedthroughs BNC permette di applicare le tensioni volute al catodo del rivelatore e alla placca metallica

3.1. APPARATO DA VUOTO

Il rivelatore di ioni

Per la rivelazione degli ioni prodotti abbiamo utilizzato un elettromoltiplicatore EM226 della Thorn-EMI, costituito da sedici dinodi focalizzanti di BeCu, prece- duti da un catodo “a veneziana”. Il rivelatore è realizzato in modo che tra due dinodi consecutivi venga applicata una differenza di potenziale costante di circa 250 V, mediante un partitore di tensione realizzato con resistori da ultra-alto vuo- to: gli elettroni secondari emessi da ciascun dinodo vengono quindi accelerati e vanno a colpire la superficie del dinodo successivo. In base a questo meccanismo, quando lo ione che vogliamo rivelare colpisce la superficie del catodo si genera (con una certa efficienza quantica) un certo numero di elettroni secondari, dan- do origine ad un processo a valanga. Tra il catodo e l’anodo abbiamo applicato una tensione pari a -3000 V: in queste condizioni, in base alle specifiche dello strumento [41], il guadagno complessivo è dell’ordine di 107 per cui, prelevando il segnale ai capi di una resistenza di 50 Ω, la rivelazione degli ioni dà luogo a impulsi della durata di pochi ns e con tensioni di picco generalmente di qualche mV. Questi impulsi vengono poi inviati ad un contatore digitale, munito di discri- minatore, per il conteggio. Purtroppo non siamo in possesso, nè abbiamo potuto creare, una curva di calibrazione che ci dica il numero di conteggi corrispondenti ad un dato numero di ioni di Cesio prodotti nella zona di raccolta. È noto dalla letteratura [42] che l’efficienza di rivelazione dipende dalla differenza di poten- ziale alla quale gli ioni sono accelerati: generalmente il materiale (BeCu) di cui è costituito il catodo emette efficacemente elettroni secondari solo all’arrivo di ioni sufficientemente energetici (alcuni keV).

Per gli scopi di questa tesi, nella quale abbiamo voluto sostanzialmente dimostra- re il processo di fotoionizzazione del nostro fascio e verificare in maniera non quantitativa la produzione di ioni, non abbiamo ritenuto necessario analizzare la configurazione dei campi elettrici nella zona di raccolta. In prima approssimazio- ne essa può sembrare simile a quella di un condensatore piano parallelo, essendo le armature costituite dal catodo e dalla placca. Dunque il potenziale di accelera- zione degli ioni è dato da Vion= Vcat−Vp, minore di -3000 V in condizioni tipiche di funzionamento (Vp> 0). Tuttavia questa approssimazione è molto grossolana, dato che l’intero sistema si trova all’interno della camera a vuoto che ha pare-

ti metalliche collegate a massa e per la presenza del filo di collegamento con la placca.

Il collegamento del sistema di rivelazione delle cariche con l’esterno avviene at- traverso i già citati feedthroughs, che sono quattro e permettono di accedere ri- spettivamente alla placca, al catodo, all’ultimo dinodo e all’anodo. La placca è direttamente collegata ad un alimentatore regolabile ad alta tensione; il catodo è collegato ad un altro alimentatore ad alta tensione (alcuni condensatori, montati in uno “scatolotto” di collegamento, sono presenti tra il catodo e la massa comu- ne per ridurre il rumore a 50 Hz sull’alimentazione e per fungere da “tampone” di corrente). L’anodo, che è flottante, è direttamente attaccato ad un preamplificatore che va al contatore; l’ultimo dinodo è collegato a massa attraverso una resistenza variabile (potenziometro da 150 kΩ). Secondo il costruttore del rivelatore, questo accorgimento è necessario per creare una piccola e controllata differenza di poten- ziale tra ultimo dinodo e anodo, in modo da permettere un’efficiente raccolta degli elettroni prodotti. La regolazione del potenziometro avviene osservando la forma dell’impulso direttamente su un oscilloscopio veloce, collegato con una resisten- za di 50 Ω all’anodo: la regolazione è ottimale quando l’impulso è più piccato e privo di “rimbalzi”.

Osserviamo che, come qualsiasi rivelatore a vuoto (ad esempio, i fotomoltiplica- tori), il nostro rivelatore di ioni è soggetto a rumore di fondo dovuto ad impulsi, ovvero conteggi spuri, che possono avere molteplici origini (ad esempio effetto fotoelettrico, desorbimento elettronico o arrivo di raggi cosmici). Generalmente questi impulsi spuri sono attesi avere caratteristiche diverse rispetto a quelli da misurare (dovuti all’arrivo di ioni sul catodo), in particolare in termini di altezza di picco. Il discriminatore integrato nel contatore permette di limitarne gli ef- fetti sulla misura, così come esso consente di sopprimere gli effetti del rumore elettromagnetico captato dall’anodo e dai cavi di collegamento.

Infine notiamo che l’intero sistema (camera e rivelatore) è piuttosto ingombrante (oltre 30 cm di lunghezza). Esistono e sono attualmente di uso comune dei rivela- tori molto più compatti (microchannel plate, MCP, oppure channeltron), che però non offrono la robustezza e il guadagno del nostro rivelatore. Inoltre le dimensio- ni della zona di estrazione delle cariche, cioè la distanza tra la placca e la bocca