• Non ci sono risultati.

Fotoionizzazione di un fascio atomico di Cesio manipolato via laser

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Fotoionizzazione di un fascio atomico di Cesio manipolato via laser"

Copied!
131
0
0

Testo completo

(1)
(2)

1 Richiami di manipolazione laser di atomi neutri 10

1.1 L’atomo di Cesio . . . 11

1.2 Cenni sull’interazione tra radiazione e materia . . . 13

1.2.1 Approssimazione di dipolo elettrico e regole di selezione . 13 1.2.2 Equazioni di Bloch ottiche e loro soluzione stazionaria . . 15

1.3 Pressione di radiazione e raffreddamento Doppler . . . 16

1.4 Raffreddamento sub-Doppler . . . 19

1.4.1 Light Shift . . . 20

1.4.2 Configurazione “lin⊥lin” . . . 21

1.4.3 Configurazione “σ+σ−” . . . 24

1.5 La trappola magneto-ottica . . . 25

2 Fasci atomici e ionici 30 2.1 La trappola magneto ottica piramidale . . . 30

2.2 Proprietà del fascio atomico . . . 32

2.3 Processi di fotoionizzazione . . . 33

2.4 Fasci di ioni . . . 35

2.4.1 Fasci di ioni focalizzati e loro proprietà . . . 36

2.4.2 Fotoionizzazione di un fascio atomico freddo e lento . . . 40 2

(3)

INDICE

3 Apparato sperimentale 44

3.1 Apparato da vuoto . . . 45

3.1.1 Camera di MOT e collimazione . . . 46

3.1.2 Camera di ionizzazione . . . 47

3.2 Sorgenti laser . . . 51

3.3 Laser in configurazione master-slave . . . 52

3.3.1 Laser in cavità esterna . . . 53

3.3.2 Stabilizzazione della corrente e della temperatura . . . 55

3.3.3 Stabilizzazione della frequenza dei laser master . . . 55

3.4 Laser di ripompa . . . 62

3.5 Laser di ionizzazione . . . 62

3.6 Cammini ottici . . . 63

4 Fotoionizzazione del fascio atomico 66 4.1 Misure di fluorescenza sul fascio atomico . . . 66

4.2 Conteggio di ioni . . . 74

4.3 Rate di conteggio in funzione dell’intensità dei laser . . . 77

4.3.1 Rate di conteggio in funzione dell’intensità del laser di ionizzazione . . . 83

4.3.2 Rate di conteggio in funzione dell’intensità del laser di eccitazione . . . 86

4.3.3 Approssimazioni geometriche . . . 89

5 Misure di spettroscopia sul fascio 92 5.1 Fenomeni di pompaggio ottico . . . 93

5.1.1 Pompaggio ottico iperfine . . . 94

5.1.2 Pompaggio ottico Zeeman . . . 96

(4)

5.2 Simulazioni numeriche . . . 100

5.2.1 Simulazione basata sulle equazione di rate . . . 100

5.2.2 Simulazione basata sulle equazioni di Bloch ottiche . . . . 103

5.3 Configurazione sperimentale . . . 105

5.4 Analisi dei dati sperimentali . . . 108

5.4.1 Misura della forza delle transizioni . . . 108

5.4.2 Misura delle larghezze di riga . . . 112

(5)
(6)

L’obiettivo principale di questa tesi è la fotoionizzazione di un fascio atomico di Cesio prodotto da una trappola magneto ottica piramidale sfruttando tecniche di manipolazione via laser di atomi neutri e caratterizzato da proprietà dinamiche specifiche. Lo sviluppo di queste tecniche ha permesso, negli ultimi anni, una serie di avanzamenti sia nell’ambito della ricerca fondamentale (ad esempio la realizzazione di condensati di Bose Einstein [1]) sia per quanto riguarda possibili applicazioni, ad esempio nel campo delle nanotecnologie [2, 3, 4, 5, 6]. L’appa-rato sperimentale utilizzato durante questo lavoro di tesi è stato infatti progettato e impiegato in precedenza proprio per esperimenti di nanofabbricazione atomica, nei quali un fascio di atomi di Cesio veniva focalizzato su un substrato median-te una maschera ottica, generata da un’onda stazionaria, realizzando così delle nanostrutture [7, 8].

Questo lavoro di tesi si inserisce in un progetto di ricerca internazionale [9] in cui si intende sfruttare le tecniche di manipolazione laser per creare, tramite opportuni schemi di ionizzazione, fasci di cariche elettriche (ioni o elettroni) con caratteri-stiche migliori dei fasci prodotti con tecniche convenzionali in ambito industriale (imaging e fabbricazione). Ad esempio, l’impiego di fasci di ioni focalizzati (FIB) sta emergendo come una tecnologia estremamente efficace e versatile per la na-nostrutturazione di superfici [10]. La risoluzione spaziale di un FIB è attualmente limitata dalla capacità di ottenere fasci densi di cariche con dimensioni trasversali inferiori a una decina di nanometri [11]: uno dei fattori limitanti è l’aberrazione cromatica nella focalizzazione delle cariche, dovuta principalmente alla larghezza della loro distribuzione di energia cinetica. Nel caso di fasci ionici, per esempio, questa è una caratteristica intrinseca del metodo di produzione, che

(7)

convenzio-INDICE

nalmente viene eseguita tramite ionizzazione per effetto di campo di un metallo portato termicamente in fase liquida. La ionizzazione di campioni atomici ma-nipolati via laser può consentire di superare queste limitazioni, come proposto nella letteratura scientifica degli ultimi anni [12, 13, 14] e, almeno ad uno stadio preliminare, realizzato [15, 16].

Il fascio di atomi di Cesio prodotto nel nostro apparato è fortemente collimato, essendo raffreddato in direzione trasversale, e ha velocità longitudinale e larghez-za della distribuzione di velocità ordini di grandezlarghez-za inferiori a quella dei fasci effusivi. Si tratta quindi di un fascio atomico “freddo e lento” [17] che, una volta ionizzato con tecniche opportune che ne permettano il trasferimento delle proprie-tà dinamiche al fascio ionico, potrebbe essere esplorato come sorgente alternativa in un FIB, con evidenti vantaggi rispetto alle realizzazioni convenzionali. Questa tesi, grazie all’integrazione nell’apparato di una camera di ionizzazione munita di un rivelatore di cariche, dimostra che un semplice processo di fotoionizzazione (two step, two color) con passaggio per il livello risonante 62P3/2e l’uso di radia-zione violetta (405 nm) da un laser a diodo conduce a efficiente ionizzaradia-zione del fascio “freddo e lento” di atomi di Cesio. La produzione di cariche è caratterizza-ta in funzione della potenza dei laser e della presenza di un fascio addizionale di “ripompa” che chiude la transizione risonante usata per il primo passo della foto-ionizzazione. Questo apre la strada a ulteriori sviluppi della ricerca, in particolare all’implementazione di stadi di ottica elettronica per la raccolta e la focalizzazione degli ioni.

Le proprietà del fascio atomico lo rendono particolarmente adatto, oltre che per applicazioni tecnologiche, anche per misure spettroscopiche di precisione: infat-ti, a differenza di un vapore atomico, il fascio permette di definire il tempo di interazione con la radiazione di interesse, che è particolarmente lungo a causa del carattere “lento”, e di trascurare eventuali fenomeni di intrappolamento di ra-diazione grazie alla sua densità relativamente bassa. Inoltre la bassa temperatura cinetica trasversale (fascio “freddo”), che si attesta su valori di poche decine di µK (o inferiori), rende trascurabili gli allargamenti di riga disomogenei dovuti all’ef-fetto Doppler. D’altra parte fotoionizzazione e rivelazione delle cariche rendono disponibili uno strumento altamente sensibile per la misura della popolazione del

(8)

livello eccitato in funzione dei parametri sperimentali, largamente immune al ru-more (soprattutto luce spuria scatterata e fluorescenza di fondo) che generalmente accompagna i metodi di rivelazione ottica (emissione o assorbimento). Per questi motivi abbiamo usato l’apparato per studiare i fenomeni di pompaggio ottico della transizione D2 del Cesio. A questo scopo abbiamo registrato il rate di conteggio ionico in funzione dei parametri (potenza e frequenza) del laser di eccitazione, che popola selettivamente livelli iperfini del 62P3/2. I risultati sperimentali sono con-frontati con due tipi di simulazioni numeriche, basate rispettivamente sulle equa-zioni di rate e sulla soluzione delle equaequa-zioni di Bloch ottiche (matrice densità). Il confronto dimostra chiaramente l’importanza del ruolo giocato dalla molteplicità dei livelli (iperfini e Zeeman) coinvolti nel processo.

La struttura della tesi è la seguente.

• Il capitolo 1 richiama le basi delle tecniche di manipolazione e raffredda-mento laser di vapori atomici, con lo scopo di evidenziare i principali pro-cessi che determinano le proprietà dinamiche del fascio atomico a nostra disposizione.

• Nel capitolo 2 si riassumono le caratteristiche che rendono il fascio ato-mico “freddo e lento”, si delinea il processo di fotoionizzazione impiegato e si discutono, paragonandole con altri esperimenti in corso, le proprietà dinamiche che ci si attendono per il fascio ionizzato.

• Il capitolo 3 è dedicato alla presentazione critica dell’apparato sperimentale per il fascio ionico, in particolare dei componenti e dei metodi impiegati per produrre i numerosi fasci laser necessari per l’esperimento.

• Il capitolo 4 presenta dettagli sul sistema di rivelazione delle cariche prodot-te e sinprodot-tetizza le misure del raprodot-te di conprodot-teggi ionici che dimostrano l’avvenuta fotoionizzazione del fascio e ne permettono la caratterizzazione in funzione della potenza dei laser coinvolti nel processo.

• Il capitolo 5, infine, è dedicato allo studio dei fenomeni di pompaggio ottico della transizione D2 del Cesio, analizzati tramite misure del rate di conteg-gio ionico sotto eccitazione dei diversi livelli iperfini coinvolti e tramite

(9)

INDICE

costruzione di spettri per la misura della larghezza di riga. I risultati sono interpretati alla luce di due distinte simulazioni numeriche, basate rispetti-vamente sulla soluzione delle equazioni di rate e delle equazioni di Bloch ottiche.

(10)

Richiami di manipolazione laser di

atomi neutri

Nell’esperimento descritto in questo lavoro di tesi si fa ampio uso di tecniche di manipolazione laser di atomi neutri per la produzione del fascio atomico freddo e lento. In questo capitolo vengono illustrati brevemente i principi fisici che stanno alla base dei più semplici meccanismi di raffreddamento e intrappolamento via laser di atomi neutri. Si comincia con una breve descrizione delle proprietà e del-la struttura atomica del Cesio, l’elemento impiegato in questo esperimento. Poi, sulla base della teoria dell’interazione fra radiazione e materia per un semplice sistema a due livelli, vengono descritte le forze che agiscono su atomi neutri e si discute come queste vengano sfruttate nelle tecniche di raffreddamento Doppler. Successivamente, introducendo un modello più raffinato e tenendo conto della reale struttura degli atomi, viene fatto un breve accenno ad alcune tecniche di raf-freddamento più complesse, cosiddette sub-Doppler. Infine viene mostrato come l’aggiunta di campi magnetici disomogenei permetta di ottenere un confinamento spaziale degli atomi oltre al loro raffreddamento, illustrando il funzionamento e le proprietà principali di una trappola magneto-ottica.

(11)

1.1. L’ATOMO DI CESIO

1.1

L’atomo di Cesio

I metalli alcalini, tra cui il Cesio, sono particolarmente adatti per esperimenti di raffreddamento e intrappolamento via laser di atomi neutri. Infatti la frequenza di transizione tra lo stato fondamentale e il primo stato eccitato cade generalmente nel visibile o nel vicino infrarosso, regioni spettrali in cui sono disponibili nu-merose sorgenti laser. Inoltre la loro struttura elettronica di stato fondamentale è piuttosto semplice ed è costituita da un guscio chiuso, corrispondente alla strut-tura del gas nobile che li precede nella tavola periodica, e da un solo elettrone di valenza, l’unico che viene coinvolto nelle transizioni ottiche.

Il Cesio, il cui unico isotopo stabile è il133Cs, ha numero atomico 55 e la sua strut-tura elettronica è [Xe]6s1. Il guscio chiuso non contribuisce al momento angolare elettronico totale ~J, che è quindi completamente specificato dallo spin ~s e dal mo-mento orbitale ~l dell’elettrone di valenza. Lo stato fondamentale ha quindi J=1/2 e viene indicato, in notazione spettroscopica, con 62S1/2. I primi stati eccitati han-no invece J=1/2 e J=3/2 e vengohan-no indicati rispettivamente con 62P1/2 e 62P3/2: la degenerazione fra questi viene rimossa essenzialmente a causa dell’interazio-ne spin-orbita e costituisce la struttura fidell’interazio-ne dell’atomo. Poichè la separaziodell’interazio-ne in lunghezza d’onda fra questi due livelli è di circa 42 nm, sufficientemente larga da essere risolta dalla maggior parte dei laser, le transizioni tra il fondamentale e i pri-mi due stati eccitati possono essere trattate separatamente e vengono denopri-minate rispettivamente D1 e D2.

L’accoppiamento tra il momento angolare elettronico e lo spin nucleare ~I (che per il Cesio vale 7/2) produce una struttura iperfine e il momento angolare totale è dato da ~F= ~J+~I. Lo stato fondamentale avrà quindi due sottolivelli corrispondenti a F=3 e F=4, mentre lo stato eccitato 62P3/2 avrà 2 ≤ F ≤ 5.

Ciascun livello iperfine è ulteriormente diviso in 2F+1 sottolivelli Zeeman (de-generi fra loro), corrispondenti ai possibili valori che può assumere il numero quantico magnetico mF (−F ≤ mF ≤ F). Se al sistema viene applicato un campo magnetico esterno la degenerazione viene rimossa e si ha un ulteriore splitting. Se l’interazione tra il momento magnetico elettronico e il campo esterno è pic-cola rispetto alla separazione tra i livelli iperfini, ciascun sottolivello subirà uno

(12)

spostamento in energia dato da:

∆E = µBgFmFBz (1.1)

dove µB è il magnetone di Bohr, gF è il fattore di Landè (che dipende da F, J

e I) e Bz è il campo magnetico lungo l’asse di quantizzazione. In figura 1.1 è mostrata nel dettaglio la struttura atomica del Cesio relativa alle transizioni D1 e D2: come vedremo nel seguito di questa tesi, la transizione che utilizzeremo sperimentalmente per la manipolazione di atomi di Cesio è la D2, in particolare la transizione fra i livelli iperfini F = 4 → F0= 5. Inoltre in tabella 1.1 riportiamo i valori numerici di alcune grandezze importanti relative al Cesio, a cui faremo riferimento in seguito [18].

(13)

1.2. CENNI SULL’INTERAZIONE TRA RADIAZIONE E MATERIA

Massa atomica M 2.2·10−25Kg

Lunghezza d’onda λ 852 nm

Vita media τ 30 ns

Larghezza di riga naturale Γ 2π·5.23 MHz Intensità di saturazione Isat 1.1 mW/cm2

Temperatura Doppler TD 125.6 µK

Temperatura di rinculo Tr 198 nK

Tabella 1.1: Proprietà ottiche del Cesio per la transizione D2

1.2

Cenni sull’interazione tra radiazione e materia

In questa sezione richiamiamo i principali risultati della teoria semiclassica del-l’interazione fra la radiazione elettromagnetica e la materia: in questo approccio il campo elettromagnetico e il moto dell’atomo vengono trattati classicamente, mentre lo stato interno dell’atomo è quantizzato. Inoltre supponiamo che il siste-ma atomico sia costituito da soltanto due livelli: sebbene non sia realistico, il mo-dello permette comunque la comprensione di molti fenomeni fisici, in particolare la teoria del raffreddamento Doppler, la più semplice tecnica di raffreddamento via laser e la prima ad essere stata realizzata.

1.2.1

Approssimazione di dipolo elettrico e regole di selezione

Consideriamo un sistema atomico a due soli livelli, che indicheremo con |gi (li-vello fondamentale) ed |ei (li(li-vello eccitato), separati da un’energia pari a ¯hω0, interagente con radiazione elettromagnetica monocromatica di frequenza ω. L’ha-miltoniana del sistema è data da tre contributi:

H= H0+ Hrad+ Hint (1.2)

Il primo termine rappresenta l’hamiltoniana atomica ed è dato dalla somma del-l’energia cinetica dell’atomo e deldel-l’energia interna elettronica:

H0= |~p|2

2M +

¯hω0

(14)

Il secondo termine (che comunque non consideriamo in questa sezione, in quan-to stiamo trattando il campo elettromagnetico classicamente) tiene conquan-to dell’e-nergia della radiazione e può essere scritto come Hrad = ¯hω(a†a+ 1/2), dove a†ed a sono rispettivamente gli operatori di creazione e distruzione per un fotone di frequenza ω; il terzo termine descrive l’interazione fra l’atomo e la radiazio-ne. L’approssimazione di dipolo elettrico consiste nel trascurare la variazione del campo elettrico entro la regione di interazione (di dimensioni dell’ordine del rag-gio di Bohr), ed è lecita se, come nel nostro caso, consideriamo frequenze ottiche o nell’infrarosso; in base a questa assunzione possiamo quindi possiamo scrivere:

Hint = ¯hΩRcos(ωt) (1.4)

dove abbiamo introdotto la frequenza di Rabi, definita come

ΩR= − 1

¯hhe| ~d· ~E |gi (1.5)

(~d è il momento di dipolo elettrico tra i due stati ed ~E è il campo elettrico della radiazione).

Le transizioni di dipolo elettrico devono soddisfare alcune regole di selezione; innanzitutto gli stati finale e iniziale devono avere parità opposta, in quanto l’o-peratore momento di dipolo è dispari. Inoltre, poichè il fotone ha spin 1, la con-servazione del momento angolare in seguito ad un processo di assorbimento o emissione di un fotone impone che ∆L = ±1, ∆J = 0, ±1 e ∆F = 0, ±1 (escluse le transizioni J = 0 → J0= 0 e F = 0 → F0= 0, che sono proibite). Per quanto riguar-da invece le transizioni fra stati magnetici, le regole di selezione dipendono riguar-dalla polarizzazione: se la radiazione è polarizzata linearmente nella direzione dell’asse di quantizzazione, allora 4m = 0; invece se la radiazione è polarizzata circolar-mente e la direzione di propagazione coincide con l’asse di quantizzazione, allora 4m = ±1.

(15)

1.2. CENNI SULL’INTERAZIONE TRA RADIAZIONE E MATERIA

1.2.2

Equazioni di Bloch ottiche e loro soluzione stazionaria

La descrizione del sistema atomico interagente con la radiazione richiede l’intro-duzione di una matrice densità in quanto il sistema non si trova in uno stato puro ma in una miscela statistica di più stati. Gli elementi diagonali ρgge ρeedella ma-trice densità ρ sono detti popolazioni, in quanto rappresentano la frazione di atomi che popolano i due livelli, mentre gli elementi fuori diagonale vengono denomi-nati coerenze, e sono legati al momento di dipolo elettrico fra i due stati. L’evolu-zione temporale della matrice densità è data da i¯hdρdt = [H, ρ], da cui si ottengono le equazioni di Bloch ottiche, nelle quali si tiene conto in modo fenomenologico dell’emissione spontanea introducendo un decadimento esponenziale con rate Γ, pari alla larghezza di riga naturale del livello eccitato. La soluzione stazionaria delle equazioni di Bloch porta alla seguente espressione per la popolazione dello stato eccitato [19]:

ρee=

s0/2 1 + s0+ (2δΓ )2

(1.6)

dove s0 è il parametro di saturazione, definito come s0= 2Ω

2 R

Γ2 = I

Isat, mentre δ =

ω − ω0 è il detuning (disaccordo tra frequenza del laser e frequenza relativa alla transizione) e Isat =

¯hΓω03

12πc2 è detta intensità di saturazione. Si noti che quando

l’in-tensità della radiazione incidente è molto maggiore rispetto a Isat, la popolazione dello stato eccitato tende a 1/2 e si ha saturazione, cioè non è possibile ottenere una inversione di popolazione fra i due livelli.

Poichè la popolazione dello stato eccitato decade con rate Γ e, all’equilibrio, le probabilità di assorbimento e di emissione stimolata sono uguali, il numero totale di fotoni emessi spontaneamente è dato da:

Γsp= Γρee= s0 1 + s0 Γ/2 1 + (2δ Γ0) 2 (1.7)

Possiamo notare che ad alte intensità la riga della transizione, pur mantenendo una forma lorentziana, risulta allargata a causa della saturazione; la nuova larghezza di riga è data da:

Γ

0

(16)

L’allargamento si spiega considerando il fatto che, per intensità molto alte, vici-no al centro della curva (quindi a detuning nullo o comunque molto piccolo) la popolazione del livello eccitato è già satura, mentre l’assorbimento può avveni-re efficacemente solo per detuning maggiori (si noti che abbiamo trascurato altri meccanismi di allargamento, come ad esempio quello dovuto all’effetto Doppler).

1.3

Pressione di radiazione e raffreddamento

Dop-pler

L’interazione di un atomo con la radiazione elettromagnetica provoca non solo uno scambio di energia ma anche di quantità di moto. Infatti un fotone trasporta un impulso p = ¯hk = ¯hωc lungo la direzione di propagazione; quando un atomo assorbe un fotone acquista una quantità di moto pari a quella del fotone. L’atomo può quindi decadere nel fondamentale per emissione stimolata o per emissione spontanea: nel primo caso viene emesso un fotone identico a quello assorbito in precedenza, e quindi la variazione di quantità di moto dell’atomo è complessi-vamente nulla. Nel secondo caso invece il fotone viene emesso in una direzione casuale e quindi, dopo numerosi cicli di assorbimento ed emissione spontanea, la variazione di quantità di moto nella direzione di propagazione del fotone può essere significativamente diversa da zero (vedi figura 1.2).

Figura 1.2: Rappresentazione del processo che porta alla variazione della quantità di moto di un atomo in seguito a processi di assorbimento ed emissione spontanea

(17)

1.3. PRESSIONE DI RADIAZIONE E RAFFREDDAMENTO DOPPLER

La forza esercitata sull’atomo è detta forza di pressione di radiazione e vale [19] Fpr= ¯hkΓρee= ¯hkΓ 2 s0 1 + s0+ (2δΓ)2 (1.9)

e, per intensità molto alte, satura ad un valore massimo di ¯hkΓ/2; attraverso la forza di pressione di radiazione è possibile rallentare il moto degli atomi e quindi raffreddarli o, più in generale, manipolarli, cioè modificarne le proprietà dinamiche.

La formula precedente è però valida soltanto per atomi fermi; in realtà un atomo in moto con velocità ~v percepisce la risonanza, a causa dell’effetto Doppler, con un disaccordo (detuning) pari a δ (~v) = δ −~k·~v. Supponiamo che l’atomo sia im-merso in un campo elettromagnetico generato da due fasci laser contropropaganti, con la stessa intensità e la stessa frequenza. Se i due fasci laser sono disaccordati verso il rosso (ovvero con δ < 0), la frequenza del fascio propagante in verso op-posto al moto dell’atomo subisce per effetto Doppler uno spostamento verso il blu nel sistema di riferimento di riposo dell’atomo, e quindi è maggiormente in riso-nanza, mentre per l’altro fascio laser vale il contrario. Quindi l’atomo interagisce più efficacemente con la radiazione proveniente dalla direzione opposta a quella del moto e la sua velocità viene ridotta. Quantitativamente, l’atomo è sottoposto alle forze di pressione di radiazione di entrambi i fasci (il segno ± indica le due direzioni di propagazione del fascio laser):

~ F±= ±¯h~kΓ 2 s0 1 + s0+ [2(δ ∓~k ·~v)/Γ]2 (1.10)

Nell’ipotesi di bassa intensità e, assumendo che~k ·~v  Γ, è possibile sommare le due forze e sviluppare in serie il denominatore, ottenendo:

~ F≈ 8¯hk 2 δ s0 Γ[1 + s0+ (2δΓ)2]2 ~v = −β~v (1.11)

L’atomo risente quindi di una forza viscosa che tende a rallentarlo: per questo motivo tale configurazione è nota con il nome di “melassa ottica”. In presenza di tre coppie di fasci laser contropropaganti, è possibile ottenere una melassa ottica

(18)

tridimensionale e raffreddare il campione atomico in tutte le direzioni.

Tuttavia con questa tecnica non è possibile raggiungere temperature arbitraria-mente basse; infatti il rinculo casuale degli atomi dovuto all’emissione spontanea può essere visto come un “random walk” nello spazio degli impulsi (con un passo dato da ¯h~k, l’impulso scambiato con un singolo fotone), per cui gli atomi hanno velocità media nulla ma velocità quadratica media diversa da zero. Questo mecca-nismo provoca un riscaldamento e un conseguente aumento dell’energia cinetica dell’atomo; la temperatura cinetica minima raggiungibile, nota in letteratura co-me temperatura Doppler, nel limite di bassa intensità e per un detuning δ = −Γ/2 vale [19]:

TD= ¯hΓ 2KB

(1.12) dove KB è la costante di Boltzmann. La temperatura Doppler del Cesio, per la transizione da noi considerata (D2), vale circa 125 µK.

A questo punto è importante fare una precisazione sul concetto di temperatura utilizzato nel contesto del raffreddamento laser. Generalmente in termodinami-ca la temperatura è definita come una variabile di stato di un sistema chiuso al-l’equilibrio termico con l’ambiente esterno. Nel nostro caso invece il sistema non scambia calore con l’esterno e non è neanche all’equilibrio termodinamico in quanto interagisce continuamente con la radiazione. Nonostante ciò è conveniente definire una temperatura legata all’energia cinetica media del campione atomico:

3

2KBT = hEci (1.13)

La temperatura così definita è anche una misura della larghezza della distribuzio-ne di velocità del campiodistribuzio-ne atomico: ad esempio sappiamo che, per un sistema caratterizzato da una distribuzione di Maxwell-Boltzmann, la larghezza della di-stribuzione di velocità è proporzionale a

q KBT

M . L’introduzione di questa “tem-peratura cinetica” è valida nell’ipotesi in cui i singoli atomi non si comportino in modo indipendente uno dall’altro.

(19)

1.4. RAFFREDDAMENTO SUB-DOPPLER

1.4

Raffreddamento sub-Doppler

La tecnica illustrata nella sezione precedente permette di raggiungere temperature molto basse, generalmente dell’ordine delle centinaia o decine di µK; esistono alcuni schemi di raffreddamento in grado di superare il limite Doppler. In questa sezione accenniamo brevemente a due di questi meccanismi, noti in letteratura come “lin⊥lin” e “σ+σ−”, che si basano principalmente su due concetti: la mol-teplicità dei livelli di un atomo, la cui schematizzazione con un modello a soli due livelli risulta troppo semplicistica, e il gradiente di polarizzazione della radiazio-ne elettromagradiazio-netica interagente con gli atomi. Infatti gli atomi reali, come visto nella sezione 1.1 per il Cesio, hanno una struttura complessa, con sottolivelli iper-fini e Zeeman: possono quindi verificarsi fenomeni di pompaggio ottico (legati alla probabilità che un atomo eccitato decada spontaneamente in un sottolivel-lo Zeeman del fondamentale diverso da quelsottolivel-lo di partenza) che redistribuiscono le popolazioni nei vari sottolivelli dello stato fondamentale, a seconda dello sta-to di polarizzazione della luce. È possibile dimostrare [19] che per entrambi i meccanismi la temperatura minima raggiungibile è stimabile come

TS= cS ¯hΩR

KB|δ | (1.14)

dove cS è una costante che dipende dalla tecnica utilizzata. In ogni caso la tem-peratura non può assumere valori inferiori alla cosiddetta temtem-peratura di rinculo, ovvero la temperatura associata allo scambio di un singolo fotone tra il campo e il sistema atomico, la cui espressione è:

Tr= ¯h2k2

KBM (1.15)

Nell’esperimento descritto in questa tesi le tecniche di raffreddamento sub-Doppler non sono usate in modo specifico, cioè nell’esperimento non ci sono configurazio-ni di campi ottici e magnetici finalizzate alla loro realizzazione controllata. Tutta-via è utile soffermarsi su di esse sia perchè fenomeni sub-Doppler possono avere luogo in alcune fasi, o componenti, dell’esperimento (in particolare la collimazio-ne del fascio), sia perchè questo ci permette di illustrare alcuni aspetti

(20)

dell’intera-zione radiadell’intera-zione-materia (ad esempio il light shift e il pompaggio ottico) che sono rilevanti anche per spiegare i risultati sperimentali sulla fotoionizzazione.

1.4.1

Light Shift

La comprensione dei processi fisici che stanno alla base degli schemi di raffred-damento sub-Doppler richiede l’introduzione di un modello più raffinato per l’in-terazione radiazione materia, basato sui cosiddetti “dressed states” [20]. Questo approccio prevede la diagonalizzazione dell’hamiltoniana totale del sistema costi-tuito dall’atomo e dalla radiazione, data dall’equazione 1.2, tenendo conto inoltre della quantizzazione del campo elettromagnetico: lo stato del sistema viene quindi descritto dal vettore |i, ni dove i rappresenta lo stato atomico (livello fondamentale o livello eccitato) ed n il numero di fotoni del campo. Senza dare dimostrazioni, per le quali rimandiamo alla letteratura [19, 20], elenchiamo i principali risultati di questa procedura.

Come possiamo vedere in figura 1.3, quando si tiene conto dell’interazione tra l’atomo e la radiazione la diagonalizzazione dell’hamiltoniana porta a nuovi auto-stati, esprimibili come combinazione lineare degli autostati atomici imperturbati (Eeed Eg), che vengono denominati ”dressed states” (stati vestiti), la cui energia differisce dai livelli atomici imperturbati per una quantità pari a:

∆Eg,e= ¯h

2(−δ ± Ω) (1.16)

dove Ω = q

δ2+ Ω2R. Nel caso di bassa intensità possiamo supporre Ω  |δ | e quindi abbiamo:

∆Eg,e= ± ¯hΩ2R

4δ (1.17)

Poichè l’intensità della radiazione è proporzionale a Ω2R, lo spostamento in energia dei livelli atomici è comunemente detto “light shift”.

(21)

1.4. RAFFREDDAMENTO SUB-DOPPLER

Figura 1.3: Rappresentazione schematica del light shift [19]

1.4.2

Configurazione “lin⊥lin”

Consideriamo due fasci laser contropropaganti lungo l’asse z, con la stessa fre-quenza e intensità ma con polarizzazioni lineari e ortogonali fra loro: il campo elettrico risultante vale

~

E = E0[ ˆxcos(ωt − kz) + ˆysin(ωt + kz)] = (1.18) = E0[( ˆx+ ˆy) cos ωt cos kz + ( ˆx − ˆy) sin ωt sin kz] (1.19)

Come illustrato schematicamente in figura 1.4, la polarizzazione varia continua-mente entro una scala spaziale di mezza lunghezza d’onda: dapprima, in z=0, è lineare a 45° rispetto alla direzione ˆx, in z=λ /8 è circolare σ-, in z = λ /4 è nuo-vamente lineare ma a -45° rispetto all’asse ˆx, in z=3λ /8 è circolare σ+, infine in z= λ /2 è la stessa iniziale e il ciclo ricomincia.

(22)

Figura 1.4: Gradiente di polarizzazione generato dalla sovrapposizione di due fasci laser contropropaganti con polarizzazioni lineari ortogonali

L’effetto di questo gradiente di polarizzazione è stato analizzato per la prima volta da Dalibard e Cohen-Tannoudji [21] su una generica transizione da uno stato con Fg=1/2 ad uno con Fe=3/2. Nelle regioni spaziali in cui la polarizzazione è σ+ il pompaggio ottico porta a popolare maggiormente il sottolivello del fondamentale mg= 1/2 perchè l’assorbimento richiede una transizione con 4m = +1, mentre l’emissione spontanea permette un decadimento con 4m = 0, ±1 e quindi me-diamente il processo comporta 4m ≥ 0. Laddove invece la polarizzazione è σ -avviene il contrario e la popolazione viene pompata prevalentemente nel sottoli-velli mg= −1/2. Gli atomi in moto nel campo elettromagnetico devono quindi riaggiustare le loro popolazioni sui sottolivelli mg= 1/2 e mg= −1/2 entro una scala spaziale di mezza lunghezza d’onda. Da quanto scritto nel paragrafo prece-dente, sappiamo che l’interazione degli atomi con la radiazione comporta un light shift dei livelli atomici imperturbati; tale shift può essere calcolato [19] anche per atomi reali, costituiti da un gran numero di livelli e sottolivelli. In particolare il light shift per ciascun sottolivello del fondamentale, nel limite di bassa intensità, può essere scritto come:

4Eg=

¯hδ s0Cge2 1 + (2δ

Γ )

2 (1.20)

(23)

ma-1.4. RAFFREDDAMENTO SUB-DOPPLER

gnetico m, il light shift è differente per ciascun sottolivello magnetico del fonda-mentale ed è negativo se, come nel nostro caso, δ < 0. Quando la polarizzazione è σ+il light shift per il livello mg= 1/2 è tre volte maggiore di quello del livello mg= −1/2, mentre vale esattamente il contrario quando la polarizzazione è σ-. Per comprendere il meccanismo di raffreddamento, schematizzato in figura 1.5, consideriamo un atomo in moto nel verso positivo delle z nella posizione z = λ /8: qui la polarizzazione è σ- e l’atomo si trova nel sottolivello mg = −1/2 poichè questo ha un light shift maggiore. Muovendosi attraverso il campo, l’atomo deve incrementare la propria energia potenziale (a spese della propria energia cineti-ca) in quanto la polarizzazione della luce sta cambiando e lo stato mg= −1/2 è sempre meno accoppiato al campo. Una volta arrivato in z = 3λ /8, dove la pola-rizzazione è σ+, l’atomo compie una transizione, cioè viene otticamente pompato nel sottolivello mg= 1/2 che ora è quello che si trova a minore energia. I fotoni emessi spontaneamente hanno energia maggiore di quelli assorbiti, e contribuisco-no a disperdere l’energia potenziale accumulata dall’atomo a causa del gradiente di polarizzazione: il processo è periodico e il sistema, dopo numerosi cicli, può essere raffreddato in modo significativo. Questo meccanismo di raffreddamento è noto in letteratura anche come “Sisifo” [19], in analogia con il mito greco.

Figura 1.5: Rappresentazione del meccanismo di raffreddamento “Sisifo”. Le frecce indicano il percorso degli atomi: l’energia potenziale accumulata viene dispersa radiativamente causando un raffreddamento del sistema [21]

(24)

1.4.3

Configurazione “σ

+

σ

Questa configurazione, introdotta anch’essa da Dalibard e Cohen-Tannoudji [21], prevede l’utilizzo di due fasci contropropaganti con polarizzazioni circolari oppo-ste. Il campo elettrico totale è dato da:

~

E = E0[ ˆxcos(ωt − kz) + ˆysin(ωt − kz)] (1.21) +E0[ ˆxcos(ωt + kz) − ˆysin(ωt + kz)] = (1.22) = 2E0cos ωt[ ˆxcos kz + ˆysin kz] (1.23)

Come possiamo vedere in figura 1.6, in questo caso la polarizzazione è lineare in ogni punto dello spazio ma la direzione del campo elettrico ruota di 180° entro una distanza pari a mezza lunghezza d’onda, descrivendo un’elica di passo λ .

Figura 1.6: Gradiente di polarizzazione generato dalla sovrapposizione di due fasci laser contropropaganti polarizzati circolarmente in verso opposto

Il caso più semplice in cui è possibile applicare questo schema di raffreddamento è quello di una generica transizione da uno stato con Fg= 0 a uno con Fe= 1: poichè la polarizzazione è lineare, il pompaggio ottico tende a popolare maggior-mente il sottolivello mg= 0 rispetto ai sottolivelli mg= ±1, egualmente popolati. Gli atomi sono però in moto e sono otticamente pompati in modo da poter segui-re la rotazione dell’asse di polarizzazione: di conseguenza si genera un ritardo

(25)

1.5. LA TRAPPOLA MAGNETO-OTTICA

tra la popolazione dei sottolivelli magnetici degli atomi in moto rispetto a quella che avrebbe un atomo fermo nella stessa posizione. Si può dimostrare [21] che, a causa di questo effetto, gli atomi che viaggiano incontro alla luce polarizzata σ+ tendono a popolare maggiormente il sottolivello mg = +1 rispetto a quello mg= −1: la differenza di popolazione fra i due sottolivelli è in grado di generare una forza di tipo viscoso sugli atomi. Infatti, a causa dei diversi coefficienti di Clebsch-Gordan, il sottolivello mg= +1 interagisce con la radiazione polarizzata σ+sei volte più efficacemente rispetto a quella polarizzata σ-. Poichè gli atomi in media, dopo un processo di assorbimento seguito da emissione spontanea, riman-gono nel sottolivello mg= +1, gli atomi che si muovono nella direzione opposta al fascio σ+emettono un maggior numero di fotoni da quest’ultimo rispetto al fa-scio σ-. La situazione è analoga per gli atomi viaggianti nella direzione opposta: il meccanismo descritto genera quindi una forza di tipo viscoso che è in grado di raffreddare efficacemente il sistema.

1.5

La trappola magneto-ottica

Nell’esperimento realizzato in questa tesi l’interazione radiazione materia è usata non solo per raffreddare il campione atomico, ma anche per manipolarne la posi-zione in modo da formare un fascio atomico sufficientemente denso. La configu-razione usata, che sarà descritta nel capitolo 2, è quella di un “imbuto atomico”, che si basa sul concetto di trappola magneto ottica.

I processi analizzati fino a questo paragrafo, infatti, sono adatti al raffreddamen-to degli araffreddamen-tomi, ma per ottenere anche un loro confinamenraffreddamen-to spaziale è necessario generare un campo di forze dipendente dalla posizione: questo è possibile ag-giungendo alla melassa ottica un campo magnetico disomogeneo, ottenendo una cosiddetta trappola magneto-ottica (MOT). Per comprendere il funzionamento di una MOT, consideriamo il caso più semplice: un sistema unidimensionale con atomi caratterizzati da uno stato fondamentale Fg= 0 e uno stato eccitato Fe= 1, immerso in un campo magnetico disomogeneo del tipo B(z) ≈ bz (lineare al primo ordine) e in un campo di radiazione generato da due fasci laser contropropaganti con polarizzazioni σ+e σ-. La presenza del campo magnetico rimuove la

(26)

degene-razione dei sottolivelli Zeeman dello stato eccitato e, a causa del gradiente spaziale del campo, lo shift in energia dipende dalla posizione secondo la relazione:

∆E(z) ≈ µBgemebz (1.24)

Come schematizzato in figura 1.7, per una generica posizione z > 0 lo stato ecci-tato con me= 1 ha energia crescente allontanandosi dall’origine mentre per quello con me= −1 vale il contrario: di conseguenza, la transizione con 4m = −1 è più vicina alla risonanza e quindi l’atomo interagisce più efficacemente con la radia-zione polarizzata σ-. Considerazioni opposte valgono per un atomo che si trova in z < 0: in questo caso esso interagisce maggiormente con la radiazione σ+. Se il fascio σ- si propaga nel verso z < 0 e quello σ+nel verso z > 0, gli atomi sono maggiormente in risonanza con il fascio proveniente dal verso opposto del moto e subiranno quindi una forza media di richiamo verso l’origine.

Figura 1.7: Confinamento in una MOT unidimensionale

Il moto di un atomo all’interno di una MOT può essere studiato sulla base di sem-plici considerazioni; notiamo innanzitutto che il detuning percepito per ciascuno dei due fasci risente sia dell’effetto Doppler sia dello spostamento Zeeman dei

(27)

1.5. LA TRAPPOLA MAGNETO-OTTICA

livelli atomici e assume la forma δ±= ±kv ∓ µ

0

B/¯h, dove µ0 = µB(geme− ggmg) è il momento di dipolo magnetico effettivo per la transizione considerata (gg e ge sono rispettivamente i fattori di Landè per gli stati fondamentale ed eccitato). L’atomo è soggetto alle forze dovute ad entrambi i fasci laser contropropaganti:

F±= ±¯hkΓ 2

s0

1 + s0+ (2δ±/Γ)2

(1.25)

Sotto ipotesi simili a quelle fatte in sezione 1.3 (bassa intensità e shift Doppler e Zeeman trascurabili rispetto a δ ), possiamo sommare le due forze e sviluppare in serie il denominatore ottenendo una forza risultante del tipo:

F= −β v − Kz (1.26)

Il moto dell’atomo all’interna di una MOT è quindi analogo a quello di un oscil-latore armonico smorzato, con costante di richiamo pari a:

K= − 8µ

0

bkδ s0 Γ[1 + s0+ (2δΓ )2]2

(1.27)

La frequenza di oscillazione è data da ωMOT =

p

K/M e, per un gradiente di campo magnetico dell’ordine dei 10 G/cm, vale tipicamente pochi kHz mentre il rate di smorzamento, dato da ΓMOT = β /M, vale qualche centinaio di kHz. Il moto

è quindi sovrasmorzato, con un tempo caratteristico di ritorno nel centro della trappola dato da 2ΓMOT/ωMOT2 che, per valori tipici di intensità e detuning dei laser

di trappola, vale circa qualche ms [19].

L’estensione al caso tridimensionale richiede l’utilizzo di tre coppie di fasci laser contropropaganti, mentre il campo magnetico necessario all’intrappolamento de-gli atomi viene generato tipicamente da una coppia di bobine circolari coassiali percorse da correnti opposte (configurazione anti-Helmholtz), come mostrato in figura 1.8. Il campo generato è di tipo quadrupolare e, in un intorno dell’origine, può essere scritto come ~B= b(−x/2, −y/2, z): si noti che il gradiente del campo nelle direzioni trasverse è la metà di quello in direzione longitudinale.

(28)

Figura 1.8: Rappresentazione schematica di una MOT tridimensionale: tre cop-pie di fasci laser contropropaganti polarizzati circolarmente e due bobine in configurazione anti-Helmholtz

Il meccanismo di intrappolamento descritto in questa sezione appare relativamen-te semplice, ma quando consideriamo atomi reali, con una struttura complessa a molti livelli, si presentano delle complicazioni, in quanto una frazione signi-ficativa degli atomi può decadere in livelli non accessibili ai laser utilizzati per l’intrappolamento.

Vediamo cosa succede nel caso del Cesio: abbiamo affermato che la transizione da noi utilizzata è la D2, in particolare la transizione tra i livelli iperfini Fg= 4 → Fe= 5 (si faccia riferimento alla figura 1.1). Supponendo valida l’approssimazio-ne di dipolo elettrico, a prima vista il sistema sembra chiuso in quanto un atomo nello stato eccitato può decadere, per emissione spontanea, soltanto nello stato Fg = 4. In realtà, poichè la radiazione incidente è disaccordata verso il rosso, esiste una probabilità non trascurabile (circa una su mille, in base ad un calcolo approssimativo) che un atomo in quest’ultimo livello venga eccitato nello stato Fe= 4 da dove può decadere nello stato del fondamentale Fg=3, distante circa 9 GHz dal precedente e quindi inaccessibile ai laser di trappola: in questo caso

(29)

l’a-1.5. LA TRAPPOLA MAGNETO-OTTICA

tomo è irrimediabilmente perso ai fini del processo di intrappolamento. Si rende quindi necessario l’utilizzo di un ulteriore fascio laser, denominato laser di ripom-pa, la cui frequenza sia esattamente risonante con la transizione Fg= 3 → Fe= 4, in modo da chiudere il ciclo di fluorescenza e permettere il funzionamento della MOT.

(30)

Fasci atomici e ionici

Obiettivo di questa tesi è la realizzazione di un fascio di ioni attraverso la fotoio-nizzazione di un fascio atomico “freddo e lento” prodotto a partire da un imbuto atomico (una trappola magneto-ottica piramidale). In questo capitolo descrivia-mo inizialmente in che descrivia-modo è possibile generare un fascio di atomi neutri da una MOT nell’esperimento considerato, illustrando brevemente le sue proprietà dina-miche, misurate durante osservazioni precedenti a questa tesi. Successivamente descriviamo il processo di fotoionizzazione del fascio, illustrandone brevemen-te la brevemen-teoria, le motivazioni e i risultati che ci aspettiamo di otbrevemen-tenere, facendo un confronto con esperimenti simili presenti in letteratura e con le le sorgenti di ioni tradizionalmente impiegate per applicazioni tecnologiche.

2.1

La trappola magneto ottica piramidale

Lo schema classico di una MOT prevede, come abbiamo illustrato nella sezio-ne 1.5, l’utilizzo di tre coppie di fasci laser contropropaganti. Esistono tuttavia numerose varianti che permettono di ridurre il numero di fasci laser necessari al raffreddamento e all’intrappolamento: una di queste configurazioni è la cosiddet-ta trappola magneto-ottica piramidale (PMOT) [22], la stessa da noi utilizzacosiddet-ta in laboratorio (si veda il capitolo 3). Questa configurazione, illustrata schematica-mente in figura 2.1, è caratterizzata dalla presenza di una piramide cava a base

(31)

2.1. LA TRAPPOLA MAGNETO OTTICA PIRAMIDALE

quadrata con superfici interne riflettenti, che viene illuminata da un singolo fa-scio laser con polarizzazione circolare. Se il fafa-scio è diretto lungo l’asse della piramide, esso verrà riflesso a 45° da tutte le pareti; poichè, grazie alle caratte-ristiche dello strato (dielettrico) riflettente depositato sulle superfici interne, cia-scuna retroriflessione produce un fascio con polarizzazione circolare opposta al fascio incidente, in ogni punto interno alla piramide è presente la configurazione di melassa ottica (con la polarizzazione corretta) in grado di raffreddare gli atomi. Inoltre delle bobine anti-Helmholtz avvolte attorno all’asse della piramide con-sentono di avere un campo quadrupolare attorno all’asse stesso, in prossimità del quale può dunque formarsi una MOT.

Figura 2.1: Rappresentazione schematica della trappola magneto-ottica piramidale (PMOT) usata nel nostro esperimento

Questo tipo di trappola, oltre a semplificare notevolmente la configurazione speri-mentale grazie all’uso di un solo fascio laser, è particolarmente utile come sorgen-te di fasci atomici freddi e lenti. Infatti, se ad esempio viene praticato un piccolo foro sul vertice della piramide, lungo l’asse la retroriflessione è assente e pertanto la forza di pressione di radiazione, non bilanciata da un fascio contropropagante, tende a spingere gli atomi fuori dalla piramide realizzando un cosiddetto “imbuto atomico”. In pratica, quindi, gli atomi di Cesio, presenti all’interno della piramide come vapore di fondo, sono catturati e raffreddati e allo stesso tempo spinti fuori dal foro in modo continuo.

(32)

2.2

Proprietà del fascio atomico

Il fascio atomico prodotto da una PMOT presenta caratteristiche molto diverse da fasci realizzati a partire da sorgenti termiche (tipicamente dei forni in cui gli atomi vengono scaldati fino a temperature dell’ordine delle centinaia di K). In-fatti all’interno di una trappola magneto-ottica gli atomi subiscono un processo di raffreddamento (le temperature raggiunte sono dell’ordine delle centinaia di µ K), e la larghezza della loro distribuzione di velocità viene notevolmente ridot-ta. Inoltre, come vedremo nel prossimo capitolo, una volta uscito dalla MOT il fascio incontra uno stadio di collimazione costituito da una melassa ottica bidi-mensionale agente in direzione trasversa a quella di propagazione. Il processo di collimazione riduce la componente trasversale della velocità degli atomi e di con-seguenza anche la divergenza e le dimensioni trasverse del fascio, aumentandone così la densità.

Il fascio atomico è stato caratterizzato completamente durante esperimenti prece-denti a questo lavoro di tesi; per una descrizione dettagliata delle tecniche utilizza-te e dei risultati otutilizza-tenuti si vedano ad esempio i riferimenti [17, 23], qui riportiamo solamente i risultati più importanti ai fini di questo lavoro di tesi. Le caratteristiche dinamiche principali del fascio sono riportate in tabella 2.1.

Velocità longitudinale 10 ± 2 m/s

Larghezza distribuzione di velocità longitudinale 1.5 ± 1.3 m/s Divergenza (fascio non collimato) 26 ± 1 mrad

Divergenza (dopo collimazione) < 2 mrad [23] Temperatura trasversale (dopo collimazione) circa 6µK [23] Dimensioni trasverse (nella zona di ionizzazione) ≈ 4 mm

Densità tipica 1.6·108cm−3

Flusso 4·109atomi/s

Tabella 2.1: Proprietà principali del fascio atomico [17]

Possiamo notare che il fascio collimato è caratterizzato da una distribuzione di velocità longitudinale molto stretta, con un valor medio molto basso (inferiore di almeno un ordine di grandezza rispetto alla velocità termica del Cesio), e da tem-perature trasversali inferiori al limite Doppler, proprietà per le quali può essere

(33)

2.3. PROCESSI DI FOTOIONIZZAZIONE

definito “freddo e lento”. Queste proprietà dinamiche hanno suscitato interesse in ambito tecnologico per la fabbricazione di nanostrutture (si veda ad esempio [7]). Misure più recenti, riportate ad esempio in [24, 25], hanno sostanzialmente confermato le proprietà del fascio sopra elencate; tuttavia la divergenza misura-ta risulmisura-ta maggiore, attesmisura-tandosi su un valore di 8 ± 2 mrad (la corrispondente temperatura cinetica trasversale vale circa 40 µK). Le cause di questa discrepanza vanno ricercate probabilmente in una misura non accurata (o eseguita in condi-zioni non ottimali) oppure nella degradazione, parziale, dell’ottica utilizzata in questo esperimento (in particolare le pareti della piramide o delle varie finestre).

2.3

Processi di fotoionizzazione

La sezione d’urto per processi di fotoionizzazione a un fotone può essere calcolata a partire dalla regola d’oro di Fermi; si può dimostrare (si veda ad esempio [26]) che, in approssimazione di dipolo elettrico, essa può essere scritta come:

σion(n, L, E) =

4π2e2ω 3c(2L + 1)

l0=L±1

lmax|hRnl|~r |REl0i|2 (2.1)

dove Rnl e REl0 sono le funzioni d’onda radiali rispettivamente dello stato legato e dell’elettrone libero, mentre ω è la frequenza del fotone incidente e lmax è il maggiore tra L e l0 (momenti angolari orbitali dell’atomo e dell’elettrone libero). Nella maggior parte dei casi la sezione d’urto non può essere calcolata in modo esatto poichè le funzioni d’onda non sono note e bisogna ricorrere a delle ap-prossimazioni; la più semplice di queste consiste nell’utilizzare un modello di tipo idrogenoide, l’unico risolvibile: è ben noto però che per atomi polielettro-nici, vicino alla soglia di ionizzazione, questo modello non è più valido poichè l’elettrone, a causa dell’interazione con gli altri elettroni, non è più soggetto ad un semplice potenziale coulombiano attrattivo [27]. Sono stati perciò sviluppati numerosi modelli maggiormente realistici: tra di essi possiamo citare ad esempio la teoria del “quantum defect”, valida soprattutto per gli alcalini, che consiste nel-l’introduzione di un parametro correttivo che tiene conto dello schermo effettuato

(34)

dagli elettroni di core sul potenziale sentito dall’elettrone esterno [28]; altre tecni-che si basano invece su calcoli ab-initio con funzioni d’onda di tipo Hartree-Fock [29].

Per quanto riguarda il nostro esperimento, ci interessa conoscere la sezione d’urto di fotoionizzazione per il livello eccitato 6P del Cesio, per il quale fortunatamente esiste un’ampia letteratura sia teorica che sperimentale. Generalmente la sezione d’urto è indipendente da J ed è una funzione decrescente dell’energia dei fotoni incidenti: per il livello 6P del Cesio, studi teorici e sperimentali hanno evidenzia-to un andamenevidenzia-to approssimativamente proporzionale a λ2 [29, 30], dove λ è la lunghezza d’onda del fotone incidente. Nel nostro esperimento abbiamo utilizzato un laser di ionizzazione con una lunghezza d’onda di 405 nm, ampiamente sopra soglia (la soglia si ottiene per lunghezze d’onda di circa 508 nm): sulla base di una serie di calcoli con metodi Hartree-Fock e di studi sperimentali riportati in letteratura [29, 31, 32], la sezione d’urto di fotoionizzazione del livello 6P risulta σ =1.4·10−17cm2=14 Mb.

Data la sezione d’urto, la probabilità di fotoionizzazione nell’unità di tempo (rate) è definita come il prodotto tra la sezione d’urto e il flusso di fotoni incidente (dato dal rapporto tra l’intensità della radiazione di ionizzazione e l’energia di un singolo fotone). Nel nostro caso, la ionizzazione avviene in due passi (two step, two color photoionization, si veda la figura 2.2): un fascio laser (risonante o quasi risonante) porta una certa frazione di atomi dallo stato fondamentale ad uno stato eccitato (nel nostro caso corrisponde esattamente alla transizione D2), mentre un secondo laser, sovrapposto al primo, fornisce l’energia necessaria a superare la soglia di ionizzazione. In questo caso il rate di ionizzazione può essere espresso come:

Rion=

ρeeσionλ I

hc (2.2)

dove ρee è la popolazione del livello eccitato mentre λ ed I sono rispettivamente la lunghezza d’onda e l’intensità del fascio laser di ionizzazione [31].

In sostanza quindi, nonostante l’uso di due fotoni di lunghezza d’onda (colori) diversi, il processo coinvolge di fatto un solo fotone, essendo il primo impiegato per una transizione risonante (o quasi risonante), ad un livello reale, non virtuale. Naturalmente non possiamo escludere del tutto processi di fotoionizzazione che

(35)

2.4. FASCI DI IONI

Figura 2.2: Schema dei livelli coinvolti nel processo di fotoionizzazione

coinvolgono più fotoni e che partano dal livello fondamentale (ad esempio due fotoni violetti a 405 nm) o dal livello eccitato (ad esempio due fotoni nel vicino infrarosso a 852 nm o un fotone violetto e uno infrarosso). La già citata dipenden-za della sezione d’urto dall’energia e la ridotta probabilità di portare atomi in uno stato virtuale rendono questi processi diversi ordini di grandezza meno probabili del processo citato.

2.4

Fasci di ioni

Un fascio atomico con le proprietà descritte nella sezione 2.2, se opportunamen-te ionizzato, può rappresentare una prometopportunamen-tenopportunamen-te alopportunamen-ternativa alle sorgenti ioniche tradizionali. Infatti, assumendo che sia possibile trasferire, almeno in parte, le caratteristiche dinamiche del fascio atomico, in particolare la distribuzione di ve-locità longitudinale, agli ioni eventualmente prodotti, potremmo ottenere un fascio ionico altamente monocromatico, per il quale le aberrazioni cromatiche prodotte durante un processo di focalizzazione di cariche potrebbero essere drasticamen-te ridotdrasticamen-te o addirittura eliminadrasticamen-te. Infatti semplicissime considerazioni di bilancio

(36)

energetico e di quantità di moto suggeriscono che la fotoionizzazione, almeno per energie non troppo lontane dai valori di soglia, non altera di per sè in modo significativo le proprietà dinamiche del fascio lento di partenza.

In questa sezione accenniamo brevemente alle caratteristiche dei fasci di ioni fo-calizzati (che trovano diverse applicazioni nella tecnologia attuale), passando poi a descrivere le caratteristiche della nostra sorgente ionica e facendo un confronto con le sorgenti tradizionali e con altre sorgenti innovative proposte in letteratura.

2.4.1

Fasci di ioni focalizzati e loro proprietà

I sistemi basati su fasci di ioni focalizzati (focused ion beams, o semplicemen-te FIB) sono molto utili per un gran numero di applicazioni semplicemen-tecnologiche quali litografia, microscopia, drogaggio di materiali semiconduttori e lavorazione di su-perfici su scala micro e nanometrica. La sorgente di ioni maggiormente utilizzata è la cosiddetta LMIS (liquid metal ion source): un metallo, generalmente Gallio (che presenta le migliori proprietà in termini di tensione superficiale e pressione di vapore), viene posto a contatto con un ago di tungsteno e riscaldato, e gli ioni di Ga vengono estratti per field-effect mediante un forte campo elettrico (dell’ordine di 108 V/cm). Questa sorgente permette di ottenere fasci ionici di alta luminosità (grandezza che verrà definita in seguito), con correnti elevate (fino a qualche µA) e dà luogo, nei migliori apparati attualmente realizzati, a risoluzioni spaziali di circa una decina di nm, date dalle dimensioni trasversali del fascio focalizzato. La risoluzione finale è limitata soprattutto dalla grande larghezza di distribuzione di energia del fascio, che vale generalmente qualche eV ed è causa di aberrazioni cromatiche durante il processo di focalizzazione, eseguito tramite opportune con-figurazioni di campi elettrici [33]; un ulteriore punto debole di questa sorgente è dato dal limitato numero di specie chimiche utilizzabili [13], una limitazione ri-levante soprattutto quando il fascio viene usato per modificare “chimicamente” il materiale (drogaggio selettivo).

La qualità di un fascio di ioni viene generalmente valutata attraverso due parame-tri: l’emittanza ε e la luminosità B. L’emittanza è una misura dello spazio delle

(37)

2.4. FASCI DI IONI

fasi occupato dal fascio e può essere espressa come [34]:

εz= √ U π Z Z dzdz0 (2.3)

dove U è l’energia del fascio, mentre z e z0 sono rispettivamente la posizione trasversa e la coordinata angolare del fascio. L’emittanza è una grandezza molto importante in quanto, trascurando eventuali effetti di carica spaziale, è invariante lungo una colonna di focalizzazione [13] ed inoltre essa ci permette di stimare la risoluzione finale ottenibile (che sarà migliore minimizzando l’emittanza). Si può dimostrare che, per una sorgente caratterizzata da una distribuzione spa-ziale gaussiana con larghezza σz e da una distribuzione di velocità maxwelliana lungo z con temperatura T , vale l’espressione [13]:

εz= σz r

KBT

2 (2.4)

La luminosità (o brillanza) B misura invece la quantità di corrente focalizzabile in uno spot e, normalizzata per unità di energia, è definita come [33]:

B= 1 U

∂2I

∂ Ω∂ A (2.5)

dove I è la corrente, A è l’area e Ω l’angolo solido da cui questa viene emessa, mentre U è l’energia cinetica media del fascio. La luminosità, anch’essa invariante lungo una colonna, è legata all’emittanza dalla relazione [34]:

B= I

εyεz

(2.6)

dove εy e εz sono le emittanze normalizzate nelle direzioni trasverse a quella di propagazione del fascio. Valori tipici per una sorgente tradizionale di tipo LMIS sono B ≈106A/m2sr eV e ε ≈10−9m rad√eV [35], mentre gli ioni prodotti hanno generalmente una distribuzione di energia larga circa 4-5 eV.

(38)

foca-lizzato e può essere espressa come: d=

q

dd2+ d2

c+ d2s (2.7)

dove il primo termine rappresenta il contributo dovuto alla diffrazione (lunghez-za d’onda di De Broglie) e può essere trascurato; gli altri termini tengono conto rispettivamente delle aberrazioni cromatiche e sferiche della colonna di focalizza-zione. Questi due effetti dipendono da numerosi fattori e la loro determinazione è piuttosto complessa; tuttavia è possibile ricavare delle espressioni semplificate che li legano alla brillanza e all’emittanza del fascio.

Per quanto riguarda le aberrazioni cromatiche si ricava la seguente espressione [14, 35]: dc= IC 2 cσU2 BU3 1/4 (2.8) dove σU è la larghezza della distribuzione di energia del fascio ed U il suo valor medio (dopo l’accelerazione), mentre Cc è un coefficiente che tiene conto del-le aberrazione cromatiche e generalmente dipende dal tipo di del-lenti focalizzanti utilizzate (con valori tipici di decine di mm/rad).

La presenza di aberrazioni sferiche è dovuta essenzialmente alle dimensioni finite della sorgente e alla divergenza angolare del fascio; è possibile dimostrare [36] che vale l’espressione:

ds= Cs1/4ε3/4U−3/8 (2.9)

dove Cs è un fattore che dipende dal tipo di lenti utilizzate (generalmente è del-l’ordine del centinaio di mm/rad3).

Da quanto affermato, vediamo che per la qualità del fascio gioca un ruolo critico non solo la dimensione della sorgente ma anche la sua temperatura: una mino-re temperatura comporta una minomino-re emittanza e una maggiomino-re luminosità, e di conseguenza una risoluzione migliore. Sorgenti basate sulla ionizzazione di ato-mi raffreddati via laser permetterebbero quindi, in linea di principio, una drastica riduzione degli effetti legati alle aberrazioni cromatiche. Negli ultimi anni questo approccio è stato esplorato da alcuni gruppi di ricerca, tra i quali possiamo citare ad esempio il gruppo di J.J. McClelland al NIST (National Institute of Standards

(39)

2.4. FASCI DI IONI

and Technology) e il gruppo di E.J.D. Vredenbregt dell’Università di Eindho-ven. Sebbene le ricerche siano ancora ad una fase preliminare, i primi risultati raggiunti da questi gruppi, che qui richiamiamo brevemente, sembrano piuttosto incoraggianti.

Il primo gruppo citato utilizza un processo di ionizzazione two step, analogo al nostro, su atomi di Cr intrappolati in una MOT: gli ioni prodotti vengono estratti mediante opportuni campi elettrici (dell’ordine di qualche keV) applicati a due elettrodi posti alle estremità della MOT [13]. Le prime stime teoriche prevedono di poter realizzare fasci di ioni con proprietà superiori rispetto a quelle di una sor-gente LMIS. Infatti, a causa delle ridotte dimensioni della MOT utilizzata (decine di µm) e delle basse temperature ottenibili al suo interno (dell’ordine del centi-naio di µK), è possibile realizzare fasci di ioni con emittanze e luminosità che sono dell’ordine di 10−10m rad√eV e di 109A/m2sr eV rispettivamente: questi valori indicano che il fascio può, almeno in linea di principio, essere focalizzato su regioni spaziali inferiori alla decina di nm. Il rate al quale gli atomi vengono catturati nella MOT pone però un limite superiore alla corrente estraibile che, per il Cr, si attesta su valori di circa 160 pA. I primi risultati sperimentali conferma-no, almeno parzialmente, le previsioni teoriche; tuttavia essi mostrano come la corrente estraibile dalla MOT sia attualmente limitata a valori di pochi pA [37], mentre le dimensioni finali del fascio focalizzato sono dell’ordine del centinaio di nm [16], valore non ancora competitivo con quello di un FIB tradizionale.

Il gruppo olandese invece utilizza una diversa configurazione sperimentale, che prevede la ionizzazione con un campo elettrico di atomi di Rb (anch’essi confi-nati in una MOT) eccitati ad alti livelli di Rydberg con conseguente creazione di un plasma ultrafreddo, da cui gli ioni vengono estratti mediante campi elettrici impulsati [38]. La larghezza della distribuzione di energia degli ioni dipende in modo critico dal potenziale elettrico utilizzato per la loro estrazione: in [15] è stato dimostrato che, per valori del potenziale elettrico applicato inferiori ai 100 V, tale larghezza è dell’ordine delle decine di meV, due ordini di grandezza infe-riori rispetto a quella di una sorgente LMIS. Una caratteristica molto interessante ed originale del lavoro effettuato da questo gruppo è rappresentata dall’utilizzo di campi elettrici dipendenti dal tempo per creare e manipolare (cioè accelerare e

(40)

fo-calizzare) il fascio ionico: come dimostrato in [39], ciò permette di controllare il segno della distanza focale e del coefficiente di aberrazione sferica di un sistema focalizzante (al contrario delle configurazioni convenzionali per le quali il sud-detto coefficiente è sempre positivo [40]), dando così la possibilità di correggere eventuali aberrazioni sferiche.

2.4.2

Fotoionizzazione di un fascio atomico freddo e lento

L’approccio seguito in questo lavoro di tesi prevede di fotoionizzare direttamen-te il fascio atomico di Cesio prodotto nell’apparato: senza la predirettamen-tesa di ricava-re risultati numericamente rigorosi, possiamo provaricava-re a stimaricava-re le caratteristiche più importanti del fascio ionico che ci aspettiamo di ottenere. Il numero di io-ni che possiamo produrre, per uio-nità di tempo, è dato dal prodotto fra il rate di ionizzazione e il numero di atomi presenti nella regione di interazione, definita dall’intersezione dei fasci laser con il fascio atomico:

Nion= RionnaσaSion (2.10)

dove na e σa sono rispettivamente la densità e le dimensioni trasverse del fascio atomico, mentre Sion è la sezione del fascio laser di ionizzazione, che interseca perpendicolarmente il fascio atomico1. Se il laser di ionizzazione ha una poten-za di circa 20 mW (valore corrispondente alla nostra disponibilità sperimentale attuale), utilizzando i valori riportati in tabella 2.1 e assumendo una saturazione completa del livello eccitato (cioè ρee≈ 1/2), il numero di ioni stimati è di circa 1.8·107s−1e si ottiene quindi una corrente di 2.9 pA.

La sezione Sion gioca un ruolo molto importante in quanto, oltre a definire il vo-lume di ionizzazione, influisce sull’emittanza nella direzione y e sulla

distribu-1In base a questo semplice modello geometrico, il volume di ionizzazione è definito da un

ci-lindro con base data dal fascio laser di ionizzazione e altezza data dalle dimensioni trasverse del fascio atomico. Come vedremo in seguito, questo modello risulta troppo semplificato, in quanto viene trascurata ad esempio la dipendenza spaziale della potenza del fascio laser di ionizzazione. Tuttavia l’utilizzo di tale modello è legittimo poichè in questa sezione non abbiamo la pretesa di ri-cavare dati numericamente rigorosi ma soltanto di fornire una stima approssimata delle grandezze fisiche che caratterizzano il fascio ionico

(41)

2.4. FASCI DI IONI

zione di energia degli ioni prodotti2. Per minimizzare l’emittanza, almeno nella direzione y, è necessario focalizzare il fascio laser di ionizzazione: ad esempio possiamo focalizzare su regioni spaziali dell’ordine di 10 µm (valore ragionevo-le per il quaragionevo-le è ancora presente un numero significativo di atomi nella regione di ionizzazione). Con questi dati possiamo stimare le emittanze εz ≈6·10−8 m rad√eV e εy≈1.5 · 10−10 m rad

eV e una brillanza dell’ordine di 105A/m2sr eV, valori che, sebbene ricavati utilizzando drastiche approssimazioni, sembrano comunque competitivi con quelli di una sorgente tradizionale. La corrente otte-nibile risulta tuttavia molto bassa, inferiore di diversi ordini di grandezza rispetto a quella ottenibile da una sorgente LMIS, ma questo non è un problema. Infat-ti la corrente potrebbe facilmente essere aumentata di alcuni ordini di grandezza utilizzando una maggiore intensità di fotoionizzazione, come consentito da laser più potenti rispetto a quello usato in questo esperimento, ed eventualmente au-mentando la densità del fascio atomico, agendo ancora una volta sulle potenze dei laser di trappola e sulle dimensioni trasversali della PMOT. La bassa densità del fascio, e quindi la bassa corrente, può rivelarsi anche un vantaggio, almeno in fase di ricerche di laboratorio, poichè possiamo considerare praticamente trascurabili eventuali effetti di carica spaziale (repulsioni coulombiane fra cariche dello stesso segno), che generalmente tendono ad allargare il fascio in maniera eccessiva. Il punto di forza del nostro fascio ionico risiede soprattutto nel suo elevato gra-do di monocromaticità e nella sua velocità subtermica, che ne permette un facile controllo mediante opportuni campi elettromagnetici. Assumendo infatti che le caratteristiche dinamiche del fascio di atomi neutri possano essere trasferite al fa-scio ionico, quest’ultimo avrebbe una distribuzione di velocità longitudinale molto stretta, con valore di picco pari a 0.1 meV e una larghezza di poche decine di µeV (o inferiori). Tuttavia è necessario considerare l’allargamento di energia dovu-to alla presenza di un eventuale gradiente di potenziale elettrico nella regione di ionizzazione, esprimibile come:

σU = eE0wionx (2.11)

2Supponendo che il fascio atomico si propaghi in direzione x, scegliamo come asse z la

(42)

dove E0è il campo elettrico locale e wionx è il waist del fascio laser di ionizzazione nella direzione in cui si propaga il fascio atomico. Si noti che per minimizzare questo meccanismo di allargamento è necessario che la ionizzazione avvenga in una regione che sia il più possibile priva di campi elettrici (idealmente “a campo nullo”). Poichè la successiva accelerazione (e focalizzazione) del fascio richie-de l’utilizzo di potenziali elettrici piuttosto elevati (richie-dell’ordine di qualche kV), la configurazione dei campi elettrici va progettata molto attentamente, ma questo, per il momento, è al di là degli scopi di questa tesi. D’altra parte, possiamo ragio-nevolmente supporre che il campo elettrico residuo nella zona di ionizzazione sia dell’ordine di 10÷100 V/m, o minore. Se il waist del laser è di circa 10 µm, la larghezza della distribuzione di energia degli ioni è comunque inferiore al meV, valore decisamente migliore di quello associato ad una sorgente tradizionale. Una successiva accelerazione e focalizzazione del fascio comporterebbe quindi una notevole riduzione di effetti legati ad aberrazioni cromatiche, permettendo quindi di raggiungere una elevata risoluzione spaziale. Questa può essere stimata in base all’equazione 2.8: si ottengono valori di 12 nm se il fascio viene accelerato ad 1 keV, 3 nm a 5 keV e 2 nm a 10 keV.

Dunque, pur tenendo conto dei numerosi problemi di carattere tecnologico (po-tenza del laser di ionizzazione, eventuale aumento della densità del fascio atomi-co, estrazione e focalizzazione delle cariche con sistemi ottimizzati in termini di campi residui, correnti ioniche, aberrazioni sferiche), l’idea di impiegare la foto-ionizzazione del nostro fascio “freddo e lento” sembra degna di essere studiata e verificata sperimentalmente.

(43)
(44)

Apparato sperimentale

L’apparato sperimentale comprende numerosi elementi ottici, optoelettronici e meccanici, che verranno in gran parte descritti nel corso di questo capitolo. L’ap-parato può essere diviso in diverse parti, illustrate schematicamente in figura 3.1, ciascuna con la propria specifica funzione:

• una camera ad ultra-alto vuoto comprendente la MOT piramidale, dalla quale è possibile estrarre il fascio atomico freddo e lento;

• uno stadio di collimazione, che agisce trasversalmente al fascio atomico, in grado di ridurne la divergenza e le dimensioni trasverse;

• uno stadio di osservazione, per eventuali misure di caratterizzazione del fascio o per la verifica del corretto funzionamento delle prime due parti; • uno stadio di ionizzazione, che permette la manipolazione e la raccolta degli

ioni prodotti.

L’apparato comprende inoltre un microscopio a effetto tunnel (STM), inutilizzato durante questo lavoro di tesi, ma che sarà utile in futuro per lo studio dell’intera-zione tra gli ioni prodotti e un substrato, al fine di verificare le effettive potenzialità del fascio ionico. La camera ad ultra-alto vuoto in cui alloggia l’STM è collega-ta ad una camera utilizzacollega-ta per il carico dei campioni, a sua volcollega-ta collegacollega-ta alla camera di ionizzazione tramite traslatori lineari.

(45)

3.1. APPARATO DA VUOTO

La creazione e la manipolazione del fascio devono ovviamente avvenire in un am-biente il più possibile pulito, in condizioni di ultra-alto vuoto. Il funzionamento corretto dell’imbuto atomico richiede poi una opportuna configurazione di campi magnetici, generati, oltre che dalle bobine di quadrupolo, da due coppie di bobine aggiuntive (bobine di compensazione). Inoltre la radiazione dei laser da noi usa-ta deve essere il più possibile monocromatica, con frequenza corrispondente ad una determinata transizione atomica del Cesio (ed eventualmente disaccordata da essa), e stabilizzata mediante tecniche di spettroscopia di assorbimento saturato. Tutti i dispositivi e gli elementi ottici sono fissati ad un tavolo ottico isolato dalle vibrazioni (Newport RS1000) e protetto con diversi pannelli di plastica da rumori acustici e dalla polvere.

Figura 3.1: Rappresentazione schematica dell’apparato sperimentale: la freccia blu indica la direzione di propagazione del fascio atomico

3.1

Apparato da vuoto

Come osservato in precedenza, la realizzazione e la manipolazione del fascio ato-mico richiedono di operare a pressioni estremamente basse, in regime di ultra-alto

(46)

vuoto (UHV). L’apparato da vuoto è diviso in tre camere: una camera compren-dente la MOT piramidale e gli stadi di collimazione e l’osservazione, una camera dedicata alla ionizzazione e una terza contenente l’apparato per la deposizione e il microscopio per l’analisi dei campioni. Le varie camere sono connesse tra loro tramite delle valvole a ghigliottina capaci di sostenere una differenza di pressione di circa 1 bar, con una pressione di circa 10−9 mbar nella sezione con pressione più bassa.

3.1.1

Camera di MOT e collimazione

La camera è costituita da un cilindro di acciaio inossidabile con altezza di 29 cm e diametro di 10 cm ed è dotata di numerose flange:

• una flangia CF100, con una finestra trattata antiriflesso, permette l’ingresso dei fasci laser di trappola;

• una flangia CF63, che assicura il collegamento con la camera di ionizzazio-ne;

• quattro flange CF40, disposte a 45° rispetto all’asse della camera, che con-sentono l’ingresso dei fasci di collimazione;

• tre flange CF40, di cui due permettono la connessione con la pompa ionica e l’altra il passaggio dei cavi di alimentazione dei dispenser necessari alla produzione del vapore di Cesio;

• quattro ulteriori flange, disposte ortogonalmente all’asse della camera, che permettono l’accesso ottico e che costituiscono lo stadio di osservazione. La camera è collegata ad una pompa ionica Vaclon Plus 20 Star Cell della Varian, con velocità di pompaggio di 20 l/s, che consente di mantenere una pressione inferiore ai 10−9 mbar (10−8mbar quando i dispenser sono accesi)1. All’interno della camera sono disposti la piramide, cioè i componenti ottici per la PMOT, e i

1Nella fase iniziale di preparazione del vuoto viene utilizzata una pompa turbomolecolare a

Riferimenti

Documenti correlati

Il presente lavoro di tesi si propone di contribuire alla caratterizzazione idrogeochimica delle acque della Val di Cecina, con lo scopo di ottenere possibili

Una volta creato il fascio di atomi uscente dalla piramide, ne abbiamo eseguito una caratterizzazione in funzione dei vari parametri, al fine di determinarne i valori di

Ed infatti se per i tributi periodici il limite di € 12,00 ha la sua ragionevolezza in rapporto alla misura ordinaria dell’entità economica del prelievo per anno di imposta,

Indici affidabili e di facile determinazione per stabilire il momento ottimale di raccolta delle drupe al fine di massimizzare il valore dell'olio veneto in termini di resa e di

Randomized Controlled Trials Comparing Endarterectomy and Endovascular Treatment for Carotid Artery Stenosis. and

A tal riguardo eme ge nell immedia o quale ambito prioritario di tutela della salute per operatori, utenti ed altri soggetti garantire l a a ione di e le misure

Nei due mesi successivi il riscontro di frequenti ipoglicemie, insorgenti durante il corso di tutta la giornata, ci spingeva dapprima alla sospensione della somministrazione

Non sembra che la scelta sia determinata da limiti della delega, atteso che anche per la materia delle misure di prevenzione in cui vi è un’apposita disposizione (art. Nel documento